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Autore: Xion92    16/11/2015    4 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno! Un paio di indicazioni tecniche: ho aggiornato il capitolo 11 aggiungendo tutta una parte romantica, che sconsiglio di leggere se non siete avvezzi a questo tipo di cose. Poi, lunedì prossimo sono via a Venezia, ma tornerò la sera. Dovrei riuscire ad aggiornare comunque, ma se sarò troppo stanca, il capitolo prossimo arriverà martedì. Buona lettura!


Capitolo 27 - Risveglio


Ormai era da giorni che pioveva, forse da settimane. Era strano, perché non era la stagione delle piogge, quella. Infatti, si era alla fine dell’estate. Per Angel era strano tutto questo: nonostante non fosse niente di più di una coincidenza, le pareva che il tempo atmosferico di quei giorni rispecchiasse il suo stato d’animo. Cielo plumbeo, neanche un raggio di sole che filtrava, pioggia gelida e pesante che continuava a cadere a secchiate. E del resto, non poteva certo sentirsi diversamente: la malattia del nonno non faceva che peggiorare. Le sue condizioni di salute stavano precipitando, ed ora, oltre alla sua tosse tremenda in cui sputava sangue, Shintaro aveva sempre la febbre alta, le allucinazioni e il corpo costantemente sudato. Sakura e Angel, a turno, stavano sempre vicino a lui, dandogli da bere quando la sua temperatura saliva troppo e tenendogli fresca la fronte con dei panni imbevuti d’acqua. Purtroppo, ormai da giorni non c’era più verso di farlo mangiare. Tutto quello che riuscivano a fargli ingurgitare era del brodo caldo, ma non poteva certo bastare quello a tenerlo in vita.
Alle due donne piangeva il cuore: Shintaro si era smagrito in modo terribile, i suoi capelli erano ormai diventati grigi a causa della malattia, aveva gli occhi stralunati ed assenti, e ormai faceva anche fatica a parlare. Angel non riusciva a capacitarsi: lui era il suo nonno forte ed energico, che le aveva sempre insegnato, che era stato la sua guida per tutta la sua giovane vita. Ora invece era solo la pallida ombra di quello che era stato una volta. Oltretutto, in teoria non era assolutamente anziano, ancora, visto che non aveva nemmeno sessant’anni; in pratica, le condizioni faticose in cui vivevano da più di quindici anni lo avevano fatto invecchiare più velocemente del normale.
La ragazza si sentiva totalmente impotente: né lei né sua nonna avevano idea di come fare per aiutarlo. Di dottori non ce n’erano; di medicine men che meno; gente di cui fidarsi, il nulla. Erano completamente soli ed isolati. Non potevano contare sull’aiuto di nessuno.
Shintaro, ora che era malato, stava tutto il giorno chiuso nel suo sacco a pelo, mentre i brividi della febbre lo scuotevano e a volte, nel sonno, diceva cose senza senso. Le due donne, con la loro straordinaria forza di volontà, si erano messe d’impegno, e da sole riuscivano con fatica a fare tutto. Mentre una stava col malato, l’altra preparava da mangiare, andava a prendere l’acqua, scavava gli argini attorno alla tenda, lavava i panni, andava a scambiare i beni, il tutto sotto la pioggia che non accennava a smettere. Fare tutto quel lavoro quotidiano senza un uomo, oltre ad occuparsi del malato, era una fatica tremenda. Sakura ed Angel cercavano di farsi forza a vicenda, ma, anche se non lo volevano ammettere, sapevano in fondo che non c’era niente da fare. Ora che le cure mediche non c’erano più, la selezione naturale era più forte che mai: chi, come Angel, riusciva a superare l’infanzia e a crescere nonostante le difficoltà, sarebbe diventato un adulto forte, sano e in salute; ma chi si ammalava era condannato. Ed era una cosa che si poteva solo accettare.
Per Angel, nonostante gli sforzi fisici del vivere quotidiano, paradossalmente era più facile fare tutte le faccende da sola che stare di fianco a suo nonno per assisterlo: non riusciva a vederlo ridotto in quello stato. Sapeva che non doveva farsi illusioni, ma non riusciva, e non sarebbe mai riuscita ad accettare che suo nonno presto sarebbe morto. Non esisteva. Non poteva andare avanti senza di lui, senza l’unico uomo della sua vita. Angel non aveva idea di cosa volesse dire avere un padre; il suo era morto quando lei era ancora dentro sua madre. Eppure, in tutti quegli anni, lei aveva riversato su Shintaro tutto l’affetto e il rispetto che sarebbero spettati di diritto a Masaya, se fosse stato ancora vivo. Per quello che lei ne poteva sapere, Shintaro era la figura più simile a un padre che avesse mai avuto. Era la sua unica figura maschile di riferimento; non ne aveva mai avute altre. E non poteva accettare, ora, che lui la lasciasse sola. Non riusciva a farsene una ragione.

Alcune settimane dopo, era il turno di Angel di stare col nonno malato. La nonna, pur con la pioggia fitta, era fuori a scavare delle cunette di fianco alla tenda per far defluire l’acqua. La ragazza, sola col nonno addormentato, non aveva altro passatempo che ascoltare il rumore delle gocce sul telo della tenda e i colpi di tosse che suo nonno emetteva nel sonno. Guardò l’uomo sdraiato di fianco a lei: negli ultimi giorni era peggiorato. Era successo tutto così in fretta… erano anni, a dire il vero, che Shintaro aveva quella brutta tosse. Ma sembrava sopportarla bene. Poi, tutto d’un tratto, la sua malattia aveva assunto proporzioni gravi, tanto che in nemmeno un mese aveva deteriorato il suo corpo più di quanto non avesse fatto in anni di incubazione. Sembrava che gli avessero scaricato addosso altri dieci anni. Negli ultimi giorni, era anche peggio: ormai non apriva più nemmeno gli occhi, ma era immerso costantemente in un sonno tormentato e delirante.
Angel non riuscì più a stare così, con le sole gocce di pioggia e i lamenti del nonno a tenerle compagnia. Non sapendo cos’altro fare, si mise a parlare come se si stesse rivolgendo a lui, non sapendo nemmeno se riuscisse a sentirla o meno.
“Nonno… ehi, nonno… la senti questa pioggia qua fuori? Va avanti da settimane, o forse anche da mesi… insomma, da quando ti sei ammalato. Ti sarai stufato di sentire sempre il suo rumore? E ti sarai stufato anche di stare sempre chiuso qua dentro? Io sì, tanto. Non vedo l’ora che smetta di piovere. E…” si voltò verso di lui e mandò giù la saliva che aveva in bocca “e non vedo l’ora che tu guarisca. Appena sarai guarito, potremo fare di nuovo tanti giochi insieme. Beh… è da tanto ormai che non giochiamo più. Abbiamo sempre da fare, e poi forse io sono troppo grande. Però…” esitò un momento e socchiuse gli occhi. “Nonno, ti ricordi di quando abbiamo costruito il primo tavolo insieme? Mi hai permesso di aiutarti a farlo… mmh… tre anni fa. Io avevo undici anni, sì. Era difficile per me, non ero ancora tanto brava con i nodi. Beh, avevamo messo insieme i pali, li avevamo incastrati fra quei due alberi, ci avevamo messo un sacco di tempo per legarli per bene fra loro. E poi tu mi avevi detto: ‘Prendi il cordino da quella parte e tira forte per stringerlo’. Beh, io l’ho fatto, solo che ho preso il capo sbagliato e, quando l’ho tirato, ho disfatto tutti i nodi in un colpo solo. Tutto il nostro lavoro è caduto a terra, e abbiamo dovuto ricominciare tutto daccapo. Però non mi hai sgridato. Mi hai detto che tutti possiamo sbagliare, ogni tanto. Appena sarai guarito, voglio costruirne un altro insieme a te, il più bel tavolo di pali e corde esistente”, concluse.
Rimase in silenzio per un po’, aspettando che una buona volta quella pioggia finisse. Ma, visto che ancora veniva giù copiosa e non potendo più sopportare quel silenzio, riprese il suo monologo. “Oppure, nonno, quando sarai guarito sai cosa dobbiamo fare? Dobbiamo andare per i boschi qua attorno a cercare i funghi. Ormai è autunno, e con questa pioggia ne cresceranno tanti. Mi ricordo di quando avevo nove anni… dopo pochi giorni sarebbe stato il mio compleanno, e tu per festeggiare volevi raccogliere tanti funghi da farci una scorpacciata. È per questo che mi piacciono così tanto: quando iniziano, vuol dire che presto sarà il mio compleanno. Di solito, li barattiamo, ma quando è il mio compleanno ce li mangiamo tutti: trifolati, grigliati, crudi… buonissimi! E allora, visto che ormai ero grandina, hai deciso di portarmi con te. Mi hai spiegato bene quali erano quelli che dovevo raccogliere, e mi hai mandato da sola a raccogliere i funghi che riuscivo a trovare. Dopo mezz’ora, sono tornata con le braccia piene. Tu hai controllato, e hai detto arrabbiato: ‘ma questi sono proprio i funghi che ti avevo detto di NON prendere!”. Hehe, che vergogna… poi però mi hai accompagnato e mi hai mostrato quali erano buoni e quali no. Adesso so distinguere quelli buoni da quelli tossici con un colpo d’occhio, sai, nonno? E so farlo perché tu me l’hai insegnato. Per favore, guarisci presto. Se guarirai fra poco, riusciremo a raccogliere tanti funghi prima che altre persone ce li finiscano tutti. Andremo a raccoglierli di nuovo insieme io e te, ti va l’idea?”
Concluso anche questo discorso, ad Angel non vennero più alla bocca altre parole. Aveva tanti ricordi di momenti meravigliosi passati con suo nonno, ma non le riusciva di metterli bene in ordine in testa per poterli raccontare. Sentendosi improvvisamente stanca, si sdraiò di fianco a lui, a pancia sotto e con le braccia incrociate sotto il mento, e socchiuse gli occhi.
Li riaprì quando sentì come dei forti sospiri di fianco a sé. Guardò. Suo nonno sembrava essersi svegliato e la fissava, ma il suo sguardo era lontano. Forse non era nemmeno sveglio del tutto. Subito allora, Angel corse a sporgere la testa dalla tenda e chiamò Sakura:
“Nonna, nonna! Il nonno si è svegliato, ma è strano! Vieni, presto!”
Un secondo dopo, Sakura, zuppa d’acqua, era già insieme al marito e alla nipote, e vedendo l’uomo con quell’espressione distante e assente, cercò di scuoterlo per le spalle, disperata.
“Shintaro! Shintaro! Riesci a vedermi? Io e tua nipote siamo qui! Rispondi, caro!”
Mentre Sakura gridava in questo modo, Angel esterrefatta e con un senso di terrore stava zitta, guardando con apprensione suo nonno, sperando in lui una svolta positiva.
All’inizio l’uomo non reagì. Aveva sempre gli occhi semiaperti, ma erano vuoti e sfocati. Forse ormai non le sentiva neanche più. Improvvisamente però si mise a muovere le labbra come se stesse cercando di dire qualcosa.
Allora Angel ruppe il suo silenzio e gridò: “nonna, vuole dire qualcosa! Vuole parlare! Nonno, cosa c’è?”
Al sentire quella voce, Shintaro girò lentamente la testa verso di lei, e riuscì a mettere a fuoco la vista per pochi attimi. Fissò il suo sguardo vecchio e malato in quello giovane e sano della nipote, e mormorò: “A… Angel…”
La ragazza allora insisté: “cosa, nonno? Cosa vuoi dirmi?”
Shintaro non rispose a quella domanda, ma muovendo rapidamente un braccio, la afferrò per il polso, stringendoglielo forte.
Rimasero tutti e due in silenzio, fissandosi. Angel aveva uno sguardo implorante, pregando che suo nonno reagisse, sperando in un miracolo. Shintaro guardò dritto negli occhi di quella donna che era capitata in mezzo a loro praticamente per errore, che lui all’inizio aveva quasi rifiutato, ma che poi aveva amato più di chiunque altro sulla Terra. Era la figlia di sua figlia, quella. Era il sangue del suo sangue. Quella donna dai capelli neri era tutto quello che aveva.
Angel vide gli occhi di suo nonno riprendere per un attimo la loro natura: li vide fissarla nel loro solito modo autoritario e severo ma che dietro nascondevano un grande affetto. Lo sguardo di suo nonno! Le labbra della ragazza si piegarono appena in un sorriso speranzoso, ma durò poco. L’attimo successivo, gli occhi di suo nonno si erano chiusi e la sua mano era caduta a terra.
La mente di Angel si annebbiò. Udì la voce di sua nonna prorompere in un grido acuto e disperato; la vide sollevare il busto del marito e abbracciarlo, tra pianti e urla. Lei invece non fece nulla. Non pianse, non gridò e non si disperò. Si girò di scatto ed uscì dalla tenda, gettandosi di corsa attraverso la città morta, sotto la pioggia battente, ignorando le grida disperate di sua nonna che le dicevano di tornare indietro.
Corse per molti chilometri, mentre le gocce di pioggia che le cadevano sugli occhi le annebbiavano la vista. Le scarpe le si erano riempite d’acqua. Svariate volte scivolò, cadendo nel fango e sporcandosi i vestiti. I capelli le si erano intrisi d’acqua e ora, arruffati, le ricadevano davanti agli occhi. Non le importava di nulla. Continuava a correre, sentendosi la gola andarle in fiamme, i polmoni e il cuore scoppiare dalla fatica, e i muscoli delle gambe dolerle. Andò avanti per parecchio tempo, quando giunse a un gruppo di palazzi semidistrutti. Senza fermarsi, saltò sopra un cumulo di macerie, e da lì balzò sopra i palazzi, dirigendosi dal più basso al più alto, fermandosi solo quando fu giunta in cima.
Da lì, Angel gettò la vista sulla sua città grigia e nebbiosa, con i contorni sfocati dall’umidità e dall’acqua. Angel ancora non riusciva ad afferrare quello che era appena successo. Trasse dei respiri profondi, con gli occhi sbarrati ed increduli, cercando di mettere ordine nella mente. Dopo molti minuti di riflessione, finalmente capì: suo nonno era morto. Non c’era più. Era morta la persona più importante della sua vita.
Appena ebbe afferrato questo concetto, Angel sentì riempirsi il petto di tanti sentimenti: dolore prima di tutto, ma non solo. Impotenza per non aver potuto fare nulla per lui; amarezza per il rimpianto di tanti momenti che non avrebbe più potuto passare con suo nonno; e rabbia, tanta rabbia. Perché se il nonno si era preso quella malattia, se non aveva potuto essere stato curato da un dottore, se non aveva potuto prendere delle medicine che gli avrebbero potuto salvare la vita, la colpa era solo di una persona.
Angel, presa totalmente dai sentimenti, iniziò allora a sfogarsi, a gridare a occhi strizzati la sua rabbia nel vento, chiamando disperata il nome di suo nonno, mentre l’acqua continuava a scorrerle tra i capelli, a rigarle il viso e ad appesantirle i vestiti.
Sentì i suoi poteri, latenti dentro di lei da sette anni, iniziare a scorrere di nuovo vigorosamente nel suo sangue, e i suoi istinti di animale selvatico affiorare. Quando riaprì gli occhi, gettò lo sguardo su una pozza d’acqua che si era formata davanti a lei, specchiandocisi dentro. Aveva le orecchie da gatto, marroni e con la punta e il bordo interno nero, la sua coda da gatto marrone con le macchie e la punta nera, e i suoi vestiti non erano più camicia, jeans e scarpe da ginnastica. Aveva di nuovo la sua divisa nera da battaglia: il corpetto che le terminava a mo’ di pantaloncini, col drappo di tessuto dietro che le arrivava alle ginocchia, il collarino, le fasce sulle braccia, i guanti neri, la giarrettiera sulla gamba destra, gli stivaletti. Esattamente la stessa di quando era piccola. Solo che era cresciuta con lei e aveva la taglia da adulta, ora.
Angel si perse un attimo a fissare la propria figura riflessa nella pozzanghera increspata dalle gocce di pioggia, e quando ebbe focalizzato l’immagine intera, qualcosa le scattò nella testa, lei allargò gli occhi e le pupille le si strinsero.

Prepotentemente, nella mente irruppe il suo antico ricordo di quella ragazza così simile a lei, con la coda e le orecchie di gatto, ma che fino ad allora non era riuscita mai a distinguere. Ora, l’immagine le si era schiarita, e lei vide che il vestito di quella ragazza era rosa e con una gonna, come i capelli e gli occhi, la sua coda e le sue orecchie erano nere, e al termine della coda aveva un grande nastro rosso.
E vide quella ragazza protendersi verso di lei con un sorriso, mentre diceva queste parole: “Angel… ciao, piccina mia. Comportati bene con i nonni, eh?”
E poi la vide voltarsi e correre via, mentre udiva distintamente le voci dei suoi nonni gridare: “ICHIGO, ICHIGO, RITORNA!”
Concluso così il suo antico ricordo, Angel si sentì la testa dolerle come se le si stesse spaccando in due e, dopo aver barcollato all’indietro, cadde seduta sopra il tetto del palazzo.
Finalmente capì tutto: quella ragazza che ogni tanto sognava era sua madre. E si poteva trasformare come lei. Aveva i poteri che aveva lei. E, dall’unica frase che le aveva rivolto, si poteva dedurre che l’avesse lasciata con i propri genitori a malincuore, per andare a fare qualcos’altro. Cosa voleva dire tutto questo?

Sakura, rimasta sola, era inginocchiata sul pavimento della tenda, piangendo col viso fra le mani: ormai tutto le era stato portato via. Prima la sua vita, poi sua figlia, ed ora suo marito. L’unica cosa che le rimaneva al mondo era sua nipote, ed era scappata via. Perché l’aveva lasciata da sola? Perché era fuggita? Non si rendeva conto di quanto dolore provasse? Era ormai da un’ora che mancava, e Sakura, nel frattempo, aveva coperto il corpo di suo marito con un vecchio lenzuolo, in attesa che smettesse di piovere per poterlo seppellire fuori, perché non sopportava di vederlo così. Quello era un momento per lei terribile, in cui più che in ogni altro sentiva il bisogno della vicinanza di sua nipote. E invece, lei chissà dov’era finita. Sakura non sentiva neanche più la forza di arrabbiarsi. Era solo terribilmente addolorata. L’unico sollievo era che la morte di suo marito non l’aveva colta di sorpresa: era da settimane che ci si era preparata. Non aveva mai riposto la minima speranza che guarisse. Ma era comunque un dolore immenso. Dov’era finita Angel?
All’improvviso, quando stava per alzarsi per andare un po’ fuori per cercarla, sentì la cerniera della tenda aprirsi e lei affacciarsi dentro, col viso stravolto e grondante acqua dai folti capelli neri.
Sakura, distrutta dentro, appena la vide fece per andare verso di lei per abbracciarla, ma quando la ebbe focalizzata meglio lanciò invece un grido di paura misto a sorpresa.
“Angel, ma… ma che ti è successo?”
Angel infatti, dopo lo shock dovuto al suo ricordo, era tornata alla sua tenda di corsa, correndo alla velocità massima di cui era capace, ma non era tornata alla sua forma normale. E ora, sua nonna se la ritrovava davanti come Mew Mew. Secondo Sakura, quando Angel era normale non assomigliava molto a sua madre, ma ora che aveva quelle orecchie, quella coda e quel vestito dovette riconoscere che le somigliava decisamente di più.
“Nonna…” disse Angel col fiatone. “Dimmi tutto, nonna. Ti prego.”
Sakura la guardò esterrefatta. “Di cosa stai parlando, Angel? Perché sei trasformata?”
Angel allora sbottò: “sai bene di cosa sto parlando! Mi sono ricordata, nonna. Mi sono ricordata di tutto. Quella ragazza che sognavo era mia madre. Poteva trasformarsi come me. Non è così, forse?”
La nonna abbassò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
“Nonna”, insisté Angel “non sono più una bambina, lo sai. Non puoi più nascondermi le cose. Ho il diritto di sapere. Dimmi, nonna… dimmi tutto!”
Angel capiva bene che quello era un momento estremamente difficile. Per certi versi, le sembrava una cosa crudele chiedere a sua nonna di vuotare il sacco quando suo nonno era morto da pochissimo. E tuttavia, non poteva più aspettare. Non ce la faceva. Doveva sapere.
Con stupore e sollievo, vide Sakura sedersi, sospirare e ammettere: “sì, hai ragione. Non posso continuare a mentirti. Vieni.”
Subito la ragazza, senza nemmeno strizzarsi i capelli e la pelliccia zuppi, entrò dentro e si sedette di fronte a sua nonna, con le orecchie marroni dritte e orientate in avanti.

Un’ora dopo, gli occhi della giovane erano spalancati, mentre stava cercando di mettere ordine a tutto quello che sua nonna le aveva detto. Dunque i suoi genitori non erano stati semplicemente uccisi dai mostri. Sua madre aveva il DNA modificato con quello del gatto di Iriomote, ed insieme a suo padre aveva fatto parte di una squadra di difensori della Terra chiamata “Tokyo Mew Mew”. Ecco cos’era quel nome che aveva sentito svariate volte… e queste Mew Mew, tanti anni prima, avevano salvato la Terra già una volta dalla minaccia del dio che Flan adorava, Profondo Blu. Ma quando era apparso lui, per loro non c’era stato niente da fare. Le altre quattro guerriere erano state sconfitte in battaglia, e solo i suoi genitori erano riusciti a scampare. Non solo: suo padre prima, e sua madre poi, erano morti in battaglia contro Flan per proteggere lei. Ora tutto tornava: ecco perché era in grado di trasformarsi in gatto e in Mew Mew; ecco perché poteva parlare con gli animali; ecco perché i suoi nonni le avevano sempre tenuto tutto nascosto: perché le volevano bene e volevano impedire che venisse uccisa anche lei. Le tornò in mente il viso di Flan: quello sfregio che aveva sull’occhio era il motivo per cui lei era ancora viva.
Sentì gli occhi diventarle umidi, ma non pianse, come sempre. La sua tristezza non durò che pochi minuti. Concluso quell’attimo di debolezza, alzò la testa, con lo sguardo deciso e determinato e le orecchie dritte.
“Nonna” sentenziò “io vado.”
La donna più grande, incerta, chiese: “dove vuoi andare?”
“Da Flan, a fargliela pagare”, rispose la giovane con voce asciutta.
Sakura diventò pallida. “Angel, ti prego, stai sragionando…”
“E invece no!” esclamò la ragazza, alzando la voce “quel bastardo la pagherà per quello che ha fatto al nonno. È colpa sua se è morto. Anni fa ho perso, ma ora sono adulta. Anche se non mi sono più allenata, sono sicura di essere diventata più forte.” Fece per uscire dalla tenda.
Sakura non sapeva che dire: sapeva che quando Angel si metteva a parlare con quel tono deciso, nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Ma all’improvviso le venne in mente l’idea di toccare il nervo scoperto della nipote.
“Angel, ascolta… non ti ricordi il giuramento? Hai giurato sul tuo onore…”, cominciò, ma venne interrotta.
“Io avevo giurato sulla vita di mio nonno. Ma ora lui è morto, quindi quel giuramento è rotto. Non mi trattiene più. Nonna… non cercare di fermarmi.”
Angel fece di nuovo per uscire, ma si fermò di nuovo. Volse lo sguardo verso il suo sacco a pelo. Al posto del cuscino stava quella bella sciarpa blu che sua madre le aveva preparato, e che lei non aveva mai messo. Esitò per un attimo, poi allungò una mano guantata di nero verso la sciarpa e la prese. Se la avvolse stretta attorno al collo: era il regalo di sua madre. L’unica cosa che aveva di lei. Sua madre si era sacrificata per lei. E ora, lei da quella sciarpa non si sarebbe più separata. Ogni qualvolta avesse combattuto, l’avrebbe portata sopra il collarino nero.
Questa volta, finalmente, uscì dalla tenda per davvero. Si mise per un attimo ritta, con i pugni stretti, le orecchie in avanti in segno di aggressività e la coda tesa, lasciando che la pioggia fitta le sferzasse il viso, e poi, con uno scatto, si slanciò di corsa nella tempesta.

 

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Qua mi sono presa una licenza poetica, che spero mi lascerete passare: è assolutamente impossibile che una persona possa ricordarsi del suo primo giorno di vita, in qualunque maniera. Però nel cinema è un espediente che è stato usato, alcune volte (i primi esempi che mi vengono in mente sono il Principe d'Egitto e Rapunzel).

Una piccola e divertente novità: sulla mia pagina facebook ho creato un album composto da meme, con sullo sfondo un disegno di Angel che si gratta la testa perplessa. Lo scopo è quello di ridere un po' sulle stranezze del fandom di TMM e della serie stessa. Aggiorno l'album ogni volta che mi viene in mente qualcosa di simpatico, ma accetto molto volentieri anche le idee altrui, indi per cui, se vi viene in mente qualcosa, fatevi sentire! xD L'album è questo. Enjoy!

   
 
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