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Autore: Carme93    14/11/2015    1 recensioni
Una nuova generazione alle prese con la propria infanzia ed adolescenza, ma anche con nuove minacce che si profilano all'orizzonte. I protagonisti sono i nuovi Weasley e Potter, ma anche i figli di tutti gli amici che hanno partecipato alla decisiva Battaglia di Hogwarts. Da quel fatidico 2 maggio 1998 sono ormai trascorsi ventun anni...
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Famiglia Dursley, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventunesimo.
La bontà di Tosca

Harry si affrettò nel familiare corridoio del settimo piano, seguito da Ron e da Gabriel. A causa dell’omicidio del pozionista giapponese aveva dovuto rimandare più volte l’incontro con la Preside, ma finalmente quella sera aveva trovato il tempo per recarsi ad Hogwarts. Le indagini purtroppo erano ad un punto morto: i Giapponesi si erano rifiutati categoricamente di farlo entrare nel loro paese. Maledetti testardi! Nella casa di Moki era stato inciso l’uroboro. Si era addirittura sbilanciato fornendo dettagli delle sue indagini per convincerli a collaborare, ma non era servito a nulla. Il risultato era stato che Malfoy l’aveva bandito dal suo ufficio ed era dovuto intervenire anche Kingsley per placare le acque internazionali: i giornalisti di tutto il mondo, aizzati dagli stessi Giapponesi, avevano cominciato a sbizzarrirsi attaccando la Gran Bretagna, affermando che il suo obiettivo fosse quello di intromettersi nei governi degli altri Stati. L’unica cosa che aveva ottenuto era stato l’incontro con un agente speciale giapponese: meglio di niente. In realtà doveva ammettere che lui stesso avrebbe visto di cattivo occhio chiunque avesse tentato di impicciarsi nelle sue indagini, a maggior ragione uno straniero. A sua discolpa poteva solo dire che quello che aveva vissuto combattendo contro Lord Voldermort fosse un deterrente sufficiente a mettersi contro tutti, per la sola paura che il passato potesse ritornare sul serio.
«Harry? Mi stai ascoltando?».
«Scusami, Gabriel. Ripeti per cortesia».
«Ti stavo dicendo che poco prima di uscire Elisabeth mi ha comunicato di aver scoperto da dove provenisse il Neomangiamorte che si è suicidato nel Quartier Generale della Squadra Speciale Magica».
«E me lo dici adesso?».
«E da quando ci siamo smaterializzati che cercò di attirare la tua attenzione» replicò l’altro seccato.
«Giusto, scusami. Ti ascolto».
«Si chiamava Aamil Swain. Quarantacinque anni. Originario dell’isola di Tristan da Cunha. Aveva diversi precedenti penali non solo in patria, ma anche in Sud Africa. Il primo a risponderci è stato proprio il loro Ministero. Il Ministero di Tristan ci ha chiesto la salma a nome della famiglia».
«Tristan? Che posto è?» domandò Ron.
«Tristan de Cunha è un arcipelago dell’oceano Atlantico Meridionale. Il governo babbano è legato a quello di Sant’Elena, a sua volta facente parte del territorio britannico. Il Ministero della Magia, invece, gode di piena autonomia dall’inizio della guerra contro Colui-che-non-deve-essere-nominato: l’allora Ministro della Magia, Harold Minchum, decise di favorire l’indipendenza di quasi tutti i nostri territori oltremare, poiché la situazione qui era già tesa per l’ascesa del Signore Oscuro e sarebbe stato impossibile per chiunque tenere tutto sotto controllo. L’isola principale porta lo stesso nome dell’arcipelago. A differenza di altri territorio con cui vi è ancora oggi un’aperta collaborazione, i rapporti con l’isola, dove risiede tutt’oggi il governo centrale, si sono rarefatti quasi subito. In fondo si tratta di uno degli insediamenti umani più remoti. Per capirci non esistono né porti né aeroporti. Le altre isole che si ricordano sono l’Isola Inaccessibile, l’Isola di Nigthingale e l’Isola Gough…».
«Come fai a sapere queste cose?» chiese Ron esterrefatto.
«Elisabeth mi ha consegnato il rapporto prima di tornare a casa. L’ho lasciato sulla scrivania di Harry».
«Lo leggerò domani mattina», replicò Harry bloccandosi a poca distanza dai gargoyle della presidenza, «C’è altro di importante che devo sapere?».
«Sì, il nostro Ministero ha sempre trascurato i rapporti con Tristan, proprio perché è così lontano. Anche per questo hanno tardato a rispondere alle nostre richieste: non amano aver a che fare con noi. Già prima della loro indipendenza, di fatto si autogovernavano. Ci hanno chiesto la salma ma hanno rifiutato di darci qualunque informazione su Swain».
«E le informazioni che abbiamo da dove vengono?».
«Il Ministero del Sud Africa ci ha inoltrato un identikit. Ci hanno avvertiti che essenzialmente si trattava di un mercenario. Ho già inoltrato una richiesta per poter visionare i suoi movimenti economici. Spero il Sud Africa ci risponda al massimo entro domani pomeriggio. Ho paura però che Tristan non ci risponderà mai e non abbiamo nessun motivo per trattenere la salma né sarebbe moralmente corretto».
Harry sbuffò e poi ordinò: «Prima di tornare a casa, vorrei che chiedessi a Steeval di rafforzare i controlli su tutte le vie di accesso alla Gran Bretagna, babbane e magiche».
«Harry, non penserai davvero che un esercito di mercenari possa entrare nel nostro paese per vie non magiche! Anche i Babbani fanno controlli attentissimi su tutti coloro che entrano nel nostro territorio».
«E se avessero documenti falsi? O se avessero tutte le carte in regola per entrare in Inghilterra? I Babbani non avrebbero motivo di fermarli. E se mettessero le varie guardie sotto Imperius? Non possiamo escludere nulla… Adesso andiamo la McGranitt ci sta aspettando».
«Dai Harry, dì la parola d’ordine. Theo mi aspetta a casa».
«Animagus».
Harry lasciò che gli amici lo precedessero sulla scala a chiocciola e si passò una mano sul viso. Gabriel bussò ed entrò insieme a Ron. Harry capì che quella serata sarebbe stata ancora più lunga del previsto, appena mise piede nel familiare ufficio circolare: Rose ed Albus erano in piedi di fronte alla scrivania della Preside, accanto alla quale stava Neville con volto corrucciato e le braccia incrociate. In un angolo c’era Madama Pince palesemente furiosa. Strinse la mano ai tre adulti, subito imitato dagli amici, e scompigliò i capelli al figlio, che sembrava davvero preoccupato.
«Bene. Signor Potter, signor Weasley fortunatamente avevamo già un appuntamento o avrei dovuto convocarvi appositamente» disse ironica la Preside. Harry lanciò un’occhiataccia a Ron, che aveva assunto un’aria spaventata: il cuor di leone lasciava ad Hermione i colloqui con la Preside, che purtroppo con Rose non erano stati rari in quei due anni e mezzo. Certo una McGranitt ironica spaventava anche a lui. Sospirò e invocò tutta la sua pazienza:
«Che cosa hanno combinato i ragazzi, professoressa?».
«Sono accusati di aver iteratamente sottratto dei libri dal Reparto Proibito della biblioteca».
«Eh?» Harry gettò una lunga occhiata al figlio, il quale evitò accuratamente il suo sguardo. Insomma Albus di solito non dava mai grattacapi a lui e Ginny, soprattutto per quanto riguardava la Scuola. Ora perché aveva deciso di farsi un giretto nel Reparto Proibito? Nemmeno lui, Ron ed Hermione erano arrivati a tanto!
«Hai capito benissimo, Potter. Magari ora che siete qui, si decideranno a darci una spiegazione. I libri sono il De Potentissimis Potionibus, un vecchio diario, che a dire la verità non aveva nemmeno l’Incanto Antifurto, e Maledizioni e contromaledizioni del professor Vindicatus Viridian».
Harry capì di dover intervenire o veramente quella serata non sarebbe mai finita, e lui non desiderava altro che ritornare a casa da Ginny: «Albus a che cosa vi servono questi libri? Lo sai vero che si tratta di roba oscura?».
«Sì, lo so», rispose lui giocherellando con i piedi ma a nessun sfuggì la rapida occhiata che gettò alla cugina, «Il diario non parla di magia oscura, credo. Comunque non ci servono a nulla».
«Ah, no? E perché mai li avreste presi dalla biblioteca allora?».
«Eravamo solo curiosi, zio» replicò Rose.
«Ma curiosi di che?», si spazientì Harry, «Potrei anche capire che eravate curiosi di entrare nel Reparto Proibito, ma non certo rubare libri del genere! Pensavate di leggerli prima di andare a dormire? Vi abbiamo ripetuto un milione di volte di stare lontani dalla Magia Nera! È possibile che facciate sempre di testa vostra?».
«E dai Harry, non esagerare. Erano solo curiosi. Lo sai che Rosi ha l’intelligenza vivace di Hermione ed è normale che le normali nozioni, che vengono spiegate a lezione non sono sufficienti per lei… senza offesa Neville, s’intende» s’intromise Ron.
«Ron, sul serio mi dispiace contraddirti, ma Rose avrà pure l’intelligenza vivace di Hermione ma non la usa certo per applicarsi a Scuola. Non so che cosa faccia con i miei colleghi, ma a me non consegna i compiti da due settimane. Quelli delle vacanze li ha palesemente copiati da Albus».
«Comunque Ron fa quello che vuoi con Rose, ma io non ho intenzione di giustificare Albus. Ha solo tredici anni, non avrebbe dovuto nemmeno avvicinarsi al Reparto Proibito e men che mai di nascosto» aggiunse Harry, lasciando a Neville lo sgradito compito di aprire gli occhi all’amico sulla figlia.
«Io non ho mai messo piede nel Reparto Proibito» bofonchiò Albus, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Zio Ron completamente rosso in volto e tutti gli altri lo fissarono e lui ricominciò a giocherellare con i piedi ancora più nervosamente.
«Potter, quei libri sono stati ritrovati nella tua stanza» disse la Preside, ma Albus non replicò.
«E va bene o penso che mi sentirò in colpa per un sacco di tempo», sbottò Rose, «I libri si trovavano nella stanza di Al perché ce li ho portati io. Volevo che li leggessimo insieme, ma Al è nervoso in questo periodo e abbiamo litigato. Così siamo stati presi di sorpresa dall’ispezione del professor Paciock e della professoressa Spinnet. Sono stata io ad entrare nel Reparto Proibito e io ho preso i libri».
«E di grazia quando l’avresti fatto? Controllo sempre con la massima attenzione che nessuno si avvicini al Reparto Proibito» domandò con tono minaccioso Madama Pince.
«Di notte» ammise Rose rassegnata.
«Non ho parole» si limitò a dire la McGranitt. «Potter puoi andare».
Albus tentennò, non voleva lasciare sola la cugina. Harry si avvicinò a lui e gli diede un buffetto bonario: «Su, obbedisci alla professoressa. Rose se la cava fin troppo bene da sola». Lui obbedì e solo quando fu uscito Madama Pince riprese la parola: «Il libro di Pozioni ha diverse pagine strappate ed è stato visibilmente maltrattato…».
«È solo caduto a terra e non manca nessuna pagina» sbuffò Rose.
«SOLO CADUTO A TERRA?! PROFANATRICE… IO…».
«La prego, Madama Pince…».
«Preside a me non interessa chi dei due ragazzi sia il colpevole, pretendo che qualcuno si addossi le spese del restauro del libro! Mi sembra il minimo per il loro comportamento! È una stampa del ‘700!».
«Io non ho intenzione di pagare nessun restauro» esclamò Rose. «Sta solo cercando una scusa per farlo restaurare a spese altrui!».
«COME OSI?!».
«Ora basta» la voce bassa ed irata della Preside sembrò sufficiente a mettere a tacere le due.
«E comunque», ricominciò, invece, Rose quasi immediatamente beccandosi diverse occhiatacce, «Il libro l’ha lanciato Al. Zio devi far controllare tuo figlio. Ha attacchi isterici ultimamente. Tipo scenate da prima donna».
Harry guardò il suo migliore amico, ma quest’ultimo non sembrava in grado di imporsi sulla figlia. Sospirò: purtroppo avevano cose più importanti delle bravate e dei litigi di due ragazzini.
«Madama Pince, professoressa McGranitt vi assicurò che pagherò il restauro del libro. La pregherei adesso, se non vi è altro che riguarda i nostri figli, di passare al motivo per cui le ho chiesto più volte di incontrarci. Purtroppo la situazione è molto delicata, quindi la prego di non pensare che non mi interesso del comportamento di mio figlio. Al momento, purtroppo, le circostanze mi impongono un comportamento che rispetti la mia posizione nei confronti del Ministero e non della famiglia».
La McGranitt sbuffò: «Potter non la fare troppo lunga, comprendo benissimo. Weasley vai, alla tua punizione ci penserà il professor Paciock. Madama Pince, la prego di andare anche lei e le assicuro che le sue richieste saranno esaudite…».
«Vorrei che ai due ragazzi venisse precluso l’ingresso alla biblioteca per un tempo indeterminato» la interruppe l’altra.
«E chi ci entra» esclamò Rose.
Neville la fulminò con lo sguardo e poi si rivolse alla bibliotecaria: «Garantisco io per i miei Grifondoro. La prego di non vietare l’ingresso ad Albus: qualora riscontrasse un comportamento scorretto da parte sua, le assicuro che sarò il primo a prendere provvedimenti».
«Come vuole, ma lei non la voglio più vedere» acconsentì la donna additando Rose.
«Sarà un piacere reciproco» rassicurò la ragazzina.
«WEASLEY! Vattene nel tuo dormitorio» disse irata la Preside. Quando finalmente Rose e Madama Pince lasciarono l’ufficio, la Preside si rivolse a Neville: «Ti prego, lasciami sola con gli Auror».
«Naturalmente, professoressa. Vorrei solo dire una cosa ad Harry riguardo ad Albus».
«Che ha fatto?».
«Nulla, Harry. Ma al di là del modo di esprimersi di Rose, credo che Albus sia turbato da qualcosa: non dorme bene, non hai visto il suo volto? Ha le occhiaie da giorni. L’ho sollecitato più volte a dirmi quale siano le cause. Lui mi ha risposto che ha scelto troppo materie e sta cercando di stare al passo con tutte, ma mi ha mentito. Si vedeva lontano un miglio. È sempre più distratto anche in classe e non è da lui. Se continua così lo costringerò ad andare da Madama Chips».
Harry si tolse gli occhi e si passò una mano sul volto: «Sono giorni che rientro tardi a casa. Non ho neanche letto le sue ultime lettere; ha sempre risposto Ginny da sola. Non vi nascondo che questa situazione mi preoccupa da morire. I Neomangiamorte sono ben organizzati ed hanno qualcuno che li comanda. E questo qualcuno ha soldi e potere. Ne sono sicuro: non tutti potrebbero permettersi dei mercenari. Aumenteremo le protezioni al Castello, Kingsley ci sta già lavorando e verrà personalmente nei prossimi giorni e gli uomini stanziati ad Hogsmeade sono stati notevolmente aumentati. Ti prego Neville dà tu uno sguardo ad Al e vedi cosa lo turba. Io gli scriverò domani, ma lui non mi darà mai spiegazioni via gufo».
Neville annuì e si congedò.
«Allora Potter, andiamo al dunque. Sei venuto a parlarmi di Samuel Vance, sbaglio?».
«No, non sbaglia. Immagino che Teddy le avrà già raccontato che cos’è successo l’ultimo giorno delle vacanze».
«Sì, l’ha fatto. Ho già avvertito il professor Mcmillan: se qualcuno scriverà di nuovo al bambino ne saremo subito informati e te lo comunicherò».
«Sia lei che la direttrice Flan eravate al corrente che qualcuno scriveva al bambino. Perché non ne sono stato informato e soprattutto perché l’avete permesso? Non ha altri parenti oltre la zia. Era logico che la madre non potesse scrivergli».
«Ascoltami bene Harry. Ho parlato della lettera di Cassiopea solo con te e con Neville. Non so perché la Flan fosse convinta che la donna si trovasse all’estero, forse ha incontrato Bellatrix, o chi per lei, e le è sfuggito durante il nostro incontro; ma in quel momento non ho reputato importante dirtelo. Devo ammettere che ero abbastanza seccata dal modo in cui vedo vengono educati i bambini in quel posto. Dubito che Cassiopea abbia mai parlato con la donna. Era in fuga e ha lasciato il bambino davanti all’orfanotrofio senza molte spiegazioni. Non so dirti se Samuel avesse una lettera con sé quella sera, non ho ritenuto di dover trattare l’argomento con la direttrice Flan. Inoltre credo che Cassiopea abbia cancellato alcuni dei ricordi di Samuel per proteggerlo. Come hai potuto costatare tu stesso, il bambino non sapeva nulla di Emmanuel, però lui il padre lo conosceva anche se lo vedeva raramente. È stata una mia incoscienza non dirti che cosa la donna e Samuel mi avessero detto quel giorno, lo ammetto. Sappi, però, che non tutti i parenti di Samuel sono morti. Probabilmente anche questo mi ha tratto in inganno. Non mi riferisco ad Emmanuel. La nonna paterna dopo l’arresto del figlio ha lasciato il paese e nessuno sa dove sia andata; ma sono sicura che è viva. Harry cercala e restituisci un pezzetto di famiglia a Samuel. È inutile continuare a nasconderlo come ci hanno chiesto Emmanuel e Cassiopea. Bellatrix ormai sa dove trovarlo».
«Va bene troverò la nonna e ho convinto Hermione a far in modo che vengano concessi gli arresti domiciliari ad Emmanuel» replicò Harry.
*
«PACIOCK!».
Frank sussultò e si voltò verso l’uomo che l’aveva chiamato: «Sì, signore?».
«Che cosa vi costa a voi ragazzini di pulirvi le scarpe quando rientrate al castello?», sputò con rabbia Lorentz indicando una striscia di fango lasciata da un gruppetto di Serpeverde lungo il corridoio, «Io sono un magonò! Forse voi siete abituati così a casa vostra perché le vostre mamme agitano la bacchetta e puliscono tutto. Non avete rispetto per chi lavora! Gazza ormai arranca per spostarsi di un metro con quella stupida gatta, che perde peli in continuazione! E Licory, bello quello, quando c’è da sgobbare non si trova mai! Bella la gioventù di oggi! Ma non avete ritegno?».
Frank ascoltò la predica in silenzio ed intimorito. Non capiva perché se la prendesse tanto con lui, insomma le sue scarpe erano perfettamente pulite; non ci aveva nemmeno pensato a mettere piede in cortile: aveva piovuto tutta la notte e si moriva di freddo. Senza contare che avrebbe voluto fargli notare che sua madre urlava come una pazza, se non si pulivano le scarpe prima di entrare in casa. Ma si trattenne perché pensò che non sarebbe stato troppo educato rispondergli. Era abituato con nonna Augusta: spesso le persone anziane si lamentavano con chi li capitava a tiro.
«Ora ti insegno io a fregartene».
«Ma io non ho fatto niente» si lamentò, mentre lo trascinava di peso verso il suo ufficio.
«Che importanza ha? Siete tutti uguali voi mocciosi! Pagherai tu per tutti».
«Ma è ingiusto» si lamentò senza essere ascoltato. Nel giro di dieci minuti si ritrovò a lavare il corridoio deserto da solo. Lorentz gli aveva anche sequestrato la bacchetta: Così capisci cosa si prova a non poter risolvere tutto con la magia!
Impiegò quasi un’ora a portare a termine il compito, quando entrò nell’ufficio di Lorentz lo trovò appoggiato alla scrivania in un evidente stato di sofferenza.
«Che hai da guardare? Posa quella roba, riprenditi la bacchetta e vattene» lo apostrofò quello astioso.
Frank ripose il secchio ed il resto nel piccolo ripostiglio della stanza, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Vuole che vada a chiamare Madama Chips?».
Lorentz lo guardò male. Era riuscito a sedersi sulla vecchia poltrona vicino alla finestra. «Sì… grazie». Lorentz lo osservò mentre lasciava la stanza ed iniziò a porsi qualche domanda su quello strano ragazzino: insomma l’aveva aggredito senza motivo e nonostante ciò si stava premurando di aiutarlo. La burbera infermiera della Scuola entrò senza convenevoli nel suo ufficio nemmeno cinque minuti dopo.
«Lorentz!», lo attaccò immediatamente, «Non mi bastano i ragazzini viziati e pestiferi, ci si deve mettere anche lei! Ha ricominciato con i suoi stupidi esercizi, vero? Io le avevo detto di darci un taglio!».
«Appunto perché non sono uno di quei ragazzini, non si permetta di farmi la predica! E non sono stupidi esercizi! Mi devo mantenere in forma».
«Ma mi faccia il piacere! Lei dovrebbe starsene in pace in pensione! E comunque la sua schiena non è dello stesso parere! Se non segue i miei consigli, può cominciare anche ad assumere pozioni antidolorifiche al posto dell’acqua».
«Lei è un’esagerata» borbottò l’uomo dopo aver bevuto il calice che la donna gli aveva offerto. «Aspetti un attimo, le devo fare una domanda».
«Sì, figuri. Io non dirigo un’infermeria, ho improvvisamente aperto un ufficio informazioni».
«Ho capito che ce l’ha con me, è stata chiarissima. Le assicuro che anche a me comincia a star stretto questo lavoro. Devo ammettere che ho sottovalutato i ragazzini, credevo che sarebbe stato più semplice. Comunque volevo chiederle… quel ragazzino di prima… quello che è venuta a chiamarla… come si chiama? Frank?».
«Sì, Frank. Che cosa vuole da lui?».
«È strano o è una mia impressione?».
«Non so cosa intenda».
Lorentz sbuffò per la poca voglia di collaborare della donna, decise comunque di raccontarle quanto era accaduto poco prima.
«Che cosa le ha fatto quel ragazzino? Ma non si vergogna? Le giuro che se si avvicina di nuovo a lui, la faccio licenziare! Ma che è saltato in mente a Minerva quest’anno di portarsi qua dentro voi rudi Auror! Tra lei e Robards non so chi sopporto di meno!».
«Non credo tocchi a lei discutere le disposizioni del Ministero! E non si scaldi tanto! Perché ci tiene tanto al ragazzino?».
«È adorabile ed è molto gentile…», sospirò ed aggiunse, «Sono ormai invecchiata… come vede io lo ammetto… ho già detto alla Preside che dall’anno prossimo non potrà più contare su di me… C’è stato un periodo prima delle vacanze di Natale, durante il quale gli insegnanti mandavano gli studenti in punizione da me perché mi aiutassero, ma è stata una soluzione disastrosa e ho detto alla Preside che preferivo cavarmela da sola piuttosto che avere a che fare con certi individui superficiali e menefreghisti… Frank se ne è reso conto… un pomeriggio… si offerto volontariamente di aiutarmi… ogni sera viene da me per almeno un’ora… nessuno lo ha obbligato… non vedo più bene e lui mi ordina il registro delle visite e mi ha riscritto tutte le etichette delle pozioni in caratteri più grandi… le assicuro che non si meritava minimamente che lo trattasse male!». Detto ciò la donna lo piantò da solo.
Si maledì: mai servire due padroni! In che razza di situazione si era cacciato? Ma Madama Chips aveva ragione: doveva andare definitivamente in pensione!
*
 
«Dor sei puntualissima» bisbigliò Rose, facendo spazio all’amica sotto il mantello dell’invisibilità di suo cugino James. Si assicurò che fossero entrambe ben coperte e si avviò verso l’imponente portone di quercia.
 «Hai trovato le chiavi?».
«Certo».
«E come hai fatto?».
«Sono entrata nell’ufficio di zio Neville con la scusa di chiedergli un chiarimento sull’ultima lezione. Era molto distratto, mi ha a malapena dato retta. È strano da parte sua… sembrava preoccupato per qualcosa, infatti mi ha detto che non poteva aiutarmi e se ne andato. Capisci?».
«Andato, in che senso?».
«Uscito dal castello… mi ha detto che in sua assenza si occuperà la Spinnet di noi Grifondoro» concluse con una smorfia: Alicia Spinnet era un’insegnante abbastanza severa e se le avesse beccate in giro per il parco a quell’ora avrebbe sicuramente scritto ai suoi genitori e naturalmente l’avrebbe comunicato anche a Mcmillan. Una piaga, insomma. È dire che suo marito era così… così… fantastico… sì, non c’erano altre parole! Lei avrebbe sposato Oliver Baston da grande. Assolutamente. L’avrebbe colpito il suo grande talento per il Quidditch!
«Rose, ci sei?».
La ragazzina fu riportata alla realtà dalle parole dell’amica: «Sì, sì andiamo».
«Mi dici perché hai ricominciato a seguire Antiche Rune? Non ti piace! Prima o poi farai impazzire la Spinnet per puro divertimento!».
«Voglio fare la spezzaincantesimi, come mio zio Bill».
«Se lo dici tu… In quale serra si trova il topazio?».
Erano ormai arrivate vicino alla serra numero uno. Rose sospirò:
«Hai letto il diario… non viene specificato. Dovremmo cercare in tutte e sette».
«Da quale iniziamo?».
Rose fece spallucce, come a dire che la scelta le era indifferente. «Quattro».
Le due ragazzine si guardarono per un attimo intorno per assicurarsi che nessuno avrebbe potuto vederle. Il piccolo spiazzo in terra battuta su cui davano le serre era completamente deserto ed, oltre che dal frusciare del vento, il silenzio era spezzato solo dal lieve gocciolare della fontana, accanto all’entrata della serra numero sei. Rose inserì la chiave nella toppa e tentò di non far rumore, ma lo scatto risuonò ugualmente nella sera. Sobbalzarono entrambe, ma in fondo nessuno poteva averle davvero sentite. Attesero qualche secondo: il tempo necessario perché il loro cuore riprendesse a battere regolarmente. Poi Rose entrò per prima.
«Stai attenta. Qui non abbiamo mai lavorato… non sappiamo che piante ci sono» l’avvertì Dorcas.
All’interno la serra, però, non si mostrò ai loro occhi molto diversa dalle altre in cui avevano fatto lezione fino a quel momento. Qualcosa sfiorò il viso di Rose, che si trattenne dall’urlare ma fece un salto indietro buttando a terra Dorcas per poi caderle addosso.
«Il tranello del diavolo… il tranello del diavolo» farfugliò terrorizzata.
Dorcas scoppiò a ridere mentre si sollevava e porgeva una mano anche a lei.
«Rosi, è solo un cespuglio farfallino. Non fa male a nessuno e si trova in molte case di maghi! Se verrai bocciata agli esami finali di erbologia, non me ne meraviglierò! Insomma come puoi pensare che tuo zio tenga il tranello del diavolo in una di queste serre?».
«Una volta i miei genitori hanno affrontato un cane a tre teste… me l’ha raccontato mio padre… e nascosto sotto un bagno c’era un basilisco… ti pare tanto improbabile il tranello del diavolo?» replicò Rose piccata.
Dorcas non replicò, ma decise di guidare lei. «Avanti, cerchiamo il bancone con il simbolo runico» la sollecitò.
Esaminarono palmo palmo i banconi da lavoro per ben due volte, ma nessuno presentava una runa incisa.
«Ora scegli tu» disse Rose all’amica, dopo aver richiuso la serra numero quattro.
«Che ne dici della cinque? Comunque non mi torna qualcosa… insomma non credo che Tosca Tassorosso ne abbia scelta una a muzzo…».
«Ed io che ne so come ragionava quella donna?» borbottò Rose. Si avviarono verso l’altra serra, ma Dorcas bloccò immediatamente Rose.
«Che fai? Dobbiamo controllare! Senti non abbiamo molto tempo prima che chiudano il portone, quindi dobbiamo muoverci… scopriremo un’altra volta come ragionava Tosca».
«No, Rose. Non vedi che questa serra è diversa dalle altre?».
«A maggior ragione» disse Rose, tentando di liberarsi dalla stretta dell’amica.

 
La serra numero cinque sembrava un orto in miniatura ed alla luce fioca della bacchetta si intravedevano una serie di piante erbacee con lunghi peduncoli con frutti bianco-verdastri e porporino violaceo, alti fusti con petali bianchi e rossi ed altri con petali giallo-verdastri.
«Invece no, qui non ci sono banconi».
«Entriamo! Saranno sicuramente nascosti! Un posto perfetto per un nascondiglio!».
«Rose! Stiamo parlando di Tosca Tassorosso! Lei non avrebbe mai nascosto qualcosa ai suoi studenti in questo modo… Ho paura che queste piante possano essere pericolose e Tosca non ci avrebbe mai messo in pericolo».
«Ma doveva proteggere la pietra dai malintenzionati! Oppure queste piante sono state messe dopo… insomma è passato un sacco di tempo!».
«Tuo zio mi ha detto che è stato cambiato pochissimo… non so se l’hai notato ma alla società magica inglese non piacciono i cambiamenti... mia zia è stata in America tempo fa e mi ha detto che tutto diverso… sembra quasi che tra maghi e babbani non ci sia alcuna differenza… E comunque ti ripeto che Tosca non avrebbe mai rischiato di far male a qualcuno».
«Figo», commentò Rose chiudendo a chiave la serra ed ignorando l’ultima parte del discorso dell’amica, «In futuro ci andrò… questo paese mi sta stretto alle volte. Proviamo la serra numero due».
«“Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”».
«Eh?».
«È una citazione del Piccolo Principe, non l’hai letto?».
«Mmm diversi anni fa… Al e Frankie lo adorarono, ma io no… non è il mio genere… Io preferisco Salgari, Verne, Stevenson… roba d’avventura insomma… Ma ora che centra?».
«Penso che Tosca abbia ragionato così per nascondere il topazio… La base di un bancone da lavoro potrebbe sembrare scontato come nascondiglio, ma alle volte sono proprio le cose che abbiamo sotto il naso quelle che ci mettiamo di più a trovare… Lei ammirava la pazienza, quindi in un certo senso sta mettendo alla prova la nostra… e poi noi vogliamo il topazio per far del bene…». Rose annuì vaga, mentre si avvicinava alla serra numero due a grandi passi. Dorcas percepì che l’amica era turbata, ma non riusciva a capire da cosa. «Comunque continuo a pensare che non abbia scelto una serra qualsiasi… era pur sempre una delle più potenti streghe del suo tempo».
Rose non replicò ed entrò nella serra. Ancora una volta la perlustrarono con grandissima attenzione ed esaminarono i banconi più di una volta. Alla fine dovettero arrendersi e costatare che il topazio non era nemmeno lì.
«Accidenti!» sbottò Rose, gesticolando con le braccia.
«No!» Dorcas spostò il braccio dell’amica lontano da una pianta, ma non abbastanza velocemente da evitare che questa scattasse. Rose urlò stringendosi al petto la mano ferita. Quando finalmente Dorcas la convinse a mostrarle la mano, videro che sanguinava copiosamente. La ferita, però, fortunatamente non sembrava troppo profonda.
«M-mi h-ha morsa» mormorò esterrefatta Rose tra le lacrime.
«Per questo lo chiamano geranio zannuto», tentò di sdrammatizzare Dorcas con voce fioca per lo spavento, «Per un momento ho pensato che ti avrebbe staccato tutta la mano».
«E non me lo potevi dire prima, che sto coso morde?» ringhiò Rose.
«Credevo lo sapessi! Il professor Paciock ce l’ha spiegato l’anno scorso, quando ci ha portato qui per studiare la ruta».
«Ero distratta evidentemente» biascicò Rose. «Usciamo da qui. Subito».
«Dovresti far vedere la mano a Madama Chips» disse Dorcas accucciandosi vicino all’amica che si era seduta su un secchio rovesciato.
«Col cavolo! Come le spiego che alle nove di sera sono stata morsa da un fiore con le zanne? L’ho incontrato per caso nella Sala Comune di Grifondoro? Piuttosto dimmi, quel coso è velenoso?».
«No. Il problema è che stai perdendo sangue».
«Non morirò dissanguata… Dammi un fazzoletto… Non me ne andrò di qui senza quel topazio».
Dorcas le passò il suo fazzoletto e la osservò mentre se lo legava intorno alla mano.
«Senti proviamo la serra numero sette? Credo sia quella che cerchiamo… Per i maghi il sette è il numero più potente…».
Rose saltò su e quasi urlò: «Sei un genio!».
«Adoro questa serra» sussurrò felice Dorcas. Rose la fissò come se fosse pazza e non commentò. «Ma dai, ammettilo che è la più bella!».

«Sei sicura che sia questa? Insomma la base del bancone non è formata da un unico blocco…».
Dorcas, però, non la stava più ascoltando; la ragazzina osservava con attenzione un bancone alla volta.
«Ecco, vieni a vedere!» chiamò con voce eccitata. Rose si inginocchiò a terra accanto a lei e puntò la bacchetta sul piede di mogano del bancone. Con un sorriso vide una piccolissima runa incisa elegantemente sul legno.
«Che runa è?» chiese all’amica, non aveva problemi ad ammettere con lei di essere un disastro in Antiche Rune.
«Se non sbaglio è gyfu. Significa dono e generosità. La runa perfetta per Tosca Tassorosso».
«Capito. Ora tocca a te, però. Forza prendi il topazio ed andiamocene».
Dorcas in realtà non aveva idea di che cosa fare, ma Rose ne sapeva quanto lei. Dopo aver riflettuto qualche secondo decise di premere la runa e capì di aver fatto bene quando percepì uno scricchiolio che ricordava proprio degli ingranaggi in azione. Solo alla luce della bacchetta le due ragazze riuscirono a distinguere che una delle assi di legno, che fungevano da pavimento, si era spostata lievemente mostrando un piccolo incavo di pietra. Al cui interno c’era un sacchetto nero. Dorcas lo prese, lo aprì e per la gioia di Rose ne tirò fuori il topazio.
«EVVAI» ululò Rose, prima che Dorcas, temendo che il troppo entusiasmo dell’amica le avrebbe fatte scoprire, le tappasse la bocca con una mano. «Siamo state grandi» aggiunse Rose a voce bassa dopo essere stata liberata. Dorcas sorrise e si alzò dirigendosi verso il piccolo armadietto accanto all’entrata. Rovistò per qualche secondo e ne tirò fuori una boccettina.
«Dammi la mano, Rose».
La Tassorosso tolse delicatamente il fazzoletto e poi mise un po’ del contenuto della boccettina sulla ferita.
«Cavoli, brucia» si ribellò Rose, ma l’amica non mollò la mano.
«Essenza di dittamo. Vedi? Sta cicatrizzando. Credo che il professor Paciock non se la prenderà se ne abbiamo usato un pochino» rispose Dorcas riemettendo la boccettina al suo posto.
«Dopo che gli ho rubato le chiavi ed abbiamo vagato nelle sue amate serre senza il suo permesso? No, immagino che usare un po’ di dittamo non sia nulla in confronto» ironizzò Rose. «Avanti, andiamocene a letto».
 
   
 
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