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Autore: piccolo_uragano_    13/11/2015    2 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Girasoli nella tempesta – capitolo sei: come e quanto.

“Dammi la mano quando attraversi, tesoro.”
“Mamma, come vivevi, prima di papà?”


Seduta al bancone della cucina, sorrido, incredula davanti alle foto di me e Ben sul giornale.
Parker, l’agente baffuto di Ben, ci ha fatto arrivare tutti i quotidiani, e anche i settimanali, prima dell’alba, freschi di stampa. Ognuno recita un titolo diverso, ma la sostanza, più o meno è quella. La notizia è una. Sono io.
Il principe Caspian ha trovato la sua principessa.
Tra Narnia e Dorian Gray, Ben Barnes ha trovato l’amore.
Ben Barnes e la bionda sconosciuta.
I fratelli Barnes e le ragazze francesi.
Ben Barnes: odore di fiori d’arancio?
Galeotta fu Seattle! E anche Barnes trova una dama.

Non riesco a non ridere, leggendo tutto questo. Perché la gente non sa la vera storia.
Per prima cosa, Iris e Nicole mi hanno tagliato i capelli. Se prima arrivavano al seno, ora arrivano cinque centimetri (o poco più) sotto le spalle. Ben dice che sto bene, che valorizzano il viso, ma io amavo i miei capelli lunghi. Non so come quelle due vipere abbiano fatto, ma hanno pure aggiunto dei riflessi ramati che sembrano davvero naturali. Mi hanno poi infilata in un lungo abito nero, con la schiena ricoperta solo di un leggero pizzo che ricopriva anche le maniche. Era bellissimo, ma io sono goffa per natura, e, per di più, mi hanno messo dei tacchi. Dei tacchi! E non dei tacchi qualsiasi: delle costosissime scarpe con un nome impronunciabile che assomiglia tremendamente al nome di un cane cretino, nere, in velluto, fastidiose come non mai.
Ma questo non bastava, ovviamente. Speravo che Ben, dal lato opposto dell’atelier di Iris, avesse subito le medesime torture medievali, ma no, lui era impeccabile, come sempre, con i capelli all’indietro, senza barba – dio, io amavo la sua barba incolta! – con una camicia su misura, una giacca e dei pantaloni scuri. E io ero stata costretta anche a mettere il rossetto. Rosso!
Ora rido, ma ieri sera, ieri sera è stata una vera tragedia. Prendo un giornale a caso e decido di leggerlo.
Ben Barnes, reso celebre dal ruolo del principe Caspian, ieri sera ha fatto la sua comparsa alla cena di beneficienza di Emergency in tutto il suo splendore, portando fieramente il suo fascino tenebroso. Per una volta, però, gli occhi non erano puntati tutti su di lui, bensì sulla sconosciuta bionda dai tratti dolci che il nostro principe teneva per mano.
Sotto, una foto. Ben sorride con aria esperta, mentre io piego appena gli angoli della bocca. Scuoto la testa e prendo un altro giornale.
Ben vestirà i panni di Dorian Gray, l’uomo che vendette l’anima al diavolo, prossimamente. Ci si aspettava che Barnes si presentasse solo, come ha sempre fatto, ma ieri sera ha stupito tutti, portando con sé una fascinosa bionda …
“Fascinosa, certo.” ironizzo. Ne prendo un terzo.
… chiunque sa che Barnes non ha mai rivelato nulla riguardo la sua vita privata: allora, chi è la bionda che ieri sera lo affiancava con aria solenne? I due hanno raccontato di essersi conosciuti a Seattle, dove lei lavora e dove lui e Jack, suo fratello, spesso passano il tempo.
Ben scende le scale con aria assonnata. “Buongiorno.” Mi saluta.
Io riemergo dai giornali. “Siamo il nuovo gossip dell’Inghilterra, Barnes.” Grugnisco.
“Parker ha detto di non leggerli tutti, Julie.”
“Allora perché li ha mandati?” domando, irritata, mentre lui apre il frigo e si versa un bicchiere di latte freddo. Non capirò mai, mai come fa a berlo.
“Per farci capire la portata delle notizia.”
“Tu non leggi mai le notizie che ti riguardano?” domando, curiosa. Lui scuote la testa. “E ti sei mai cercato su Google?” lui nega, di nuovo. “Beh, io l’ho fatto.” Ammetto.
Lui mi guarda, divertito. “Ah si? E che cosa c’è scritto?”
“Il primo risultato è ‘Ben Barnes nome fidanzata’. Fidanzata, Ben.” Scandisco con schifo la parola.
“Siamo inglesi strafottenti e prevedibili senza vie di mezzo. Non ti preoccupare, non ho intenzione di chiederti di sposarmi, anche se sicuramente quei giornali dicono questo.” Mi accarezza la nuca. “Sei più tranquilla?”
“Dov’è Nikki?” domando, sulla difensiva. Nicole si alza sempre tardissimo, e sono quasi le undici.
Ben sorride. “Non ne ho idea.”
“Tu menti.” Lo accuso.
“No, tesoro.” Risponde lui, sorridendo.
“Non chiamarmi tesoro.” Prendo il primo oggetto che trovo (un cucchiaio di legno) e glielo punto contro. “Dove è mia sorella, Benjamin?”
“Non te lo posso dire, Julie.” Risponde lui, con tono più sincero.
“Ben. Ti metterò questo cucchiaio dove non gradirai.”
“Smettila di essere così protettiva verso di lei, non è più una bambina.”
“Non dirmi come devo comportarmi con mia sorella, piuttosto, dimmi che non è con Jack.”
“Che hai contro mio fratello, si può sapere?!” domanda lui, irritato.
“Nulla, gli voglio bene. Sono solo contraria al modo in cui cambia donna come cambia i calzini.”
Lui prova a rispondere, ma il suono del mio telefono lo precede. Lo afferro e leggo il nome di Izzie Stevens.
“Izzie?” dico, rispondendo. Guardo l’ora sull’orologio da parete che Ben tiene in cucina. Sono le dieci del mattino, a Londra.
“Carino il vestito.” Esordisce lei, con una voce euforica che non le appartiene.
“Izzie, sono le due del mattino, a Seattle.” Le ricordo.
“Si, ma tu e Ben siete su internet! Si parla di matrimonio, qui, Julie!”
“Izzie, vai a dormire.”
“No, non ho sonno!” la sento addentare qualcosa. “Piuttosto, com’è trovarsi davanti a tanti fotografi?”
“Izzie, quanto è che non dormi?”
“I flash ti accecavano? Nelle foto sembri un po’ rigida!”
Sospiro. “Izzie, calmati. Ti ho chiamata mille volte, e non mi hai degnata di una risposta.”
“Sto bene, Julie.” Risponde lei.
“E perché non stai dormendo?”
“Aspettavo la notizia del fidanzamento.”
Non è un fidanzamento. E poi, comunque, non potevi sapere della cena.” Ben mi passa davanti, facendomi una boccaccia. “Vorrei sapere come stai.”
“Sto bene, Julie.” Ribadisce lei.
“Tu non stai bene, Izzie!” strillo. “Cazzo, Danny mi aveva chiesto di essere la vostra testimone, Isobel Stevens, ed è morto. Sto malissimo io, e non voglio immaginare come starai tu!”
Izzie esita, qualche secondo. “Sono rimasta stesa sul pavimento del bagno per qualche giorno, aspettando di morire anche io. Meredith e George mi hanno convinta a rialzarmi. Sono stata cacciata dal lavoro, non riesco a piangere, faccio dolci tutto il giorno aspettando che Meredith e George tornino. Mi manca, mi manca come l’aria, ma non posso farci niente. Le foto su internet … mi hanno aiutata a distrarmi, a ridere, a gioire per voi. Voi vi amate, ed è … bellissimo.”
Sull’ultima parola, sospira. “Sei forte, Izzie.” Le dico, mentre Ben si siede sul divano accanto a me. “E lui ti amava.” Ben mi bacia la spalla, scostando la felpa. “So quanto possa fare male perdere la persona più importante per te, Izzie, davvero. Conosco il vuoto che hai nel petto, ci ho convissuto per anni. L’importante, tesoro, è che tu non permetta che quel vuoto ti oscuri la vita: sarebbe la cosa peggiore da fare.”
“E tu che hai fatto?” mi chiede, dopo un po’.
“Ho sposato l’uomo sbagliato e – Ben, mi fai male! – ho detto al ragazzo del mio amico di fare ciò che non avevo avuto il coraggio di fare io: gli ho detto di scappare.”
“Dovrei scappare, Julie?”
“No!” rispondo, subito. “Non ripetere i miei stessi errori, dannazione. Io avevo lasciato che il vuoto mi riempisse la vita, ed è esattamente ciò che non devi fare tu.”
Izzie sospira. “Siete belli, nella foto.”
“Eh, certo.” prima che io possa aggiungere altro, la serratura scatta. “Scusa, Izzie, devo ammazzare mia sorella. Ci sentiamo più tardi.” Attacco e scatto in piedi. “Nicole Elisa Martin!” sbotto.
Lei alza gli occhi al cielo. “Oh, Ben! Avevi detto che avresti tenuto il segreto!”

La casa di Ben ha questo piccolo, magico terrazino sopra al tetto. Nessuna delle altre case ce l’ha.
Personalmente, lo trovo meraviglioso. Seriamente. Lì vedo tutti e tutto – i camini che fumano, gli autobus che passano, i bar con le insegne dai colori sgargianti – ma nessuno può vedere me, una bionda furiosa che porta il giaccone sopra al pigiama, seduta a gambe incrociate al limite tra terrazzo e tegole, con un sigaretta in bocca e troppi pensieri per la testa.
Sento chiaramente che Ben è in piedi dietro di me. Sento il suo respiro, sento i suoi occhi nella schiena. Non so cosa si faccia lì, ma mi sembra quasi di sentirlo pensare.
Nicole mi ha appena urlato contro che non posso avere il controllo sulla sua vita, che può uscire con chi le pare e poi ha detto una cosa che non avrebbe mai dovuto dire. Ha detto ‘parli proprio come la mamma’. Lo ha detto apposta, perché io e mia madre non potremmo esse più diverse.
“Sai a che sto pensando?” mi dice la voce di Ben.
“No.” rispondo, senza voltarmi.
“Che la gente ha un sacco di paure idiote.” Si siede accanto a me. “Ma io non conosco le tue.”
Scuoto la testa, sorridendo. Ben ha il potere di cambiarmi l’umore.
“Se te lo dicessi, mi prenderesti in giro.” Dico.
Lui si perde a guardare i tetti di Londra. “Ma non è vero.” Mi dice. “Non potrei mai.”
“Okay.” Rispondo, sorridendo. “Allora dimmi la tua paura idiota.”
Lui sembra pensarci su. “I semafori.” Ammette.
“I semafori?”
“Si, i semafori.”
“Ma smettila. Tu guidi da una vita.”
“Faccio strade senza semafori.”
“E nelle città nuove come fai?”
“Faccio guidare Jack prima.”
Sorrido e butto fuori il fumo.
“Tocca a te.” Mi annuncia.
“Promettimi che non riderai.”
“Lo prometto!” esclama.
“Io ho paura degli aghi da prelievo. E del buio.”
Osservo curiosa la reazione di Ben. Si osserva le mani, sorridendo, mordendosi un labbro.
“Su, ridi.” Lo invito. “Lo so che fa ridere.”
“No, non …” ma non riesce a trattenersi e scoppia a ridere. Riempie la noiosa routine del rumore delle macchine che passano con la sua risata che mi riempie il cuore di cose belle. “Dannazione, Julie!”
“Che c’è?”
“Sei un medico! Un medico che ha paura degli aghi!”
“E del buio.”preciso, facendo l’ultimo tiro con la sigaretta. “Tu sei un attore e hai paura dei semafori.”
“E dei clown.” Aggiunge, distogliendo lo sguardo.
“I clown?” chiedo, sorridendo.
“I clown.” Conferma.
“Io li trovo simpatici.”
“Nah, sono terrificanti!”
“Okay.” Dico. “Due a due.” Butto la sigaretta. “Nicole è ancora chiusa in bagno?”
Lui scuote la testa. “Senti, io credo che tra lei e Jack potrebbe esserci una bella amicizia.”
“Lei tornerà in Italia tra poco. Se dovesse dire a sua madre che si è innamorata di un inglese, fratello del mio ragazzo, farebbe la stessa mia fine.”
Mi rendo conto di avere detto una cosa nuova nel momento in cui pronuncio l’ultima parola.
“Ed è per questo che non torni a casa?” si limita a dire lui.
Io guardo Londra. “Ben?”
“Si?”
Londra è grande, quasi quanto il cuore di Ben. Londra è trafficata, come le nostre vite. Londra è rumorosa, come la mia testa. Ma Londra è anche bellissima, come lui e come noi.
“Sarebbe comunque troppo presto per dirti che casa mia sei tu, vero?”

“JACK!” strillo. “So che sei in casa. C’è il camino acceso!” picchio il pugno sulla porta.
“Jack!” mi aiuta Ben. “Jack, aprici, dannazione!”
“Jack, so che Nicole è lì. Di nuovo!” Aggiungo. “E giuro che vengo in pace.”
In quel momento, la serratura scatta. La porta si apre e mia sorella appare davanti a noi.
“Non urlare.” Mi dice. “Ciao, Ben.”
Io alzo gli occhi al cielo. “Posso entrare?”
“Oh, si.” Mi dice, aprendo di più la porta.
“Chi c’è, cara?” domanda una voce calda.
“Mamma?” chiede Ben, alzandosi sulle punte.
Oh, no.
Prima che possa decidere di scappare, una donna dai capelli grigi e con gli stessi occhi scuri di Ben si affaccia alla porta della cucina e mi osserva. “Oh!” esclama.
“Io scappo.” sussurro, a Ben.
“Troppo tardi.” Mi risponde.
“Tu devi essere Julie!” strilla la donna.
Vorrei dire di no, che in questo momento io sono tutti meno che Julie Martin, non sono io la donna che vive con suo figlio, che ha operato il suo altro figlio e che ha portato sua sorella più piccola a Londra proibendole di avere una relazione con Jack.
Non sono io Julie Martin.
“Tricia, le presento mia sorella Julie!” esclama Nicole.
Piccola bastarda.
La madre dei Barnes si avvicina e mi abbraccia, mentre Ben ride.
“Mamma, ti prego, lasciala andare.” Sento dire da Jack. “E voi due, entrate, o congelerete.”
“Io ero venuta solo a recuperare la piccola fuggitiva.” Annuncio.
“Oh!” esclama la donna, che mi tiene ancora la mano. “Non vi fermate? Sta arrivando Thomas, e …”
“No, signora, davvero non …”
“Tesoro, non darmi del lei! Sono mamma Tricia anche per te!”
Io spalanco gli occhi, mentre Jack si passa preoccupato una mano sul volto, dietro di lei.
Ho smesso di chiamare mia madre ‘mamma’ ancora prima di sposarmi. Per me lei è Valerie, non mamma Valerie.
“Mamma, non stai esagerando?” domanda Ben.
“Nient’affatto!” risponde lei, mettendosi ai fornelli. “Per Anne ero una seconda madre … dovrà essere così anche per lei!”
Tricia è bassa, magrolina, ha un sorriso sincero e ha il tono autoritario della classica mamma inglese che sistema i figli a tavola nella medesima posizione ogni sera, e a cena chiede loro il resoconto della giornata.
Ma no, ci mancava solo questo. Il paragone con la fidanzata morta.
“Mamma.” La richiama Ben. Si avvicina a lei e le posa le mani sulle spalle. “Mamma, ascoltami, ascolta bene perché non lo dirò di nuovo. Julie non è Anne. Magari sembra che le assomigli, per via dei capelli, ma lei non è Anne. Anne se n’è andata. Da tanto, tantissimo tempo. E tu devi lasciarla andare.”
Il sorriso della donna si spegne. La verità, così, cruda, sbattuta in faccia, le fa male. Vorrei dire a Ben di smetterla, ma lui non ha ancora finito.
“Ho amato immensamente Anne, mamma. Davvero. Ed è giusto ricordarla, ma ti prego, non paragonarla a Julie e non farmi una colpa perché sono riuscito ad andare avanti. Non è facile nemmeno per me.”
La donna, tristemente, sposta lo sguardo da Ben a Jack, per poi guardarmi con aria cupa. “Mi … mi dispiace.” Mi dice. “Non era mia intenzione paragonarti a lei, è solo che …”
“Non fa niente.” La rassicuro. “Capisco benissimo.”
Lei mi sorride, e, gentilmente, mi tende la mano. “Rifacciamo, allora. Tricia Barnes, madre di questi due disgraziati.”
“Mamma!” si lamenta Jack.
“Oh, smettila, Jackson! Ogni due mesi sparite e andate a girare il mondo, senza nemmeno telefonarmi se a uno dei due scoprono un tumore!”
Stringo la mano di Tricia. “Julie Martin, colei che ha scoperto il tumore a uno dei due.” Ironizzo. “E l’ho anche tolto.”
“Oh!” esclama di nuovo lei. “Tu sei … voglio dire … tu … lo hai operato tu?!”
Ben sorride. “Sì, mamma: te l’ho detto per telefono.”
“Ma … non l’avevo ricollegata! Voglio dire, lei … non è contro le regole mettersi con un parente del paziente?!”
Ben sta per fermarla, ma io gli faccio segno con una mano che va bene così. “Teoricamente, signora Barnes, è contro le regole avere rapporti non professionali con il paziente, non il familiare. E quando Ben e Jack sono arrivati in ospedale, io non li conoscevo.”
“Disgraziati! Non mi avete detto nemmeno questo!” strilla lei. “Che figura avevate intenzione di farmi fare?”
“Nessuna, mamma.” Risponde Jack.
“Non avresti dovuto conoscerla.” Aggiunge Ben. “Perché è ancora presto.”
“No, no, anzi: tuo padre sarà qui nel giro di pochi minuti, e …”
“No, mamma, intendevo che era presto per parlarti di Julie. Noi eravamo solo venuti a recuperare Nicole.”
Improvvisamente, il sorriso della donna si spegne. E la mia mente è attraversata da un pensiero spaventoso.
Ben non merita di allontanarsi dai suoi genitori a causa mia.
“Quindi … non vi fermate, per pranzo?” domanda Tricia.
“No, mamma.” Rispose lui secco. “Torniamo a casa.”
Io gli poso una mano sul braccio. “Non fa niente, tesoro.” Improvviso. “Possiamo certamente fermarci con la tua famiglia.”
Lui mi guarda con aria stupita, mentre Jack ride e Nicole si porta una mano alla bocca. Nessuno, a quanto pare, se l’aspettava.
Dopo qualche secondo, Ben sorride e mi fa segno di girarmi e, come un vero gentiluomo inglese, mi toglie il giaccone, mentre sua madre inizia a raccontarmi che ‘il tuo Benjamin, da bambino …’

“Spiegami perché diamine lo hai fatto, Julie.”
Ben, seduto sul divano, mi da le spalle. Il suo tono è calmo, ma quasi arrabbiato.
“Fatto che cosa?” domando, sedendomi su uno sgabello del bancone della cucina.
“Perché ti sei voluta fermare a pranzo da Jack? Perché hai dato corda a mia madre?”
Abbasso la testa. “Stavi per deluderla. A causa mia. E non te l’ho voluto permettere.”
“Non la stavo per deludere.” Si alza e si volta, fissandomi con quei grandi occhi scuri.
“Stavi per allontanarti da lei a causa mia. Passa mesi senza vedervi, Ben, aveva bisogno di …”
“E tu?”
“Io cosa?”
“Tu quanto tempo è che non vedi tua madre?”
Io mi irrigidisco. “Non stiamo parlando di me, Benjamin.” Rispondo fredda.
“Ah, giusto, perché i tuoi genitori rientrano nelle mille cose di te che non mi hai mai detto, giusto?” ringhia.
“No, dannazione, Ben, è diverso!”
“Perché? Perché non mi hai mai parlato di loro?!”
“Perché stiamo cambiando argomento? Stavamo parlando della tua, di madre, che vi ama, vi vizia, vi …”
“Non nasconderti dietro un dito, dottoressa: hai passato due ore con i miei genitori, mentre io della tua famiglia non so nulla.”
“Non c’è niente, niente da sapere!” strillo, in risposta, ruotando attorno al bancone. “Cosa vuoi sentirti dire?”
“Perché non parli mai di loro? Perché il tuo unico legame con loro è Nicole? Perché non torni a casa?”
“Casa mia è a Seattle, è qui, è con te, non con loro.” Replico.
Lui si passa una mano sul viso. “Loro sono la tua famiglia.”
“No.” rispondo. “Loro mi hanno voltato le spalle, Ben, e questo una famiglia non lo fa.”
“Oh, e li hai abbandonati per questo? Per un litigio, perché non ti hanno aiutata?”
Io mi faccio seria. Questo è un argomento delicato, dico, di solito. Normalmente volterei lo sguardo e cambierei argomento. Ma come faccio? Lui è Ben, e lui mi ama. Non si merita che io abbassi lo sguardo. La verità, è che le accuse di mia madre, gli sguardi furiosi di mio padre e il pianto di Isabelle mi bruciano ancora dentro. E quando sono agitata, sogno ancora mio padre seduto su quella poltrona di pelle che mi dice che lo avevo profondamente deluso, e che mai si sarebbe ripreso.
“Non parlare di ciò che non sai, Benjamin.” Rispondo, a bassa voce.
“Sono cose che dovrei sapere, invece. Non so nemmeno il tuo secondo nome!”
“Oh, siamo di nuovo sulla storia del secondo nome?! Mi chiamo Julie Bernadette, e personalmente lo odio.”
“Okay, ora dimmi dei tuoi genitori!” urla lui. “Dimmi perché hai rinunciato alla possibilità di avere una famiglia da cui tornare.”
“Sono stati loro, Ben.” Interviene la voce di Nicole. “Sono stati loro a rinunciare a lei.” Scende le scale e si posiziona accanto a me. “Lei non ne parla, e ha i suoi motivi. Sono stati loro, a cacciarla.”
“Cacciarla?” domanda Ben, posando le mani sul bancone.
“Cacciarmi.” Ripeto. “Perché ho detto loro che io e mio marito avevamo deciso di separarci. Sono rimasta il tempo necessario per sistemare un paio di cose e firmare qualche carta, poi ho cercato l’ospedale più lontano che mi prendesse a tempo indeterminato. Ti basta?”
“Tuo marito dov’è, dove vive, come si chiama, lo senti, ogni tanto? Lo amavi? Che ne pensa lui del bambino che avete perso? E tu, ci pensi mai?” Ben sembra un rubinetto stappato, e io mi ritrovo a chiedermi da quanto tempo si tenesse dentro tutte queste domande.
“Si chiama Damiano, ha la mia età, ci siamo conosciuti fuori dall’università, perché io gli sono andata addosso e gli ho fatto cadere tutti i libri. Non so se lui ci pensa, a Manuel, a nostro figlio, ma non passa giorno senza che ci pensi io, senza che io mi chieda come sarebbe la mia vita se adesso avessi un bambino di sei anni. Mi chiedo anche se mi ameresti lo stesso, Ben, se mi avessi trovata con un figlio che rappresentasse un passato concreto. E si, io e Damiano ci sentiamo, a volte: auguri di Natale e del compleanno, oppure mi scrive per dirmi che due nostri amici hanno avuto un bambino o si sono separati, o che il nostro professore universitario è morto. Siamo due persone si sono volute bene, in ogni caso!” Rispondo, secca. “Vive ancora nella nostra vecchia casa, con quella che allora era la sua amante, ed ora è sua moglie.”
“Amante?” chiede, sempre più shockato. “Ti ha tradita?”
“Lo ha sempre fatto. E io l’ho sempre saputo.” Sorrido. “Ma le corna bisogna saperle portare.” Aggiungo, fiera.
“E non hai mai pensato di risolvere tutto, di portare avanti il tuo matrimonio?”
“Con un uomo che non amavo più, una famiglia che mi manipolava e un figlio appena sotterrato? A che pro?”
“Salvare la tua vita.”
“La mia vita non meritava di essere salvata per continuare a stare male, Ben.”
“Allora hai mandato all’aria un matrimonio?”
“Perché sei così fissato con il mio matrimonio?” chiedo, esasperata. “Ero giovane, incosciente, e lui mi faceva sentire una principessa, mi aveva promesso un grande futuro e io ci sono cascata con tutte le scarpe. Non mi amava, non come io ho amato lui, comunque.”
“E mi amerai mai come hai amato lui?”
Io lo osservo, per qualche secondo. “Il punto non è se amerò mai te come ho amato lui, Ben. Il punto è che non ho mai amato nessuno quanto amo te ora.”
   
 
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