Quella,
a dir la verità, non era stata la prima volta in vita sua
che l’aveva vista, ma
tutti gli eventi avvenuti in passato perdevano ogni rilevanza in
confronto a
quel giorno.
Fu
quando gli spararono.
Tutto
a causa di quello sparo. Uno sparo che fu abbastanza stupido da
beccarsi in
circostanze in cui sarebbe stato ridicolmente facile evitarlo, niente
di cui
andare troppo fieri. Era cascato nella loro trappola come un cagnolino
ingenuo,
tutto perché non aveva avuto abbastanza cervello e
autocontrollo per trattenersi.
Aveva
fame.
Erano
giorni e giorni che non mangiava decentemente, nelle sue condizioni
già la
caccia non era mai stata particolarmente fruttuosa, si doveva
accontentare
anche dei resti peggiori; gli altri della sua razza vedevano bene di
non
lasciare nulla in giro che potesse tenerlo nei paraggi: ma se prima le prede
erano
scarse, in quel periodo erano praticamente sparite, probabilmente a
causa di
quella razza di uomini insaziabili: era sicuro che fosse il loro ennesimo
tentativo di
stanarlo per farlo fuori, e saperlo non cambiava le cose.
Esseri
repellenti.
Fu
quel rodere intenso nel suo stomaco di una fame insostenibile a
costringerlo a
tentare un’altra sortita nel territorio urbano degli uomini, piuttosto
pericolosa per
chiunque, ma non per lui: era nato per essere un vero predatore,
un
inafferrabile cacciatore quale era non avrebbe
dovuto avere
problemi ad ottenere ciò di cui aveva bisogno.
Dio,
se aveva fame.
Anche
potendo, fino ad allora si era sempre rifiutato di arrivare a
considerare anche
solo minimamente i viveri degli esseri umani per sopravvivere, il solo
pensiero
di toccare ciò che producevano lo
disgustava. Si
sorprendeva lui stesso del fatto che quella fosse già la
decima volta o più che
si costringeva ad entrare nel loro
territorio per rubare da loro: ma era
al limite. Doveva avere della carne, subito, se non voleva che la fame
divorasse il suo stesso corpo.
Si
era così infiltrato di nuovo in uno dei loro
allevamenti, in cui
non facevano che crescere animali di una tale stupidità da
renderli buoni solo
a farsi portare al macello, per ucciderne e
prendersene uno.
Gli
umani ne avevano sterminati a migliaia, di quelli della razza a cui
ormai
apparteneva, per riempirsi la pancia e peggio, e bramavano la sua morte
ogni
giorno, in modo malsano, ossessivo; aveva tutto il diritto di rubare
una delle
loro bestie per sopravvivere. Quello che alla fine aveva deciso di fare
non poteva
essere criticato in alcun modo, perché nessuno poteva
trovare un motivo valido
per impedirgli di recare un danno, neanche a parlare di quanto fosse
minimo, nei confronti di
una razza di creature come gli esseri umani, che
avevano infettato sia la terra che il suo stesso corpo.
Pagherò
il vostro prezzo in eterno. E per questo non smetterò di odiarvi.
Gli
bastava passare appena gli occhi su quella pelle color carbone e quei
rasoi che
costituivano le sue unghie per odiarli con tutta l'anima: non si poteva neanche definire corpo, quello straccio di carne e
pelle nera
che aveva cucita addosso. Era solo parte della sua maledizione, del
prezzo da
pagare al posto loro. E ora doveva sopportare per loro anche quella sopravvivenza miserabile da schiavo: il dio dell’Incubo che aveva il potere
di un controllo assoluto su
ogni tipo di mente schiavo della fame e soprattutto delle loro azioni inqualificabili, a cui
doveva il
solo esistere.
Uomini.
Se
solo quella sensazione dell’acido che lo corrodeva
dall’interno in mancanza di
cibo non fosse stata tanto insopportabile. Non aveva altra scelta che
nutrirsi
di ciò che producevano, repellente ma necessario: doveva
rubare un’altra
bestia.
L’insopportabile
desiderio di avere un equino consumava ogni molecola del suo corpo
insieme alla
fame, carne rossa e nutriente e col sapore che giudicava migliore, fra
i loro
animali da macello, ma date le
circostanze non avrebbe mai potuto portarselo via o divorarlo in tempo
senza
che gli spedissero orde di cacciatori armati alle costole;
anche un
agnello sarebbe stata un’ottima scelta, ma erano protetti
persino meglio, stavano nel
cuore di interi greggi; un rischio decisamente troppo alto. Sapeva che
avrebbe
dovuto accontentarsi ancora una volta di un misero pennuto. Carne
bianca e
insipida praticamente senza valore nutritivo, non calmava il graffiare
furioso degli
artigli nel suo stomaco neanche un po’, ma era ai limiti
della sopportazione: troppo
tempo senza mangiare, lo avevano
privato di tutta la selvaggina che gli spettava. Ecco che tornava immancabilmente a ripetersi che quello non era
che il
loro solito trucco sleale: volevano spingerlo a entrare nel loro
territorio per
ucciderlo giocando in casa, o comunque per farlo morire di fame; la difficoltà però non lo spaventava più di tanto, è risaputo che i
fuoriclasse non si scelgono il campo. E aveva un disperato bisogno di
carne.
Fu
facile entrare, in maniera impeccabile e impercettibile, fondendosi con
l’ombra
e diventando tenebra pura, una sensazione che adorava; come fu
ridicolmente
facile tirare il collo a un volatile e trascinarlo via dal recinto, con tutte le
intenzioni di farne la cena che si meritava da giorni.
Peccato
che la sua debolezza e incapacità di autocontrollo fecero
andare tutto a
rotoli. Il madornale e imperdonabile errore che per poco non lo fece
ammazzare.
Per
quanto disgustosa potesse essere, la tentazione di ficcarsi in bocca
subito,
finalmente, della carne, era qualcosa a cui non voleva resistere, e
finì per
scegliere di mangiare la bestia sul posto il più rapidamente
possibile: si
scelse un luogo appartato poco oltre quello stupido allevamento,
avrebbe
pensato a sbarazzarsi dei resti a fine pasto.
Strappata
qualche penna in fretta e furia aveva cominciato fin da subito a
sbrindellare e
a divorare voracemente il penoso bottino ottenuto il più
rapidamente possibile,
senza nemmeno preoccuparsi troppo di ripulirlo come si deve, mandando
giù
quanta più carne riuscisse a ingoiare. Non avrebbe avuto
comunque il tempo di
fare lo schizzinoso e scegliersi le parti con cura, senza contare che
nel suo
stato attuale non poteva permettersi di lasciare un solo pezzo ai
mangiatori di
carogne. Così continuava a scavare furiosamente
nella carne cruda,
viscida di sangue, dell’animale, strappando brandelli con
unghie e denti con la
furia disperata di una belva, ripugnante da
guardare sia
per un umano che per uno del suo popolo. Mangiava senza sentire alcun
sapore, al
solo scopo di finire il prima possibile.
Bestia
che non sei altro.
Immerse
ancora una volta la bocca, a intervalli sconnessi e in modo tuttavia
ironicamente meccanico, nell’ammasso di tessuti e muscoli
viscidi dell'animale crudo,
strappando via tutto e ingollando in fretta e furia.
E che
cosa avrebbe dovuto importargliene? Che cos’era, quello
spettacolo penoso di
una creatura privata di ogni forma di dignità, in confronto a ciò che facevano gli
esseri umani ogni
giorno?
Bestia.
In fondo era
quasi un complimento. Sarebbe stata un’identità
assai migliore in confronto a
quella di un umano, esseri che con la loro follia lo avevano condannato
a
quella vita come prezzo del potere che gli era stato impresso allo scopo di punirli.
Eppure…
faticava, faticava davvero a ingoiare quei brandelli
sanguinolenti,
e il dorso di quelle zampe da demone a tre dita non poteva proprio fare
a meno
di continuare a cercare con disperazione di scostargli e pulirgli via
di dosso
quel denso sangue appiccicoso che continuava automaticamente a
imbrattarlo. Non
era il disgusto per il sapore di quella roba insipida, non
lo
percepiva nemmeno: era la vergogna per se stesso che,
morso dopo morso, gli
rendeva
sempre più faticoso ingoiare quei pezzi crudi, un sentimento che covava del tutto
involontariamente nel
suo spirito lacerato.
La
consapevolezza di non poter essere criticato da nessuno per quello a cui si era abbassato, non certo per la prima volta, non bastava
minimamente
a reprimere quella sensazione di disgusto e rabbia che sentiva
contorcersi dentro come
un cobra che lo accompagnava e gli avvelenava l'anima giorno dopo giorno.
Che mostro.
Non cercare di negarlo, sai benissimo che è questo che sei.
Inutile
cercare di ignorarla, poteva solo combattere come una belva disperata
contro
quella puntuale lotta intestina che lo veniva a trovare ogni volta che spingeva
un
pezzo di carne cruda nella propria gola.
Ma
non era arrivato neanche alle viscere che il latrato furioso dei cani
squarciò
violento il silenzio, che credeva di essere stato abbastanza astuto da
riuscire
a mantenere senza problemi durante il suo odiato pasto da animale.
A
occhio e croce, sembravano più o meno una decina, e
naturalmente non erano
soli. Di una puntualità insopportabile.
Dannazione.
Andate al diavolo.
Come
aveva sospettato, sapevano che presto si sarebbe mosso per rubargli una
bestia
un’altra volta: dovevano averlo attirato di proposito,
prendendolo per fame, per braccarlo senza doversi disperare per stanarlo inutilmente nel
suo
territorio, da cui non avrebbero avuto una sola
possibilità di uscire sani.
E
pensare che, a dirla tutta, al contrario di ciò che
pensavano loro, lui non
aveva alcun tipo di dimora: i suoi simili lo
odiavano, erano
capaci di arrivare quasi allo stesso livello di ferocia del popolo
umano per
tenerlo lontano dalle loro tane, non gli avrebbero mai permesso di
stabilirsi
da nessuna parte, almeno senza che l’intero branco venisse a
muovere guerra
contro di lui con zanne e artigli. Dunque era un nomade indomito, e pieno di
odio per
gli umani, che viveva nascondendosi nel buio o a fuggendo continuamente da qualche parte.
Ridicolo.
Che
situazione patetica: davvero, lo era, chiunque lo avrebbe pensato. Col potere che gli avevano imposto avrebbe potuto tranquillamente stroncare tutti coloro che
lo
infastidivano. Un unico gesto, e chi lo costringeva a quella sopravvivenza forzata, che non
poteva
neanche essere chiamata vita, non si sarebbe mai più
svegliato. Bastava davvero,
uno sguardo.
Ma
a che scopo? Sarebbe stato un gesto da umano. Da lurido essere umano. E
non
avrebbe fatto altro che insanguinarsi l’esistenza
più di quanto non fosse
attualmente, rendendosela solo ancora più insopportabile, a
cominciare dal
mostruoso intensificarsi della caccia sulle sue tracce che ne sarebbe
seguito,
come se quella che gli stavano dando in quel periodo non fosse
già abbastanza.
Erano
preparati, lo aspettavano, erano lì per farla finita.
Continuassero pure a
sognarlo, una volta che li avrebbe resi incapaci di uscire dalle loro
stesse
menti sarebbero stati liberi di farlo per tutto il tempo che volevano.
Dall’aura
che avevano addosso dovevano essersi ricoperti di Alalunari in maniera
decisamente
esagerata: erano intere valanghe di piume di Cresselia, riuscivano quasi a coprire persino
il loro
insopportabile odore di pelle umana. Preferì non immaginare in che maniera se ne fossero procurati una simile quantità. E con questo, tanti saluti al suo cavallo di battaglia: senza le capacità che lo rendevano famoso vrebbe dovuto sistemarli alla vecchia maniera,
letteralmente con
le unghie e coi denti. Non avrebbe potuto mai ricorrere ad attacchi e
manipolazioni mentali nel sonno con la presenza di tutte quelle dannatissime piume: tutto sommato le nuove
generazioni non
erano così stupide come pensava, a livello di precauzione stavano migliorando.
Si
liberò immediatamente della carcassa, almeno per
provare a depistare
i cani in arrivo, per poi cominciare a correre... o
meglio… sfrecciare
lontano, più fulmineo di un falco in picchiata, per mettere
un po’ di distanza
fra lui e i cacciatori.
Buffo,
neanche loro sapevano che i ruoli in realtà erano da sempre
invertiti: gli piaceva credere che solo il
suo disgusto nei loro confronti impedisse loro di trasformarsi totalmente
in
prede servitegli su piatti d'oro zecchino.
Quando
si gareggiava con lui in rapidità non c’era la
minima competizione, ma se erano
preparati al suo assalto, come dimostrava la quantità
abnorme delle Alalunari
che si portavano addosso, probabilmente avevano previsto anche una
situazione simile.
Se
avete proprio deciso di rovinarmi la cena, almeno vedete di non
annoiarmi.
Nonostante
i crampi, decisamente insoddisfatti per quel pasto senza sapore e
incompleto che
continuavano a mangiucchiargli lo stomaco come soda
caustica, non fu difficile lasciarsi alle spalle i loro edifici e
tornare sui
suoi passi, almeno per allontanarsi da loro territorio.
Il
problema venne quando, inaspettatamente, dopo essersi accertato di
avere a una
bella distanza dalle proprie spalle il loro centro abitato, quelli
iniziarono
a recuperare terreno: nessun tipo di macchina finora costruita era
ancora in grado
di reggere il confronto con la sua velocità, e a giudicare
dal rumore di
zoccoli in corsa e dallo sfrigolio del terreno al contatto con essi
dovevano
essere a dorso di Rapidash. Una buona scelta, doveva ammetterlo, se
c’era una
specie di Pokemon abbastanza rapida da tenergli testa nella corsa
questa era
quella dei superbi stalloni nati direttamente dal sole, dotati di
un’accelerazione a malapena descrivibile, unici in grado di
raggiungere i 240
chilometri orari in pochi secondi. Senza contare che, da come
riuscivano a stargli
dietro nonostante la propria capacità di aumentare la
velocità di movimento in
maniera esponenziale, dovevano averli appositamente addestrati per
superare i
loro limiti, forse ai 300 chilometri erano pure in grado di arrivarci.
E bravi, bella mossa. Peccato che la vittoria
non abbia
mai fatto parte della vostra natura perdente.
Da
come spronavano e aizzavano le bestie, e dalle grida che lanciavano,
dovevano
avere tutte le intenzioni di impedirgli di raggiungere il bosco
più vicino:
erano sufficientemente intuitivi per capire che una volta lì
dentro, nel suo
regno, il buio causato dalle fronde più fitte che coprivano
i raggi solari,
dove avrebbe potuto far perdere le proprie tracce e lasciarli imbarazzantemente a bocca asciutta,
non sarebbero più riusciti a prenderlo. Peggio ancora, nel buio avrebbe avuto qualche possibilità di togliergli di dosso le Alalunari, e in quel caso
sarebbero finiti
alla sua completa mercé: dritti nella tana (se ne avesse mai
avuta una) e nelle
fauci del lupo. Se proprio credevano di avere qualche
possibilità di prenderlo,
di certo avrebbero fatto di tutto per tenerlo fuori
dall’ombra, alla luce del
sole, dove avrebbero potuto vederlo, impedirgli di nascondersi e
colpirli alle
spalle.
“Non
farlo arrivare alla foresta, o prova di nuovo a usare i suoi trucchetti!"
"E corri, maledizione, qui finisce che ci semina di nuovo!”
“Tagliategli
la strada, se entra
siamo fregati!”
Sapete
davvero essere così patetici?
D’altra
parte, non che ci volesse tutta questa genialità per capire
che dovevano
impedirgli di raggiungere l’ombra, se volevano esibire la sua pelle come trofeo di caccia,
dopo
migliaia di tentativi andati a vuoto. Ed erano ancora abbastanza ingenui
da non
pensare neanche minimamente che lui intendesse la loro lingua
forse
anche meglio di loro stessi. E comunque, in ogni caso, era
perfettamente preparato
ad un’eventualità del genere: una tattica simile
sarebbe stata la prima cosa
che avrebbero cercato di mettere in atto.
Cielo, che
scontati.
Aveva
una certa voglia di divertirsi un po’ con loro: aveva
cominciato a stancarsi di
prenderli sempre con la stessa rete, se proprio doveva giocare con quei
bipedi tanto odiosi tanto valeva farlo come si deve: d’altronde il carico
di Alalunari che
si tiravano dietro rendeva il tutto di una certa complicatezza.
Divertiamoci, miei vecchi giocattoli.
La
partita fra lui e quei cacciatori sembrava aver assunto i caratteri di
una gara
di astuzia e velocità, avrebbe fatto uso della
rapidità e della sua esperienza
sul campo: conosceva molto bene il terreno sul
quale stavano
giocando al gatto e il topo, a loro completa insaputa.
Per
prima cosa avrebbe ridicolizzato quella patetica strategia per tentare
di
fermarlo, usando lo stesso gruppo che si era separato dagli altri per
cercare
di tagliargli la strada. Avrebbe aggiunto una beffa al danno,
umiliandoli come gli
ingenui che erano: che credevano di fare con quella mossa scontata?
Rallentando
appena l’accelerazione per far recuperare un po’ di
terreno agli inseguitori
alle sue spalle, intravide presto di fronte ai suoi occhi i loro
compari, a
bloccare l’accesso alla foresta, pronti ad accogliere il suo arrivo.
Inizia il gioco.
Due
metri di apertura alare si distesero dalle sue spalle,
ansiosi di
abbracciare il vento, abbandonò ogni appiglio al suolo e
sfrecciò rasoterra
dritto contro gli altri membri del gruppo di caccia, leggendo nei loro
occhi la
vita di ognuno, scavando nelle loro menti, carpendone ogni
dettaglio.
Una
tensione terribile aveva preso possesso dei loro cuori: giovani che cercavano
di mettersi in mostra, riuscendoci peraltro pessimamente: avevano una paura del
diavolo. La
loro era una storia come un’altra, niente di nuovo o
interessante,
sempre la solita manciata di citrulli che speravano di guadagnarci
qualcosa; entrarono
nella sua testa una dozzina di nomi totalmente irrilevanti, fu come non
averli
neanche sentiti, e quando la distanza sempre più piccola fra
lui e quello
schieramento da due soldi cominciò a diventare preoccupante, in quelle
menti umane
sopraggiunse una considerevole dose di ansia e terrore: certo tipi
così non si
aspettavano che il loro temibile obiettivo venisse direttamente loro
incontro
per affrontarli a viso aperto come si deve, mostrando quei due
pezzi di
ghiaccio azzurro, i suoi occhi da serpente, dritti contro le loro
iridi, in
un’espressione beffarda tipica da Oscuro. I cavalli
ardenti cominciarono ad
agitarsi, uno, al solo vederlo, rischiò seriamente di
imbizzarrirsi.
Uh,
allora ti faccio paura?
Rimasero
così sorpresi e paralizzati nel vederselo arrivare
letteralmente addosso che
quando lui li superò semplicemente scavalcandoli in volo,
innalzandosi in
maniera agile e perfetta sulle loro teste, non si resero neanche conto
di
essere andati a sbattere direttamente col gruppo che gli stava alle
costole;
con ogni probabilità cozzò qualche testa, con
somma soddisfazione dell’Oscuro.
Tuttavia,
quelli in coda, con una non trascurabile dose di fortuna, abbastanza da
non
farsi destabilizzare come gli altri, furono i primi a riprendere il
controllo
delle cavalcature e a ripartire al suo inseguimento, decisi a non
cadere più
nelle sue trappole, pur non avendo certo le capacità
necessarie per evitarle. E
spronavano gli stalloni come pazzi per non perderlo di vista. Era
divertente
sapere che i loro peggiori sforzi non gli sarebbero stati di alcuna
utilità:
perché se a terra era un ghepardo in cielo, nel vento, era
un lampo, e dire
che gli inseguitori erano il tuono era persino una sopravvalutazione, rispetto alla
sua
velocità.
Stavano
costeggiando il bosco, senza però accennare nemmeno l'intenzione di addentrarvisi. Piuttosto strano, credevano probabilmente gli esseri umani, se lui
fosse
entrato, e avesse recuperato il vantaggio del buio, per loro il gioco si sarebbe subito concluso: eppure lui continuava a volare avanti, nemmeno troppo in alto, aveva
tutte le
intenzioni di attirarli da qualche parte. In realtà, giocare
con loro e le loro
ridicole tattiche per abbatterlo non era niente di estremamente
stimolante, ma
se c’era una cosa che riusciva a fargli dimenticare per un
po’ quel tremendo,
assolutamente tremendo, senso di fame, questa era la soddisfazione nel
ridicolizzarli.
Decise
di cambiare direzione, e puntò verso la base del costone
roccioso che dava
sugli alberi della foresta, per continuare la partita su un campo
diverso. Non
si fermarono neanche per un istante, gli corsero dietro senza neanche
pensare,
e in un attimo ecco che sfrecciava fra le pareti rocciose inseguito da
circa
cinque o sei di loro.
Avrete
anche imparato a fare qualche scattino, ma che ne dite delle lunghe
distanze?
Se
ponderava bene le energie avrebbe potuto sfiancare i cavalli di fiamme,
e in
quel caso volgere la situazione direttamente a proprio favore:
però erano
ancora decisamente un po’ troppi per i suoi gusti. Se li
avesse presi uno per
volta, con calma e ragionata imprevedibilità, non avrebbero mai potuto
difendersi. Anche con una manovra pericolosa come quella.
Vediamo
di spedirne a casa qualcuno.
Adocchiò
per primo quello che sembrava il più giovane e lento, si
sarebbe tenuto i migliori
per dopo. Trattenne il respiro e poi, senza preavviso, nel pieno dell’inseguimento,
all’improvviso sparì
dalla loro vista, inabissandosi invisibilmente nel terreno.
“Ma
che diavolo…?”
“E
ora dov’è andato? Giuro che questa volta lo
ammazzo davvero!”
Riderei,
certo, se solo ne fossi capace…
Fu
più problematico del previsto evitare gli zoccoli
incandescenti dei cavalli
mentre era fuso con le loro ombre, questo però non gli
impedì in ogni caso di
rispuntare dal terreno alle spalle dei cacciatori e di buttare
giù di sella
l’ultimo della fila, con un unico colpo secco e preciso. Il
Rapidash si
imbizzarrì e perse il controllo per lo spavento, fuggendo
via dal resto del
gruppo come indemoniato, che il poveretto ringraziasse il fatto di
essersi
salvato da quei letali zoccoli roventi. Il resto del gruppo certo non
aveva
i riflessi sufficientemente pronti per rendersi conto
dell’assalto al
momento opportuno.
Fuori
uno.
“Ma
che..! Norm! Norm!”
“Lasciate
perdere Norm! E occhio alle spalle, voi altri, sta facendo come quella
volta!”
Era
un peccato aver perso l’effetto sorpresa, ma non era certo la
prima volta che
adottava quella tattica per seminarli: eppure, nonostante
ciò, continuava in
ogni occasione a fregarli in quel modo. Puntò a quello
più avanti, fece
esattamente come prima: un fulmineo slalom tra le zampe in pieno
galoppo degli
stalloni per poi assaltare alle spalle il cavaliere, con cui
bastò un’unica
spinta all’indietro per tirarlo giù di groppa.
Fuori
due.
“Cribbio…
non ci provare, dannata bestiaccia!”
“Occhio,
Ed, il prossimo sei tu, è sotto di te!”
Uh,
quindi sei terribilmente miope, ma cieco ancora no.
A
quanto pareva, per gli esseri umani la terza era davvero la volta
buona, perché
il cacciatore in questione ebbe abbastanza cervello da obbligare il
Rapidash a
espandere le fiamme intorno a sé prima che lui potesse
disarcionarlo come gli
altri due, costringendolo a togliersi subito dalla zona di corsa dei
cavalli
ardenti e a tornare
visibile
ai loro occhi, riprendendo così l’inseguimento
tradizionale.
Un
paio in meno tutto sommato erano sufficienti, e non era il caso di trattenere il respiro a lungo per sfruttare quella abilità, lo avrebbe fatto stancare troppo: ora sarebbe bastato
seguire la
strategia originale. Nonostante i muscoli avessero cominciato a dare
qualche
lamentela, cominciava finalmente a trovare quella piccola gara
entusiasmante:
non voleva smettere di fendere l’aria, voleva accelerare
sempre di più, sentire
quei tre rompiscatole in preda all’esasperazione per non
poter reggere il
confronto con lui.
Naturalmente,
però, tutte le cose hanno una fine, e dopo qualche tempo
iniziò a intravedere
la fine della pista sotto il costone roccioso che avevano percorso
finora:
vicolo cieco.
Perfetto.
Come
si aspettava, chi gli stava dietro riprese ad esultare appena ebbe
capito che
l’odioso percorso si degnava di finire:
“Beccato!”
“L’abbiamo
preso, Ed!”
“Corsa
finita, mostriciattolo, sei fregato!”
Senti
un po’ chi parla.
Gli
artigli scattarono fuori in tutta la loro lunghezza, le ali piumate si
tesero
per l’ultima volta, fino a quando la parete rocciosa non gli
si ritrovò di fronte.
La partita si chiude in bellezza.
Un
battito abbastanza potente da sollevare una corrente d’aria
carica di polvere, e
le unghie si agganciarono come rampini acuminati alla superficie
rocciosa,
mentre gli inseguitori, finalmente arrivati a destinazione,
costringevano i
cavalli sfiancati ad una brusca frenata, non avendo la minima idea di
ciò che
il loro obiettivo stesse cercando di fare. In un attimo, appena il
tempo di
alzare la testa, e incrociarono le sue gelidi iridi blu, che li
sovrastavano
dall’alto come due spietati inquisitori, che bastarono a
paralizzarli con
un’unica, penetrante occhiata:
“Cosa…”
Erano
in tre. Proprio come aveva sospettato. Tutti abbastanza giovani, il che
certo
non li aiutava e non li aveva mai aiutati finora, era necessaria come minimo un'esperienza abnorme per poter realmente sperare di confrontarsi alla pari con lui.
L’Oscuro
penetrò in quegli occhi umani color cioccolato come un virus
corrodente,
facendosi strada nelle loro menti: trasse da esse ogni pensiero
con la
stessa facilità con cui un prestigiatore estrae un coniglio
dal cilindro, per
poi infondere in essi un’emozione disturbante e avvolgente, non ebbe pietà. Erano
agitati, e la loro paura continuava ad aumentare esponenzialmente, esseri
umani del
genere non sarebbero mai stati in grado di tenere testa al suo
sguardo.
Uno
cominciò a far indietreggiare la cavalcatura, incapace di
reggere il confronto
con quella pupilla da serpente,
mentre
l’agitazione degli altri continuava a crescere gradualmente:
quando quella
penetrante mezzaluna azzurra scintillò minacciosamente
contro i loro volti, il ragazzo che si era
fatto indietro
non resistette più e tornò indietro di corsa
senza nemmeno la necessità di
guidare indietro il cavallo ardente, riuscendo a malapena a soffocare
delle
grida. Piuttosto imbarazzante.
Ti
faccio paura?
A
malapena gli altri due si accorsero della fuga del terzo, tanto erano
paralizzati da quella mezzaluna di un blu acceso, con quel
sottile e
arcuato triangolo nero al suo interno, che li fissava trapanando
psicologicamente i loro occhi.
Allora,
ti faccio paura?
La
situazione diventava più ridicola a millisecondo che
passava, in effetti gli sembrava di vedere quasi il tempo scorrere al
rallentatore: non solo non
riuscivano a guardarlo negli occhi senza riuscire a muovere un solo
muscolo, nonostante
per loro fosse il momento perfetto per puntarlo con una canna, ma non
erano
neanche in grado di distogliere lo sguardo: quegli scuri occhi umani
sembravano
potersi sciogliere per il terrore da un momento
all’altro, senza che fosse
neanche necessario stringerli in una morsa psichica.
Ti
faccio paura, non è vero?
Con
una tale confusione emotiva nelle loro teste, scatenare
un’ipnosi su di loro
sarebbe stato di una facilità imbarazzante... naturalmente se
non avessero avuto
addosso un’intera scorta di piume anti-sonno come garanzia
totale. Un
impedimento rognoso e ridicolmente insormontabile, una piumetta che,
per legge
della natura, da sola, lo rendeva praticamente impotente.
Ma se
loro potevano aessersi protetti nel modo migliore, che dire
delle loro
cavalcature?
Gli
stalloni coperti di fiamme, tenute lontane da chi li montava grazie
alla loro
volontà e alle selle ignifughe, avevano cominciato ad
agitarsi, a scalpitare
leggermente: la loro paura era paragonabile a quella dei loro
cavalieri, ma a
quanto pareva quella del frustino era ancora più grande.
Così
mi offendi, schiavo.
Un
Rapidash, per natura splendido e superbo, reso uno schiavo totale da un
essere
umano. Pur non essendo stata certo una sua scelta, aveva più
paura di un
frustino o degli speroni che dello sguardo superiore,
ipnotico e
spietato del guardiano Oscuro, un essere che era in grado di spezzargli tutti e quattro i
garretti
semplicemente fissandolo.
Mi
offendi davvero, lo sai?
Gli
umani si erano pure potuti ricordare di impedirgli in tutti i modi di
usare i
boschi a proprio vantaggio e di infarcirsi gli abiti di Alalunari, ma
non era
passato loro neanche per la testa di prendere qualche minima misura di
sicurezza per quanto riguardava le cavalcature.
Idioti davvero.
Nelle
sue iridi ora pulsava una luce così accesa da renderle
più simili a fiammeggianti torce azzurre,
l’affilata pupilla di petrolio puntò
il Rapidash di sinistra.
Ti
faccio paura?
Il
cavallo si agitò ulteriormente, i suoi occhi commisero il
grave errore di
incrociare i suoi, rendendolo totalmente incapace di fuggire.
Allora,
ti faccio paura?
L’agitazione
dell’equino incandescente continuava ad aumentare, il fatto
che il suo padrone
non se ne fosse ancora neanche accorto aveva un aspetto esilarante.
Trema.
L’agitazione
del Rapidash aumentò a tal punto che anche il proprietario
si accorse del
problema, riuscendo finalmente a tornare lucido, ma non comprese la
situazione,
preferì dare la colpa a un semplice nervosismo, causato
dalla fiacchezza della
bestia, e forzò la mano per tenerlo fermo, mentre tornava a
cercare
l’impugnatura del fucile:
“Sta’
fermo, piantala di agitarti! Adesso ti
sistemo io, bestia
amorfa…”
Oh,
ma per favore.
Speravano
di poter battere la sua influenza mentale semplicemente forzando il
cavallo?
Una superbia sciocca di cui potevano essere capaci
solo gli esseri
umani.
Fissò
dritta la bestia in quegli occhi colmi di panico.
Agitati.
Subito
il Rapidash cominciò a ribellarsi alle briglie, scuotendo la
testa da ogni
parte con disperazione, avrebbe dato di tutto per togliersele di dosso
e
scappare via da quell’Incubo onnipotente che lo stava
soggiogando fino a farlo
impazzire.
Agitati
di più.
Il
suo scalpitio divenne esasperato, le fiamme che emanava rischiavano di
perdere
il controllo da un momento all’altro, finalmente il padrone
cominciò a
preoccuparsi e cercò di trovare un modo per domarlo:
“Fermo,
sta’ fermo, dannata bestia! Così mi scotti,
stupido!” Lo stallone però aveva
già iniziato a scalciare, nitrire, tentando disperatamente
di sfuggire al
controllo del cavaliere.
Agitati,
ancora di più, corri a casa. Obbedisci.
L’uomo
stava andando in esasperazione, sembrava essersi persino dimenticato di
lui,
cercava solo di tenere ferma la propria cavalcatura, ormai fuori di
sé, che si
dimenava come posseduta, tirando le briglie con disperazione.
Agitati,
esplodi. Obbedisci!
Il
compagno del cacciatore, ancora col cavallo sotto controllo, finalmente
sembrò
rendersi conto di ciò che era tutto intorno a loro, un
potere che li soggiogava
e surclassava le loro capacità come una morsa lenta e senza
scampo. E quando i
suoi occhi ricordarono l’immagine di quelli glaciali della
creatura che ormai
li aveva in pugno…
“Ed…”
Correte.
Impazzite. Non potete sottrarvi.
“Ed…
Ed! Levati subito da lì, è in grado di
ipnotizzare il tuo Pokemon!”
Era
decisamente un po’ troppo tardi per accorgersene.
In
quel momento anche il secondo Rapidash perse il controllo, le loro
fiamme
esplosero in tutta la loro potenza e i due cavalli, totalmente
imbizzarriti, si
impennarono con furia scagliandoli per terra. Prima ancora che i due
uomini
riuscissero anche solo a pensare di fare qualcosa, l’Oscuro
era già saltato
sopra di loro con una velocità impressionante sovrastandoli
con quelle enormi
ali di tenebra, non poterono fare altro
che
abbassare la testa e cercare di proteggersi dall’assalto.
Lui
non perse certo tempo con loro, si era divertito abbastanza: si
limitò ad
abbattere i cavalli con due colpi precisi e a superarli con un balzo,
riprendendo la strada per tornare indietro.
Uomini del genere non potrebbero farmi più pena di così.
Li
sentiva ancora lamentarsi, imprecare e agitarsi, mentre cercavano di
riprendere
il controllo delle bestie, indirizzandogli ogni tipo di maledizione e
insulto
della Terra.
“Tu,
dannato…!”
“Maledetto,
questa me la paghi, bastardo!”
Lo
prendo come un complimento.
L’accelerazione
fu automatica e le ali tornarono a fendere l’aria: il gioco
è bello quando dura poco, ed era stato decentemente
divertente, abbastanza da
fargli dimenticare per un po’ la sensazione di fame, il che
era già qualcosa.
Anche se la distanza fra loro era già non indifferente,
continuava a percepire
la loro dirompente frustrazione, rabbia, esasperazione, esilarante.
“Maledizione…
inseguilo, inseguilo!”
“E
dove vuoi che vada, quest’affare non vuole stare
fermo!”
“Gente,
mi ricevete? Sta tornando indietro, bloccategli la via di fuga, con la
velocità
che si ritrova rischiamo di lasciarcelo scappare di
nuovo!”
Aveva
appena abbandonato la lettura di quelle menti umane quando
incrociò il resto
del gruppo che era venuto loro dietro, di quei primi ritardatari che
erano
andati a sbattere gli uni contro gli altri come dei polli, tutti dotati
di
canna e proiettili.
Se non vi foste meritati tutto il mio odio fareste quasi tenerezza.
I
primi della fila, in preda al panico per quell’apparizione
velocissima e
improvvisa, riuscirono a malapena a puntare il fucile e a premere il
grilletto. Peccato che il Pokemon nero fosse in grado
di precedere
qualunque cosa, e un proiettile per lui non
costituiva certo un problema: appena il tempo di fissare la pallottola
che
andava a vuoto che i cacciatori se lo ritrovarono sopra la testa:
“Oddio…!”
“Tutti,
presto, state giù!”
Bravo,
stai giù, non puoi neanche permetterti di guardarmi in
faccia.
Un
altro balzo di precisione perfetta, un brevissimo volo sopra
quelle
teste coperte in maniera patetica, una rapida artigliata alle ultime
cavalcature e l’Oscuro atterrò alle loro spalle
con leggerezza maestrale,
riprendendo a correre con un’eccitazione superba.
Forza,
perché non correte? Avanti, ridicolizzatevi ancora.
“Ma
che…”
“Di
nuovo? È scappato di nuovo?”
“Non
state lì impalati, andategli dietro!”
Sì, provateci, crollate pure nel tentativo.
Sfoderò la sua massima accelerazione,
inutilmente gli zoccoli dei
Rapidash tornarono a pestare e bruciare con violenza il terreno alle
sue spalle
sempre più forte, incapaci di stargli dietro, figuriamoci di
recuperare
terreno.
Avanti, correte pure, che credete di ottenere ammazzando i
vostri
schiavi di fatica?
Il
suo udito superiore percepiva gli stalloni in fiamme sfiancarsi sempre
di più,
la loro andatura aumentare gradualmente di lentezza e pesantezza,
l’intensità e
il volume del loro rumore andava scemando, e inutile era
l’uso spietato del
frustino da parte dei loro padroni, non avrebbero mai raggiunto la sua
velocità. Il loro era un ennesimo tentativo, patetico ed
inutile come tutti gli
altri. No, non lo avrebbero mai preso, troppo superbi, superficiali,
ingenui e
stupidi, una razza come quella non sarebbe mai riuscita a sfiorarlo con un dito.
Correte,
correte, sognate pure di riuscirci, non
riuscirete mai a
raggiungermi.
Artigliava
la polvere e i sassi e si lanciava in avanti a intervalli brevissimi,
con una padronanza magistrale, sempre
più fulmineo, una
freccia nera che sembrava non conoscere limiti di rapidità,
chiunque avrebbe
avuto il dubbio che prima o poi arrivasse a diventare invisibile a
occhio nudo.
Ne era sicuro, gli inseguitori non avevano più forza
né fisica né psicologica
per continuare ulteriormente la caccia, di certo avevano abbandonato
l’impresa,
il solo vederlo correre bastava a spiazzarli completamente. Per un
popolo
inferiore come il loro il solo pensare di poter riuscire in un
obiettivo simile
era pura follia.
La
vostra velocità non è neanche minimamente
paragonabile alla mia. Restate
indietro, rimanete lì, non potete neanche
permettervi di osare
il confronto con me.
Raggiunta
la base della zona rocciosa, decise di procedere verso
l’alto, percorrendo il
costone: tornando direttamente dalla strada da cui era venuto sarebbe
stato fin
troppo probabile incontrare altri seccatori, scelse di gettarsi nel
vuoto,
verso gli alberi, dall’alto della roccia, una volta raggiunto
il punto più
vicino alla grande foresta che si estendeva sotto per metri e metri. Le
unghie
artigliarono la terra in curva in maniera perfetta, uno slancio
fulmineo e in
un attimo tornò a divorare metri e metri di terra, diretto
verso la cima.
Sì.
Più forte.
I
muscoli che si tendevano con regolarità in un movimento
rapido e perpetuo,
sfidando ogni limite fisico, eccitati, il calore corporeo ardente,
feroce, esaltante,
si ritrovò a pensare di sentirsi molto più simile
a quei Rapidash di quanto non
fosse mai stato.
Ancora.
Più forte!
Non
poteva fare a meno di amare quella sensazione, dinamica e avvolgente,
lo faceva
sentire più potente e vivo che mai.
Uno
di quei pochi, rarissimi, preziosi momenti in cui davvero riusciva a
dimenticare
chi era.
Non
provate a fermarmi. Nessuno può farlo.
In
un attimo, la fine della corsa era lì, proprio davanti a
lui, il pendio dava
proprio sugli alberi.
Le
ali si spiegarono sovrane dalle spalle, enormi, superbe e potenti come
sempre,
un unico battito, e poco meno di un metro lo separò dalla
terra.
Io
sono il capo, nessuno può ostacolarmi.
Le
unghie si ancorarono al terreno con forza e precisione assoluta, le
braccia
furono rapide a piegarsi per dare il potente slancio che lo separava
dall’abbracciare il cielo, in tutta la sua
immensità, e il vento furioso, per
poi abbandonarsi a una vorticosa picchiata verso il verde scuro che si
stendeva
sotto; un attimo e sarebbe stato di nuovo nel suo regno, padrone delle
fronde.
Adesso!
Proprio
in quel momento sentì quel rumore. Improvviso, sordo, breve.
Per
un attimo squarciò l’aria, gli percosse i timpani
per neanche mezzo secondo.
Una consapevolezza paralizzante ebbe il potere di frenare il volo, non
riuscì a
pensare a nient’altro.
E
la sensazione di un trapano incandescente di dolore insostenibile gli
lacerò
senza pietà le carni sotto la costola sinistra.
Nota dell'autrice:
Ciccini belli, non pagate per scrivere un piccolo parere, lo sapevate, vero? O c'è stata una specie di epidemia di mutismo negli ultimi tempi? XD
Sono settimane che non mi faccio viva, ma ho avuto una brutta crisi di scrittura negli ultimi tempi, e, non so perché, per quanto io potessi riscriverlo da capo, questo capitolo non veniva mai come volevo, mi ha messa a dura prova.
Beh,alla fine ce l'ho fatta, tra un impegno e l'altro. Avendo ricominciato a riscrivere da capo la trama da quache capitolo a questa parte, vi ricordo di nuovo che la frequenza con cui usciranno altri capitoli sarà piuttosto irregolare e con intervalli anche molto lunghi, vi prego di avere pazienza.
Un saluto veloce dalla sottoscritta ;-)