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Autore: Adeia Di Elferas    13/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Federico da Montelfeltro si era spento il dieci settembre del 1482, a pochi giorni di distanza da Roberto Malatesta.
 La morte di Montefeltro, al comando delle truppe Ferraresi fino all'ultimo momento, gettò Ercole d'Este in uno stato di inquietudine che non conosceva da molto tempo.
 Al sud sapeva che Napoli, sua alleata per motivi matrimoniali, era in seria difficoltà e che anche la dipartita di Roberto Malatesta – che aveva fatto miracolosamente in tempo a dettare il testamento a Raimondo Malatesta, proprio sul letto di dolore, lasciando la propria signoria al figlio Pandolfo – non aveva fiaccato poi molto le truppe papale, che continuavano a raccimolare terreno, strappandolo dalle mani del Duca di Calabria.
 E ora, al nord, laddove faceva più male, era venuto a mancare il caro Federico, proprio nei giorni in cui Ferrara cominciava a ottenere qualche vittoria degna di nota.
 Ercole si vedeva costretto a un'azione che aveva fino a quel momento rimandato. Temeva di non essere più in grado di sostenere una guerra tanto dispendiosa e le truppe veneziane parevano ogni giorno più numerose e agguerrite.
 Così, quella sera, solo nel suo studiolo, Ercole d'Este prese carta, penna e inchiostro e scrisse una missiva diretta a Ludovico Sforza, reggente di Gian Galeazzo Sforza, futuro Duca di Milano.

 Ludovico stava congelando nelle stanze fredde e austere del Palazzo di Porta Giovia. L'estate era appena terminata, ma l'inverno sembrava assai agguerrito.
 La pianura padana, a quel che si diceva, languiva da giorni coperta da nebbia ghiacciata e non pochi contadini prevedevano a breve di avere i campi coperti di neve.
 Nemmeno Milano era messa meglio. Anche quel pomeriggio, scuro, uggioso e nebbioso, quando arrivò un messo da Ferrara, il clima era del tutto invernale.
 Ludovico ringraziò il messaggero e lo congedò. Chiamò a sé il suo consigliere e insieme si ritirarono in una delle stanze più piccole, per leggere con calma la lettera scaldati dal fuoco.
 Con le dita intirizzite e il fiato che sollevava nuvolette di condensa, Ludovico cominciò a snocciolare le parole scritte da Ercole d'Este in persona. Gli faceva un chiaro riassunto della situazione e lo pregava di ricordarsi il suo fidanzamento con una Este.
 “Dunque?” chiese il consigliere, accavallando le gambe, nel tentativo di scaldarsi un poco.
 Ludovico fece spallucce e si schiarì la voce, agitando il pezzo di spessa pergamena davanti al camino: “Ercole ha una buona visione d'insieme, e credo che una tregua sarebbe utile, soprattutto in vista dell'inverno che sta arrivando.”
 Il consigliere annuì, d'accordo su tutta la linea, e aggiunse: “Dunque non resta che contattare Napoli.”
 “E Firenze.” intervenne Ludovico, che da molto tempo coltivava l'amicizia di Lorenzo Medici: “Anche loro devono essere coinvolti. Lorenzo nutre troppi sospetti verso il papa per restare indifferente a questa situazione. Sfrutteremo la sua sete di vendetta per far paura a Roma.”
 Il cancelliere sorrise e fu scosso da un piccolo brivido: “Se non c'è altro, mi ritiro nelle mie stanze. Qui fa davvero troppo freddo...”

 Quella mattina faceva freddo anche a Roma. Caterina era uscita presto, sola con un paio di soldati, e aveva cavalcato fin quando il sole era stato alto in cielo.
 L'azzurro pallido macchiato solo da qualche piccola e sfilacciata nuvola la sovrastava e sotto gli zoccoli del cavallo c'era solo erba spenta e mezza bruciata dalla gelata di quella notte. Sì, a Roma c'era stata una gelata.
 Quando rientrò in Vaticano, Caterina aveva il volto scarlatto, freddo come un pezzo di ghiaccio e il cuore pesante, perchè da quando aveva saputo della morte di Federico da Montefeltro aveva cominciato a temere una scesa in guerra di Milano.
 Benché la sua fortuna ormai dipendesse solo da Roma e da Girolamo Riario, non avrebbe potuto sopportare l'idea di una guerra aperta con suo zio Ludovico. Era stata invitata, la sera prima, a presentarsi da Sisto IV il prima possibile, per discutere della spiacevole situazione che si stava creando.
 “Dov'è il Santo Padre?” chiese a uno dei servi, non appena fu al chiuso.
 “Lo trovate nella Cappella, mia signora.” rispose il ragazzo, con un profondo inchino.
 Caterina lo ringraziò e si diresse verso la Cappella che Sisto IV aveva voluto far costruire qualche anno addietro. Era il suo orgoglio e la sua passione e quando era molto pensieroso aveva l'abitudine di ritirarvisi a pensare. Era finita da pochi mesi e da qualche settimana erano cominciati i lavori di affrescatura, anche se il papa non aveva ancora deciso a quale artista affidare la decorazione del soffitto, a suo dire la parte più importante della cappella.
 “Caterina...” l'accolse il papa, distogliendo la sua attenzione per un attimo dalla parete e dedicandosi alla giovane: “Eravate fuori?” chiese, mentre il suo fiato disegnava una sottile ragnatela di vapore in aria.
 Caterina annuì e, sfregandosi le mani l'una nell'altra per scaldarle un po', chiese: “Notizie da Ferrara o da Napoli?”
 “No, ma da Milano e Firenze sì.” rispose Sisto IV, allacciandosi le mani dietro la schiena e facendo vibrare il lungo naso: “Vostro zio Ludovico, e anche Lorenzo Medici, sì, entrambi suggeriscono, per così dire, di permettere ai soldati una tregua degna di questo nome. A quanto pare stiamo andando incontro a un inverno fuori dal comune e non stento a crederlo, e questa straordinaria condizione climatica ci fornirebbe un pretesto per interrompere le ostilità. Così, forse, riusciremmo anche a spegnere gli animi dei Colonna e degli Orsini, che minacciano di continuo di mettere a ferro e fuoco Roma pur di annientarsi a vicenda.”
 “Ma così facendo le sorti della guerra sarebbero incerte.” fece notare Caterina, che avrebbe desiderato più di ogni altra cosa un fuoco acceso.
 “Quale guerra non ha un esito incerto?” ribatté Sisto IV, senza la minima traccia di allegria, malgrado il sorriso che increspava le labbra screpolate.
 Caterina cercò di ragionare lucidamente. Sia Milano sia Firenze invogliavano il papa a dichiarare una tregua. Due città che teoricamente non avevano preso parte attiva a nessuno scontro ora volevano decidere le tempistiche della guerra.
 “E Ferrara? È ancora assediata? Non conviene sapere come andrà a finire là, prima di decidere? Se Ferrara cadesse, per noi sarebbe un errore decidere per una tregua al nord.” disse Caterina, prendendo a camminare accanto al papa, pure lei con le mani dietro la schiena.
 “Anche se Ferrara cadesse, e credo che sarà proprio così, la malaria sta falcidiando i nostri uomini, Caterina... Se la guerra dovesse trascinarsi in un inverno particolarmente rigido, potremmo andare incontro a una sconfitta colossale...” scosse il capo Sisto IV.
 “Anche chiedere una tregua su tutti i fronti non sarebbe molto dissimile da una sconfitta.” fece Caterina, mentre nella sua mente si affastellavano idee e si rincorrevano ricordi di vecchi libri che trattavano di diplomazia e guerre combattute su più fronti.
 Sisto IV allargò le braccia e nei suoi occhi un po' umidi Caterina lesse la stanchezza e la vecchiaia, l'incertezza e la paura. Il papa stava scendendo la china e questa consapevolezza la fece pensare più in fretta. Se avessero arginato quella catastrofe, forse, anche se il papa fosse morto, i Riario e i Della Rovere avrebbe avuto qualche alleato a Roma, mentre, in caso di sconfitta netta, nessuno avrebbe più voluto appoggiare quelle due famiglie.
 “Proponete una pace agli Aragonesi, in sede privata, senza coinvolgere nessuno dei loro alleati.” disse Caterina all'improvviso: “Ricordate a Napoli il suo ruolo di appoggio a Roma, ricordate loro che non possono tradire così il loro ruolo tradizionale. Se non volete una pace, basta anche una tregua, ma che sia solo tra voi. Mentre a nord, proponete ai veneziani di interrrompere le ostilità. Non cercate contatto con Ferrara, di certo Ercole d'Este sarà ben contento di vedere i veneziani ritirarsi e non li inseguirà.”
 Sisto IV stava fissando Caterina con gli occhi ridotti a due fessure: “E Milano e Firenze?”
 'Che vadano al diavolo, Milano e Firenze', pensò Caterina, ma nel parlare si trattenne il più possibile: “Loro li estromettiamo. Una pace al nord al momento non avrebbe senso. Ercole ci scatenerebbe contro i suoi alleati pur di firmare una pace che sancisce una sua sconfitta, meglio cercare di placare i veneziani, senza badare al prezzo che chiederanno. Mentre al sud bisognerà giocare sull'amor proprio degli Aragonesi e far capire che vediamo loro e solo loro come signori di Napoli.”
 Il papa stava annuendo molto lentamente, ma anche con molta convinzione: “Non sarà facile far desistere i veneziani – notò – quelli sono come cani randagi: una volta che gli hai fatto sentire odore di carne, non si accontenteranno di un osso.”
 “Fare un tentativo sarà meglio di niente.” contastò Caterina.
 “E per la storia di Orsini e Colonna? Come li calmiamo quelli?” chiese Sisto IV, accigliandosi.
 “Una volta fatto il patto con gli Aragonesi, i Colonna non avranno più la scusa di appoggiare Napoli e quindi non avranno più un motivo esterno a coprire la guerra che stanno facendo agli Orsini. Bene, allora voi perdonate i Colonna e restituite loro i feudi.” rispose Caterina: “Dimostatevi con loro comprensivo, ma deciso. Con gli Orsini siate generoso, fate loro qualche elargizione per la parte che hanno preso nella guerra contro il Duca di Calabria, e teneteli vicini. Per il reso cercate di trattarli in modo equilibrato e con un po' di fortuna la smetteranno di azzuffarsi in ogni occasione.”
 Sisto IV le diede un leggero colpo sulla spalla, in segno di approvazione: “Se solo foste voi sangue del mio sangue e non quel caprone di vostro marito...”
 Mentre lasciava la Cappella costruita da Sisto IV, Caterina avrebbe voluto avere in cuore almeno un briociolo della certezza che aveva ostentato nel dare tanti consigli al papa.
 In realtà nella sua anima si agitava quello che le pareva un demone, che le sussurrava cose terribili e le mostrava le terribili conseguenze che tutto quel sangue sparso nella penisola avrebbe avuto.
 Salendo in fretta gli scalini di marmo, il suo cuore perdeva un colpo ogni tre e la bocca le diventava secca e la lingua impastata. Se il papa avesse fallito, quel tentativo di raddrizzare la rotta si sarebbe tramutato in un naufragio e lei ne sarebbe stata la diretta responsabile.
 

   
 
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