People on the edge of the night
Capitolo primo: The boys are back in town
Lily Evans trascinò il suo baule fino a uno
scompartimento vuoto e con un gesto della bacchetta lo fece levitare fino a
sistemarlo sulla rete sopra i sedili.
Si sedette in attesa che qualcuna delle sue
amiche la raggiungesse, ma si rese conto di essere parecchio in anticipo
rispetto al solito, e lei era già solita arrivare ampiamente in anticipo.
Onestamente non vedeva l’ora di tornare a
Hogwarts e quella mattina aveva costretto suo padre a portarla in stazione
molto prima rispetto all’orario di partenza. Non aveva senso rimanere in quella
casa per un minuto di più.
Ormai litigava con sua sorella tutti i
giorni ed era stufa di sentire le solite accuse. A peggiorare la situazione i loro
genitori cercavano sempre di mettere un po’ di pace tra le due, con il
risultato di fare arrabbiare ancora di più Petunia che finiva per esibirsi in
un pianto elegiaco, lamentandosi di essere l’esclusa della famiglia.
Il che rasentava il paradosso dato che gli
Evans, lei compresa, smuovevano mari e monti per renderla contenta, per
consolarla.
In fondo a Lily faceva anche un po’ pena,
nonostante il fastidio per tutti gli insulti che sua sorella le vomitava
addosso con l’intento di sminuirla. Non che questo le desse il permesso di
chiamarla mostro, o stramba, o scherzo della natura ogni volta che si accennava
alla magia.
Severus non aveva torto a
dire che non si meritava le sue lacrime e che era soltanto invidiosa. Ma Lily
non piangeva da tempo per le parole di sua sorella, il più delle volte la
ignorava o le mostrava casualmente la bacchetta per levarsela di torno.
Così quella mattina, appena finita la
colazione, aveva pregato suo padre di accompagnarla a King’s
Cross il più in fretta possibile, perché per quanto salda anche la sua pazienza
si era esaurita.
Petunia l’aveva salutata con un grugnito
che Lily aveva trovato davvero buffo, ed era ritornata in camera sua più
allegra del solito, allietata dalla prospettiva di non avere più la sua strana
sorella tra i piedi, almeno fino a Natale.
Sentimento reciprocato dalla rossa che,
chiusa in quello scompartimento da sola, percepiva finalmente un’aura di pace
attorno a sé.
Nemmeno gli schiamazzi di Potter, ancora
sul binario a saltare in braccio ai suoi migliori amici, potevano scalfirla in
quel momento. Per starne certa, si appiattì maggiormente contro lo schienale
del sedile per evitare che lui la scorgesse e si precipitasse sul treno a
tormentarla.
Venne distratta da un chiacchiericcio
familiare, da una parlantina veloce e entusiasta, e poco dopo sulla soglia
dello scompartimento apparvero due ragazze con i rispettivi bauli.
La prima le schioccò un’occhiata
spazientita e alzò gli occhi al cielo, palesemente annoiata dalla voce della
sua compagna alle sue spalle; la seconda si zittì per un momento poi si lanciò
oltre l’amica e stritolò Lily in un abbraccio fin troppo potente per una
ragazza così minuta.
«Santo Cielo, Mary, datti un contegno. Non
è andata in guerra» la rimproverò l’altra, lasciandosi cadere su un sedile e
agguatando un libro dalla sua borsa.
Mary McDonald la ignorò completamente e
continuò a tenere stretta Lily «Sono così contenta di rivederti!» esclamò «Erin
non mi dà mai una soddisfazione. Pensava che non la vedessi mentre faceva le
smorfie» svelò a raffica.
Erin non alzò lo sguardo dalle pagine, ma
tirò un mezzo sorriso compiaciuto, per niente turbata di essere stata beccata
in pieno da Mary.
Questa comunque non diede segno di essersi
offesa e liberò Lily dalla sua stretta per sedersi accanto a lei.
«Lieta di vederti, Erinyes» la prese in giro la
rossa con un tono di finto disappunto per non aver ricevuto da parte sua un
saluto degno di quel nome.
«Sì, sì, anche io» borbottò Erin,
liquidando in fretta la faccenda con un gesto della mano «Mi fa piacere che
nessuna di voi due sia saltata per aria durante l’estate» disse noncurante.
E nello strano mondo della sua altrettanto
strana vena umoristica, quel commento apparentemente infelice significava “Mi
siete mancate anche voi. Sono contenta che nessuno vi abbia fatto del male”.
Una cosa molto probabile di quei tempi per
due Nate Babbane.
Erin lanciò uno sguardo alle altre due,
senza che queste se ne accorgessero. Sembravano entrambe felici e in buona
salute, e lei tirò mentalmente un sospiro di sollievo.
Le veniva difficile esternare i suoi
sentimenti di preoccupazione, non ci era proprio abituata: nella sua famiglia
si aveva la tendenza a prendere tutto con un po’ troppa leggerezza, a non
valutare bene i segnali di pericolo.
Non che la sua famiglia appoggiasse quelle
assurdità sulla purezza del sangue, ma come tanti altri preferivano voltarsi
dall’altra parte fingendo che non fosse reale, che fossero solo incidenti.
Ma le sparizioni, gli omicidi e il terrore
erano veri, anche se la maggior parte della comunità magica continuava a
sperare che presto tutto sarebbe finito.
Inquieta riportò l’attenzione sul libro e
finse come al solito una perfetta e indifferente calma.
I suoi sensi si allertarono nuovamente in
fretta, non appena Mary le aggiornò del nuovo gossip che circolava tra gli
studenti.
«Avete sentito di Sirius Black?»
Erin non diede segno di ascoltarla, ma
strinse leggermente i bordi della copertina.
«Che cos’ha combinato questa volta?»
s’informò distrattamente Lily, mentre si sporgeva verso il finestrino per
guardare un’ultima volta il binario 9 e ¾ che si faceva sempre più piccolo, man
mano che il treno prendeva velocità.
«Sembra sia scappato di casa».
Lily si voltò subito verso l’amica,
sconcertata dalla notizia, e lanciò un’occhiata circospetta a Erin, seduta di
fronte a loro.
«Chi te l’ha detto?» replicò questa senza
scomporsi più di tanto.
«Ne parlavano tutti sul binario» raccontò
Mary «E non ha nemmeno rivolto un cenno di saluto a suo fratello. Da che mi
ricordassi si trattavano almeno civilmente».
Erin con uno sbuffo girò la pagina del
libro e non commentò ulteriormente. Sapeva già tutto, la notizia era vera, ma
non la confermò.
Sebbene in quel momento non provasse
sentimenti granché positivi nei confronti di Sirius, rimase comunque in silenzio
perché in fin dei conti non erano davvero fatti suoi da raccontare.
«Era da tempo che voleva farlo» ragionò
Lily.
«Sì, ma un conto è dirlo, un conto
è…metterlo in atto. È scappato dalla sua famiglia e ha solo sedici anni. È una
cosa grave, no?» disse Mary.
«I Black se potessero ti eliminerebbero
dalla faccia della Terra, o in alternativa ti userebbero come elfo domestico.
Per quanto sia un cretino, mi sembra ovvio che le loro vedute fossero
totalmente inconciliabili con quelle di Sirius».
Lily e Mary si scambiarono uno sguardo
dubbioso, non sapendo come interpretare quella che sembrava la considerazione
più gentile che la loro amica aveva rivolto al ragazzo negli ultimi mesi.
«T-tu…» cominciò Mary un po’ titubante «Gli
hai parlato?»
«No» fu la riposta asciutta e definitiva.
L’argomento Sirius Black venne dimenticato
in fretta non appena Mary annunciò di avere finalmente deciso di provare le
selezioni per la squadra di Quidditch di Grifondoro per il ruolo di
Cacciatrice.
«Mi sembra un’ottima idea» si complimentò
Lily «Sono anni che ti dico di tentare. Mi stupisco che tu ci abbia messo così
tanto a darmi retta».
«Questa volta è diverso» si giustificò Mary
giocherellando con i suoi ricci chiari «Paciock e
Vane si sono diplomati l’anno scorso. Erano Cacciatori formidabili, non avrei
avuto speranza contro di loro. Adesso i loro posti sono liberi, quindi ho
davvero una possibilità. Sempre che James mi accetti».
Lily fece un verso insofferente «Potter non
è il proprietario della squadra di Quidditch di Grifondoro. È solo uno dei
Cacciatori».
«Uno bravo» specificò Erin beccandosi
un’occhiataccia dall’amica.
«Talmente bravo che è diventato Capitano»
osservò Mary.
Le altre due la guardarono sorprese.
«Non lo sapevate? Ho sentito alcune ragazze
parlarne sul binario, mentre aspettavo di salire sul treno. È l’argomento più
popolare, be’…dopo la fuga di Sirius, ovviamente».
«Ovviamente…»
riprese Lily «…facevano parte del fanclub di Potter.
Non dovresti ascoltare i loro pettegolezzi. Dubito che Silente possa affidare
la sorte della squadra a quel tronfio…» prima che potesse concludere, Mary la
bloccò con foga «Ho visto i loro allenamenti: James lavora bene insieme agli
altri, tira sempre su di morale tutti, ed è un leader nato».
«A quanto pare in questa scuola più sei
arrogante, più sei apprezzato» berciò Lily, incrociando le braccia al petto.
Mary continuò a difendere con energia James
Potter «Non è così male, alla fine. Sa essere gentile quando vuole, è
divertente e farebbe di tutto per i suoi amici, lo sai che è coraggioso».
«E il suo bel visino non guasta» aggiunse
Erin, ancora immersa nella lettura del suo libro, e nel contempo attenta alla
conversazione.
Lily alzò le sopracciglia «Stiamo parlando
della stessa persona?»
Niente a che ridire con l’affermazione di
Erin, in realtà: l’aspetto di Potter era decisamente piacevole; tutto resto
d’altra parte…
Lily non si considerava una ragazza noiosa
o rigida, sapeva apprezzare un bello scherzo e ridere di gusto. Essendo un
Prefetto non poteva lasciare molta libertà agli studenti, ma non aveva nulla
contro un’innocente burla.
Peccato che in Potter niente fosse
innocente e tutto trasudasse spocchia.
La battuta pronta, la bravura nel
Quidditch, il suo talento negli incantesimi non lo eleggevano automaticamente
padrone del mondo e avrebbe fatto bene a imparare un po’ di umiltà.
Purtroppo Lily sembrava l’unica disposta a
non accettare la sua condotta, a non lasciarsi ingannare da quell’espressione
strafottente. Be’, anche Severus…
Scosse la testa, come per scacciare un
pensiero indesiderato.
«Comunque pensavo che noi fossimo immuni al
suo fascino» le rimproverò «Soprattutto tu» mormorò in direzione di Erin.
Questa abbassò il libro per la prima volta
da quando si era seduta e rispose candidamente «Non ho mai detto che Potter mi
affascina, ma non mi dà così fastidio come a te. E se mi permetti, il fastidio
che provi nei suoi confronti è un po’ troppo considerando che stiamo parlando
di uno che dovrebbe solo darti
fastidio e nient’altro».
«Significa?» chiese Lily, corrugando la
fronte.
«Che ti scaldi troppo quando parliamo di
lui. Ci tieni veramente tanto a far sapere che non ti piace. Dicono che la
linea tra l’odio e l’amore sia sottile» considerò Mary con un sorrisino furbo.
«Frenate le vostre fantasie» le stroncò
Lily «Mi state paragonando a uno stupido cliché, mi sento offesa» e proseguì
«Non odio James Potter, ma è un viziato e un arrogante. È il genere di persona
che la fa franca anche se non se lo merita. È questo che non sopporto. Se lui
mi lasciasse in pace, io forse potrei dimenticarmi della sua esistenza».
«Leggendo fra le righe, è interessato a te»
le fece notare Mary.
«Non credo di avergli mai dato qualche
speranza» obiettò Lily.
«Suppongo che sia questo il punto» disse
Erin, riprendendo la sua lettura, improvvisamente disinteressata al discorso in
atto.
«Quindi sono la sua questione di principio?
E questo dovrebbe farmelo piac-» non poté concludere
la frase perché si alzò un gran vociare dal corridoio del vagone e qualcosa di
grosso picchiò contro la parete accanto al loro scompartimento.
Mary e Lily si guardarono confuse, Erin non
si degnò neanche di alzare gli occhi dalle pagine del suo libro.
Ma prima che la cosa potesse preoccupare le
altre due, si udì un gran insulto esplodere come un ruggito e Lily riconobbe la
voce all’istante.
Si affrettò a uscire dallo scompartimento,
la bacchetta sguainata e pronta all’uso. Non che fosse incline a lanciare
incantesimi sul treno per Hogwarts con il rischio di guadagnarsi una punizione,
ma quella volta avrebbe più che volentieri infranto le regole della scuola.
La scena che le si presentò davanti era
pressoché quella che si era aspettata: il suo ex migliore amico Severus Piton inchiodato al muro,
e il suo odiato compagno di Casa James Potter con la bacchetta puntata e l’aria
strafottente.
Non era cambiato molto durante l’estate,
stessi capelli neri arruffati, stessi occhiali, stessa smorfia di
compiacimento.
Come sentì la porta dello scompartimento
richiudersi, James si voltò, seccato che qualcuno stesse interrompendo uno dei
suoi tanti momenti di gloria, e incrociò lo sguardo adirato della sua strega
preferita.
«Evans!» esclamò entusiasta, i suoi occhi
brillarono di una tale gioia che qualunque ragazza si sarebbe sentita
lusingata.
Lei no.
«Che cosa pensi di fare?» abbaiò Lily di
rimando, quasi infastidita dall’allegria con cui era stata accolta.
«Io? Cos-?» si era completamente
dimenticato della presenza di Piton attaccato al
muro, e questo la diceva lunga sulla poca considerazione che aveva di lui.
Seguì con lo sguardo la direzione indicata dalla bacchetta di Lily e
improvvisamente si ricordò di quel povero sventurato che cercava inutilmente di
ricoprirlo d’insulti, bloccati da un incantesimo silenziatore.
«Oh sì, lui»
disse storcendo il naso «Non farci caso».
Lily, com’era prevedibile, non lasciò
correre «Perché è lì?» domandò minacciosa, gli occhi ridotte a due fessure.
James la fissò vacuo, quasi si fosse reso
conto di non avere una risposta adeguata per giustificarlo. O almeno una ce
l’aveva, ma sapeva che lei non sarebbe stata contenta.
«Era in mezzo al corridoio» spiegò con
un’alzata di spalle.
Lily ebbe un fremito. Affermazioni come
quella erano così tipiche di James Potter, della serie “mi dà fastidio che sia
nato” oppure “è più il fatto che esiste,
non so se mi spiego”.
«Mettilo giù» ordinò con una calma
inquietante «Ora».
«Evans…»
«O toglierò cinquanta punti a Grifondoro
non appena ne avremo guadagnati abbastanza» odiava punire la propria Casa, ma
James Potter le istigava un istinto omicida che doveva essere placato in
qualche modo.
Avrebbe rinunciato alla Coppa del Quidditch
e alla Coppa delle Case pur di togliere quel sorrisino impudente dalla sua
faccia.
«Non fare la guastafeste, Evans! Non siamo
nemmeno a scuola» urlò una voce dal fondo del vagone.
Solo allora Lily si accorse della presenza
degli altri tre amici di Potter, che arrancavano a fatica portandosi dietro i
bauli.
Sirius Black, a capo della fila, ne stava
trascinando due e appariva parecchio contrariato «Ehi tu, principessina, invece
di giocare con la bacchetta, che ne dici di portarti almeno il tuo gufo?» inveì
in direzione dell’amico. L’animale in questione stridette in segno di assenso
dalla gabbia in cui era rinchiuso.
«Non chiamarmi così!» s’indignò James,
arrossendo fino alla punta dei capelli, mortificato che Lily stesse ascoltando.
«Allora prenditi i tuoi bagagli» sbottò
Sirius quando si fu avvicinato, posando con forza la gabbia sul baule – cosa
non apprezzata dall’uccello che schioccò minacciosamente il becco verso di lui
– «Oh Mocciosus, è sempre un dispiacere incontrarti.
Evans, lieto di vedere che non hai ancora compreso il significato di
“divertimento”» la salutò bruscamente, per poi oltrepassarli entrambi alla
ricerca di uno scompartimento vuoto.
«Potter» lo richiamò Lily che alle parole
di Sirius si era indispettita come non mai «Giù!» gli ribadì, mimando il gesto
con un dito «E restituiscigli la voce».
James si trovò costretto a cedere e con uno
schiocco di bacchetta Piton si ricongiunse
brutalmente con il pavimento, la sua ultima imprecazione rimbombò per tutta la
carrozza.
«Non lamentarti se la usa per insultarti di
nuovo» le disse con un tono improvvisamente scocciato James, per poi afferrare
il suo baule e il suo gufo e superarla per seguire Sirius.
Peter Minus le
passò davanti troppo imbarazzato per guardarla in faccia e Remus Lupin le
sorrise a mo’ di scuse.
Lily li osservò precedere verso il vagone
successivo e scosse la testa rassegnata, poi si piegò per raccogliere la
bacchetta di Severus, caduta a terra durante lo
scontro con Potter.
Gliela porse, mentre lui si scrollava di
dosso la polvere e continuava a ingiuriare sottovoce il suo rivale, ormai
lontano.
«Grazie» le sussurrò mesto e teso.
«Giusto, adesso puoi ringraziarmi, non c’è
nessuno in giro» constatò Lily, più freddamente di quanto avesse voluto.
Perché per quanto James Potter fosse un
imbecille, aveva ragione: in una situazione simile, quello che doveva essere il
suo migliore amico, l’aveva oltraggiata con il peggiore degli insulti nel mondo
dei maghi.
Si voltò per tornare dalle proprie amiche, ma
si bloccò con una mano sulla maniglia.
«Lily, mi dispiace».
«Lo so» soffiò lei in un moto di momentanea
comprensione. Con un immenso sforzo per non girarsi, aprì la porta dello
scompartimento e rientrò, prima che i suoi ricordi dell’amicizia con Severus potessero riaffiorare, convincendola a tornare
indietro per sistemare le cose.
«Come ti è venuto in mente di chiamarmi
così davanti a una ragazza?! Ho una reputazione, io!» si sdegnò James, una
volta trovato uno scompartimento libero per loro quattro.
«Reputazione?» replicò Sirius scettico,
mentre caricava il suo baule sulla rete sopra i sedili e aiutava l’amico a fare
altrettanto «Non me n’ero accorto».
«Lascia perdere, Felpato» disse Remus, già
seduto accanto a Peter «Il problema è che non l’hai detto davanti una ragazza
qualunque, l’hai detto davanti a Lily».
«Non so che cosa tu stia blaterando» sminuì
James che nel frattempo si era praticamente arrampicato su Sirius per sistemare
il suo baule.
«Ma davvero?» ribatté questo cercando di
levarselo di dosso «Eppure ci era parso di capire che fossi più o meno
ossessionato da lei. Ma in effetti non abbiamo nessun motivo concreto per
crederlo, solo due anni di inviti rifiutati a Hogsmade…»
«E cinque di scherzi stupidi, battutine
provocatorie…» gli diede man forte Remus «…fatture a qualunque essere maschile
che le parlasse per più di cinque minuti in un mese».
«Si è perfino ingelosito di Lumacorno» rincarò Sirius.
«Vi ricordate quella volta che ha provato a
farsi mettere in punizione con lei?» aggiunse Peter.
«E ci sono finito io» completò tetro Remus
che non aveva ancora dimenticato tutti i trofei che aveva dovuto pulire per
colpa di James Potter e delle sue grandi idee del cavolo.
«Avete finito?» chiese James indispettito
«Io non ho un’ossessione per la Evans» dichiarò altezzosamente «Solo non la
capisco. Io piaccio a tutti, perché lei deve fare la diversa?»
«Mi sbaglierò, ma appendere il suo migliore
amico per le mutande non credo che sia la via più diretta per il suo cuore»
azzardò Remus.
«Questa ovviamente è solo un’ipotesi»
commentò sarcasticamente Peter.
«Che cosa ha fatto Mocciosus
questa volta?» domandò Sirius «Non dovresti fare certe cose senza di me» si
offese.
«Niente di particolare in realtà. Se ne
stava lì vicino allo scompartimento da cui è uscita la Evans» solo in quel
momento si rese conto che probabilmente non si era trattata di una coincidenza
e che quel viscido serpente si era appostato dietro le porte per spiarla.
Questo pensiero rese ancora più velenose le parole che pronunciò un attimo dopo
per spiegare il suo gesto. Sapeva che non vi era nulla di nobile, ma proprio
non riusciva a evitarlo «Era in mezzo al corridoio. M’intralciava».
«Per me è un ottimo motivo» concordò
Sirius, ancora in parte seccato per non avere partecipato all’azione dato che
era occupato a fare da facchino al suo migliore amico.
«Hai ragione, James» osservò Remus «Davvero
non capisco perché Lily ti disprezzi tanto. Sei talmente uno zucchero».
«E ti lamentavi di “principessina”» scherzò
Sirius.
«D’ora in poi non ci sarà più nessun
“principessina” o “zucchero”» intimò James con sguardo eloquente.
«Solo Ramoso!» esclamò Peter.
«Ben detto, Codaliscia!»
si congratulò James e gli tirò una pacca sulla spalla «Noi siamo i Malandrini»
continuò «Noi ci sosteniamo l’un l’altro, senza stupidi nomignoli da
femminucce».
«Vedi non hai capito niente! Lo scopo di
noi Malandrini è tenerti con i piedi per terra, che poi ti sarà solo utile con
la Evans. Mi è parso di capire l’ultima volta che non apprezzi i tuoi modi un
po’ esibizionisti» lo prese in giro
Sirius.
«Esibizionista? Io? E tu dovresti essere il
mio migliore amico?»
«Bene, Malandrini» s’intromise Remus
frugando nella sua borsa «Tirate fuori i vostri G.U.F.O., dobbiamo scegliere le
materie da seguire quest’anno».
«Remus Lupin, lo studioso. Saresti quasi lo
studente modello se non fosse per…» lo apostrofò Sirius.
«Il mio piccolo problema peloso?» concluse
Remus con un mezzo sorriso.
«Oh no, quello va bene» gli assicurò Sirius
«Ma qualcuno non approverebbe il tuo scorrazzare nei boschi con tre dei tuoi
amici trasformati in animali. Gente senza senso dell’umorismo, aggiungerei».
«Preferirei pianificare la nostra prossima
gita notturna, invece che le lezioni» osservò James, mentre lisciava la sua
lettera con i risultati degli esami, tutta spiegazzata «Mi è venuta un’idea
geniale per la Mappa».
«Eccolo che ricomincia…»
«Sirius sta’ zitto. Scommetto che a loro
piacerà» lo sfidò James e poi si rivolse agli altri due «Dovremmo usarla anche
per le persone».
«Per le persone?» ripeté Remus «E come?»
«Gliel’ho detto anche io. Sono sempre
pronto a esplorare le nuove frontiere della magia, ma…»
«Noi siamo diventati Animagi
l’anno scorso» obiettò James.
«L’abbiamo studiato. Non ci siamo inventati
un incantesimo di sana pianta».
«E da quando è un limite per te?» domandò
Remus, stupido dalla reticenza di Sirius che di solito era in prima fila in
situazioni come quella.
«I babbani lo
fanno» disse Peter, sorprendendo tutti.
Gli altri tre lo guardarono in attesa di
spiegazioni.
«I babbani
possono rilevare oggetti e persone con la tecnologia. L’ho visto in un film».
«Film. È una di quelle cose con le immagini
che si muovono, giusto?» chiese James in conferma. Aveva sempre trovato buffo
che i babbini considerassero quel “cinema” come la scoperta del secolo, quando
i maghi usavano immagini in movimento da che era stata inventata la pittura.
Peter annuì.
«Visto! Te l’avevo detto che si poteva»
James fece la linguaccia a Sirius «Se sono capaci i babbini e loro non hanno
queste» disse sventolando la sua bacchetta.
L’altro ragazzo distolse lo sguardo e perse
totale interesse nella discussione. Remus e James si scambiarono un’occhiata
sconcertata, impensieriti dal comportamento improvvisamente distaccato – e prudente – di Sirius.
«Oltre Ogni Previsione in Trasfigurazione»
annunciò allegro Peter, riportando l’argomento G.U.F.O. all’attenzione degli
amici.
Perfino Sirius si voltò e accolse la
notizia con piacere. Peter non era mai stato una cima a scuola, se la cavava,
ma rimaneva sempre appena al di sopra della sufficienza. Quel voto in una della
materie più difficili era sicuramente un traguardo.
D’altro canto avevano passato anni a
cercare di capire come trasformarsi in Animagus e per
quanto Peter avesse avuto delle difficoltà, alla fine ci era riuscito come lui
e James. Tutti quegli esperimenti, ricerche e studi in Trasfigurazione alle
fine avevano dato i loro frutti.
«Anche in Incantesimi» continuò Peter
«Eccellente in Cura delle Creature Magiche», era evidente che non vedesse l’ora
di sfoggiare il suo votone «Accettabile in Erbologia, Difesa contro le Arti Oscure e Storia della
Magia. Bocciato nel resto» aggiunse con un tono più abbattuto.
Sei G.U.F.O. non era un risultato malvagio,
soprattutto per Peter.
«Aspetta un momento! Quindi non farai con
noi Pozioni, quest’anno?» realizzò James. Per la prima volta dall’inizio della
scuola, i Malandrini venivano divisi in una delle materie fondamentali.
Peter scosse la testa sconsolato. Aveva
sperato fino all’ultimo di poter accedere alla carriera di Auror,
di seguire le orme di James e Sirius, ma doveva guardare in faccia la realtà e
accettare di non essere nato con le loro stesse capacità.
Non chiese nemmeno agli altri come fossero
andati i loro esami, già sapeva che sicuramente avevano passato tutto, quasi
certamente con voti di molto sopra la media.
«Non ti è andata male, Codaliscia.
Pozioni è una delle materie più noiose» commentò Sirius, un po’ per consolarlo,
ma la sua voce venne sovrastata da quella di Remus Lupin.
«Non ci credo!» scoppiò a ridere proprio
mentre leggeva i risultati di Sirius, dopo averglieli fregati dalle mani «Ti
sei fatto bocciare in Astronomia. Hai il nome di una stella!»
«Ah sì? Guarda qua sapientone» lo ribeccò
Sirius «Come puoi aver preso solo Accettabile in Cura delle Creature Magiche?
Fai parte della categoria».
«Com’era prevedibile sono io il migliore
del gruppo: promosso in tutto, da Oltre Ogni Previsione in su» si gongolò
James, esibendo la pergamena con i suoi risultati «E mi hanno anche nominato
Capitano della squadra di Grifondoro» e si gonfiò il petto.
«Merlino, non farai che ripeterlo per tutto
l’anno» si lamentò Remus.
James arricciò le labbra e alzò il mento,
sdegnato «Tu e Evans avete istituito una coalizione contro di me? È una cosa da
Prefetti?»
«O no» sorrise furbo Remus, da vero Malandrino
«Mi sto solo divertendo a prenderti in giro».
«Questa è la brutta influenza che abbiamo
su di lui, Ramoso» osservò Sirius «Un giorno si farà persino mettere in
punizione senza di noi».
«Silente e la McGrannitt
pensano che ci tenga d’occhio, quando è il peggiore di tutta la scuola» stette
al gioco James «Quell’Accettabile in Cura delle Creature Magiche è solo la
punta dell’iceberg. Se solo sapessero…»
«Che pessimo elemento che sei, Remus John
Lupin».
Remus cercò di sorridere, ma la verità era
che Sirius aveva involontariamente toccato un tasto dolente: lui era davvero un
pessimo elemento. Molto più di quanto la gente pensasse, esattamente come
sosteneva Piton.
Far parte dei Malandrini non era il
problema principale, e anche la sua licantropia pareva cosa da niente in
confronto. Tutti elementi trascurabili, paragonati all’abuso che aveva fatto
della fiducia di Silente, alle sue scorrazzate notturne in giro per la foresta
e per Hogsmade durante la luna piena, e al ruolo
d’istigatore che aveva giocato nella trasformazione dei suoi amici in Animagi. Se non fosse stato per lui, non avrebbero mai
rischiato un incantesimo tanto potente quanto pericoloso.
O forse sì, considerando i soggetti.
«Spero ci sia l’arrosto» se ne uscì Peter,
distraendolo dai suoi crucci «Mia madre non lo fa mai bene come quello di
Hogwarts».
L’arrosto non c’era. Gli elfi avevano
cucinato l’inimmaginabile, tranne l’arrosto. Peter non se ne rattristò molto
dopotutto e trovò nel pasticcio di carne un ottimo sostituto. Essere tornato
nel luogo che più amava lo rendeva sicuramente più felice di qualunque
pietanza.
Sentimento condiviso da tutti gli studenti,
che aleggiava nell’aria mescolandosi con il profumo del cibo, il
chiacchiericcio della Sala Grande e i sorrisi dei suoi occupanti.
Perché Hogwarts era sì una scuola, ma non
solo quello. I compiti, i libri, le regole e gli esami venivano facilmente
oscurati dal fuoco scoppiettate della Sala Comune, dai letti caldi e
accoglienti dei Dormitori, dal Quidditch, dai ricchi banchetti, dai dodici
alberi di Natale, dai gufi che ogni mattina inondavano le tavolate di lettere,
dalle partite a Gobbiglie e dal sole scaldava le rive
del Lago Nero in primavera.
Perché Hogwarts era anche una casa in cui
tutti sentivano il bisogno di tornare.
E i ragazzi non consideravano il primo
settembre un giorno triste, un semplice giorno di inizio scuola. Per loro era
tempo di tornare a casa.
I piccoletti del primo anno ancora non
sapevano che cosa li aspettasse, non erano abituati a quella grandiosità, alle
candele sospese, alla brocche di succo di zucca che continuavano a riempirsi e
alternavano una forchettata di quel ben di Dio a un’occhiata per la Sala Grande
e il suo magnifico soffitto.
Avevano anche cominciato a fare conoscenza
tra loro, nonostante la bocca piena di ogni cosa su cui riuscivano a mettere le
mani per paura che finisse prima di averla assaggiata.
Tutti impegnati ad abbuffarsi e
chiacchierare, eccetto un ragazzino biondo, dalla guance tonde, seduto di
fronte a Erin, con il piatto vuoto davanti a sé, che la fissava incantato.
La ragazza se ne accorse quasi subito e
cercò d’ignorarlo, ma non fu facile. Sentiva quei grossi occhi azzurri puntati
su di sé, come l’obiettivo di una macchina fotografica. Non era uno sguardo
discreto, era una spudorata radiografia, inquietante e fastidiosa insieme.
Infine Erin poggiò delicatamente le posate
ai lati del suo piatto e si piegò verso Mary, alla sua sinistra, sussurrandole
«Perché il barilotto qui di fronte mi sta fissando?»
La sua amica distolse l’attenzione dalle
patate al forno e alzò gli occhi verso il nuovo studente di Grifondoro.
Questi, già arrossito alla parola
“barilotto” che non gli era sfuggita, divenne se possibile ancora più rosso e
cominciò freneticamente a mettere pietanze nel suo piatto, cercando di
camuffare l’imbarazzo.
«Forse vuole presentarsi» suppose Mary «Ehi
tu!» lo chiamò con entusiasmo «Congratulazioni per essere entrato in
Grifondoro, sei senza dubbio nella Casa migliore, sai? Io sono Mary McDonald e
lei è Erin Fawley» disse allungando la mano fino all’altro lato del tavolo.
«B-Bernie Duvall» balbettò lui,
stringendole con titubanza la mano, senza però guardarla in faccia. Si
concentrò subito su Erin, come se non vedesse l’ora di poter ripetere il gesto
anche con lei.
La ragazza corrugò la fronte e lo squadrò
con sufficienza per poi voltarsi verso Mary «Non volevo fare amicizia» commentò
bieca.
«Quando mai» fu la replica sarcastica
dell’altra, mentre tornava serenamente a gustarsi la sua cena e a fare domande
a Bernie, quasi a voler rimediare ai modi sgarbati e presuntuosi della sua
amica.
Erin arricciò le labbra seccata e lasciò
vagare lo sguardo lungo tutta la tavolata dei Grifondoro, soffermandosi su un
quartetto in particolare.
I Malandrini non erano le sue persone
preferite a Hogwarts, sempre troppo esibizionisti, sempre troppo piantagrane,
ma non li mal sopportava nemmeno come Lily, in qualche occasione li aveva
trovati pure simpatici.
A onor del vero,
due non erano poi così molesti: Lupin aveva un’indole piuttosto calma e di
norma mostrava di aver un certo buon senso, sebbene non spesso lo applicasse. Minus per quanto la riguardava non era pervenuto. Erin non
capiva proprio la sua utilità nel mondo.
Potter e Black erano i veri casinari, fin
troppo consapevoli del loro potere sulla massa di pecore che pascolava tra quei
corridoi.
Doveva ammettere, però, che non le urtavano
i nervi più di tanto. Certo, avrebbe preferito poter studiare in Sala Comune
con più tranquillità o godersi i pomeriggi sulle rive del lago senza vedere
gente appesa a testa in giù con i pantaloni calati.
Chiunque con un po’ di senno lo avrebbe
preferito, era scontato.
Fatta eccezion per quei dettagli, riusciva
a convivere benissimo con i loro scherzi, il loro chiasso e anche con il loro ego
smisurato.
Guardare Potter divertirsi con i suoi amici
e pavoneggiarsi con Lily la metteva sempre di buon umore, e Black…
Con Black avrebbe fatto i conti più tardi,
in Sala Comune, da soli, perché era giunto il momento di mettere fine a quella
ridicola faccenda.
«Se vuoi posso parargli io» si offrì Mary,
cogliendola di sorpresa.
«Con chi?» chiese Erin confusa, mentre
velocemente riprendeva a tagliare la sua carne, convinta che nessuno si fosse
accorto di niente.
«Con Sirius» rispose Mary, cui evidentemente
non era sfuggita l’espressione impensierita che Erin aveva rivolto al ragazzo
«Avevo comunque intenzione di chiedergli come andava, sai dopo il fattaccio…»
chiarì con un’alzata di spalle che voleva simulare indifferenza, ma non ci
riuscì molto bene «Voi non vi parlate. Ti posso dire io se sta bene o no»
concluse.
Erin mandò giù un sorso d’acqua e trasse un
bel respiro «Nonostante tu e Lily vi ostiniate a non credermi, non me ne può
importare di meno di quell’imbecille. Se ha deciso di inimicarsi tutta la
comunità magica, sono fatti suoi» dichiarò con forza, mentendo spudoratamente.
Era preoccupata e aveva già deciso che si
sarebbe comportata da persona matura. Questo non era necessario farlo sapere
agli altri, neanche alle sue due migliori amiche.
«Aveva i suoi buoni motivi, lo hai detto tu
stessa» replicò Mary.
«Perché dobbiamo continuare a parlare di
Black?» sbuffò Erin «Non ti sono bastati tutti i discorsi che abbiamo fatto su
di lui l’anno scorso?»
«L’anno scorso era una questione diversa»
si rabbuiò Mary, improvvisamente restia a continuare la conversazione.
«Appunto, non dimenticarlo» le raccomandò
Erin, forse troppo duramente «Di lacrime ne hai già versate abbastanza».
Mary tacque e si concentrò sul suo cibo.
Erin si sentì una vera strega per il tono
con cui l’aveva rimproverata e si ripromise di smettere di attaccarla per
quella storia, come se avesse avuto il diritto di decidere quanto uno poteva o
no soffrire.
Probabilmente era l’affetto che provava per
Mary che la spingeva a essere così acida, convinta che in qualche modo le
avrebbe aperto gli occhi. E probabilmente Mary non l’aveva ancora mandata a
quel paese perché aveva capito che cercava solamente di darle una scossa e un
conforto.
Certo, in un modo contorto e sfuggente che
solo Erinyes Fawley, la campionessa del
menefreghismo, poteva concepire.
La cena proseguì senza altre discussioni
indesiderate. Lily s’intromise in fretta nel discorso e finirono a
chiacchierare di tutt’altro, dimentiche della tensione.
Al termine del banchetto, Lily radunò i
ragazzi del primo anno – compreso Bernie il barilotto Duvall che non sembrava
affatto contento di lasciare il suo posto di fronte a Erin – e insieme a Remus
li scortò verso la Sala Comune, cominciando a esporre le regole essenziali
della scuola.
«Ehi voi due! Lasciateli in pace almeno la
prima sera» li riprese James Potter, alzandosi dalla panca per seguirli «Tanto
è fiato sprecato. C’è ancora qualcuno che segue il regolamento?» domandò
allegro, facendo largo tra la fila dei Grifondoro fino a raggiungere Lily.
«Sì, Potter» rispose lei gelida.
«Parola mia, non conosco un solo studente
che non abbia mai infranto una regola» insistette lui imperterrito.
«Se a te e ai tuoi amici piace passare
l’anno in punizione, non significa…» la ragazza provò a riprendere il
controllo, ma James la interruppe di nuovo, rivolgendosi questa volta al
gruppetto di Grifondoro ancora in fila.
«Onestamente, vi dimenticherete di
qualunque cosa Evans vi dirà in due settimane. Se volete sapere qualcosa
d’interessante su Hogwarts chiedete a Remus» suggerì indicandolo e beccandosi
un’occhiataccia di rimando «O a me» aggiunse con fierezza.
Sarebbe andato volentieri avanti a elogiare
se stesso, se Lily non lo avesse preso sgarbatamente per un braccio e non lo
avesse spinto più in là, lontano da orecchie indiscrete.
«Che cosa credi di fare, Potter?» lo
aggredì livida in volto «Sei qui da neanche due ore e già cerchi di traviare
quei poveri ragazzini? Sminuire la mia autorità?» lo accusò sdegnata.
«O Evans, non potrei sminuire la tua
autorità nemmeno se lo volessi» disse James in un misto di orgoglio e rispetto
verso la sua compagna di Casa. Lily interpretò quel commento come l’ennesima
presa in giro, non colse affatto la stima che vi era sottesa. E in effetti,
James Potter aveva un modo tutto suo di mostrare ammirazione.
Lo sguardo di Lily si fece se possibile
ancor più tagliente e la sua figura sembrò erigersi sopra quella di James «Non
m’importa se ti ritieni superiore al resto del mondo. Sei solo uno studente,
sei come tutti gli altri e non ti devi permettere di interferire nei miei
affari. Stai alla larga da quelli del primo anno. E anche da me!» gli intimò
con voce sempre più alta, prima di tornare indietro e guidare la fila di
Grifondoro su per le scale. Qualcuno si girò a guardare con curiosità James, ma
nessuno osò disubbidire a Lily e presto svanirono sulla seconda rampa.
«Perché non la lasci in pace?» gli chiese
esasperato Remus.
«Perché è divertente» rispose James con il
suo solito sorrisetto compiaciuto.
Remus sbuffò con disappunto e si affrettò a
raggiungere il gruppo e accompagnarlo verso la torre.
A quel punto James si fece improvvisamente
serio e le parole di Lily gli tornarono alla mente come era accaduto l’anno
precedente quando lei aveva pubblicamente espresso il disgusto che provava nei
suoi confronti.
Ancora una volta, scoprì che la sua
opinione lo infastidiva più di quanto avrebbe desiderato. E forse non era solo
una questione di principio.
Perché
non ci riesco.
Erin lanciò per l’ennesima volta
un’occhiata nervosa al quartetto, poi in giro per tutta la Sala Comune. Ma
perché erano ancora tutti in piedi? Improvvisamente nessuno aveva sonno?
Normalmente la Sala si svuotava a mezzanotte al massimo, e se proprio rimaneva
qualcuno, erano un paio di studenti mezzi addormentati che provavano a finire i
loro compiti, ma quella sera tutta Grifondoro aveva deciso che dormire era
evidentemente troppo sopravvalutato.
Perfino i pivellini del primo anno erano
seduti vicino al fuoco, per niente spaventanti dalle lezioni del giorno dopo,
come avrebbe dovuto essere.
Tutti in vena di conoscersi, di parlare, di
aggiornarsi dopo aver passato l’estate separati. Perché non continuavano nei
loro Dormitori?
Lei aveva faccende da sbrigare – per
Merlino! – e non poteva farlo con tutta quella gente attorno, con gli occhi
puntati addosso.
Sapeva perfettamente che qualcuno si
sarebbe voltato incuriosito, che avrebbe teso l’orecchio per ascoltare. Nessuno
in quella scuola si faceva mai gli affari propri.
Soprattutto si rifiutava di andare a
parlargli mentre gli altri tre erano presenti.
Un conto era comportarsi da persona matura,
un conto era prendere il proprio orgoglio e sotterrarlo.
Certo, la notizia che era stata lei a fare
la prima mossa si sarebbe diffusa comunque, ma preferiva non avere testimoni
attorno.
Che poi non capiva nemmeno perché ci
tenesse così tanto, con quello che le aveva detto l’anno prima! Non che lei
fosse stata proprio carina…
Entrambi avevano esagerato, i toni si erano
alzati troppo. Era colpa di tutti e due, ma qualcuno doveva esporsi per primo.
E quella volta toccava a lei.
Lily e Mary si alzarono per ritirarsi nel
loro Dormitorio. Erin s’inventò una scusa e rimase raggomitolata sul divano, a
fingere di leggere.
All’una la Sala Comune si era quasi
svuotata: quelli del primo anno incredibilmente erano ancora seduti accanto al
fuoco, un paio di ragazzi del quarto stavano finendo una partita a scacchi e
quei quattro disgraziati erano seduti attorno a un tavolino, piegati su quella
che sembrava una grossa pergamena.
Erin cominciava a sentirsi davvero stanca e
davvero stupida.
Non doveva per forza farlo quella sera,
poteva rimandare anche al giorno dopo, o alla settimana dopo. Ottobre anche non sembrava una cattiva alternativa,
oppure Natale, a Natale erano tutti più buoni, più comprensivi.
Abbandonò tristemente la testa sul
bracciolo. Se avesse temporeggiato ancora un po’, avrebbe trovato mille scuse
per aspettare fino ai M.A.G.O.
Nel suo rimuginare, quasi non si accorse
che i quattro stavano raccogliendo le loro cose. Ci fece caso solo quando le
passarono davanti, diretti verso le scale dei Dormitori maschili.
Erin buttò il libro da parte e si alzò di
scatto. Si mosse in fretta e lo fermò proprio mentre lui metteva il piede sul
primo gradino.
«Sirius!» pronunciò il suo nome con
talmente tanta foga che gli ultimi sopravvissuti in Sala Comune cessarono ogni
attività e si voltarono curiosi.
Era proprio ciò che Erin temeva, ma adesso
che aveva catturato l’attenzione di chi le importava, gli sguardi degli altri
passarono in secondo piano.
Sirius la fissava in silenzio e in attesa,
già spazientito ancora prima che lei cominciasse a parlare. Non gli piaceva
aspettare e non gli piaceva perdere tempo. Se non era interessato a qualcosa o
a qualcuno, non si preoccupava per niente di nasconderlo.
Non era la prima volta che Erin vedeva
quella smorfia di sufficienza, di tanto in tanto la assumeva lei stessa, ma non
era abituata a esserne la destinataria.
Non poteva dire di conoscere Sirius Black
meglio dei Malandrini, di sicuro lo conosceva da più tempo di tutti però.
Casa sua si trovava a poche strade da Grimmauld Place numero dodici, le
loro erano le uniche famiglie magiche del quartiere e naturalmente avevano
stretto buoni rapporti, specialmente nei primi anni quando Walburga Black non
era ancora diventata una completa pazza isterica e riusciva a portare avanti un
discorso senza inneggiare alla purezza della razza ogni cinque minuti e senza
scoppiare a urlare peggio di una banshee indemoniata.
A Regulus e a
Sirius non era permesso giocare con gli altri bambini babbani
della zona, quindi capitava che Erin fosse invitata a casa loro, sebbene non le
piacesse molto: l’atmosfera era tetra e soffocante, c’erano assurde teste di
elfi domestici appese alle pareti e uno ancora in vita che metteva i brividi.
Sirius provava lo stesso sentimento
spiacevole nei confronti della sua stessa casa e a nove anni aveva scoperto
come uscire di nascosto e correre al parco giochi. Erin aveva tenuto il
segreto, non tanto per aiutare Sirius, quanto per evitare quelle terribili
visite alla villetta.
Ricordava ancora quando Orion lo aveva
scoperto a dondolarsi sull’altalena accanto a un bambino babbano.
Erin non aveva visto Sirius per tutto il mese successivo, e aveva perfino
sospettato che la sua testa fosse finita accanto a quella dei vecchi elfi
domestici.
Non erano mai stati particolarmente affiatati,
la loro era una di quelle amicizie trainata dalla circostanze. Per una serie di
coincidenze – le case vicine, qualche cena con i genitori, il loro status di
maghi – si erano ritrovati uno accanto all’altra e si erano accettati, ma non
scelti.
In fin dei conti, arrivare Hogwarts insieme
a qualcun altro, qualcuno che già conosceva, l’aveva confortata molto, si era
sentita meno sola, meno lontana dalla sua famiglia.
Ma fin dal primo viaggio in treno era stato
chiaro a entrambi che le loro strade si sarebbero parzialmente divise, perché
finalmente avevano la possibilità di scegliersi i propri amici senza
interferenze esterne.
Sirius aveva trovato i Malandrini, Erin le
sue compagne di stanza.
Il bambino dall’aria ribelle, la peste
della porta accanto era cresciuto ed era diventato uno dei ragazzi più popolari
di Hogwarts, per motivi ancora ignoti alla stessa Erin che proprio non capiva
come si potesse ammirare tanto un tale scavezzacollo, incosciente e abbastanza
sfacciato.
Non approvava la gran parte dei suoi
comportamenti, ma non si curava di renderglielo noto. Non era il tipo da
immischiarsi, da esporsi. Una caratteristica ereditata dalla sua famiglia.
Ma nessuno dei due aveva dimenticato gli
anni trascorsi assieme: si ritrovavano a parlare davanti al fuoco e non
staccavano per ore. Non era raro vederli punzecchiarsi come fratello e sorella.
Potevano stare anche settimane senza rivolgersi la parola, semplicemente perché
non ne sentivano il bisogno.
In caso, sarebbe bastato attraversare la
Sala Comune e bussare alla porta del Dormitorio. Dopotutto, non era cambiato
molto rispetto ai tempi in cui dovevano attraversare la piazzetta che li
divideva e bussare a casa dell’altro.
L’idillio si era infranto qualche mese
prima, alla fine del quinto anno, quando Sirius aveva avuto la brillante idea
di rivelare a Severus Piton
come entrare nel tunnel sotto al Platano Picchiatore, rischiando non solo la
vita del ragazzo, ma anche la sua propria espulsione.
Erin, tra tutte le volte in cui avrebbe
potuto prendere una posizione, aveva scelto quella. Era esplosa, gli aveva
vomitato addosso tutto ciò che riteneva sbagliato nei suoi comportamenti, tutto
quello che non aveva tollerato gli anni passati, ma che aveva taciuto per
quieto vivere.
Sirius non aveva gradito.
Non era stata una discussione piacevole.
Nessuno dei due si era degnato di scusarsi
nelle settimane successive. Non si erano più parlati, non si erano neanche più
guardati in faccia.
Finché un giorno di metà estate, Walburga
Black era piombata a casa loro starnazzando che suo figlio aveva svuotato
l’armadio ed era scappato di notte come un ladro.
Non era ben chiaro se la strega si fosse
recata da loro solo per lamentarsi o per controllare che Sirius non fosse
nascosto lì, ma alla fine di tutta la sua invettiva se n’era andata urlando che
i Black avrebbero avuto un solo e unico erede da quel giorno in poi: Regulus.
Sirius non aveva neppure avuto la decenza
di informarla della sua fuga. Sarebbe bastato anche un biglietto, due righe, un
segno di vita, giusto per non farle passare i due giorni successivi a chiedersi
dove diamine fosse finito. Con un mago oscuro a caccia di babbani
e traditori del proprio sangue, non era propriamente sicuro per un ragazzo di
sedici anni andarsene a spasso di notte, senza avvisare nessuno.
Erin aveva scoperto che se si era rifugiato
da James Potter, com’era prevedibile. E a lei non era restato altro che venire
a sapere tutto per vie traverse. Neanche fosse una totale sconosciuta.
Aveva compreso soltanto in quell’istante
quanto il loro litigio fosse grave: Sirius aveva finalmente messo in atto il
suo piano, aveva mandato all’inferno l’antichissima e nobilissima casata dei
Black, aveva reciso ogni legame con la sua famiglia. E non le aveva detto
nulla.
Era una sensazione nuova per Erin, mai provata
prima. Non credeva di aver mai litigato seriamente con nessuno, proprio per la
sua abitudine a tenersi fuori da ogni conflitto.
Se Sirius non aveva pensato nemmeno di
avvisarla, significava che doveva essere molto arrabbiato.
Forse in circostanze diverse avrebbe
aspettato un segnale da parte del ragazzo, ma data la situazione
particolarmente grave, poteva anche fare uno sforzo e provare a sistemare le
cose.
«Possibilmente entro la fine del semestre
Fawley, sappiamo che quando vuoi sai essere molto comunicativa» la pressò
Sirius, ancora fermo sul gradino a fissarla seccato.
In una frase sola l’aveva chiamata per
cognome e le aveva tirato una frecciatina. Non cominciava per niente bene.
Erin aveva sperato che dopo tutti quei mesi
si fosse calmato, ma evidentemente si era dimenticata con chi aveva a che fare.
Perché Sirius Black era una dannatissima e cocciutissima testa calda.
Momentaneamente intimorita, Erin riuscì
solo a dire in un tono un po’ sommesso «Ho saputo quello che è successo
quest’estate».
Sirius s’irrigidì e le schioccò un’occhiata
di avvertimento «Wow, le notizie girano davvero veloci in questa scuola».
«Tua madre è venuta a casa nostra. Lo so
per questo» si affrettò a precisare Erin, quasi a volersi giustificare.
Sirius arricciò le labbra «Mi spiace che
abbiate dovuto subire le lamentele di quell’adorabile don-».
«Ha detto che sei scappato di notte» lo
interruppe Erin.
Walburga non si era risparmiata nessun
dettaglio, pensò amaramente il ragazzo. Sì, era scappato di notte. Non aveva
usato la metropolvere per paura di svegliare i suoi e
non poteva ancora smaterializzarsi. Così si era recato da James alla babbana, usando i mezzi pubblici.
Alzò le spalle per liquidare la faccenda
«Un viaggio un po’ lungo fino a Godric’s Hollow…»
Erin lo incalzò di nuovo «Potevi venire da
noi, almeno per quella sera. Casa mia è a pochi metri dalla tua» gli fece
notare un po’ delusa.
«Non volevo che la mia incoscienza pesasse
su di voi».
Frecciatina numero due.
«Dovevi dirmelo» replicò Erin, amareggiata
questa volta.
«Dovevo?»
lui alzò scettico le sopracciglia «Non ci rivolgiamo la parola da mesi, non
credevo volessi essere informata sulla mia vita».
«Qui c’è in ballo qualcosa di più grave».
«Io sto bene. Va tutto bene» le assicurò
con tono annoiato. Era chiaro che non volesse continuare quella conversazione e
seppure cercasse di nasconderlo, si sentiva a disagio a parlarne proprio con
lei.
«No, non va bene» s’inviperì Erin «Hai
sedici anni e sei scappato di casa. Tua madre ha bruciato il nome sull’arazzo
di famiglia. Non-va-bene» ribadì seriamente per poi osservarlo con disappunto:
un velo di sorpresa mista a smarrimento calò sugli occhi del ragazzo.
Fu fugace, ma non sfuggì a Erin che con
orrore realizzò di aver appena svelato inconsapevolmente – e indelicatamente –
a Sirius che i suoi genitori lo avevano addirittura eliminato dall’albergo
genealogico, come se non fosse mai stato un Black, come se non fosse mai stato
figlio loro.
«Non lo sapevi» intuì dispiaciuta.
«No, ma sembra qualcosa che mia madre
farebbe» considerò Sirius, con un tono molto più vulnerabile e disorientato di
quanto avesse mostrato prima.
A Erin si strinse il cuore e provò una gran
pena per lui.
«Volevo scriverti» gli rivelò, convinta di
riuscire a sollevarlo un po’ di morale, provando a trasmettergli la sua
solidarietà e comprensione.
Ma Sirius si era di nuovo messo sulla
difensiva e si guardava intorno con fare disattento, comportandosi come se non
gliene importasse niente, come se non fosse una cosa così grave e soprattutto
come se la sua presenza e insistenza lo infastidissero.
«Hai fatto bene a non sprecare inchiostro.
Non c’era granché da dire. Non dovresti farti guidare dai sensi di colpa. Io
sto bene».
Erin si accigliò «Smettila di trattarmi
come se avessi secondi fini. Qui la mia coscienza non c’entra niente e non sto
cercando di ritirare quello che ti ho detto alla fine dell’anno scorso. Ti
considero ancora un idiota» sbottò «Ma mi sono sul serio preoccup-».
Prima che potesse concludere, Sirius alzò
una mano «Abbiamo stabilito qualche mese fa che non siamo compatibili e che non
abbiamo una grande opinione l’uno dell’altra. Rimaniamo così. Continua pure a
fregartene del resto del mondo. Ti viene così bene».
Terza frecciatina.
«Ma grazie del tentativo» la gelò.
Erin non ebbe nemmeno il tempo di
registrare quelle parole che Sirius era già sparito su per la tromba delle
scale e lei si trovò a fissare i gradini di pietra.
Sentì gli occhi pizzicare, le lacrime
affollarsi sull’orlo della ciglia. Strinse i pugni lungo i fianchi, serrò le
labbra.
Non c’era niente in quella conversazione
che non fosse andato storto, ma ciò che la sconvolse maggiormente fu la
scostante freddezza con cui l’aveva trattata. E lo sguardo con cui l’aveva
inchiodata per tutta la discussione, come se fosse un piccolo scarafaggio.
Erin capiva il turbamento per la situazione
famigliare, capiva la rabbia che ancora – evidentemente
– nutriva nei suoi confronti per quello stupido litigio dell’anno prima, ma
proprio non capiva la necessità di umiliarla in quel modo. Come fosse stata
un’estranea che cercava di impicciarsi nei suoi affari.
Solo allora si rese conto di trovarsi in
Sala Comune, di aver appena fatto la figura della sciocca e di non essere
l’unica presente.
Un piccolo pubblico se ne stava
accovacciato vicino al fuoco a fissarla con occhi curiosi e impertinenti: i due
del quarto anno erano spariti, ma il gruppo del primo anno si era gustato con
piacere la scena, compreso quel Barney, Bernie, Barilotto o come Morgana si
chiamava.
Erin riacquistò in un secondo la sua superbia,
la sua indifferenza. Lanciò ai poveri marmocchi un’occhiata di fuoco e li
minacciò di trasformarli in concime per mandragole se ne avessero fatto parola
con qualcuno.
«Quello era il mio piede» brontolò Remus
sottovoce, tirando una leggera spallata a Sirius.
«Scusa» rispose quello «Non è proprio
comodo camminare qui sotto, sai?»
«Felpato un corno» borbottò Remus «Hai il
passo di un elefante».
«La smettete voi due? È un mantello
invisibile, non insonorizzato» bisbigliò James, piegato e pressato contro gli
altri due in modo da non sgusciare oltre il tessuto «Com’è la situazione là, Codaliscia?» chiese.
Il topo fermo all’angolo del corridoio, si
alzò sulle zampe posteriori e squittì quello che parve un “via libera”.
I tre nascosti sotto al mantello procedettero,
tranquillizzati dal segnale.
Avevano l’abitudine di muoversi in quel
modo nel castello, di notte, da quando avevano eseguito con successo la
trasformazione in Animagi.
Ormai il mantello non riusciva più a
coprirli tutti e quattro. Così Peter si trasformava in topo e li precedeva
controllando che il percorso non fosse pattugliato da insegnati o Prefetti.
Era un metodo che avevano collaudato alla
fine dell’anno precedente e si era rivelato più che efficiente. Non che non li
avessero mai beccati gironzolare per la scuola dopo il coprifuoco, ma con il
mantello bisognava sempre essere molto più prudenti.
James temeva che una volta scopertolo, gli
insegnanti glielo avrebbero sequestrato proprio per evitare le loro scorribande
notturne.
Gli anni precedenti non avevano avuto
nessun problema, ma dato che ora disponevano di una precauzione in più, erano
ben felici di usarla.
A mappa ultimata, sarebbe stato ancora
meglio.
Scivolarono silenziosi per il resto del
tragitto, non incontrarono nessuno. Avevano più o meno individuato le zone più
controllate e avevano studiato alcuni percorsi alternativi per essere certi di
non inciampare in sorprese indesiderate.
Oltre al passaggio segreto per arrivare
alla Stamberga Strillante, ne avevano scoperto un altro durante l’anno
precedente: si trovava dietro uno specchio al quarto piano e si snodava lungo
una serie di cunicoli che conducevano appena fuori le mura della scuola, con
un’uscita a metà strada intersecata a un canale di scolo verso il Lago Nero.
I quattro scelsero questa strada e
sbucarono sul fianco di una collinetta, oltrepassando una grata, dalla quale si
poteva vedere chiaramente la rimessa per le barche su cui sopraggiungevano
quelli del primo anno e la capanna di Hagrid, ai
piedi della collina opposta, i cui pendii si allungavano e appianavano
dolcemente fino alla Foresta Proibita.
Peter si trasformò di nuovo nella sua forma
umana e si sedette insieme agli altri sulla cima, attento a non calpestare il
mantello che James aveva piegato con cura accanto a sé.
Passarono qualche minuto senza parlare. Il
che era strano considerati i soggetti, ma capitava spesso quando si perdevano a
contemplare l’immensità di quel paesaggio notturno.
Era una loro tradizione, dal quarto anno
ormai, sgattaiolare via dal Dormitorio la prima sera e godersi in santa pace la
magia di Hogwarts.
Il castello torneggiava oltre le rive del
lago, a sinistra del parco, come una vecchia signora segnata dal peso dei suoi
anni e delle sua sapienza, ma che rimaneva comunque ancora maestosa e
bellissima.
I Malandrini si sentivano un po’ come i
suoi veri guardiani. Gli unici che la capivano davvero, gli unici che la
conoscevano davvero.
«Vi avviso che quest’anno sono un po’ a
secco» disse James cominciando a frugare dentro una borsa «Non ho fatto in
tempo a fare la spesa, ho preso quello che ho trovato in casa. Cioccorane, Zuccotti di Zucca, Gelatine Tutti i Gusti+1, ho
tolto quelle cattive, non ci dovrebbero essere brutte sorprese. Giù le mani dai
miei Calderotti, Peter, ne ho pochi!» gli ordinò riprendendosi le tre scatole di dolci azzurrognoli e
nascondendole nella sua borsa, mentre passava agli altri il resto dei dolci.
Peter si consolò con una Cioccorana «O no!» esclamò sconsolato «Ancora Hengist il
Folletto» si lamentò quando si trovò in mano la figurina del mago.
«Dallo a me. Mi manca» lo esortò Remus, con
le dita già allungate ad afferrare la figurina.
«State ancora facendo la collezione? Io
l’ho già finita due volte!» si stupì James.
«Grazie! I tuoi genitori te ne prendevano
dieci pacchi a volta» commentò Remus accovacciato sull’erba nel tentativo di
riprendere la Cioccorana che gli era sfuggita di
mano.
«Ma da bere?» domandò Peter impaziente.
Fu Sirius a mettersi a frugare nella borsa
questa volta. Estrasse alcune bottiglie di burrobirra
e succo di zucca e un grosso sacco di quelli che parevano giganteschi bignè
alla crema «Sono dovuto scappare dalle cucine prima che mi regalassero tutta la
dispensa. Sapete che Tippy ha un debole per me» si
vantò sornione, una volta stappata una bottiglia di burrobirra
«Tra l’altro la pera è stata un po’ ritrosa. Ho dovuto convincerla a lasciarsi
solleticare. Continuava a spostarsi per tutto il cesto».
«Stai perdendo il tuo tocco, Sirius» lo
prese in giro James.
«Allora la prossima volta vacci tu, invece
di importunare la Evans come al tuo solito. Inutilmente tra l’altro».
«Perché inutilmente?»
«Non ti sopporta, nel caso non l’avessi
notato».
«È solo confusa».
«A me è sempre parsa molto chiara,
specialmente l’anno scorso dopo il G.U.F.O. di Difesa, quando hai appeso Piton per aria» rincarò la dose Remus.
«Non ricordo bene» finse James con
un’alzata di spalle.
«Qualcosa riguardo la tua mania di
scompigliarti i capelli e di giocare con il boccino…e anche riguardo la tua
arroganza…»
«Taci un po’, Peter» lo zittì Sirius
«Abbiamo capito il concetto» lo troncò notando che James aveva cambiato
espressione.
«Dovreste vergognarvi» commentò questi,
fingendo di essersi offeso «Credere così poco nelle mie capacità. Io sono un
Malandrino e voi avete il compito di sostenermi. Vedrete, entro la fine
dell’anno Evans cambierà completamente opinione su di me!»
«Se ne sei convinto tu, Ramoso» gli diede
il contentino Remus.
«Ah sì? Sentiamo, qual è la tua ambizione
quest’anno?» lo punzecchiò James per sviare il discorso.
Remus scrollò le spalle «Quella di tutti
gli anni. Cercare di non mangiarmi qualcuno durante la luna piena. Sempre che
il tizio qui presente non decida di mettermi i bastoni tra le ruote di nuovo» e
indicò Sirius con un cenno del capo.
«Ancora con questa storia! Piton è vivo, no? E poi, detto sinceramente, visto l’unto
che si porta appresso, era più probabile che ti attaccasse lui qualche malattia
e non viceversa» considerò con un ghigno prima di addentare uno dei bignè alla
crema che gli esplose praticamente in mano da tanto era ricolmo.
«Sì be’, la prossima volta che ti
infastidisce, limitati a tirargli una Caccabomba» gli
suggerì James, alla sua ultima confezione di Calderotti «Tornando a parlare di
obiettivi da raggiungere…»
«Eccellente in Trasfigurazione. Voglio
raggiungere il massimo» si gonfiò il petto Peter che dopo il suo Ogni Oltre
Previsione si era evidentemente esaltato.
Gli altri lo fissarono un po’ incerti.
Aveva già raggiunto un ottimo risultato, forse si sarebbe dovuto preoccupare di
mantenere quello e non allargare troppo gli orizzonti.
«Un’ambizione molto più credibile di quella
di Ramoso, comunque» gli diede man forte Sirius.
«La tua fiducia nelle mie capacità mi
commuove» ironizzò James.
«E tu che vorresti fare?» gli domandò Peter
quasi contemporaneamente, ansioso.
«Dimenticarmi di essere un Black e
assicurarmi di non rivedere mia madre, se non al giorno del suo funerale e solo
se mi sentirò magnanimo».
Il gelo calò tra gli altri tre. James non proferì
parola, avevano già avuto modo di parlarne quando Sirius si era presentato in
casa sua in piena notte. Sebbene fosse stata una conversazione molto breve e in
pieno stile Sirius Black: un riassunto dell’accaduto, due frasettine
per sminuirlo, un momento di silenzio in cui aveva serrato gli occhi e poi
aveva già cominciato a programmare le fantastiche vacanze che avrebbero
trascorso assieme. E James aveva rispettato la sua volontà di non affrontare di
nuovo il discorso.
Remus e Peter restarono in silenzio. Non
avevano toccato l’argomento e non sapevano bene come approcciarvi.
«Il primo che mi chiede come sto si becca
una Fattura Orcovolante in mezzo agli occhi» li
minacciò il ragazzo.
«Mi sembra giusto» lo assecondò Peter.
«Basta saperlo» disse Remus «Ma la risposta
sarebbe positiva?» aggiunse titubante.
«Più positiva dei miei G.U.F.O.» gli
assicurò l’altro.
Remus alzò gli occhi al cielo «Sei più
presuntuoso di Ramoso quando fai così».
«Ancora con questo “presuntuoso”?» si
sdegnò James rubandogli per dispetto la Burrobirra
dalle mani.
«Non avevi detto di aver tolto quelle
cattive?» si lamentò Peter con una smorfia schifata in volto e una gelatina
appena sputata sulla mano «Era al gusto di cipolla! Io odio le cipolle!»
Da dietro la bottiglia, James esibì un
sorrisetto diabolico.
Ci cascava ogni volta.
Il mio spazio:
Qualche mese fa, prima dell’estate, mi è
capitata tra le mani una mia vecchia storia (che è ancora presente sul mio
profilo autore, incompiuta) sui Malandrini.
Rileggendola mi sono ricordata quanto mi
fossi divertita a scriverla, ma ho anche notato parecchi difetti che,
probabilmente a livello inconscio, mi avevano spinto ad abbandonarla, tra cui
la personalità un po’ troppo Mary Sue del personaggio originale. Abbiate pietà
di me, all’epoca avevo quindici anni, ero giovane e ingenua.
Ho deciso di riprenderla e stravolgerla
completamente, nel tentativo di conferirle una veste più matura e più coerente.
In questa sezione ci sono centinaia di
storie sulla vecchia generazione. Non pretendo che la mia sia più originale o
più coinvolgente di altre.
Ho solo sentito il bisogno di condividere
la mia versione – dato che la Rowling pare che si sia messa a scrivere di tutto
tranne che di James&Co con mio grande dispiacere
– e ho cercato di rimanere il più possibile fedele a tutte le notizie che ci
sono state fornite per creare un mondo compatibile con quello che ci è stato
detto in Harry Potter.
Molte informazioni sono prese da Pottermore, altre dai siti che mi sono sembrati più
attendibili in materia. Nelle note, comunque, spiegherò sempre i motivi delle
mie scelte e riporterò le fonti quando possibile.
Per adesso vi ringrazio di essere arrivati
fino a qui e spero di avervi incuriosito abbastanza da indurvi a leggere anche
il secondo capitolo che è già pronto.
Una menzione speciale va a Christine23 senza la quale non
avrei mai trovato il coraggio di pubblicare questo capitolo.
Per ora vi saluto e vi lascio qualche nota
per chiarire la visione che ho io dei Malandrini. Vi consiglio di leggerle per
capire meglio come funzioneranno le cose in questa storia.
1)
People on the edge
of the night è un verso di Under Pressure di David Bowie e i Queen.
The Boys Are Back
in Town è
una canzone dei Thin Lizzy, pubblicata nel 1976. Il
titolo di ogni capitolo sarà o un verso o il titolo di una canzone uscita
nell’anno in cui si svolge la vicenda. Per questo primo semestre del sesto
anno, per esempio, saranno tutte del 1976.
2) Per quanto riguarda
i nomi, ho deciso di mantenere
quelli della prima edizione italiana perché è quella con cui sono cresciuta e
penso sia il modo migliore per non creare confusione.
Il Whomping Willow rimarrà
Platano Picchiatore. Lo so che la traduzione corretta di willow è salice, ma per me l’opzione scelta dalla nuova edizione italiana
– Salice Schiaffeggiante – non si può sentire.
3) Due parole anche
sui ruoli del Quidditch: James
Potter era un Cacciatore, lo dichiara la Rowling stessa in un’intervista che
potete trovare qui http://www.accio-quote.org/articles/2000/1000-scholastic-chat.htm
Ho pensato che
anche Frank Paciock potesse aver fatto parte della
squadra durante i suoi anni a Hogwarts. La nonna di Neville gli ripete spesso
quanto sia diverso dai suoi genitori e Neville non va molto d’accordo con le
scope, mi sembra una cosa plausibile. In questa storia Frank si è già diplomato
e ha due anni in più dei Malandrini, Alice uno. Vi anticipo che Alice sarà
Caposcuola.
4) Sempre rimanendo in
tema di “ruoli istituzionali”,
sappiamo che Lily e Remus vengono nominati Prefetti al quinto anno. Hagrid in Harry
Potter e la pietra filosofale dice che James e Lily sono stati Capiscuola,
sebbene quest’informazione si sia persa nell’edizione italiana per un errore di
traduzione (Headgirl e Headboy sono stati resi con “i primi della scuola”). Sarà così anche nella
mia storia, per questo ho scelto di assegnare a James il titolo di Capitano
della squadra. Non essendo un Prefetto, non saprei come giustificarlo in altro
modo e nel sesto libro si dice che un Capitano ha gli stessi privilegi dei
Prefetti. Ma questa è totalmente una mia supposizione.
5) «È
più il fatto che esiste, non so se mi spiego» è
una diretta citazione da Harry Potter e l’Ordine della Fenice.
6) I Malandrini riescono a creare e a completare la Mappa del Malandrino proprio grazie
alle loro scorribande notturne. Nel terzo libro, Remus racconta che James,
Sirius e Peter si trasformano per la prima volta in Animagi
durante il quinto anno. Immagino, quindi, che la Mappa venga arricchita e
ultimata durante i mesi successivi e anche durante il sesto anno perché è a
questo punto che i quattro hanno piena libertà di esplorare il castello e i dintorni.
Anche questa è una mia ipotesi.
Fred e George in Il
prigioniero di Azkaban accennano al passaggio segreto al quarto piano, dietro
lo specchio, ora bloccato da una frana.
7) Hengist il Folletto
è una figurina menzionata in Harry Potter e la pietra filosofale.
8) Peter Minus. Chiunque abbia
provato a scrivere una storia sulla vecchia generazione, sa che questo
personaggio crea dei problemi, perché è davvero difficile non dipingerlo come
un inutile stupido. Temo che cadrò anche io in questo cliché, purtroppo dettato
dall’antipatia che provo. In ogni caso, m’impegnerò per cercare di spiegare che
cosa lo ha portato a tradire i suoi amici e come mai non è riuscito a
distinguersi come un vero Grifondoro.
Dato che comunque fa
parte dei Malandrini e totalmente idiota non deve essere – qualche qualità ce
l’avrà pure anche questo disgraziato – ho preferito “premiarlo” almeno dal
punto di vista scolastico: ecco il perché di quel bel voto in Trasfigurazione
(ricordiamoci che è anche un Animagus), in
Incantesimi (che non deve essere troppo complicata come materia). L’Eccellente
in Cura delle Creatura Magiche mi è uscito così, non c’è un motivo se non,
appunto, quello di non farlo apparire come un completo inetto.