The
Way
Lasciate
ogne speranza, voi ch’intrate.
Dante
Alighieri, III canto della Divina
Commedia.
Ogni cosa
presente in quel posto
pareva emanare sentimenti negativi, nel silenzio che aleggiava in
quella landa
desolata il leggero alito di vento si mescolava con sussurri di lamenti
ed
imprecazioni. Voci provenienti da un passato vecchio di secoli e da uno
più
recente. Era incredibile come il vociare era quasi impossibile da
sentire, a
meno che non lo si ascoltasse attentamente.
Il Whispers’ Wind non era
l’unico elemento inspiegabile del luogo, non
era altro che il principio.
Il cielo,
all’apparenza torbido, se
studiato con calma svelava una consistenza acquosa che assorbiva ogni
sprazzo
di luce presente in quella lugubre distesa arida. Lì
l’unica costruzione
consisteva in un imponente castello dall’aspetto ostile ed
impenetrabile:
quattro torri ne delineavano il perimetro, le cui guglie svettavano
pericolose
ed affilate nel cielo; le mura a difesa erano costituite da enormi
blocchi di
roccia dall’aria invalicabile e resistente. Ciò
che stonava in quella fortezza
era il cumulo di legna distrutta e disordinata che bloccava il portone,
resti
di quello che una volta doveva essere l’ingresso principale.
Visto da fuori
dava l’impressione
di essere disabitato ed abbandonato alle intemperie da diversi secoli,
se non
fosse stato per la debole luce proveniente da alcune finestre della
sala da
ricevimento e da alcuni movimenti che si intravedevano attraverso il
vetro,
come l’ingresso di una creatura all’interno della
stanza.
Il nuovo
arrivato entrò nella
stanza con passo lento e leggermente incerto, lanciando veloci occhiate
ad ogni
angolo e studiandone ogni particolare. L’ambiente era
spoglio, eccetto per un lungo
tappeto rosso che ricopriva in linea retta il percorso dalla porta ad
un trono,
rialzato da una piccola pedana di tre scalini, che sostava al centro
del lato
opposto del salone. Il seggio era interamente costruito in mogano con
l’imbottitura rossa che spiccava in quella stanza oscura,
così come risaltava
la donna dall’aria elegante e sofisticata che lo occupava.
«Bentornato.»
lo salutò poggiando
leggermente il capo sulle dita della mano destra che terminavano con
lunghe
unghie laccate nere, mentre gli occhi dello stesso colore scrutavano il
nuovo
arrivato, che si stava avvicinando con un’andatura piuttosto
veloce, nonostante
il ciondolio preoccupante del busto.
L’essere
aveva una colore
cadaverico e due cavità scure a sostituire gli occhi, mentre
le dita non erano
altro che lunghi ed affilati artigli. Privi di vera volontà,
venivano spesso
manipolati da forze superiori per raggiungere i propri scopi. Erano
presenti in
alcune leggende del passato e in alcune fiabe raccontate ai bambini,
nelle
quali venivano usati come mostri dai quali guardarsi ed avvertimento su
cosa
poteva succedere se avessero disobbedito ai genitori. Una delle
maggiori figure
con cui venivano presentati era quella dell’Uomo Nero,
altrimenti identificato
come Boogeyman o Babau. Anche se la loro vera nominazione era quella di
Lost, anime rubate ed intrappolate
in
corpi-fantocci, capaci di contenerle e rendere manovrabili da esseri
legati
all’Oltretomba.
Infatti, non
avendo alcun interesse
ad averne un tornaconto personale, erano più efficienti di
molti demoni o
spiriti inferiori nel completare gli ordini dei propri padroni. Anche
se non
sempre riuscivano a portarli a termine…
«Devo
intendere che tu non abbia
portato a compimento la mia semplice richiesta?»
domandò la donna con voce candida
e suadente, una combinazione contraddittoria e spaventosa allo stesso
tempo.
Il Lost
chinò il capo in un inchino
frettoloso e contenuto, quando aprì la bocca per obbiettare,
mostrando una lunga
fila di denti affilati, lei lo interruppe immediatamente.
«Dove si trova la
ragazza?»
«Ca… Casa…
Ho det… to che padrona
vuole lei, ma la koré…»
e la sua
bocca si piegò in un’espressione di disgusto.
«…
è intervenuta…» poi
alzò il
capo per fissarla in modo accusatorio.
Poche erano le
cose che potevano
interferire durante il lavoro di un Lost, una di queste era
rappresentata dalla
Koré. Quelle marionette demoniache non riuscivano a
sopportarne la presenza e
possedevano un odio viscerale nei suoi confronti.
«Avevate detto che non…
che non
c’era quellla
cosa…»
si lamentò.
«Avevate
giurato che era morrrta…»
affermò con voce tremante e stridula, mentre
muoveva in modo nervoso gli artigli facendoli sferragliare fra di loro
e creando
un rumore fastidioso.
La sua
rivelazione sembrò
incuriosire la donna, che, con un movimento elegante, si
alzò dal trono e a
passo deliberatamente lento si avvicinò al suo servo.
Mentre
percorreva il divario tra di
loro, la sua figura venne illuminata a tratti dalla flebile luce delle
torce
collocate lungo le pareti, donandole un aspetto crudele e mostrando un
viso
privo di imperfezioni. Una lunga chioma mogano le si arricciava in
morbidi
boccoli lungo la schiena color alabastro, lasciata scoperta dal
profondo scollo
interrotto solo a metà da una piccola catena formata da
frammenti di onice, che
legavano fra loro le spalline sottili. Era un essere dalla bellezza
eterea e
spettrale ed il cui potere era percepibile come un aura violenta
intorno a lei
ed il suo vestito cremisi sembrava accentuare la sua natura pericolosa:
totalmente realizzato in seta, in modo da seguire alla perfezione ogni
curva
come una seconda pelle, formava delle morbide pieghe dandole un tocco
sensuale.
Una volta giunta
ad un passo dalla
sua marionetta lo scrutò attentamente con quegli occhi
più scuri delle tenebre
stesse. «In questo caso cambia tutto.»
affermò decisa e con un gesto rapido gli
trapassò il torace, chiudendo le dita attorno ad un ammasso
informe. Poi con un
gesto rotatorio del polso, strattonò la presa ed estrasse la
mano.
Il sangue la
ricopriva fino al
braccio, sporcando leggermente in gran parte il guanto nero di pizzo
che le
arrivava fino a sotto la spalla, ma lei non sembrò
preoccuparsene dato che la
sua completa attenzione era assorbita da ciò che teneva in
mano. «Signo-ra…»
singhiozzò dolorosamente il Lost inginocchiandosi, mentre la
stretta, intorno a
quello che doveva essere il suo cuore, aumentava in modo graduale.
«Ormai
non mi sei più di alcuna
utilità. Hai fallito!» affermò
semplicemente distruggendo l’unico legame che lo
manteneva ancora in vita. Dopo di che il sangue schizzò
ovunque e di quella
creatura non rimase che una lugubre melma scura in cui
lasciò cadere i resti
del muscolo cardiaco.
Con un movimento
lezioso la donna
si portò le dita della mano alla bocca e ne leccò
via il sangue con
un’espressione compiaciuta.
«Koré…»
sussurrò con voce melliflua, scrutando con lo sguardo tutta
la stanza che la circondava fino a fermarsi quando nel suo campo visivo
comparve una debole fiammella blu. Allungò il braccio lungo
la fiamma volante,
raccogliendola al centro della mano, e se
l’avvicinò alle labbra.
«Thanatos…
Giochi sporco.» sibilò prima di assorbire
l’anima.
«Lo
vedremo Morrigan…» affermò con
un ghigno compiaciuto una figura maschile all’esterno del
castello.
Buongiorno
a tutti voi, valorosi superstiti che avete avuto l’ardire e
la pazienza di
continuare a seguirmi. :)
Questo
capitolo è stata una breve interruzione per introdurre nuovi
personaggi e
spiegare alcune cose, che avevo lasciato in sospeso nei capitoli
precedenti.
Piaciuta la vera natura di quel demoniaco manichino scheletrico? Spero
di non
avervi deluso >.<
Cosa
ne pensate del nuovo personaggio? E della figura maschile misteriosa?
Se
avete un momento di tempo, fatemi sapere. Sono curiosa di conoscere le
vostre
opinioni.
Kiss,
Nerys.