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Autore: cartacciabianca    26/02/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il Potere incontrollabile








Elena sospirò e aprì gli occhi.
Il buio della notte avvolgeva come solito ogni cosa, angolo della stanza impedendole la vista già di per sé poco attenta.
La ragazza era appoggiata alla spalla di Hani, che era con la schiena alla parete e si guardava spaurito il bendaggio sul braccio.
Qualcuno doveva averlo fasciato dopo che lei aveva ricucito la ferita, e le bende candide sembravano reggere a pieno il loro compito.
Elena si sollevò, scansandosi dall’assassino e stiracchiando le gambe.
Hani le volse solo un’occhiata prima di tornare a tastarsi l’arto ferito con due dita, come tentando di percepirne il calore assente.
Aveva perso molto sangue, gran parte del quale si era rovesciato a terra risparmiando, fortunatamente, i cuscini e i tappeti.
L’assassino le lanciò un sorriso. –Ti dev’essere costata cara- le disse.
Elena annuì alzandosi. –Più di quanto immagini- si chinò e raccolse l’ago insanguinato finito nell’incavo tra due mattonelle. La ragazza si voltò e raggiunse l’altra camera.
Silenzio e buio, il vuoto animava quelle pareti.
Elena si appoggiò al bancone, spaesata. Dov’erano finiti Altair e il Rafik? Si chiese.
Si guardò attorno, ma andò a cercare sotto al banco qualcosa con cui pulire il caos che aveva fatto ricucendo il suo amico.
Trovò la stessa pezza che aveva usato ore prima per togliere il sangue dalla ferita di Hani; una brocca con dell’acqua e portò tutto quanto nell’altra stanza.
Hani la osservò in silenzio mentre si chinava a passare lo straccio su una mattonella alla volta, assicurandosi di non lasciare alcuna traccia di sangue e di quella brutta, orribile giornata.
-È stata tutta colpa mia…- proferì il giovane d’un tratto.
Lei alzò gli occhi, quasi scocciata. –Non si era capito- borbottò mettendo più olio di gomito e meno acqua, che andava a mancare nella brocca.
Hani si girò di profilo, guardando un punto indistinto nel buio. Il braccio malato poggiato in grembo, quello sano alzato e la mano dietro la testa. L’assassino rise. –Già… ma non mi sorprende che Altair l’abbia presa così. Gli ho mandato in fumo la vendetta- aggiunse.
Elena si fermò, rimboccandosi meglio le maniche. –A davvero?- sbuffò. –Si può sapere cosa ha fatto precipitare le cose in questo modo?- domandò in un sussurro.
Il ragazzo tenne quel suo atteggiamento beffardo. –Per colpa mia la vostra copertura è saltata. Ho tentato di distrarre le guardie che ti stavano dietro quando, senza accorgermene, sono arrivato di corsa nel distretto ricco. Dio, Elena, mi erano addosso! Mi hanno scambiato per te e m’inseguivano come dei forsennati… il succo è che corri e fuggi ho fatto capolino nel forte di Corrado. Per buona sorte Altair indagava da quelle parti, o io non sarei qui… ora- mormorò abbattuto.
Elena non poté negare, sotto ogni aspetto, che Hani aveva agito nel peggiore dei modi. Non avrebbe dovuto e, se si fosse fatto da parte impicciandosi degli affari suoi, nulla di quello sarebbe successo. I tagli e i lividi che aveva visto sul petto e sulle braccia del suo maestro l’avevano terrorizzata, lasciandola preda degli istinti più temuti quale l’euforia e il pianto facile. Si sentiva ancora gli occhi umidi. Era stato terribile… da non ripetersi, ovviamente.
-Lui… sì, fai bene a chiamarla fortuna!- balbettò Elena socchiudendo gli occhi. –Sei stato uno stupido!- ruggì.
Hani incassò il rimprovero. –Sì, hai ragione, ma non sapevo che altro fare. Eccomi destinato al grado di novizio per l’eternità… sentirai molto parlare di me, per questo- brontolò scontroso.
Elena riprese a pulire terra con più violenza, penetrando con le unghie nella pezza fradicia di sangue e acqua, accompagnando i movimenti con gemiti sempre più frequenti.
-Piantala di essere arrabbiata con gli altri!- le gridò contro Hani all’improvviso, e la ragazza si bloccò all’istante.
-Come?!- strinse i denti voltandosi verso di lui.
-Hai sentito bene- insistette l’assassino fissandola allo stesso modo di come lei lo guardava. –Non puoi negare che tutto è partito da te! Insomma, mi trovavo semplicemente di passaggio quando gli uomini di Corrado si sono accorti di me! Quindi piantala di accusare me e la mia incompetenza, credi che non me lo senta ripetere abbastanza da altri più grossi e dal tuo stesso maestro? Le ho prese di santa ragione durante tutto il tragitto di ritorno! Ah! Che divertente farsi prendere a calci da Altair, dovresti provare a svelargli che sei stata tu l’incompetente che nelle ultime indagini non ha fatto altro che attirare maggiormente l’attenzione dei Templari!- strillò.
Elena strinse lo straccio. –Non è vero. Ho eseguito i miei incarichi al meglio tutte le volte! Tu non sai nulla- tratteneva la collera.
-Mi fai così poco intelligente?- rise l’assassino. –Ci manca poco e Corrado farà appendere manifesti per tutta Acri! Non negare l’evidenza, è stata TUTTA colpa tua! Hai allertato tu le guardie! In tutto questo arco di tempo non hai fatto altro che condurre i soldati di Acri sempre più vicini a noi! Sono diventati a tal punto preparati a contrastarci, che persino Altair non è uscito illeso all’ultimo scontro!-.
Elena gli scagliò contro il panno bagnato, che colpì Hani in pieno volto.
Il ragazzo sbatté la pezza a terra. –Ma che razza di…- digrignò.
Elena prese fiato e lo fulminò con lo sguardo severo. -Corrado ha solo una gran paura. Ci teme abbastanza da moltiplicare le guardie di ronda e istruire sempre più arcieri alle mura del suo forte; ebbene, sono soddisfatta di questo. Mettere alla prova le mie capacità ora che il gioco si fa complicato è quello che ho sempre desiderato. Quel bastardo ha fatto ammazzare mio padre e rubato il Frutto dell’Eden, non hai idea di quanto il mio stomaco tremi all’idea di trafiggerlo. Fidati, ho avuto modo di apprendere nelle mie indagini che egli è in pensiero alla nostra venuta da prima che io causassi certi “danni”, come chiami tu le mie azioni sfrontate. Sento la puzza della sua paura quando mi aggiro per le città, e non sai quanto ci godo…- sorrise maliziosa.
Hani alzò un sopracciglio. –Ti sei calata troppo nella parte, a parere mio- borbottò alzando le spalle.
Elena afferrò lo straccio e lo riportò nella stanza accanto. Tornando a sedersi accanto al ragazzo, parve rasserenarsi, riacquistando il volto da bambina innocente, scordando le parole di pochi attimi prima.
-Come va?- domandò lei.
Hani mosse il braccio malato in rapidi movimenti della spalla, e dalla sua schiena si levò un rumoroso scricchiolio. –Benone, davvero!- si lamentò.
Elena rise portandosi una mano alla bocca. –Era la prima volta che venivi… bucato?- chiese.
Lui annuì. –E pregherò perché sia anche ultima-.
Elena soffocò una nuova risata, voltandosi.
Tacquero, entrambi per parecchi minuti.
Poi, ad un tratto, Hani provò ad alzarsi. –Ti andrebbe una partita?- indicò gli scacchi.
Elena accettò la sfida e andarono a sedersi.
-Stavo pensando- disse lei mentre giocavano.
Hani mosse il cavallo oltre la fila di pedoni. –Hm?-.
Elena si passò una mano trai i capelli, sistemandoli al meglio nel cappuccio a coprirle il volto. –Dove sono Altair e il vecchio?- formulò.
C’era una lanterna poggiata sul tavolo lì vicino che faceva luce sufficiente per spostare le pedine.
Hani tirò su col naso. –Altair è uscito poco fa, credo. Il vecchio sta dormendo lì- il ragazzo indicò lo stanzino alle spalle del bancone.
-Ah, e dove…- cominciò lei muovendo l’alfiere in diagonale di qualche casella.
- Ecco! Che scemo…- Hani si batté una pacca in fronte.
-Che c’è?- fece lei confusa.
-Il tuo maestro mi aveva chiesto di mandarti a raggiungerlo nel distretto povero non appena ti fossi svegliata. Scusa, perdonami, me ne sono completamente dimenticato…- fece a bassa voce.
-Non è vero!- si udì il vecchio Rafik che comparve dietro al bancone dallo stanzino. –Elena, Altair ti attende nel vecchio suk della città a nord-ovest, ma per quanto ti riguarda, Hani non se n’era affatto scordato- il capo sede lanciò un’occhiataccia al ragazzo, che si nascose al meglio sotto il cappuccio.
Elena prese a sorridere. Ecco qualcun altro che gradiva la sua compagnia.
-Ti conviene sbrigarti- le disse il Rafik.
Elena annuì e si vestì del suo equipaggiamento. Lasciò la Dimora e si diresse verso il distretto povero.
Il cielo nero compariva a chiazze tra le nuvole grigie e bluastre che coprivano Acri e le sue guglie. Tra tutte spiccava quella della Grande Cattedrale. Le strade tranquille e i passi dei soldati che riecheggiavano nel silenzio della sera.
Rashy fendeva l’aria fredda con le sue ali piumate sopra la sua testa, come vegliando su di lei. La falchetta la controllò dall’altro per tutto il tragitto e le indicò la strada più breve per il luogo d’incontro col suo maestro.
Saltò e si aggrappò alla parete cominciando a scalarla con agilità. Sorrise.

-Perché ci hai messo tanto?- sbottò il suo maestro trattenendo la collera.
-Mi sono trattenuta nella Dimora oltre il dovuto, vi chiedo perdono- abbassò lo sguardo.
Altair le si avvicinò con le mani giunte dietro la schiena. –Eri stata avvertita della mia attesa, giusto?- chiese.
Lei annuì, alzando gli occhi al cielo nuvoloso della notte e contando le fiaccole dei soldati di ronda che si muovevano tra le ombre. Non le piaceva operare di notte, ma se Altair l’aveva convocata lì di tanta urgenza, doveva esserci un motivo.
L’assassino mostrò il contenuto delle sue mani.
Elena afferrò il diario di Chiesa che aveva borseggiato qualche giorno prima.
-L’uomo a cui l’hai rubato verrà fatto giustiziare se non riconsegniamo questo scritto- disse gravoso, il volto celato dal cappuccio e il portamento fiero di sempre.
La ragazza annuì. –Volete che me ne occupi ora?- domandò.
L’assassino rispose sussurrando un celere sì, poi, prima di avviarsi e scomparire per la strada, si voltò. –Non cacciarti nei guai- l’ammonì.
Elena fece un passo indietro, scomparendo nel buio di un vicolo. –Non mi è mai successo- mormorò scherzosa, ma quell’atteggiamento di ilarità durò ben poco.
-Eccoli!- gridò qualcuno.
Elena vide il suo maestro voltarsi e scagliare un pugnale da lancio verso l’alto. La piccola lama colpì al petto l’arciere che silenziosamente si era appostato sul tetto della casupola vicino.
-Scappa!- le gridò l’assassino, ma Elena non fece in tempo a girare i tacchi che si sentì stringere per la gola.
Il testo le cadde di mano, finendo a cadere in una pozzanghera formatosi sul ciglio della strada. Un acre ed umido odore, assieme ad un sapore amaro in bocca. Braccia possenti le cinsero i fianchi, anche più di un paio e gli uomini di Corrado la trascinarono nell’ombra del vicolo.
 La ragazza perse i sensi.

Altair estrasse la lama corta e schivò l’attacco del cavaliere teutonico con estrema facilità, colpendo poi il suo avversario alla gamba. Dopo averlo sbattuto a terra, Altair calò la spada corta sul suo petto e tanti saluti alla luce dei suoi occhi di reietto germanico.
Schivò una freccia, ma l’arciere che l’aveva incoccata si rovesciò sulla strada quando l’assassino lo trafisse alla fronte con un pugnale da lancio.
Il numero di crociati cresceva a dismisura mentre il suono delle campane riempiva l’aria gelida della notte.
Altair, tenendo la guardia alta con la lama corta, indietreggiò, ma il suo piede urtò qualcosa che annaspò in una pozza d’acqua. Appena un’occhiata e il giovane assassino riconobbe la copertina di pelle del testo che aveva affidato ad Elena.
-No…- mormorò a denti stretti, e un soldato ospitaliere approfittò della sua distrazione.
Nello schivare quel fendente, Altair avvertì quelle fitte dolorose ai muscoli del petto che l’avevano accompagnato durante le ultime ore. Afferrò il libro da terra e si voltò, cominciando a correre.
Si dileguò dall’orda di uomini che lo inseguivano svoltando rapidamente di vicolo in vicolo, confondendo i suoi avversari ogni qual volta si andava a tuffare in un cesto di paglia.
Non osò immaginare cosa le sarebbe capitato, ma Elena non avrebbe passato certo i suoi giorni migliori. Se Corrado aveva incaricato le sue spie di dare la caccia a lui e alla sua novizia, erano guai. Uno dei suoi cavalieri aveva messo fuori combattimento Asaf, il migliore in classifica tra Fredrik e Adel. La situazione stava degradando, finendo troppo a favore di quel bastardo che era Corrado, si disse.
Raggiunse i tetti della Dimora e atterrò silenzioso nella stanza. –Rafik- chiamò.
-State bene?- domandò il vecchio quando Altair entrò nella stanza.
Hani scattò in piedi scendendo dal bancone e fece un piccolo inchino.
-No- disse Altair gettando sul tavolo il testo di chiesa e tirando a sé una delle mappe della città.
-Cose è successo?- chiese invece l’assassino più giovane.
Altair non li degnò entrambi di uno sguardo, continuando a fissare attento i particolari della mappa.
-L’hanno rapita- disse d’un fiato, senza aspettarsi chissà quale reazione da parte dei due accanto a lui.
Il Rafik si portò una mano al viso. –Devo mandare una colomba a Masyaf e avvertire il Maestro; quando avremo il suo assenso, potremo intervenire. Tutto ciò non prima di… Accidenti, Altair!- ruggì. –Avresti potuto fare più attenzione!-.
L’assassino esperto tracciò con un dito sulla cartina il percorso dalla Dimora al centro della rocca di Corrado, ma non rispose.
-Diamine!- proseguì il Rafik nervoso, prendendo carta e penna e cominciando a scrivere.
-Veramente- s’intromise Hani che mosse un passo verso il maestro di Elena.
Altair sibilò alcune parole. –Spera per te che tu non ne sia coinvolto!- digrignò.
-No, signore, io non centro nulla. È stata Elena stessa a cacciarsi in questo caos-.
Sia il Rafik che Altair lo fissarono stupefatti, arrestando le loro diversificate attività.
-Che cosa intendi?- domandò ad un tratto il capo sede, poggiando la penna e sedendosi più comodo allo sgabello dietro il bancone.
Hani indugiò sul volto rabbioso, ma ben nascosto, del maestro della sua amica, e trovò il coraggio di continuare: -Lei non ha voluto dirvelo, Mastro Altair, per timore che l’avreste rimproverata, ma durante molte delle sue indagini Elena ha allertato diverse volte le guardie, che in più momenti hanno avuto modo di riconoscerla. Mi aspettavo che sarebbe successo; tutta la città sa di voi già da prima che iniziaste la ricerca di informazioni- borbottò in fine.
-E tu?- fece Altair, e Hani si rizzò sul posto. –Tu perché non me l’hai detto?-.
Hani tacque.
-Stolta!- il Rafik sbatté un pugno sul tavolo. –Quella ragazzina le risentirà anche da me!-
-Calma, fratello- proferì Altair con voce soave. –Posso occuparmi della faccenda questa sera stessa, non è un problema- i suoi occhi tornarono alla mappa che studiava con attenzione, sulla quale cercava il tragitto più breve per l’eventuale fuga.
-Non siamo neppure certi che Corrado non ordini di ucciderla! Così, Altair, vi consegnereste nelle sue mani e Corrado avrebbe in pugno solo la vittoria! Non sostate al suo gioco!- disse il vecchio in pena.
-Vedete altra soluzione?!- l’Angelo strinse i denti alzandosi, e quelle parole chiamarono il silenzio nella stanza.
-Permettete che venga con voi, allora- fece Hani fiero, ma Altair scosse la testa.
-Non ne sei in grado, ragazzo…- l’assassino si voltò, puntando gli occhi in quelli del Rafik.
-Non ti è chiaro, ragazzo: Altair, non puoi imporre al tuo corpo di portare in salvo Elena prima che esso si sia totalmente ripreso. Sotto quelle vesti porto ancora i segni del suo ultimo esercizio, metti a repentaglio la tua vita estorcendoti le tue ultime forze in questo modo- il vecchio prese a camminare avanti e indietro. –Potremmo approfittare di questa situazione per agire definitivamente, ma…-.
–Dammela- sbottò truce l’assassino.
-No. Non hai informazioni necessarie su quanti soldati accerchiano le sue stanze e quanti veglieranno su di Elena se Corrado avrà intenzione di tenerla viva, sempre e solo “se”. Non posso darti questa piuma Altair, ora come ora è meglio consultare il Maestro prima di agire-.
Altair non aggiunse nulla per diversi istanti, mentre nella stanza riecheggiava solo il suono della penna d’oca che grattava sul foglio di carta color ocra.
Il Rafik scriveva con disordine e rapidità, abbozzando la situazione in poche righe sostanziali. Arrotolò il biglietto e lo legò alla zampetta rosea di un colombo, il quale, quando il vecchio lasciò che spiccasse il volo nella stanza, passò per l’ingresso sul tetto e si librò nel cielo notturno di Acri.
-E ora?- domandò con arroganza Altair, come accusando il vecchio capo sede che la sua era stata la decisione meno retta.
-Ora aspettiamo, pazientiamo con la stessa neutralità di quando capitò altre volte. Restare così tesi non ci servirà a nulla, piuttosto, se vuoi metterti all’opera per prepararti ad agire di già, non sarò certo io a negarti quella soglia, ma niente piuma- fece il Rafik guardando l’ingresso della Dimora.
Altair, ancora una volta, non rispose. Andò a sedersi sui cuscini nella stanza accanto, sospirò, si girò il suo pugnale preferito tra le mani, ma non riuscì a scacciare il pensiero di come fosse potuto accedere tutto quello sotto il suo naso.

Con uno spintone, il soldato la fece inginocchiare sulla terra di pietra liscia e fredda; il pavimento di una stanza alquanto ampia perché c’erano delle voci che trasmettevano il loro eco da piuttosto lontano.
Elena era bendata, sul suo corpo avvertiva i morsi di brutali colpi infieritole chissà quanto tempo prima durante la sua convalescenza, ma all’interno di esso la paura esortava all’azione: provò a divincolarsi, ad alzarsi, ma ricevette in sostanza solo altre botte.
Due uomini ridevano alle sue spalle, la ragazza coglieva il loro divertimento nel cogliere alcuni particolari di lei.
-È una donna!- rideva uno.
-Che novità, non sapevo che Tharidl fosse caduto tanto in basso!- sbottò un altro.
Elena tentò di nuovo la fuga, ma uno dei due le spinse la testa in avanti, facendole perdere l’equilibrio. Così la ragazza si rovesciò al suolo nel clangore delle poche cinghie che le erano rimaste addosso. L’avevano disarmata, perché sulle sue spalle gravava solo il peso dei lacci di cuoio privi del fodero sia della spada corta che dei pugnali. Assieme alla lama alla sua sinistra, se n’erano andati anche i pugnali negli stivali e quelli nella cintura.
Quei suoni, quelle risate da parte dei soldati avevano attirato il silenzio improvviso.
Qualcuno scansò d’un tratto una sedia rumorosamente, e si mossero alcuni passi verso di lei, accompagnati da una seconda presenza più tenue.
-Mio Signore…- s’inchinò una guardia, a seguire anche l’altra fece altrettanto.
Elena si sollevò a fatica, cercando di acquisire una posa presentabile se colui che aveva davanti fosse Corrado.
Il reggente di Acri alzò un sopracciglio. –Posso credere a quello che vedo?- domandò sorpreso.
Uno dei due cavalieri annuì, mentre l’altro la tirava in piedi per un braccio.
-E guardate qua, mio Signore!- sbottò il crociato che teneva la sua mano attorno al fianco della ragazza, e lo stesso le levò il cappuccio dal volto. –è una donna!-.
Si udì un sussurro che chiamava il suo nome, ed Elena colse appena quella voce di donna che le parve familiare: -Elena- fece la ragazza al fianco del sovrano.
Elena sobbalzò tra le braccia del cavaliere, il quale la rigettò a terra priva di cappuccio.
-Voi!- digrignò Corrado riconoscendola e chinandosi su di lei.
Elena avvertì la sua ombra allungarsi su di lei, il corpo di Corrado farsi più vicino al suo, ma non mosse un muscolo proferendo solo un lamento.
-Andate!- disse in fine Corrado, e i due cavalieri lasciarono la sala chiudendo le porte.
Elena si raddrizzò piegata sulle sue ginocchia, i pugni stretti dietro la schiena. Non poteva vederlo in volto, e questo la turbò, rendendola vittima del terrore di quello che le stava succedendo.
D’un tratto, qualcuno le strappò dal volto le bende, e la vista riaffiorò all’improvviso.
La luce accecante si fece largo nelle pupille rilucendo azzurra, perché su Acri era sorto il sole celato dalle nuvole grigie e solite della città. Fuori dalle vetrate di quell’immenso salone, Corrado aveva una vista che dava su tutto il suo dominio. Dalla Grande Cattedrale fino al molo.
Elena lanciò uno sguardo spaurito alle spalle dell’uomo che predominava nel suo campo visivo, notando con rancore chi si celava sotto il nome di spia all’interno della confraternita.
Era Minha.
La ragazza sorrideva sbigottita, guardandola senza battere ciglio ed Elena si comportava più o meno allo stesso modo.
Corrado fece un passo indietro, affiancandosi a Minha rimasta in disparte. –Bene…- sorrise malizioso l’uomo. –Sono lieto di notare che vi conoscete- incrociò le braccia al petto appoggiandosi allo scrittoio alle sue spalle.
Minha indietreggiò. –Veramente… io non avevo idea che si trattasse di costei!- indicò la ragazza a terra rivolgendosi a Corrado. –Non pensavo che le avrebbero assegnato questo compito!- aggiunse irritata.
Elena non capiva.
Perché? Perché lei? L’uomo che aveva ucciso il fidanzato di Minha non era un uomo di Corrado? Perché Minha aveva stretto alleanza con l’essere che più tra tutti avrebbe dovuto odiare almeno quanto di lei?! Doveva esserci una ragione più oscura, anche se Minha le era sempre parsa così… riluttante nei confronti della setta, pensò.
Era sconvolta, non poté crederci…
Corrado sogghignò. –Di quale compito parli? Ammazzarmi? Non m’importa di chi o cosa quei bastardi mi abbiano messo alle calcagna, quello che conta è che uno è fuori gioco- proferì serio.
Elena piantò le sue iridi azzurre su Minha, nel tentativo di mostrarle quanto ora si disprezzavano a vicenda.
-Uccidetela, allora- mormorò Minha avvicinandosi al sovrano.
Corrado la guardò allungo, ed Elena rimase immobile com’era: con le ginocchia a terra.
Tenne il suo sguardo, raddrizzò la schiena, ed Elena colse l’atteggiamento di Corrado come una sfida, una prova che doveva superare per rimanere in vita.
Il reggente di Acri sprofondò il mento nel petto e sul suo volto si distinse un’espressione assorta in chissà quali pensieri, riflessioni.
Dopo un infinito silenzio, le sue parole riecheggiarono melodiose di un tono tranquillo: -No, non la ucciderò- disse.
Minha sobbalzò, voltandosi verso di lui. –Siete impazzito?!-.
Elena ebbe un tuffo nel cuore e una morsa di commozione l’avvolse allo stomaco piegandola dalla gioia. Dio esisteva, e aveva detto a Corrado di risparmiarla!
Fece per alzarsi, quando Minha le venne al fianco e la prese per i capelli.
Elena avvertì dolore, ma trattenne l’urletto da femminuccia che stava per venirle fuori.
-Guardatela! Se non la uccidete ora, mio Signore, questa ragazza sarà capace di ammazzarvi a sangue freddo nel giro di qualche settimana!- gridò la donna.
Corrado, di tutta risposta, fece un gesto di stizza. –Come vi ho detto, e sarò lieto di ripetere in presenza della nostra ospite, non temo nessuno di loro. Che vengano, che sfidino i miei uomini e si cerchino la morte in città. Non macchierò certo questa sala del sangue di quella ragazzina…-.
Minha lasciò i capelli di Elena e si posizionò di fronte all’uomo. –Spero che tu stia scherzando…- borbottò, ma si allontanò in fretta verso l’ingresso della sala. –Fa’ un po’ come vuoi! Peggio per te, stupido-.
Non solo quella donna si era permessa di voltargli le spalle, ma anche di dargli del “tu” e insultarlo. Corrado sospirò quando i battenti della camera si chiusero e i passi nevrotici di Minha scomparvero nei corridoi del forte.
-Alzati- le disse, ed Elena si riscosse guardandolo.
-Come?- chiese, sperduta.
-Ho detto alzati- ripeté l’uomo voltandosi alla sua scrivania e lanciando un’occhiata ai fogli poggiatovi sopra.
-No, non quello…- Elena si alzò, ma le catene le stringevano ancora i polsi. –Perché non avete… intenzione di uccidermi?- domandò flebile, allibita.
Corrado le si avvicinò.
Portava la sua lunga spada al fianco ed era vestito come se dovesse andare in guerra: il simbolo della casata del Monferrato sfavillava sulla sua veste bianca con ricami dorati. –Mi pareva di essere stato abbastanza chiaro- ribadì.
Al giovane sovrano scappò un sorriso.
-E… e se io tentassi di uccidervi ora?- domandò lei, ma si rimangiò tutto non appena il viso di Corrado fu attraversato da tutt’altro che gioia.
Ecco che il suo sogno di vita andava in fumo. Erano bastate poche parole, era una stupida! Corrado avrebbe sfoderato la lama da un momento all’altra, e se ne sarebbe fregato del pavimento lindo e pulito della sala.
-Stai cercando di farmi arrabbiare o sbaglio?- fece lui.
-No, no, io volevo solo…- balbettò. –mi sembra una cosa stupida!- sbottò non riuscendo a contenersi.
L’uomo aggrottò la fronte stupito.
Lei proseguì. –Non solo Minha aveva ragione sul fatto che tra poche settimane io e l’altro assassino tenteremo di uccidervi, ma quando mi lascerete andare rivelerò ai miei fratelli il nome della vostra infiltrata!- era fuori controllo. Davvero non si aspettava che Corrado la risparmiasse, ma il susseguirsi di avvenimenti assurdi le aveva dato alla testa.
-Non osereste mai- mormorò lui.
-Ah! Bella questa, e perché? Tanto voi mi avete lasciato vivere ed ora torno ad ammazzare i vostri uomini e a progettare la vostra morte! Nulla potrà fermarmi! Sono viva, e tanto così separa voi dalla morte! Avete ucciso mio padre, braccandolo in casa mia e ora…- s’interruppe, nel notare Corrado scuotere la testa ridendo.
-Cosa avete da ridere tanto?!- fece la ragazza scattando in avanti e facendo suonare le catene sui suoi polsi.
-Altri dei vostri assassini erano sulle mie tracce fino a qualche tempo fa. So bene che entrambi hanno scoperto che vostro padre è vivo, Elena di Acri figlia di Alice. Credevate che non vi avrei riconosciuta? D’altro canto, mi aspettavo di incontrarvi a Masyaf quella volta che strappai alla confraternita il Frutto dell’Eden, ma non avevo previsto che Tharidl sarebbe stato tanto stolto! Oh, ringrazio Dio per avermi donato il facile cammino…-.
Fermi tutti!
-Mio padre…- fece titubante.
No, no, no… stava mentendo. Elena, non lo vedi che è una trappola?! Sapeva che sarebbe successo! L’aveva previsto nello stesso istante in cui Corrado aveva rifiutato che Elena morisse. Il reggente di Acri non voleva ammazzarla ricattandola di essere lei forse la sua nuova spia?!?! Eh no! Ma tornando a suo padre… anche quello era tutto un imbroglio?
Corrado annuì. –Vuoi rivederlo coi tuoi occhi? Elena, non lo uccisi perché già da mesi sapevo che sarebbe arrivato questo momento…-.
-Voi mentite…- da dove aveva trovato il fiato per parlare?
-Assolutamente. Kalel dimora qui da quando fuggiste quella notte, Elena. Egli mi ha parlato poco di voi, credendo di proteggervi, ma invece siete caduta tra le braccia di questa fortezza con la facilità che non mi aspettavo. Credevo che l’assassino di mio padre sarebbe stato più attento a voi, ragazza- commentò malizioso. – Arrivati a questo punto, intendete cosa voglio da voi?- sorrise maligno.
Elena sbiancò. –No, cosa?-.
Lui scoppiò in una fragorosa risata nel notare il suo colorito improvvisamente pallido. –Vi facevo più svelta di mente, lady Elena. Ebbene, a costo che io tenga in vita vostro padre, voi svolgerete sotto copertura alcuni lavoretti per me-.
Elena d’un tratto capiva, e si trovò a constatare che le sue precedenti ipotisi si erano rivelate vere.
-Credete…- balbettò, e Corrado tese le orecchie.
-Credete di potermi corrompere così?!- trattenne le lacrime e fece un passo verso di lui.
Corrado rimase impassibile. –Sì, si tratta pur sempre di vostro padre. Non faccio leva su questo?-.
-No! No perché non vi credo! Ho ben ottimi ricordi di come i vostri uomini lo ammazzarono la notte in cui fuggii! E sono abbastanza svelta di mente per comprendere che state mentendo!-.
-Volete le prove?!- ruggì all’improvviso il sovrano. –Ebbene, eccole le vostre prove. Guardie!- gridò l’uomo e nella stanza si fece avanti un drappello di otto soldati.
Elena trasalì, mettendosi da parte.
-Portate qui il vecchio!- ordinò Corrado ai suoi uomini, che di seguito si allontanarono nel corridoio.
Quanto sarebbe andata avanti quella farsa?  Forse Corrado non mentiva, forse suo padre era davvero vivo, o forse aveva catturato qualcuno che potesse somigliargli solo da lontano… Elena si sentì la testa esplodere, mentre gli occhi le si colmavano di lacrime.
Se anche fosse… se anche Kalel fosse effettivamente vivo, da quale cuore avrebbe trovato il coraggio per tradire la confraternita? Anche sotto ricatto, suo padre l’avrebbe voluto? Poteva chiederglielo di persona, se a breve l’avesse visto; ma se Kalel le avesse consigliato davanti a Corrado di non sostare alle minacce di quest’ultimo, il sovrano di acri li avrebbe ammazzati entrambi, assassina ed ex assassino.
-Non posso farlo- borbottò la ragazza, allontanandosi verso le finestre.
-Come?!- Corrado si voltò, afferrando a pieno le sue parole. –Aspetta di rincontrare tuo padre, almeno- allungò il suo sorisetto ambizioso.
-Lui non lo vorrebbe, è inutile che tentate di corrompermi! Lui non lo vorrebbe!-.
-Ne sei così sicura?- Corrado la guardò rabbioso.
Lei annuì. –Vorrei tanto che uccideste me al suo posto- disse d’un fiato.
Il re non fu minimamente toccato da quelle parole, ed Elena riacquistò colore agli occhi nel vederlo.
Gli uomini armati lo scortavano circondandolo, e il vecchio Kalel avanzava chino nel corridoio, comparendole prima come un puntino indistinto a causa della nebbia delle lacrime, poi prendendo le vere sembianze di suo padre.
Elena scattò in avanti, avvicinandosi all’ingresso.
Alcune guardie furono sul punto di fermarla, credendo che sarebbe scappata, ma Elena arrestò la sua corsa davanti al drappello di uomini già nella stanza.
-Elena- la sua voce era più sorpresa e furiosa che commossa.
Suo padre era come se lo ricordava. Quella pelle scura e ramata, quegli occhi nerissimi e quella barba che andava diventare bianca nonostante Kalel avesse più o meno una cinquantina d’anni, ovviamente in perfetta forma anche se poco poco sciupato le apparve, ma un assassino poteva adattarsi anche alla cuccia di un cane.
Fu sorpresa di notare un particolare alquanto assurdo. Elena l’aveva visto vestito così durante i giorni in cui si allenavano insieme con la spada. Solo in quei momenti ed ora, di fronte a lei, indossava l’esatta copia di una veste da Rafik: una tunica scura a coprire il completo bianco sottostante.
-Padre- mormorò lei.
-Perché sei ancora qui?! Oh, Gesù Santissimo! Speravo che non restassi! Elena, vattene!- la sua voce era possente come se la ricordava e, sbaglio o le aveva ordinato di andarsene? Sbaglio o Kalel non voleva che accettasse i patti di Corrado.
-Taci vecchio!- intimò Corrado e le guardie afferrarono saldamente suo padre per le braccia.
Elena avrebbe voluto abbracciarlo, ma le catene che le legavano le mani glielo impedirono. Una lacrima le rigò la guancia.
La ragazza stette a guardare come uno degli uomini del Monferrato faceva mettere in ginocchio il pover’uomo e Corrado sfoderò la spada.
-Dimmi: sei dalla mia o dalla parte di Dio?- pronunciò il sovrano puntando la lama al petto di suo padre.
Kalel la implorava con lo sguardo, la sua testa si muoveva impercettibilmente da destra a sinistra e da sinistra a destra. Le stava facendo segno di non accettare.
Kalel desiderava forse la morte? Il suo compito di padre era forse finito? No, Elena avrebbe voluto portarlo con sé alla Dimora, con sé a Masyaf, ma non vi era il modo.
In quel breve stacco di tempo calcolò tre possibili via di fuga da quella maledetta, bastarda situazione.

1.    Diceva di sì, suo padre viveva e Corrado le avrebbe chiesto di pugnalare nel sonno l’assassino di Gulielmo.
2.    Diceva di sì, lasciava la fortezza di Corrado e, non rispettando gli accordi presi cioè ignorando gli ordini, non vi avrebbe fatto più ritorno se non per ucciderlo assieme al suo maestro Altair.
3.    Diceva di no, e padre e figlia morivano lì in quella sala.

Fu orribile. In tutte e tre le opzioni suo padre avrebbe perso la vita. In un modo o nell’altro, Elena avrebbe messo di nuovo piede fuori dal forte di Corrado, per quanto riguardasse la scelta numero due, ma il sovrano di Acri, accorgendosi magari dopo diversi giorni dell’infedeltà della ragazza ai patti, avrebbe ucciso Kalel senza pensarci due volte.
Quello che a Elena non tornava, era il fatto che la ragazza aveva visto chiaramente che, nella notte della sua fuga da Acri, Kalel era morto ammazzato da una freccia.
Elena si riscosse, indietreggiando.
Cos’era quella sensazione assurda che avvertiva nella testa? Come un continuo pulsare senza mai smettere, una martellata dopo l’altra che diventava sempre più intenso, e costante.
All’improvviso un suono acutissimo, un sibilo innaturale che squassò i suoi timpani coprendo tutti i suoni restanti.
La ragazza si voltò, notando un leggero chiarore sfavillare provenire dall’interno di un cofanetto di legno.
Frutto dell’Eden uguale Illusione. E quel detto famoso che faceva “Niente è reale, tutto è Lecito”? Azzeccato o no ad una simile situazione?
Kalel gliene aveva parlato tanto: i poteri del Frutto erano immensi e forse Corrado aveva imparato ad utilizzarne alcuni, come l’illusione, la personificazione dei morti.
Elena riacquistò il senso dello spazio e della realtà nel momento in cui una luce accecante le si parò davanti agli occhi, proveniente dal corpo di suo padre.
Corrado non era riuscito nei suoi intenti, perché i doni del Frutto gli si erano rivoltati contro. Un impuro non poteva padroneggiarne la forza, tanto meno un ignorante come lui che non aveva studiato abbastanza affondo come possederli e moderarli.
La luce si fece più intensa, intollerabile agli occhi ed il sibilo proseguiva.
Lentamente, una ad una le figure che animavano quella stanza si dissolsero come sculture di sabbia travolte dalle onde del mare. Prima Corrado, poi i suoi uomini ed in fine anche lei, Elena.
Accompagnato da un boato assurdo, il potere dell’Eden esplose nella stanza.

-Qualcuno può per favore spiegarmi cosa diamine sta succedendo?!- Alex Viego entrò urlando dalla sala conferenze. Era senza giacca, con indosso i pantaloni dello smoking e la camicia bianca. il cravattino nero mal rifatto che gli pendeva dal colletto.
-Nulla, abbiamo tutto sotto controllo!- rispose Warren con un accenno di sarcasmo.
L’Animus andava in fiamme. Il surriscaldamento stava lesionando il circuito di memoria interno e danneggiando i comandi che non rispondevano.
Lucy, affannata nel mantenere il controllo della situazione, si spostava di corsa da parte a parte della macchina digitando codici in sequenza su ciascuno dei piccoli interruttori che vi erano ai lati del macchinario.
-Santi Lumi- mormorò Desmond avvicinandosi. –Dobbiamo levarla da qui o Andrea sarà cotta a puntino tra un paio di minuti- disse.
-No!- Lucy lo fermò in tempo prima che Desmond potesse afferrare il corpo della ragazza, ancora sdraiata sul quell’Inferno.
-Sta’ fermo!- gli disse ancora e riprese il suo lavoro.
-Che sta succedendo?- Alex partecipava attivamente ai lavori nel laboratorio da un paio di giorni e spesso si chiudeva nella sala conferenze da solo gestendo lui stesso le attività politiche e giornalistiche che dovevano restare all’oscuro di tutto il progetto.
-Quello che non sarebbe dovuto succedere!- sbottò Warren su tutte le furie.
-Ehi, voglio capire anch’io!- s’intromise Desmond avvicinandosi a Lucy.
La ragazza prese fiato passandosi una mano sulla fronte. –Prima di innescare questa sequenza di ricordi avremmo dovuto caricare nel sistema operativo mnemonico un gene chiamato “container”. Il Container si attiva quando nel passato vengono utilizzate le risorse del Frutto dell’Eden, come in questo caso. Il Container si occupa di assimilare le energie del Tesoro dei Templari quando queste vengono sfruttate e ricavarne corrente da impiegare altrove. Ebbene, mi sarei dovuta occupare io stessa di caricare il programma Container, e le mie dimenticanze sono la causa di tutta questa merda!-.
-Signorina Stilman, riprenda il controllo di sé e della macchina!- la rimproverò Vidic.
Lucy abbassò lo sguardo tornando al suo portatile. –Sì, mi scusi dottore- le sue dita cominciarono a picchiare agili sul computer.
-Ebbene, tutto qui?- domandò Alex lanciando un’occhiata al PC della ragazza. –Solo un sovraccarico?- aggiunse.
Lei annuì.
Desmond indietreggiò. –ed è grave?- chiese.
-Per niente, ma potrebbe verificarsi un…- Lucy non terminò la frase che le luci della stanza saltarono. Poi, all’esterno, anche i grattacieli di New York si spensero lasciando il mondo in balia del buio della notte.
-Perfetto!- Vidic stava per strapparsi i capelli.
Alex si raddrizzò collerico. –Senta, dottor Warren, qui l’unico che è devoto a dare di matto sono io! I miei clienti mi mangeranno vivo per questo! Per non parlare dei danni all’azienda e alle questioni ufficiali!- si lamentò.
Non si accesero neppure le luci d’emergenza, tutto era nero ed uniforme.
Anche l’Animus era improvvisamente tornato freddo come il metallo di cui era composto. Desmond percepì un imminente calo della temperatura nella stanza.
Lucy staccò le mani dalla tastiera. –Ho perso tutto- disse.
-Che intendi?- fece Viego.
-Nulla di grosso, ma mancheranno alcuni ricordi all’accensione. Diciamo che sono i conseguenti standar per un calo di energia come questo…- borbottò la donna sedendosi sulla poltroncina.
-E ora che si fa?- Desmond guardò Andrea. –Posso toglierla da qui?- chiese.
-Tra poco dovrebbe riprendersi, la lasci pure stesa sull’Animus, signor Miles- proferì Warren sospirando. –Stilman, tra quanto tempo potremo ricominciare il lavoro?- domandò-
Lucy alzò le spalle. –Si ricorda? L’ultimo calo di corrente registrato nell’azienda risale a qualche anno fa. È durato un paio d’ore -.
Non l’avesse mai detto, perché sia Warren che Alex diedero i numeri.

   
 
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