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Autore: Kourin    12/11/2015    2 recensioni
Si lanciò senza esitazione all'attacco, ma la mano di Mū gli afferrò saldamente braccio: solo allora si accorse che erano stati circondati. Attraverso il velo rosso del sangue vide l'ammassarsi di lance su lance, tutte puntate contro ai loro cuori. Mū si guardò nervosamente in giro, poi si pose davanti ad Aiolia per fargli da scudo, le braccia allargate come a farsi più grande di quel plotone di folli.
“Per favore, potreste spiegarci quanto sta accadendo? Aiolia ignora i fatti quanto me.”

Storia sulla notte del tradimento, un po' personalizzata e raccontata principalmente dal punto di vista di Aiolia e Mū.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Leo Aiolia, Sagittarius Aiolos
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il carro dell'alba


 
4. Che cos'è la speranza




La confusione era diventata sempre più lontana. Quando si era fermato a riprendere fiato, aveva visto le fiamme delle fiaccole allontanarsi in direzione di Rodrio. Da laggiù, di tanto in tanto, giungeva il suono smorzato delle campane, segno che lo stato di allarme si era propagato fino al villaggio.
Ricorrendo un po' all'astuzia e un po' alla psicocinesi, Mū era riuscito ad evitare le ronde. Le armature d'oro che vegliavano i templi non avevano reagito al suo passaggio. Si era sorpreso quando tra loro aveva visto Gemini, ma non aveva potuto né voluto interrogarsi sul perché del suo lamento. Così, superando le più ottimistiche previsioni, era riuscito ad attraversare indenne ben undici case.
La Casa dei Pesci Gemelli, l'ultima. È impossibile che non sia custodita,” pensò mentre affrontava la penultima rampa di scale che lo separava da Shion, lottando contro la stanchezza derivata dall'uso del teletrasporto. Dispiaciuto per i problemi che la sua condotta avrebbe creato al maestro, era nel contempo speranzoso di potergli chiedere al più presto perdono.
Come ebbe varcato la soglia del tempio, venne investito da un profumo di rose d'intensità inusuale. I loro petali danzavano su effimeri mulinelli nati dall'abbraccio tra il vento notturno e le strane, fredde correnti che da sempre accompagnavano il passaggio dei rari visitatori.
Era la prima volta che Mū trovava il pesante portone del giardino completamente spalancato. Vestito della sua armatura, Aphrodite se ne stava appoggiato allo stipite, intento a scrutare gli astri che scintillavano sull'incredibile distesa di fiori: nessuno a parte lui poteva distinguere quali fossero letali o quali fossero, semplicemente, belli. Mū ebbe l'impressione di averlo distratto da una conversazione dai contenuti profondi, perché quando si fu voltato si mostrò genuinamente sorpreso. Dischiuse le labbra lucide e, dopo essersi concesso un ulteriore attimo di riflessione, chiese: “Sei arrivato fin qui senza che nessuno ti fermasse? La sorveglianza lascia molto a desiderare, dovrò farlo presente.” Detto questo iniziò ad avvicinarsi. Le scaglie dorate che ornavano i suoi bracciali brillavano di strani riflessi.
Mū aveva incontrato poche volte il Santo di Pisces, senza comprendere a cosa fosse realmente dovuto l'alone di mistero che lo circondava: forse era riservatezza, forse era arroganza, forse era qualcos'altro. “In ogni caso, meglio provare a discutere con lui che Death Mask.
“Per favore, Nobile Aphrodite, lasciatemi passare. È mio desiderio parlare di persona con il Grande Sacerdote.”
Un vivido, argenteo guizzo di stupore attraversò le iridi di ghiaccio di Aphrodite, mentre una folata di vento gli scompigliava i capelli chiari, che alla luce lunare apparivano quasi azzurri. Gli bastò risistemarli con un gesto, per ritrovare l'usuale compostezza e replicare, tagliente: “Non dirmi che nessuno ti ha spiegato la situazione. Non ti crederei.”
Non trovando una risposta adeguata, Mū finì per mordersi le labbra. Il giovane santo sorrise soddisfatto e proseguì: “Il Grande Sacerdote non riceve nessuno, per nessun motivo. Torna indietro. Non è che io non voglia farti un favore. Ti sto facendo un favore ordinandoti di andartene.”
Mū, tuttavia, non riusciva a distogliere lo sguardo dall'uscita che si apriva poco distante. “Sarebbe assurdo se mi arrendessi qui.”
Intuendo facilmente quei pensieri, Aphrodite lasciò trapelare il suo disappunto con un sospiro. “Non pensarci nemmeno,” disse ponendosi sulla strada, lasciando al vento il compito di dispiegargli il mantello.
“Perdonatemi,” mormorò Mū, prima di fare ricorso alle poche forze che gli erano rimaste.
Il teletrasporto gli permise di avanzare per una decina di metri, ma quando fu sul punto di lanciarsi in una ben poco onorevole fuga, si sentì afferrare saldamente per i capelli. Si sforzò di trattenere un gemito di dolore, trovò un po' di sollievo reclinando il capo all'indietro.
“Che splendore,” stava mormorando tra sé il Santo di Pisces, senza peraltro allentare la presa. “Non voglio rovinare la tua bellezza, sarebbe proprio un peccato. Di' piuttosto: 'Nobile Aphrodite, perdonate la mia insolenza, me ne vado' e io dimenticherò di averti visto.”
Mū fu costretto a confrontarsi con i suoi occhi celesti, così diversi da quelli di Aiolia e di Aiolos. Non erano certo privi di espressione, ma in essi non riusciva a scorgere alcuna empatia. Quando distolse lo sguardo, notò che la mano destra di Aphrodite stringeva una rosa. Cercò di non pensare al suo possibile effetto quando insistette: “Nobile Aphrodite, se mi sono permesso di agire in questo modo è solo perché sono preoccupato per il mio maestro. Rassicuratemi sul fatto che sta bene e io me ne andrò.”
“Quanto sei testardo. Ignori forse che ad un ordine del Grande Sacerdote bisogna obbedire? La pena per chi non lo fa è la morte. Questa è la Dodicesima Casa. La debolezza non è mai appartenuta al suo custode. Dovresti sapere anche questo.”
Detto questo, il santo lo lasciò andare. Dal punto in cui si trovava, Mū poteva scorgere l'imponente frontone del tempio di Athena. Alle sue spalle la voce di Aphrodite continuava: “A questo punto, sei libero di scegliere il tuo destino. Ignoro quale sia la soglia di tolleranza del tuo sangue, ma sappi che il veleno delle mie rose, anche se non dovesse ucciderti, potrebbe danneggiarti per sempre.”
Anziché rispondere, Mū si appellò al proprio cosmo.


*** ***


Quella notte i grilli avevano continuato a cantare come se nulla fosse, ma non appena sentivano i suoi passi si zittivano all'improvviso. Per fortuna, a parte insetti e civette, nessuno lo aveva notato mentre percorreva il vecchio sentiero accidentato. Pur conoscendo bene la zona, Aiolia non aveva potuto evitare un paio di ruzzoloni tra gli arbusti. Rialzandosi ogni volta, aveva proseguito senza esitazione la corsa sotto i raggi della luna.
Di giorno aveva affrontato la discesa con il cuore leggero, mentre ora il suo cuore era una massa scura che rotolava inesorabilmente verso il basso. Il corpo giovane lo seguiva a stento, tuttavia era chiaro che la direzione fosse quella giusta: proprio al di là del villaggio, verso le rovine dell'Acropoli, giungeva un gran clamore.
Aveva quasi terminato di costeggiare Rodrio, quando dei bagliori attirarono la sua attenzione. Il terreno tremò, tanto che alcuni sassi si staccarono dal vicino costone. Aiolia li evitò e li osservò rotolare, poi spostò la sua attenzione al cielo, dove le nuvole che celavano la coda del Drago restituivano agli occhi dell'osservatore un inconfondibile scintillio ambrato.
Strinse i denti. Quanto aveva appena visto era la prova che suo fratello stava combattendo. “Lui non potrebbe mai uccidere i suoi compagni, né i suoi compagni potrebbero mai ucciderlo,” pensò, ma la sua convinzione oscillava come un pendolo, facendogli girare la testa. Allora piantò bene i piedi in terra, inspirò a pieni polmoni l'aria della notte e gridò soltanto: “Aiolos!”
Ascoltò con soddisfazione il propagarsi dell'eco, poi tagliò il sentiero lanciandosi lungo la scarpata. Richiamò l'energia del cosmo, che a momenti lo sorresse e a momenti lo abbandonò, permettendogli comunque di mantenere le ossa integre mentre balzava tra pietre e radici, finché la volta celeste venne tagliata in due da una lama.
Non c'era altro modo per descrivere il lampo che attraversò l'equatore celeste, separando per un attimo l'Est dall'Ovest, lacerando perfino le nubi. Mentre osservava i loro lembi penzolare, Aiolia si rese conto di aver portato la mano al torace, perché il petto gli doleva come se qualcuno l'avesse colpito. Non poteva che trattarsi di Excalibur, la spada del Capricorno: uno scontro tra santi d'oro era un'altra cosa che mai sarebbe dovuta avvenire.
Perché?” Aiolia si strinse le tempie nel tentativo di spremere fuori la preziosa risposta, ma dai suoi capelli arruffati uscirono solo minuscoli sassolini e frammenti di foglie.
“Fermo là!”
L'ordine lo costrinse a tornare in sé, così si rese conto di essere finito su una delle strade principali. Lì era inevitabile essere visti. Per fortuna quella in cui si era imbattuto era una squadra formata da appena quattro soldati, senza nessun santo in armatura a dare man forte.
“Che ci fai qui?”
“Sto cercando Aiolos di Sagittarius.” Era la pura verità, ma non venne apprezzata: quello che pareva il comandante fece cenno che lo circondassero. “Raccontala a qualcun altro. Adesso fai il bravo e vieni con noi,” ordinò.
“Mi dispiace, ora non posso.” Aiolia assunse la posizione di guardia, convincendosi che non sarebbe stato impossibile tener loro testa.
“Guardate che almeno questo dovremmo cercare di prenderlo vivo,” ricordò uno di loro. Allora l'uomo che pareva più forte lasciò cadere la lancia a terra. “Ci proveremo,” disse facendo scrocchiare minacciosamente le nocche.


 
*** ***


Era riuscito ad avanzare concentrando il cosmo in una barriera; Aphrodite l'aveva infranta senza sforzo apparente trafiggendola, semplicemente, con un fiore.
Bastò che il gambo della rosa s'infilzasse in una venatura del marmo affinché la scalinata si risvegliasse. Se qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni, Mū non avrebbe saputo descrivere che cosa stesse esattamente accadendo ma, di fatto, la sentì vivere. I rampicanti che s'intrecciavano tra i gradini pulsavano all'unisono con il cosmo del santo che era loro guardiano. I fusti che fino ad un attimo prima erano apparsi dormienti si avvolsero intorno ai polpacci di Mū, stringendo quel che bastava per far penetrare le spine attraverso gli abiti. Preso di sorpresa, ricadde in avanti e, quando le spine si piantarono anche nei palmi delle mani, si lasciò sfuggire un grido ben poco consono ad un aspirante sacro guerriero.
“Rose Demoniache,” spiegò Aphrodite. “Anche se non è ancora tempo per la loro fioritura, reagiscono sempre a chi mi è ostile.”
Se provassi a muovermi, peggiorerei la situazione,” ragionò Mū mentre un pesante torpore gli invadeva gli arti. Cercò allora di non perdere la percezione del cosmo, che sapeva essere l'unico modo per sperare di ottenere l'impossibile. “È il cosmo l'unica salvezza di un santo, perché gli permette di entrare in contatto l'universo...
Prima che il veleno potesse confondergli i sensi, cercò tra le galassie il pianeta blu su cui era nato e rivide l'azzurro più puro del cielo. Fino ad un certo punto della sua vita, credeva non esistesse altro. Poi, grazie a Shion, aveva conosciuto le montagne della Grecia, dove le piante assorbivano l'energia dei raggi solari e la restituivano in mille sfumature verdeggianti: non erano altro che la parte visibile del processo che permetteva a Mū stesso di vivere. Quando il suo corpo iniziò ad irradiare l'energia generata da quella consapevolezza, il roseto intero si mosse, orientando pigramente le foglie in sua direzione.
“Per favore, Rose Demoniache, lasciatemi andare, so che potete capire che non ho intenzioni malvagie,” disse Mū e le piante, gentilmente, lo rilasciarono. Forse perché intorpidito dal veleno, non sentì nemmeno dolore. Sorrise inconsciamente davanti al volto allibito di Aphodite; poi gli girò le spalle, fiducioso di poter proseguire.
Il suo viso però trovò il pettorale di Cancer. Stavolta Death Mask non perse tempo in convenevoli e afferrò Mū per il collo, sibilandogli in faccia, furioso: “Perché non mi hai ascoltato?”
“Perché vorrei vedere di persona il mio maestro,” annaspò Mū mentre stringeva i bracciali dentati, cercando senza successo di allentare la presa che lo stava soffocando. I suoi occhi rotearono all'indietro e videro le stelle, ma non erano né le stelle dell'emisfero boreale né quelle del suo universo interiore.
“Lo riporti giù tu?” chiedeva nel frattempo Aphrodite.
“Mi manca solo di fare la balia, stanotte!” sbottò Death Mask. Poi lasciò la presa, ringhiando: “Va bene. Ma la prossima volta gli andrà molto peggio.”
Tuttavia Mū, troppo impegnato a respirare, aveva già smesso di ascoltarlo. Incapace di tornare in sintonia con il cosmo, quasi svenendo per lo sforzo, poté solo strillare miseramente: “Shion!”
Il santo aveva appena iniziato a trascinarlo a peso morto verso valle, quando il portone incustodito del Tempio di Athena si spalancò. Al suo centro apparve il sacerdote in persona, vestito della tunica più scura. Sul petto qualcosa che assomigliava ad uno strappo toglieva perfezione alla sua immagine maestosa, ma l'ombra che scivolava densa lungo i gradini lo era fin troppo: sembrava quasi un varco aperto su un buco nero.
“Non so come abbia fatto ad arrivare fin qui. Pare che non voglia andarsene finché non vi avrà visto di persona,” spiegò Aphrodite.
“Che cosa dobbiamo fare di lui?” chiese Death Mask.
Il sacerdote non rispose. Perfino il leggero tintinnio dei monili che indossava venne inghiottito dal suo silenzio.
Mū riusciva a malapena a reggersi in piedi. Si sentiva paralizzato da quella presenza così imponente, che percepiva per la prima volta come estranea. Complici le tossine che ancora gli circolavano in corpo, non riuscì a muovere un dito quando il cosmo iniziò bruciare nel braccio dell'uomo che non riusciva a riconoscere come suo maestro. Lo schiocco delle scintille che si formavano tra le sue dita crebbe velocemente per trasformarsi in fragore, tuttavia, proprio quando Mū divenne consapevole della sua ostilità, un'energia calda e luminosa come quella del sole iniziò a sostenerlo. Simile al proprio cosmo, ma nel contempo profondamente diversa, gli avvolse il corpo intero. I due santi che lo affiancavano si fecero da parte e, quando Mū provò a guardarsi per capire che cosa potesse essergli accaduto, si rese conto che stava indossando Aries.
Sempre più confuso, vestito dell'armatura appartenuta al suo affettuoso mentore, tornò a fissare la figura scura del Grande Sacerdote. La forza minacciosa si era estinta; perfino l'ombra della tunica aveva perso consistenza era tornata ad oscillare all'unisono con il vento.
Mū mosse alcuni passi in avanti. “Che cosa significa?” chiese, ma prima che potesse avvicinarsi ulteriormente Aphrodite e Death Mask lo afferrarono contemporaneamente per le spalle e lo spinsero a terra, obbligandolo ad inginocchiarsi insieme a loro. Per nulla intenzionato ad assecondarli, Mū alzò il capo, ma Aphrodite glielo tenne abbassato,
Allora il sacerdote disse: “Il suo maestro non gli può insegnare più nulla. Che torni quindi in Jamir a riparare armature e che non si ripresenti al Santuario finché non l'avrò convocato io stesso.” Senza aggiungere altro, voltò loro le spalle e rientrò nel tempio.


 
*** ***


Incredibilmente era riuscito a sfuggire ai soldati: ora, di fatto, stava scappando. La cosa non gli faceva onore, tuttavia poteva addurre a sua discolpa di avere combattuto coraggiosamente, prima di darsela a gambe levate.
Era appena riuscito ad infilarsi tra i tronchi di un boschetto di faggi quando l'ormai tenue fiammella del suo cosmo si spense, lasciandogli tutta la consapevolezza del dolore per le botte ricevute. “È così diverso dall'allenamento!” pensò. Doveva essersi incrinato alcune costole e pure la caviglia sinistra gli doleva da matti, ma il principale problema restava la frustrazione per non aver ancora trovato delle spiegazioni.
Mentre cercava di calmare il respiro in affanno udì delle voci provenire dalla strada, così cercò di farsi immobile. Non si trattava di una conversazione concitata e anche i passi che l'accompagnavano erano lenti: appartenevano infatti a soldati che stavano rientrando.
“Meglio così, non avrei voluto affrontare quel demone,” sospirava un uomo.
“A chi lo dici. Per fortuna il Grande Sacerdote ha mandato il nobile Shura,” gli rispondeva un secondo.
“Basta parlarne, è stata una notte orribile! Ormai quel criminale è morto,” diceva il terzo.
Si aggiunsero altre voci, poi tutte si allontanarono sovrapponendosi in discorsi più o meno ordinari.
In alto, tra i rami pieni di gemme appena sbocciate, le stelle iniziavano a perdere luminosità. Aiolia si rialzò e continuò a scendere zoppicando, mentre nella sua mente si alternavano le figure di un Aiolos impazzito, che lo guardava come una belva pronta ad azzannarlo, e di un Aiolos tranquillo, che gli spiegava che era stato tutto un malinteso. Un Aiolos morto, invece, non riusciva proprio ad immaginarlo. “Magari quei soldati hanno organizzato tutto per farmi uno scherzo, è chiaro ormai che ce l'hanno con me.
Una stella cadente attraversò l'Ofiuco: la notte gli stava offrendo un'ultima opportunità. Rincuorato, Aiolia chiuse gli occhi e pregò: “Fammi incontrare mio fratello!
Pochi istanti dopo, quando scorse un'armatura d'oro, gli sembrò che il desiderio fosse stato esaudito. Il suo entusiasmo, però, si spense con la stessa rapidità della meteora. Non si trattava di un'armatura con le ali: aveva ampi coprispalle decorati da spirali e un elmo sormontato da corna appuntite e ricurve.
Aiolia non era l'unico ad essere sorpreso: ebbe anzi l'impressione che il giovane Santo di Capricorn lo avesse scambiato per una rara creatura mitologica.
Devo essere proprio conciato male,” pensò Aiolia mentre gli andava incontro. “Ma Shura è un santo d'oro, non mi mentirà.”
Si inchinò rispettosamente. “Nobile Shura, vi prego di spiegarmi che cosa sia accaduto,” scandì bene, serrando in pugno le mani tremanti.
Shura chiuse le dita a pugno a sua volta e, dopo essere rimasto in silenzio per un bel po', disse: “Torna al Santuario.”
“Non mi avete risposto,” fece notare Aiolia. Pur stremato, sentiva salire dalle viscere la rabbia per essere trattato come un bambino incapace d'intendere. Ripeté lentamente: “Che cosa è accaduto a mio fratello?”
Shura rispose: “È impazzito.”
Aiolia avanzò di un passo. “Perché?”
“Gelosia.”
“Non ci credo. E poi?”
“Ha cercato di uccidere Athena ed è fuggito.”
“Questo me l'hanno già detto. E poi?”
Shura si sfiorò braccio destro. “L'ho ucciso.”
“Significa... che è morto?”
“Torna al Santuario.”
Aveva posto una domanda incredibilmente stupida ma, dato che non riusciva proprio a formularne un'altra, Aiolia chiese di nuovo: “Significa che è morto?”
Il santo chiuse gli occhi neri e disse: “Sì.”
Quando la mano che aveva ucciso Aiolos gli ebbe sfiorato la spalla, Aiolia avrebbe voluto assecondare l'orrore che correva lungo la spina dorsale ed allontanarla: ormai però era stato sopraffatto dalla stessa sensazione che provavano le vittime delle Gorgoni. Le sue ossa, i suoi muscoli e perfino i suoi nervi erano divenuti pietra. Essendo pietra era incapace di muoversi, pensare e dare sfogo a qualsiasi sentimento.


 
*** ***


Se ne stava accovacciato sulla scalinata della Prima Casa in compagnia di Aries. Da quando aveva visto il portone del tempio richiudersi, aveva perduto sia la consapevolezza del cosmo che la capacità di ragionare. Si sentiva del tutto inutile: forse era proprio a causa di quello stato che, invece di tornare al suo posto, l'armatura gli era rimasta accanto. Sfiorandola timidamente, Mū chiese: “Sono forse il sacro guerriero che hai scelto? Oppure sono solo un ragazzino debole e tu mi stai semplicemente proteggendo da... da... cosa?” s'interruppe, incapace di riportare alla mente ciò di cui era stato testimone.
In risposta ottenne solo una leggera vibrazione. Non spiegava nulla, ma almeno confermava che Aries non gli era ostile.
Spero che non sia successo niente ad Aiolia. Se solo fossi certo di poter indossare di nuovo quest'armatura, lo potrei proteggere,” pensò prima di rendersi conto che, se avesse agito in tal modo, sarebbe stato accusato di tradimento esattamente come era accaduto ad Aiolos.
È davvero per colpa sua che è accaduto tutto questo, oppure Aiolos adesso si sente come me?
Raccolse le ginocchia contro il petto e vi affondò la fronte, ma nemmeno il buio che aveva così creato gli fu d'aiuto. Stava per rialzarsi e fare la prima cosa che gli veniva in mente, quando sentì chiamare il proprio nome.
Era un cosmo antico, simile a quello del suo maestro. Senza che Mū potesse opporsi, gli si stava riversando nel cuore come acqua di una purezza senza eguali. Quando lambì il suo cosmo sopito, Mū si sentì galleggiare nella notte stellata, incapace di compiere qualsiasi altra azione che non fosse ascoltare il mormorio che lo guidava attraverso un'immensità sconosciuta.
Diceva: “Vieni da me. È troppo pericoloso rimanere al Santuario.


 
*** ***


Non sapeva per quanto avesse vagato, né ricordava il percorso che aveva seguito. Si era fermato solo quando, passando nei paraggi delle abitazioni, aveva visto innalzarsi una densa colonna di fumo. La sua casa doveva essere in preda alle fiamme già da un pezzo.
Si avvicinò, sentendosi investire dall'aria incandescente. Appoggiando il palmo sulla guancia, poté percepire parte dello straordinario calore emanato dal fuoco che stava terminando di inghiottire quanto aveva posseduto. Una trave del tetto cedette. Uno sciame di scintille arancioni si liberò per danzare tutt'intorno, fino a fondersi con i colori del cielo albeggiante.
Meravigliato, rimosse la cenere depositatasi tra le ciglia e attese il ripetersi dello spettacolo. Non si lasciò distrarre più di tanto, quando un ragazzo gli si avvicinò dicendo: “Finalmente ti ho trovato, Aiolia.”
In un primo momento si chiese chi fosse 'Aiolia', poi si ricordò che Aiolia era proprio lui. Si ricordò anche che il ragazzo che aveva parlato si chiamava Mū e che era stato suo amico. “Eravamo piccoli, dovevano avere avuto suppergiù otto anni.
Richiamato dal suo crepitare, tornò a fissare il fuoco. Se avesse avuto la pazienza di restare, avrebbe potuto vedere il tetto che collassava definitivamente.
“Torno in Jamir.”
Come previsto, il tetto collassò e si alzarono tantissime scintille. Però stavolta il vento le sospinse verso oriente, così Aiolia iniziò a seguirle mentre si ricongiungevano ai tenui raggi che avevano ormai annientato lo splendore delle costellazioni.
Mū camminava al suo fianco. “Mi dispiace, ma c'è una ragione,” diceva.
Non riuscendo a capire perché mai l'amico dovesse dispiacersi, Aiolia continuò ad avanzare, finché non si sentì afferrare il viso da due palmi sgradevolmente gelidi, che l'obbligarono a tuffarsi nel verde intenso di due occhi stranieri. “Questi non sono mica gli occhi di Mū.
Mū aveva uno sguardo placido e profondo, mentre ciò che Aiolia aveva davanti era un fiume torbido solcato da correnti che muggivano: “Mi dispiace. Non posso fare altrimenti! Il Grande Sacerdote...” Non sopportandole, Aiolia si liberò e disse: “Sei il suo allievo, no? Te ne vai sempre così, ci sono abituato.”
Sembrava che Mū volesse aggiungere qualcosa, ma non ci riuscì. Dopo che ebbe emesso solo un suono strozzato, le lacrime iniziarono a raccogliersi sulle sue ciglia e, quando chiuse le palpebre, gli inondarono il viso.
Dovrei essere io a piangere,” pensò Aiolia.
Raccolse con l'indice una lacrima di Mū e la trascinò lentamente lungo la propria guancia. L'aria secca la asciugò subito, lasciandogli sulla pelle un leggero pizzicore. “Non prendertela così, prima o poi ci rivedremo,” disse mentre tornava a guardare lontano.
“Addio, Aiolia,” sentì singhiozzare alle sue spalle, ma Aiolia non si voltò perché sapeva che, quando voleva andarsene, Mū scompariva e basta. Anche volendo, non lo si poteva seguire.
Esagerato. Che bisogno c'era di dire addio?
Trascorse un altro po' di tempo attendendo la comparsa del sole, finché alle sue orecchie giunse sempre più nitido il passo dei soldati di pattuglia. Erano gli stessi uomini che aveva incontrato a valle: quando lo circondarono pronti ad attaccarlo, lui sorrise e offrì loro i polsi affinché venissero avvolti dalle catene. Quando uno di loro gli chiese perché mai avesse commesso la follia di fuggire, Aiolia si limitò ad alzare le spalle. Quindi li seguì.
Passarono davanti alla distesa di lapidi del cimitero, poi iniziarono a risalire verso l'altura dove si trovavano le prigioni. Lontano, la luna tramontava sul mare, accompagnando lo spegnersi delle ultime stelle della Vergine.

Sono scesi fino al mare, perché Aiolia non l'ha mai visto. La spiaggia segna il confine con il regno di Poseidon, che è fratello di Zeus. Un dio temibile, ma non sempre nemico degli uomini. Aiolia sa che bisogna fare attenzione: si guarda bene intorno, appoggia con circospezione la mano sulla superficie dell'acqua, ma subito arriva un'onda che fa per mangiarsela. Aiolia balza all'indietro per la sorpresa, ma l'acqua si è già ritirata.
Alle sue spalle Aiolos ride. “Guarda che non ti fa niente!”
Aiolia si mette le mani sui fianchi e raddrizza la schiena. “I leoni non vanno in mare. È per questo che sono stato preso alla sprovvista. Per il resto ti sembro uno che ha paura?” Detto questo fa un bel respiro ed entra in acqua. Cerca di ignorare il freddo, il solletico della spuma sulle ginocchia e, soprattutto, cerca di non pensare che potrebbe venire risucchiato in Atlantide. Tuttavia non dev'essere un leone troppo convincente, perché i pesci passano tranquilli accanto alle sue caviglie e i gabbiani stridono sopra la sua testa.
Stupidi!” urla seguendone le sagome che veleggiano senza paura lontano, dove il mare è più scuro. “Forse non sono tanto stupidi,” ritratta constatando quanto lui sembra goffo in confronto a loro.
Suo fratello non dice nulla, è rimasto seduto sulla sabbia e guarda l'orizzonte. Aiolia torna prudentemente indietro e gli si siede vicino. Lontano, sopra il mare, si vede qualche nuvola tinta di rosa. Più in alto, sopra le nuvole, c'è solo un cielo lilla e poi, ancora più in alto, solo un cielo azzurro.
Aiolos, che differenza c'è tra un santo di Athena e un guerriero di Poseidon?”
Fondamentalmente, la speranza nel genere umano.”
Che cos'è la speranza?”
È credere in qualcosa di bello e non arrendersi mai. Anche quando ti sembra di aver perso tutto.”
Ma se un santo si arrende invece? Che cosa succede?”
Che domande difficili che mi fai oggi!” Aiolos intreccia le mani dietro alla testa e si lascia cadere all'indietro. “Succede che si dispera,” risponde guardando in su. “Ma non è grave. Qualsiasi cosa sia successa, può sempre tornare a sperare.”
Aiolia solleva il naso nella stessa direzione, ma continua a non trovare nulla, nemmeno una stella, nemmeno un gabbiano. Allora si china su Aiolos ed esclama: “Io non mi dispererò mai, te lo prometto!”
Aiolos ride, poi lo afferra e lo tiene sospeso su di sé, fissandolo dritto negli occhi. “Sei proprio convinto, non hai intenzione di lasciarmi in pace, tu! Va bene, chiederò al Grande Sacerdote di poter iniziare il tuo addestramento.”
Aiolia resta incredulo, ma quando capisce che è tutto vero e si lascia sfuggire un grido di gioia. Vorrebbe abbracciare suo fratello, invece finisce per aggrapparsi al vuoto. “Adesso però lasciami,” miagola mentre si dimena a mezz'aria, ancora stretto nella sua presa.
Aiolos continua a sorridere e chiede: “E perché dovrei lasciarti?” Poi si rialza e abbraccia Aiolia, che finalmente può stringerlo a sua volta: ora è proprio libero di sognare di diventare come lui.

Pian piano la risacca dei ricordi gli riportò le voci degli uomini che lo stavano scortando. All'inizio poté sentire solo frammenti di frasi che si accavallavano in modo confuso.
“... non era in lui...”
“... posseduto da un demone...”
“... accade anche agli uomini più forti, basta una minima debolezza...”
Aiolia allora scoppiò in un pianto dirotto. Non poteva in alcun modo controllarsi: le lacrime uscivano e basta, impedendogli perfino di respirare. Il soldato più vicino gli afferrò il braccio e iniziò a trascinarlo lungo l'ultima salita.
“È inutile,” disse. “Conserva le lacrime per quando implorerai perdono al cospetto della divina Athena e del Grande Sacerdote.”
Il carro dell'alba se n'era ormai andato. Quando Aiolia fu giunto davanti all'ingresso del carcere, restavano solo la luce accecante del mattino oppure l'oscurità profonda di chi ne è privato.
Si sentì stranamente sollevato, quando venne scelta per lui la seconda.



 
*** FINE ***






L'angolo di Kourin che prova a spiegarsi (!)

Penso che scrivere di Saint Seiya sia il più grande atto di masochismo da me compiuto da quando sono iscritta su EFP.
Inizialmente avevo intenzione di dedicare il 2015 a Gundam SEED, perché volevo scrivere di fantascienza, piuttosto che di fantastico. Però, gira e rigira, non riuscivo a generare niente di degno. Se non che, tra un Gundam e l'altro, mi è spuntato davanti Soul of Gold. Colpevoli alcune analogie che non starò a spiegare (non so quanti conoscano SEED da queste parti), è accaduto che bastasse riascoltare una canzone perché la mia mente di fangirl andasse in tilt.
Il titolo di questa fanfic non ha a che fare direttamente col carro di Eos, ma viene proprio da questa insert-song che fa parte della colonna sonora di SEED: “Akatsuki no kuruma”, del duo Fiction Junction Yuuka. Il tema è l'addio di un figlio al genitore, tema che si trova anche in Saint Seiya, essendo, dopotutto, entrambe storie di guerra. Mentre le note passavano, ho finito per pensare ad Aiolia. Poi ho pensato anche a Mū.
Ragionamento: Caspita, potrei scriverci una storia! >>> Ma chi scelgo, Aiolia o Mū? >>> Ideona! Tutti e due, così li metto pure insieme!!! >>> Sono un genio del male! Bwaah ah ah!
Tutto qua (è imbarazzante, lo so).
Ringrazio chi ha deciso di seguirmi lasciandosi condurre fin qui, nonostante il tema fosse vagamente impegnativo. Stavolta ho proprio esagerato col dramma, mi sa!
Un ringraziamento speciale a Ryanna, che mi ha aiutato nella revisione dei capitoli e che ha ascoltato i miei sproloqui mentre cercavo di venire a patti con l'universo così complesso e incoerente, ma indiscutibilmente affascinante che è Saint Seiya.

A breve arriverà un piccolo epilogo, ma mi sembra giusto inserire in questo punto della storia la canzone che ha ispirato tutto. Qui il link per chi vuole ascoltarla.

Grazie ancora a tutti ♥

Kourin



Akatsuki no kuruma
[testo e melodia di Yuki Kajiura, voce di Yūka Nanri]

Kazesasou kokage ni utsubusete naiteru
Mi mo shiranu watashi wo watashi wa miteita
Yuku hito no shirabe wo kanaderu gitaara
Konu hito no nageki ni hoshi wa ochite

Yukanaide, donna ni sakende mo
Orenji no hanabira shizuka ni yureru dake
Yawarakana hitai ni nokosareta
Tenohira no kioku haruka
Tokoshie no sayonara tsumahiku

Yasashii te ni sugaru kodomo no kokoro wo
Moesakaru kuruma wa furiharai susumu
Yuku hito no nageki wo kanadete gitaara
Mune no ito hageshiku kakinarashite

Aa kanashimi ni somaranai shirosa de
Orenji no hanabira yureteta natsu no kage ni
Yawarakana hitai wo nakushite mo
Akaku someta suna haruka koeteyuku
Sayonara no rizumu

Omoide wo yakitsukushite susumu daichi ni
Natsukashiku mefuite yuku mono ga aru no

Akatsuki no kuruma wo miokutte
Orenji no hanabira yureteru ima mo dokoka
Itsuka mita yasurakana yoake wo
Mō ichido te ni suru made
Kesanaide tomoshibi
Kuruma wa mawaru yo



Il carro dell'alba

Sto piangendo con la faccia piantata nell'ombra di un albero scosso dal vento
Ho visto una me stessa che non avevo riconosciuto
La chitarra suona la melodia di una persona che se ne va
Una stella cade nel dolore di una persona che non tornerà

Per quanto io gridi “Non andartene!”
Accade solo che i petali arancioni tremolino calmi
Il ricordo del palmo di una mano
Preservato sulla fronte delicata vola lontano
Mentre strimpello un eterno addio

Il carro fiammeggiante prosegue e scrolla via
Il cuore della bambina che si affidava alla mano gentile
La chitarra suona il dolore di una persona che se ne va
Passo con violenza il plettro sulle corde del cuore

Nel biancore che non si colorava di tristezza
I petali arancio tremolavano nelle ombre d'estate
Anche se la mia fronte non è più delicata
Passerò oltre la lontana sabbia tinta di rosso
Al ritmo dell'addio

I ricordi bruciano divorati dal fuoco
Ma nella terra che ruota c'è qualcosa che germoglia con nostalgia

Mentre guardo il carro dell'alba che passa
Petali arancioni tremolano anche adesso in qualche luogo
Finché non avrò ancora una volta tra le mani
L'alba pacifica che vidi un giorno
Non spegnete la luce della fiamma
Le ruote stanno girando

 
  
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