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Autore: Angie Mars Halen    11/11/2015    1 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6
VINCE





Il sole di quella splendida giornata si rifletteva sul Pacifico, ricoprendolo di scaglie argentate, e l’aria era abbastanza fresca e piacevole per un giro in motocicletta sulla Pacific Coast Highway.

Accelerai per il solo gusto di sentire la Harley rombare e diedi un’occhiata allo specchietto retrovisore per accertarmi che Nikki fosse ancora dietro di me. Appena voltai il capo, me lo ritrovai di fianco, il pollice sollevato come per dirmi che tutto stava procedendo alla grande e il suo consueto sorriso sghembo. Sollevai il pollice a mia volta e gli feci cenno di seguirmi. Eravamo sulla strada da due ore, dopo che Tommy aveva telefonato a entrambi, chiedendoci se avevamo voglia di fare un giro insieme per poi darci buca quando Nikki e io avevamo già raggiunto il punto di ritrovo. Era quindi giunta l’ora di fermarsi per godere un po’ di quella giornata primaverile una volta che potevamo farlo.

Mi trovavo in una situazione piuttosto strana dato che non mi era mai capitato di andare in giro di mattina con uno dei miei compagni di band e di fermarmi lungo la strada come una persona comune. Solitamente uscivamo la sera solo per andare a fare il giro degli strip-club più in di Hollywood, ma ciò non significa che non mi dispiacesse essere lì. Anzi, il fatto che Nikki e io non ci fossimo ancora insultati stava cominciando a rivelarsi più piacevole di quanto credessi.

“Sixx!” urlai accompagnando le parole con un gesto frettoloso. “Usciamo alla prossima!”

Nikki annuì e lasciammo la PCH per imboccare l’uscita per Santa Monica. Proseguimmo sotto il sole per un altro quarto d’ora e ci fermammo nel parcheggio sul retro di un locale sulla strada, uno di quei posti che di giorno funge da pit-stop per i motociclisti e che di sera è preso d’assalto dai festaioli più tranquilli.

Nikki si guardò intorno con fare curioso, soffermandosi in modo particolare sulla vegetazione rigogliosa che ricopriva la recinzione di rete metallica, e si aggiustò il chiodo di pelle nera. “Cazzo, Vinnie, quanto abbiamo guidato?”

Appoggiai il casco sulla sella e mi stiracchiai. “Tanto, però ne è valsa la pena. Oggi il tempo è proprio bello.”

“Già,” tagliò corto Nikki mentre si mordeva nervosamente il labbro inferiore, poi si avviò verso l’entrata. “Vado a pisciare.”

E sparì dietro l’angolo senza aggiungere altro.

Sapevo cosa sarebbe andato a fare e sapevo anche che ci avrebbe impiegato qualche minuto di troppo, così mi rassegnai alla lunga attesa ed entrai a mia volta. Fortunatamente il locale non era particolarmente affollato e nessuno sembrava avermi riconosciuto, così ordinai qualcosa di fresco da bere e andarmi a rintanare nel tavolo più defilato di tutti, dove aspettai quasi venti minuti prima che Nikki riemergesse dalle tenebre. Apparve sulla soglia del bagno con un’espressione così serena che se non lo avessi conosciuto come le mie tasche avrei pensato che fosse la persona più felice del mondo. Aggrottai la fronte e tenni lo sguardo fisso su di lui mentre si avvicinava lentamente al tavolo e prendeva posto sulla sedia di fronte a me, sorridendo appena. Appoggiò poi i gomiti sulla tavola, si sorresse il mento con un palmo e restò a fissare la strada che si poteva intravedere dalla vetrata alle mie spalle.

“Tommy sarebbe dovuto venire con noi,” disse con un filo di voce e senza nemmeno guardarmi in faccia.

Smisi di rigirare il bicchiere sulla superficie di granito e arricciai il naso. “A me non è dispiaciuto fare un giro.”

“Nemmeno a me, però con lui mi diverto di più che con te.”

“Fottiti,” mormorai.

Nikki si passò una mano sul volto e si stropicciò gli occhi contornati da occhiaie scure e profonde. “Fottiti tu. Se avessi saputo che sarei stato da solo con te, non credo che sarei uscito di casa.”

Mi limitai a rispondergli con un’occhiata glaciale e a tacere. Avevo previsto che quella pace non sarebbe durata a lungo: a lui piaceva dire ciò che gli passava per la testa senza preoccuparsi dei sentimenti che suscitava negli altri e io non ero certo il tipo che si lasciava insultare senza rispondere.

Sbuffai e mi guardai intorno mentre aspettavo che il bassista si decidesse a schiodare dal tavolo, e ne approfittai per studiare attentamente i particolari del locale: non era uno di quei bar bui e angusti in cui eravamo soliti rintanarci. Dietro al bancone un paio di cameriere si davano da fare per servire i clienti e, vicino al registratore di cassa, scritto a caratteri cubitali su un foglio giallo, notai un annuncio per un posto da cameriera. All’improvviso, come se fosse stato un riflesso involontario, mi comparve davanti l’immagine di Sydney che aspettava da sola nel parcheggio del locale in cui lavorava dopo essere stata licenziata. Se solo si fosse trovata lì con me e avesse visto l’annuncio, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata correre da una delle cameriere e chiedere qualche informazione in più.

“Quanto dista Venice da qui?” domandai a bassa voce a me stesso, ma Nikki dovette avermi sentito lo stesso perché rispose.

“Una decina di minuti. Perché?”

“Devo fare una cosa importante,” dissi automaticamente mentre mi alzavo e mi dirigevo verso l’uscita.

“Cosa?” continuò mentre mi seguiva come un’ombra.

“Non sono affari tuoi.”

Nikki pestò un piede come un bambino capriccioso e diede un colpo alla sella della motocicletta con la mano aperta. “Che palle! Mi avete quasi costretto a uscire di casa, T-Bone mi ha anche dato buca, e adesso tu vuoi piantarmi qui perché ti è venuto in mente chissà cosa?”

“Non ti lascerei qui se non fosse urgente. Facciamo la strada insieme fino a Venice, così non ti senti solo, poi tu prendi la 405 e te ne torni a Van Nuys. Pensi di farcela o hai bisogno di assistenza anche per percorrere al contrario la strada che hai appena fatto?” sbottai.

Nikki mi fissava con gli occhi fuori dalle orbite, probabilmente domandandosi cosa mi stesse passando per la testa o, più facilmente, domandandosi se per caso avessi fatto fuori qualche pista mentre lui era in bagno senza offrire.

“Posso venire con te?” saltò poi su con una spontaneità stupefacente.

“No,” risposi secco e autoritario, poi saltai in sella e tornai a prendere la PCH. Ero così concentrato che non mi resi nemmeno conto di quando persi di vista Nikki. Forse mi aveva addirittura accostato per farmi un cenno e io non lo avevo considerato perché avevo in mente solo di fermarmi davanti alla palazzina celeste in cui abitava Sydney, ma non mi interessava.

Parcheggiai di nuovo sotto le foglie del banano, mi preoccupai di controllare di essere presentabile osservando il mio riflesso sullo specchietto retrovisore e mi fiondai davanti al cancelletto, senza ovviamente riuscire a evitare di attirare l’attenzione della belva. Abbaiava e saltava allo stesso tempo e fu necessario l’intervento di un bambino per placarlo, dopodiché qualcuno rispose finalmente al citofono.

“Ciao, Sydney!” esclamai giulivo. “Ti disturbo?”

Ci fu un attimo di silenzio prima che tornassi a sentire la sua voce distorta dall’apparecchio. “Vince? Perché sei qui? Non mi risulta di aver preso nuovamente qualcosa di tuo.”

“Infatti il motivo è un altro,” risposi, spiazzandola. “Forse ho trovato una soluzione al danno che il mio amico ha fatto l’altra sera.”

“Vorresti dire che mi hai trovato un lavoro?”

“Proprio così. Se può interessarti e vuoi passare a dare un’occhiata, è in un locale grande e luminoso a Santa Monica.”

“A Santa Monica?” ripeté lei, incredula. “Ma è vicinissimo! Risparmierei venti minuti.”

“Vieni giù e ti ci porto subito.”

Sydney non rispose per non perdere altro tempo e nel giro di pochi minuti era già fuori dal cancello con un sorriso smagliante stampato sul volto. “Facciamo in fretta, però. Ho degli impegni.”

Annuii e saltai in sella. “Siediti qui dietro e tieniti forte.”

Sentii le sue braccia stringersi intorno alla mia vita e, quando capii che aveva finito di sistemarsi sul sedile, misi in moto e partii alla volta di Santa Monica. Mi fermai nel parcheggio in cui ero già stato insieme a Nikki e aspettai che Sydney terminasse di ravvivarsi i capelli dopo che erano stati schiacciati dal casco.

“Ti aspetto qui. In bocca al lupo,” le augurai mentre si allontanava, poi mi sedetti sul muretto che delimitava la proprietà del locale e fumai un paio di paglie in attesa del suo ritorno. Con gli occhiali da sole calati sul naso e lo sguardo perso nel cielo limpido, mi resi conto che non vedevo l’ora che tornasse, ma il motivo era ancora più preoccupante del mio desiderio: volevo che tornassimo a salire sulla motocicletta e volevo che mi stringesse di nuovo.

Scossi il capo con forza come per mandare via i pensieri che mi stavano annebbiando la mente. Era assurdo: non avevo mai avuto nessuna difficoltà a ottenere un abbraccio da parte di una ragazza qualunque, invece adesso mi ritrovavo a dover sperare che si presentasse un determinato tipo di occasione, ovvero l’unica in cui avrei potuto avere ciò che desideravo avidamente.

Forse ho guidato troppo sotto al sole, pensai dopo aver calciato via una lattina vuota con la punta di uno stivale.

Stavo ancora scuotendo il capo senza accorgermene quando la sua voce riecheggiò nel parcheggio bollente.

“Ehi! Ce l’ho fatta!” continuava a urlare mentre correva verso di me.

Mi alzai immediatamente in piedi, colto di sorpresa e strappato dai miei pensieri. “Ti hanno assunta subito?”

“Sì!” esclamò, e un attimo dopo me la ritrovai appesa al collo, forse con le lacrime di gioia. “Ho trovato proprio quello che cercavo e che fino a ora era disponibile solo lontano da casa mia.”

“Allora ho veramente rimediato al danno di Sixx,” dissi compiaciuto mentre appoggiavo una mano sul retro del suo capo. I suoi capelli erano incredibilmente morbidi e piacevoli al tatto, allora scesi lungo la chioma e ne strinsi una ciocca tra le dita senza che se ne accorgesse.

“Posso cominciare già da domani,” spiegò da ancora stretta nel mio abbraccio. “Di lunedì e giovedì devo fare il tempo pieno, in compenso ho tutto il sabato libero. Grazie per avermi aiutata, ne avevo bisogno. Adesso però mi riaccompagneresti a casa? Ho un impegno molto importante.”

Senza indugiare ulteriormente, le porsi il casco e ritornammo a Venice, dopodiché mi rimisi in viaggio per tornare a casa, ricordandomi solo quando mi ritrovai imbottigliato nel traffico lungo la freeway che un paio di miei amici si erano autoinvitati a casa mia per cena. Li trovai entrambi seduti contro il cancello, intenti a fumare come due ciminiere e circondati da un crocchio di ragazze che riconobbi come le dipendenti di uno strip club che frequentavo spesso.

“Alla buon’ora, stronzo!” mi rimproverò uno dei due dopo essersi alzato e stiracchiato per far passare il dolce intorpidimento che lo aveva assalito dopo che si era quasi appisolato sotto la luce arancione del sole che tramontava oltre le colline aride.

“Ti stiamo aspettando da almeno tre quarti d’ora,” continuò l’altro, poi indicò una ventiquattrore nera con le rifiniture metalliche che giaceva ai suoi piedi, ricoperta dalla polvere e dalla sabbia della strada. “Abbiamo portato un po’ di roba buona. E anche un po’ di divertimento in più,” aggiunse infine, puntando un dito contro le ragazze.

L’unica parola che riuscii a proferire dopo aver corso in motocicletta per tutto il giorno fu un biascicato “bene”, poi li feci accomodare in casa e attesi che il proprietario della valigetta la aprisse e mettesse il suo prezioso contenuto a disposizione di tutti. Nel giro di pochi minuti iniziai a vedere le pareti sdoppiarsi e oscillare lentamente; le voci erano alterate e lontane, e non riuscivo a stare fermo. Non avevo idea di quale fosse la provenienza di quella coca, però era così buona da cancellare i ricordi di un arco di tempo piuttosto vasto.

Ripresi coscienza solo intorno alle sette del mattino, quando mi svegliai di soprassalto e trovai una delle tipe che mi avevano invaso la casa seduta di fianco a me e con una bottiglia di vodka tra le mani.

“Ben svegliato, tesoro,” mi salutò, innalzando la bottiglia e lasciandosi cadere sul materasso a peso morto.

Mi stropicciai gli occhi e feci scivolare le mani sul volto finché non raggiunsero le orecchie e le coprirono. “Cerca di fare poco casino. Rimettiti a dormire o va’ di sotto. Basta che mi lasci riposare un po’ il cervello.”

La donna riprese a ridere e cercò di sdraiarsi su un fianco, ma a quanto pareva aveva perso il senso dell’equilibrio e aveva preferito arrendersi e tornarsi a sdraiare supina.

“Posso chiederti una cosa?” biascicò poi, lo sguardo vacuo rivolto verso il soffitto appena illuminato dalla luce emessa dall’abat-jour. “Chi è Sydney?”

Non appena udii quel nome mi ripresi all’improvviso dal torpore e sobbalzai. “Come, scusa?”

“Ti ho chiesto chi è Sydney,” ripeté alzando la voce, poi iniziò a simulare una specie di pianto. “Io te l’avevo detto che il mio nome è Joanna, te l’avrò ripetuto decine di volte, ma tu non hai fatto altro che chiamarmi Sydney. Sydney, Sydney, Sydney! Sei andato avanti così per dieci minuti! Perché? Dimmelo!”

Scansai il braccio magro e pallido che aveva teso verso di me e volsi lo sguardo da un’altra parte, gli occhi ancora spalancati per l’incredulità.

In coca veritas, eh, Vinnie?

Scossi il capo e tornai a guardare in direzione di Joanna e la fissai mentre continuava a borbottare tra sé: aveva i capelli rossi e lisci, così lisci che quando li toccavo mi sembrava di avere tra le mani qualcosa di viscido. Non erano i boccoli morbidi e dorati di Sydney, quelli che avevo accarezzato così volentieri il giorno prima. E gli occhi erano spenti, non luminosi e pieni di vitalità come quelli che avevo visto velarsi di lacrime nel momento in cui lei aveva trovato quello che stava cercando da molto tempo.

Sto impazzendo. Sto andando fuori di testa.

“Ehi, tesoro,” tornò a chiamarmi la voce alticcia della rossa che stava ancora agitando la bottiglia che aveva in mano. “Ne vuoi un po’?”

“Non adesso,” risposi secco.

Joanna tramutò l’espressione furbesca in una delusa e cercò di bere un sorso di vodka finendo col rovesciarne qualche goccia sul materasso. Sebbene io non lo trovassi affatto divertente, specialmente ora che avevo un gran mal di testa e voglia di stare da solo, lei scoppiò a ridere e mi vidi costretto a toglierle la bottiglia dalle mani.

“Esci da qui,” le ordinai con freddezza. “Vai al piano di sotto, o dove ti pare. Però esci.”

La rossa arricciò il naso piuttosto contrariata e, dopo aver raccattato il body fucsia che indossava quando era arrivata, lasciò la stanza senza proferire una sola parola.

Mi riparai gli occhi coprendoli con un avambraccio e ascoltai i suoi passi felpati camminare prima sulla moquette della camera, poi su quella del corridoio e infine scendere le scale. Ero finalmente da solo con i miei pensieri – o meglio, ero da solo con il mio pensiero. Arraffai la cordicella metallica dell’abat-jour e spensi la luce, mi girai su un fianco e notai che l’orologio sul comodino segnava le sette e dieci del mattino. Decisi che alle nove mi sarei alzato, avrei mandato via tutti e che mi sarei reso presentabile sebbene avessi passato la serata a fare baldoria. Forse sarei riuscito ad arrivare a Santa Monica entro mezzogiorno.




N.D’.A.: Buongiorno!
Allora, gente, siete sopravvissuti al concerto di ieri sera? Avete fatto casino? Per quanto riguarda la sottoscritta, sono stata assalita da una crisi di rimpianto con un giorno di ritardo. Chi è stato costretto a restare a casa può capirmi e chi non ha mai visto questo gruppo dal vivo può capirmi ancora di più... ma sorvoliamo.
Passando alla storia, spero che abbiate gradito questo delirante capitolo dell’altrettanto delirante punto di vista del nostro cantante che, lasciatemelo dire, si sta facendo un po’ troppi viaggi mentali. Spero per lui che alla fine ne sia valsa la pena di pensare e arrovellarsi così tanto!
Detto questo, ringrazio chi legge e chi mi segue. ♥ Ho anche notato che avete fatto schizzare alle stelle le visualizzazioni della mia prima storia, così ho pensato di approfittare di questi giorni di influenza per rileggere i capitoli e aggiustarli un po’, per quanto mi fosse possibile. Sicuramente ci sono rimasti degli errori e ho dovuto lasciare le note d’autore ridicole e smielate come le ho create due anni fa, ma credo di aver dato una sistemata non indifferente alla punteggiatura. :)
Aspetto un vostro parere. Ci si rilegge mercoledì prossimo!
Un abbraccio,

Angie






   
 
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