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Autore: Adeia Di Elferas    10/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Mio marito il Conte...?” chiese Caterina, in un soffio, mentre si toglieva spostava una ciocca di capelli dalla fronte.
 Era molto accaldata e l'esercitazione con la spada lunga che stava facendo era forse troppo pesante per quell'ora torrida. Agosto stava volgendo al termine, ma Settembra pareva altrettanto afoso.
 Il paggio che era andato a chiamarla annuì, un po' impacciato e ripeté, con la cantilena dei bambini che ripetono una filastrocca appena imparata a memoria: “Il Santo Padre vi desidera nel vestibolo affinché possiate porgere il vostro saluto al vostro augusto marito, il Conte Girolamo Riario.”
 Caterina lasciò la spada spuntata e senza filo al maestro d'armi, cercò di darsi un contegno e si fece aiutare a levarsi di dosso l'imbottitura che la costringevano a indossare ogni qual volta che si addestrava in quel cortile.
 Seguì il paggio fino alla stanza dove l'attendeva il papa.
 Sisto IV la stava attendendo con una certa impazienza, circondato da alcuni porporati, tra i quali spiccava Rodrigo Borja, un po' defilato, ma, per via della sua figura slanciata e atletica, impossibile da non notare.
 “Venite, venite...!” la incitò il papa, non appena la vide: “Mio nipote ci aspetta. È con Roberto Malatesta. A quanto pare il generale che ci ha portati alla vittoria di Campomorto è stato contagiato e ha contratto la malaria...”
 Caterina, che sentiva ancora le gocce di sudore scenderle dalla schiena e le gote arrossate per il caldo e lo sforzo, accelerò fino a portarsi in pari con Sisto IV, che la prese subito sottobraccio, con la scusa di usarla come sostegno, quando in realtà le voleva parlare senza che nessun altro sentisse.
 Facendo sì che la giovane si piegasse appena verso di lui, le sussurrò nell'orecchio: “Quell'asino di Girolamo ha trovato una scusa per tornarsene qui, ma dobbiamo convincerlo a ropartire al più presto.”

 Girolamo attendeva con apprensione appena fuori dalla camera in cui era stato sistemato Roberto Malatesta.
 Per tutto il viaggio il comandante aveva alternato momenti di grande confusione e malessere a momenti di estrema lucidità e consapevolezza. Erano stati questi ultimi a preoccupare davvero Girolamo.
 Appena in Vaticano era riuscito a trovare il primo medico di suo zio e aveva avuto modo di parlargli come si doveva, quindi ora era più tranquillo di quenato era arrivato, ma pur sempre guardingo.
 Finalmente sentì dei passi e quando si sporse verso il corridoio, vide un drappello che trovò alquanto curioso.
 Davanti a tutti stavano suo zio il papa, sottobraccio a Caterina, bellissima e in affanno, e subito dietro di loro una serie di tonache porpora che parlottavano senza sosta.
 “Nipote mio adorato.” fu il saluto di Sisto IV, mentre si staccava dall'appiglio fornitogli da Caterina: “Presto, voglio vedere Roberto Malatesta, l'uomo che ci ha così degnamente serviti!”
 Girolamo restò con la bocca mezza aperta, ma non fece notare quanto il saluto di suo zio fosse stato freddo. Cercò, invano, di suggerire al Santo Padre di lasciare fuori dalla stanza Caterina, dicendo che una giovane e delicata dama avrebbe sofferto troppo della visione di un morente.
 Il papa lo pregò di non perdersi in simili sciocchezza, così Girolamo condusse immediatamente il Santo Padre dal malato, facendogli strada e spiegando come fossero cominciati i sintomi.
 Sisto IV ascoltò tutto in silenzio, annuendo lentamente e intercalando con qualche grave 'capisco'. Quando furono al capezzale di Malatesta, che da almeno mezz'ora stava attraversando uno dei momenti di obnubilamento peggiore, il papa si mise a elogiarlo pubblicamente e a sciorinare tutte le preghiere del caso.
 In quel frangente, dette con quel tono solenne e quei gesti esagerati, tutte quelle frasi latine a Caterina sembravano delle formule magiche degne di un qualasiasi pagano.
 Per caso, senza avvedersene, era finita a pochi centimetri da suo marito, con tutti i porporati schierati tra loro e il letto.
 Quando i prelati cominciarono a fare eco al papa, nella stanza si diffuse una preghiera unica e ritmata, sempre più simile a un rito spiritistico. Solo di quando in quando si potevano sentire i lamenti sconclusionati del condottiero.
 Approfittando della cantilena, Girolamo si fece ancora più vicino alla moglie e le disse, coperto dalle voci dei religiosi: “Non mi dite nulla? Non siete contento che sono tornato?”
 Caterina continuava a fissare il viso di Malatesta, sconvolto dal dolore, grigiastro, sudato, che intravedeva oltre la siepe di tuniche rosse.
 “Dunque?” ripeté Girolamo, credendo di non essere stato udito la prima volta: “Siete contenta che sono tornato vivo da voi?”
 Caterina non lo ascoltava. Era troppo impegnata a osservare il comandante morente. Più lo guardava e ne studiava il naso affilato e l'occhio spento, più le tornavano in mente i suoi appunti di alchimia e le nozioni – seppur basilari – che l'alchimista della corte di Milano le aveva dato sulla malaria.
 Improvvisamente, capì.
 I suoi occhi verdi passarono dal viso sofferente dell'eroe a quello pavido e teso di suo marito.
 Girolamo lesse nelle iridi della moglie l'accusa. Ormai era abituato a essere guardato da lei in quel modo, ma in quel frangente, si sentì scoperto.
 Il modo in cui Girolamo deglutì e si passò nervosamente la punta delle dita sulla fronte, toglsero ogni dubbio a Caterina.
 “Ora lasciamo solo il nostro valoroso eroe.” annunciò alla fine il papa: “Manderò da lui il mio medico personale. Se Dio lo salverà, lo riaccoglieremo tra noi come il più valoroso dei comandanti, mentre se Dio lo vorrà chiamare a sé, intendo concedergli io stesso la consolazione e il sacramento dell'estrema unzione.”
 A queste parole, i vari religiosi annuirono e cominciarono ad allontanarsi. L'unico che non accennava a lasciare il letto di Malatesta era Rodrigo Borja.
 “Qualcosa vi tormenta, mio caro?” gli chiese il papa, che desiderava sinceramente lasciare in pace il moribondo.
 Rodrigo sospirò e disse solamente: “Nulla, Santo Padre. Solo mi pare una manifestazione di malaria molto strana. Ma in fondo, non sono un medico, solo un fedele servo di nostro Signore.”
 Sisto IV si bloccò un istante, come colto da un dubbio, ma poi si riscosse e convenne: “Siamo tutti solo servi di nostro Signore.”
 Gli ultimi a lasciare la stanza furono Girolamo e Caterina, a debita distanza l'uno dall'altra, entrambi intenti a chiedersi quanto l'uno avesse colto dello sguardo dell'altro.

 “Il papa ha appena dato l'estrema unzione a Roberto Malatesta, mio signore. Dice che al comandante manca poco, quindi se volete dargli un ultimo saluto...” disse il messo mandato dal papa a Palazzo Orsini.
 “No, no... Non voglio disturbarlo in un momento tanto difficile...” rifiutò Girolamo, continuando a far dondolare sulla sua gamba la piccola Bianca, che sembrava gradire molto questa sorta di cavalluccio improvvisato.
 Caterina stava sorvegliando Cesare e Ottaviano, che giocavano, ognuno per proprio conto, sul tappeto ai suoi piedi e non disse nulla per contraddire il marito.
 Il messo uscì con un mezzo inchino e un'espressione un po' contrariata in volto e la camera ripiombò nel silenzio quasi totale. Solo i bambini facevano qualche versetto, ma nulla di più.
 “Dovevi andare, invece.” disse Caterina, con aria di rimprovero: “Almeno fare presenza. Se fossi stato un minimo intelligente, avresti capito che la tua presenza avrebbe tolto qualche dubbio in più.”
 “Di che dubbi state parlando?” chiese secco Girolamo, smettendo di far dondolare Bianca.
 La piccola, di nemmeno un anno, cercò di riattirare l'attenzione del padre dandogli dei piccoli colpi al braccio con la manina, ma egli ormai non era più in vena di giocare.
 “Dei dubbi che sono venuti a Rodrigo Borja e a me. E di certo anche ai medici di tuo zio. Credi davvero che un uomo di scienza possa scambiare un avvelenamento per un accesso malarico?” chiese Caterina, apparentemente molto calma.
 Girolamo poggiò la bambina sul letto e uscì dalla stanza: “Balia! I bambini devono andare a dormire...”
 La prima balia, seguita dalle aiutanti, arrivò immediatamente a recuparare i tre piccoli, che protestarono vivamente – in particolare Ottaviano – perchè volevano restare ancora coi genitori.
 Una volta soli, Girolamo affrontò a viso aperto sua moglie, provando a usare l'attacco come difesa: “Non dovete fare certe insinuazioni davanti ai nostri figli!”
 “E perchè? Non vuoi che sappiano chi è davvero il loro signor padre?” ribatté stancamente Caterina, prendendo tra le mani un libro sull'antica Grecia.
 “Io... Voi...! Ah...! Voi...” balbettò Girolamo, preda della rabbia più cieca.
 Quando Caterina lo trattava a quel modo, egli perdeva la testa e non riusciva a controllarsi. Inoltre, la lontananza, seppur breve, gli aveva fatto in parte dimenticare quanto averla nella stessa stanza lo rendesse instabile. Averla così vicina lo trasformava in un ammasso informe di emozioni in aperto contrasto. La amava e la odiava. La odiava perchè l'amava troppo e forse l'amava anche perchè la odiava.
 “L'hai ucciso tu, vero?” chiese Caterina, aprendo il libro e cercando la pagina a cui era arrivata la sera prima.
 Girolamo restò in silenzio. Avrebbe voluto prenderla a schiaffi e baciarla allo stesso momento. Quella donna lo conosceva troppo bene, tanto da capirlo meglio di chiunque altro e proprio perchè lo conosceva così a fondo, lo disprezzava. E come poteva Girolamo andare oltre un ostacolo tanto ingombrante?
 “Perchè l'hai ucciso? Perchè lui è stato coraggioso e tu no?” indagò Caterina: “Perchè lui si è comportato da uomo e tu no? Guarda che anche qui a corte si è saputo della tua misteriosa assenza sul campo di battaglia.”
 Girolamo persisteva ne suo mutismo. Era pallido, quasi verdognolo, e così alla luce delle candele sembrava uno spettro.
 “So riconoscere gli effetti dei veleni, ho studiato molto queste cose, lo sai. E credo che sapessi anche che avrei capito, se avessi visto Malatesta. È per questo che volevi lasciarmi fuori dalla sua stanza, vero? Credi forse – lo incalzò Caterina, richiudendo il libro, ma tenendolo stretto stretto per evitare alle sue mani di tremare – che saperti colpevole di un omicidio simile comprometterebbe ancora di più l'idea che io ho di te? Credi veramente che sia possibile odiarti più di quanto io già non ti odi?”
 Girolamo si fece scuro in volto: “Perchè continuate a odiarmi tanto per una cosa accaduta anni fa?”
 “Perchè l'uomo che sei è ancora peggio dell'uomo che credevo tu fossi.” rispose Caterina, con un filo di voce.
 Girolamo strinse il morso e i pugni, resistendo alla voglia pazza di saltarle al collo e spezzarglielo, perchè era ancora più certo che per lui non ci sarebbe mai stata una possibilità.
 “Il veleno...” sbuffò Caterina, alzandosi: “Come l'ultima delle cortigiane...”
 Gli passò accanto, sfiorandolo appena e concludendo, con sdegno: “Che vergogna...” e detto ciò, uscì dalla stanza.
 Raggiunse la prima serva che trovò e, proprio mentre in lontananza si sentivano le campane a morto, le chiese che venisse disposta per lei un'altra camera da letto per quella notte.

   
 
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