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Autore: Angie Mars Halen    18/11/2015    1 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SYDNEY





Nancy si lasciò sfuggire un gridolino, come se fosse stata lei quella che aveva trovato un lavoro che faceva al caso suo e, proprio in quel momento, attirato dalla sua esclamazione, Francis fece capolino dalla porta della sua cameretta e domandò cosa fosse successo di così bello da far ridere la vicina in quel modo.

“La mamma ha trovato un nuovo lavoro, tesoro!” esclamai mentre mi abbassavo per prenderlo in braccio. Lui, però, anziché lasciarsi sollevare, incrociò le braccia e mise il broncio.

“Ero più contento quando non ce l’avevi più e la sera stavamo insieme,” piagnucolò, fissandosi le punte dei piedi, ora coperti da un paio di calzini rossi con una fantasia geometrica verde e gialla.

Non potevo negare che tutti gli impieghi serali che cambiavo ogni sei mesi non avevano fatto altro che privarmi di buona parte del tempo che avrei dovuto passare con mio figlio, ma per ora erano l’unica possibilità perché avevo bisogno di soldi per pagare le rate dell’affitto e della scuola e tutto ciò che era necessario per garantire una vita serena a un bambino di cinque anni.

Guardai Nancy alla ricerca di un minimo di conforto e lei sospirò, appoggiandosi allo stipite con una spalla, allora mi sedetti sul pavimento e tirai Frankie verso di me. “Stavolta è un po’ diverso. Lavoro fino a sera e torno a casa molto prima, all’ora di cena, così possiamo mangiare insieme, e dopo che hai giocato con Josè possiamo andare a dormire.”

“Sei sicura?” domandò mentre si stropicciava gli occhi con entrambe le mani.

“Sicurissima,” risposi con un sorriso, poi si lasciò finalmente prendere in braccio. “Adesso però torniamo a letto, domattina devi andare a scuola.”

Non appena appoggiò la testa sul cuscino, Francis cadde in un sonno profondo come se non si fosse mai svegliato, e io potei finalmente tornare in salotto, dove Nancy mi aspettava, stavolta con un’espressione furbesca dipinta in faccia.

“Comunque hai visto che avevo ragione io?” disse, agitando l’indice all’altezza del mio naso. “Non è passata neanche una settimana dall’ultima volta che lo hai visto e quel tipo è tornato a farti visita.”

“Almeno stavolta ha fatto qualcosa di utile,” ribattei atona da seduta sul divano.

Nancy sogghignò. “Certo, però una persona qualunque non si scomoderebbe per correre fino a qui, dirti che ha trovato qualcosa che fa per te e offrirsi anche di darti un passaggio per mostrartela. Se fossi in te, lo terrei d’occhio.”

“Cosa vuoi dire?”

“Che è ovvio che quel tizio miri a qualcosa,” rispose con fare saputello. “Non si può ancora dire che cosa voglia esattamente ed è per questo che voglio che tu stia attenta. Aspetta di capirlo, poi agisci di conseguenza e valuta bene ogni particolare. Adesso hai Frankie a cui badare.”

Con quest’ultima affermazione mi salutò velocemente, mi augurò la buonanotte e chiuse la porta del mio appartamento.

Mi presi la testa fra le mani e sbuffai sonoramente perché in effetti Nancy aveva ragione sul fatto che una persona qualunque non si sarebbe mai scomodata così tanto per me. Stando a ciò che aveva detto in seguito, però, per ora era il caso di lasciare che il destino facesse il proprio corso, dopodiché avrei dovuto prendere una decisione e ricordarmi innanzitutto di Francis. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e mi fu sufficiente lanciare un’occhiata all’orologio appeso sopra la cucina per capire che era giunta l’ora che anch’io andassi a dormire, anche perché l’indomani mattina mi sarei dovuta svegliare in tempo per portare a scuola sia mio figlio che quello di Nancy dal momento che era il minimo che potessi fare per ricambiare la sua gentilezza dopo anni che faceva da baby-sitter a Frankie.

Fortunatamente la scuola non distava molto né da casa mia né dalla fermata dell’autobus che avrei dovuto prendere per raggiungere Santa Monica, una soluzione assai più comoda rispetto alla macchina, per la quale avrei dovuto trovare un parcheggio e pagare la benzina. Scesi a un centinaio di metri dal locale e, quando varcai la soglia, mi ritrovai davanti il mio capo, lo stesso col quale avevo parlato il giorno prima, rigorosamente con un cappello marrone da cow-boy e un grosso sigaro tra le labbra. Mi consegnò il grembiule bordeaux che avrei dovuto indossare sopra i miei indumenti, i quali avrebbero dovuto consistere in jeans e camicetta a quadri per riprendere l’atmosfera country, e mi indicò una donna più o meno mia coetanea che mi avrebbe fatto da tutor per il primo periodo. Quella, una ragazza alta e secca e con un paio di treccine rosse che le toccavano le spalle, mi rivolse un sorriso e mi piazzò letteralmente tra le mani un vassoio sul quale aveva appoggiato un taccuino con i fogli a righe e una penna nera.

“Visto che hai detto di aver già svolto lavori simili per molto tempo, immagino tu non abbia bisogno di imparare a usare una macchina del caffè o un registratore di cassa, giusto?” domandò il capo, poi attese che confermassi. “Ad ogni modo, Margaret ha il compito di tenerti sott’occhio. Quando sarà terminato il periodo di prova, ti faremo sapere. Ovviamente si pretendono puntualità, cortesia nei confronti dei clienti e rapidità. Adesso va’ pure al tuo lavoro, e buona fortuna.”

Annuii e, non appena mi girai dall’altra parte, mi ritrovai faccia a faccia con Margaret, la quale mi fissava sempre sorridendo e con un pennarello indelebile stretto nella mano destra. “Come hai detto che ti chiami, scusa?”

“Sydney,” risposi, e subito dopo scrisse il mio nome a caratteri cubitali ed eleganti su una targhetta che affisse sul mio grembiule.

“Buon lavoro, tesoro!” cinguettò prima di tornare a rintanarsi dietro al bancone a servire uno dei primi clienti.

La prima parte della giornata sembrò scivolare via in pochissimo tempo e, sebbene ci fosse un continuo viavai di persone dato che quel locale si trovava proprio sulla strada, riuscii a svolgere il mio lavoro con la rapidità richiesta grazie all’organizzazione del personale che non aveva nulla da invidiare a quello dei bar in cui avevo lavorato prima.

Verso mezzogiorno, quando ero sul retro a godere dell’aria fresca durante il break di mezz’ora che mi spettava, Margaret comparve quasi magicamente al mio fianco, una sigaretta sostenuta con stile tra le dita con le unghie laccate di rosa.

“Allora, cara, come ti stai trovando?” domandò con il suo consueto sorriso che metteva in evidenza due simpatiche fossette ai lati della bocca.

“Per ora bene. Qui riesco finalmente a svolgere il mio lavoro in pace,” confessai. “Dimmi un po’: l’atmosfera in questo posto è sempre così tranquilla?”

Margaret arricciò il naso all’insù ed esalò il fumo della sigaretta. “Be’, a volte capita che arrivi la squadra di motociclisti ubriaconi che iniziano a fare casino, però in genere non ci sono risse o cose simili, e il boss è sempre nei dintorni per tenere sotto controllo la situazione. Ma visto che anche tu fai il turno fino a sera insieme a me, ti consiglio di tenere gli occhi aperti quando vai a prendere l’autobus o vai verso la tua auto.”

“Ho notato che la fermata non dista molto da qui e che è ben illuminata,” dissi mentre osservavo l’area sul retro, delimitata da una rete metallica sulla quale si arrampicavano alcune piante di gelsomino.

“Abiti molto lontano da Santa Monica?” chiese Margaret mentre schiacciava il mozzicone sull’asfalto con la suola della scarpa prima di tornare dentro al nostro lavoro.

“Vivo a Venice. Solo una decina di minuti.”

“Vivi con qualcuno?”

“Sì, con mio figlio di cinque anni.”

Appena sentì quelle parole, i grandi occhi color nocciola di Margaret si spalancarono e la sua ugola generò uno strano verso acuto. “Cinque anni? Oh, che carino! Come si chiama?”

“Francis,” risposi con la tipica tenerezza che ha ogni madre quando pronuncia il nome del proprio figlio.

“Bello! Sai che anch’io ho un nipotino della stessa età di–” si ammutolì all’improvviso e, sempre con gli occhi che rischiavano di schizzarle fuori dalla testa, puntò un dito in direzione dell’ingresso, cambiando totalmente atteggiamento. “Oh, no... oh, mio Dio, Sydney, hai visto chi è appena entrato?”

Seguii la direzione indicata dalla sua unghia rosa confetto e mi accorsi che sulla soglia del locale, seguito da un soggetto alto e magro che si guardava intorno fumando una paglia con fare piuttosto giulivo, Vince stava passando in rassegna l’intero locale con lo sguardo, probabilmente alla mia ricerca.

“Lo sai chi sono quei due, vero?” sussurrò Margaret al mio orecchio dopo avermi circondato le spalle con un braccio. “Sono il cantante e il batterista dei Mötley Crüe, ma sono sicura che tu li conosca già. Sono una loro grandissima fan e tu non hai idea di quello che farei pur di poter rivolgere loro anche una sola parola,” piagnucolò, poi mi si piazzò davanti e puntò i grandi occhi scuri e tondi dentro i miei. “Ti dispiace se li servo io?”

Stavo per annuire e lo avrei fatto anche volentieri, ma non ebbi nemmeno il tempo per compiere quel semplice gesto che la voce squillante di Vince sovrastò il brusio che caratterizza i locali grandi e affollati.

“Sydney, sapevo che ti avrei trovata!” esclamò quasi cantando. Il viso latteo con le guance imbrattate di blush rosa di Margaret si contorse in un’espressione di delusione mista a disperazione.

“Non potevo che essere qui,” ribattei abbozzando un vago sorriso e cercando di non mostrare imbarazzo.

“Sono giusto passato per vedere come te la stessi cavando,” rispose con un ghigno malizioso che si estendeva sul suo volto abbronzato; attirò poi l’attenzione di Margaret e lei quasi sobbalzò per la sorpresa. “Ci porteresti due birre mentre io scambio un paio di parole con la tua collega?”

Margaret annuì e si affrettò ad accontentare la richiesta di Vince, mentre Tommy, che doveva aver capito che il suo compare avrebbe preferito non averlo intorno mentre parlava con me, si appollaiò su uno degli sgabelli del bancone, facendo così felice Margaret dopo la delusione iniziale.

“Sto lavorando, Vince,” dissi a bassa voce e pregando mentalmente che il capo non decidesse di fare un giro di ricognizione in quel preciso istante. “Non posso perdere tempo a parlare con gli amici o con le persone, specialmente ora che sono in prova.”

Il sorriso furbesco di Vince si tramutò immediatamente in un’espressione dispiaciuta e un po’ delusa. “In effetti hai ragione. Forse non mi sarei dovuto presentare qui proprio all’ora di pranzo. Verso che ora stacchi?”

“Oggi alle cinque, gli altri giorni alle sette e mezza. Come vedi, c’è stato un piccolo ma sensibile cambiamento di programma, ma va benissimo lo stesso,” risposi con la voce resa fredda dal timore che il boss potesse sbucare da un momento all’altro, magari avvertito proprio da uno dei miei nuovi colleghi.

Vince tornò a sorridere e a gongolare sotto lo sguardo indagatore di Margaret che, mentre contemplava Tommy sorseggiare una birra, lanciava qualche occhiata fugace nella nostra direzione. “Allora passerò più tardi, tanto per me non è un problema.

“Per me invece sì,” ribattei, spiazzandolo e cogliendolo alla sprovvista. “Stasera ho da fare.”

“Oh... non importa,” borbottò, poi arraffò uno dei biglietti da visita del locale esposti in una pila accanto al registratore di cassa e allungò un braccio dietro al bancone per prendere una penna, con la quale scribacchiò qualcosa sul retro del cartoncino bianco. “Ti lascio il mio numero, così puoi chiamarmi,” disse mentre mi consegnava il biglietto, poi avanzò di un paio di passi per chiamare il suo amico. “Ehi, Tommy, alza le chiappe da quella sedia. Si riparte.”

“Ma come? E perché così presto?” esclamò il batterista allampanato con un tono quasi capriccioso. “Avevi detto che avremmo fatto una sosta abbastanza lunga per bere una birra e rilassarci un po’!”

“Lo so, ma ho cambiato idea,” buttò lì come scusa.

“Uffa, che palle,” si lamentò Tommy mentre scendeva dallo sgabello e si avvicinava a Vince con un’andatura dinoccolata. “La prossima volta ti lascio a casa e i miei giri in motocicletta me li faccio da solo.”

“Ti ricordo che sei stato tu a volermi seguire nonostante le mille preghiere a non farlo.”

“Preghiere e insulti,” lo corresse acidamente e convinto che non lo avesse sentito.

Li osservai uscire dal locale, discutendo e rifilandosi qualche spallata a vicenda, dopodiché girarono l’angolo e passarono dietro alle vetrate e infine entrarono del parcheggio, dove li persi di vista. Margaret mi fece notare che la birra del cantante non era neanche stata consumata e trovò anche il coraggio di aggiungere che non l’aveva assaggiata perché era troppo impegnato a chiacchierare con me.

“Avrei preferito se non fosse venuto,” confessai sovrappensiero mentre ritornavo al mio lavoro, con una mano premuta sulla tasca del grembiule in cui avevo infilato il biglietto da visita, un gesto che non sfuggì alla mia collega.

“Non riuscirai mai a farmelo credere,” mormorò. “Da quant’è che lo conosci?”

Spostai subito la mano e caricai sul vassoio il panino e il the freddo da portare a un cliente. “Ci ho scambiato qualche parola due o tre volte. Se fosse per me potrebbe anche restare a casa sua, ma è lui che si ostina a cercarmi.”

“Allora perché non gli dici di smetterla?” indagò Margaret, sempre più determinata ad arrivare al sodo della faccenda.

Sospirai e consegnai il pranzo al cliente prima di risponderle. “Vedi, Mag, certe cose non sono possibili. E queste cose impossibili, se solo fossero possibili, sarebbero anche ciò di cui non ho bisogno, ma è comunque meglio starne alla larga.”

“Capisco...” disse con un’espressione confusa dal mio giro di parole.

“E, comunque, non ho intenzione di dirgli un bel niente,” saltai su, brandendo lo strofinaccio con cui stavo pulendo il bancone dalle briciole e dalle macchie di caffè. “Tanto domani avrà già trovato un’altra da pedinare, o almeno lo spero.”




N.D’.A.: Buongiorno!
E fu così che Sydney espresse esplicitamente la sua opinione... povero Vince... che lei stia mentendo oppure no, stavolta sta proprio facendo la cosiddetta figura del salame, per giunta per colpa mia. In compenso qualcun altro godrà e si sfregherà le mani. Nel prossimo capitolo, comunque, avrete il responso definitivo, oltre che la tanto attesa entrata in scena della band al completo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio chi legge e spero di ricevere qualche altro vostro parere! ♥
Ci si rivede mercoledì prossimo!
Un bacio,

Angie Mars






   
 
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