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Autore: ValeDowney    19/11/2015    2 recensioni
"Storybrooke sembra una cittadina come tutte le altre, se non fosse per il fatto che non è sulle carte, nessuno sa della sua esistenza e i cittadini sembrano nascondere qualcosa. Rose, una bambina dolce ma curiosa e sempre in cerca di guai, scoprirà, insieme al suo amico Henry, che qualcosa di magico si aggira per quella città"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XV: Supercalifragilistichespiralidoso -  Prima Parte


 
Pioggia e una fitta nebbiolina facevano da padrone a quella giornata che gli abitanti di Storybrooke non avrebbero dimenticato. Si trovavano infatti, al locale cimitero, davanti alla tomba di Graham. C’erano quasi tutti. Non si poteva dire che lo sceriffo non fosse amato.
Il prete finì la cerimonia e alcuni se ne andarono. Rose se ne stette ad osservare quella buca nel terreno dove era appena stato sotterrato il compianto amico. Ancora non voleva credere che non lo avrebbe più rivisto. Eppure aveva parlato con lui qualche giorno fa. Lo aveva abbracciato e lui l’aveva consolata. Ora se ne era andato per sempre. Voltò lo sguardo per vedere Regina andarsene con Henry, tenendolo stretto a sé. Camminò da lei esclamando: “E’ colpa sua! E’ colpa sua se Graham è morto!” Regina, Henry e alcuni presenti si fermarono e la guardarono.
“E’ morto per causa sua!” replicò Rose.
“Non dire sciocchezze, bambina. E poi come avrei mai potuto ucciderlo? Non ero presente” disse Regina. Gold si avvicinò alla figlia, mettendole le mani sulle spalle e dicendole: “Vieni, Rose. Ritorniamo a casa” e cercò di condurla verso la macchina. Ma Rose fece un po’ resistenza e replicò, mentre le lacrime le rigavano il viso: “E’ stata lei! Lei non poteva sopportare l’idea che Graham non l’amasse più ma che amasse, invece, la Signorina Swan! Così gli ha spezzato il cuore! E ora uno dei miei migliori amici non ritornerà mai più. L’uomo che mi aveva salvata dalla foresta e che mi ha fatta ricongiungere con il mio papà. Mi voleva bene come una figlia che non aveva mai avuto. E io ne volevo a lui. Ora non potrò mai più rivederlo, e questo solo perché lei era gelosa.”
Ci fu silenzio. Regina non proferì parola. Gold riuscì a condurre la figlia, Paige ed Excalibur verso la macchina, dove ad aspettarli c'era Dove, ma non prima di aver dato un’occhiataccia al sindaco che, di tutta risposta, guardò il figlio. Salirono in macchina e, dopo che Dove fu andato al posto di guida, partirono.
Poco dopo si trovavano a casa, ma Rose si era rinchiusa in camera sua. Se ne stava distesa sul letto a osservare la tazzina sbeccata posta sul comodino. Non si accorse nemmeno del padre che, delicatamente, aveva aperto la porta, portando un vassoio. Si avvicinò al letto, depositando l’oggetto sopra una sedia lì accanto. Poi guardò la figlia. Doveva scegliere le parole adatte. Non voleva rattristirla ancora di più. Quindi si sedette sul letto e, dopo averle messo una mano sulla schiena, disse: “Ti ho portato qualcosa da mangiare. Ho preparato uno dei tuoi piatti preferiti.”
Ma Rose se ne stette in silenzio. Quindi Gold aggiunse: “Bambina mia, devi cercare di mangiare qualcosa. Graham non avrebbe voluto vederti così.” Ma di tutta risposta ricevette un lungo sospiro.
Gold si morse il labbro inferiore, pensando a qualcos’altro con cui migliorare l'umore della figlia. Gli venne in mente qualcosa. Quindi le propose: “Che cosa ne dici se ti leggo una bella favola? Magari una nuova. Oppure, ti vado a prendere il tuo gelato preferito.”
“Non ne ho voglia” disse Rose.
“Piccola, so come ti senti. Se solo mi permetti di aiutarti” disse Gold.
“No! Non sai come mi sento! Smettila e lasciami stare! Voglio rimanere da sola!” replicò Rose, per poi rimettere la testa sul cuscino e osservare nuovamente la tazzina sbeccata.
Ci fu silenzio. Poi Gold si alzò, dicendole: “Non ho mai superato la perdita di tua madre. Lei era molto importante per me. Così come lo sei tu.” Stava per uscire quando Rose disse: “Scusami.”
Gold volse lo sguardo verso di lei, vedendo che non stava più piangendo, ma che le lacrime rigavano, lo stesso, il suo viso. Il padre guardò in silenzio la figlia. Poi gli venne in mente un’idea e, senza dirle nulla, uscì. Ritornò poco dopo, tenendo in mano una custodia. Si sedette sul letto. Rose alzò la testa, guardandolo.
“Graham era una brava persona. Ma questo non glielo ho mai detto. Se non fosse stato per lui, ora tu non saresti qua. Mi ha fatto riunire con il mio tesoro più prezioso. Piccola mia, devi capire che anche le piccole cose non ci fanno mai dimenticare le persone che amiamo” spiegò Gold e aprì la custodia. Al suo interno c'era un coltello. Ma non era un semplice coltello e Rose lo conosceva benissimo. Guardò il padre, dicendo: “Papà… te lo avrei detto. Lo avevo nascosto perché avevo paura che tu poi lo avresti riportato in negozio.”
“Non lo riporterò in negozio. Penso che Graham volesse che lo tenessi tu. È per questo che lo dono a te. Così avrai qualcosa, seppur poco, con cui ricordarti di lui” spiegò il padre e consegnò la custodia alla figlia. Rose la prese, per poi accarezzare con la mano destra il manico del coltello. Gold si alzò, camminando verso la porta. Si fermò e disse: “Conservalo con cura” e uscì. Rose continuava a guardare il coltello e una lacrima le rigò il viso.
Passarono i giorni, ma Rose era sempre giù di morale. Faceva compagnia a suo padre, Paige ed Excalibur solamente durante pranzi e cene. Per il resto, trascorreva tutto il tempo nella sua camera. A loro mancava la Rose solare e sorridente, il cui posto, ormai da giorni, era stato preso da una bambina che si era isolata da tutti. Nessuno riusciva a tirarla su di morale.
Un giorno, qualcuno suonò. Gold si alzò dalla poltrona in salotto, camminando verso la porta. L’aprì rivelando Henry.
“Henry. Che piacevole sorpresa” gli disse.
“Ero passato per vedere come stava Rose. E’ da giorni che non la vedo e mi stavo preoccupando” disse Henry.
“Purtroppo la Rose che conoscevamo non c’è più. Vorrei poter riavere indietro la mia bambina sorridente e capace di portare il buon umore anche in giornate di pioggia. Se ne sta sempre rintanata in camera sua. La morte di Graham è stata un grosso e duro colpo per lei” spiegò Gold.
“Le può dire che sono passato?” domandò Henry.
“Certo. Glielo riferirò” rispose Gold.
“Ah, può darle questo? Ho messo un segno in una storia che dovrebbe leggere” disse Henry, consegnando il libro 'Once Upon a Time' a Gold che, prendendolo in mano, annuì semplicemente. Il bambino, dopo averlo salutato, se ne andò e Gold rientrò in casa. Si avvicinò a Paige, che lo stava guardando in silenzio e in piedi nel corridoio, chiedendole: “Potresti dare questo a Rose?”
“Certo” rispose semplicemente la bambina e, dopo aver preso il libro, andò al piano superiore. Si fermò di fronte alla camera da letto dell’amica, bussando. Poi disse: “Rose, ho una cosa per te. Se non vuoi aprirmi non fa niente. Te lo lascio qua davanti. Ma vorrei che lo prendessi” e, abbassandosi, mise il libro sul pavimento. Poi ritornò al piano di sotto.
La porta si aprì e Rose, dopo essersi guardata a destra e a sinistra, prese il libro, per poi richiudere velocemente la porta. Gold e Paige avevano visto tutto rimanendo ai piedi delle scale.
“Davvero non c’è proprio nulla da fare?” chiese Paige.
“C’è sempre una soluzione per tutto, ma in questo caso è meglio lasciare scorrere i fatti” rispose Gold, camminando in salotto.
Paige lo seguì dicendo: “Stiamo già lasciando scorrere i fatti e non è che le cose stiano andando bene.”
Gold si sedette sulla poltrona. Allungò la gamba destra e, mentre se la massaggiava, guardò Paige, dicendole: “Rose ha solo bisogno di tempo. Voleva molto bene a Graham e non è facile rendersi conto che non lo rivedrai mai più. Ma si deve anche rendere conto da sola che bisogna andare avanti. Ma noi le staremo sempre accanto. Non sarà mai sola.” Paige non obiettò. Sapeva che Gold aveva ragione. Conosceva la figlia e non voleva farla soffrire ancora di più. Ciò, infatti, sottintendeva starle accanto e aiutarla a superare quel brutto evento.
Ma la situazione non migliorò nemmeno nei giorni seguenti. In uno di questi, Paige e Rose se ne stavano nella camera di quest’ultima a osservare fuori dalla finestra.
“Mi dici che cosa stiamo osservando?” domandò Paige.
“Niente di particolare” rispose Rose.
“Niente di particolare da mezz’ora. Avanti, Rose, troviamo qualcosa di interessante da fare. Mi sto annoiando” disse Paige.
“Va bene. Quando lo troverai, avvertimi” disse Rose. Paige sbuffò. Improvvisamente, incominciò a soffiare un forte vento.
“Che cosa sta succedendo?” chiese un po’ preoccupata Paige. Rose guardò la banderuola posta in cima al tetto dei vicini e la vide girare.
“Vento da Est. Il vento è cambiato. Qualcosa di strano accadrà” rispose Rose e si allontanò dalla finestra.
“E tu come lo sai?” domandò Paige guardandola. Sentirono suonare alla porta. Corsero fuori dalla camera, fermandosi sul pianerottolo delle scale e vedendo Gold andare verso di essa. L’aprì e fu sorpreso di chi si trovò davanti. Si trattava di una donna, con un lungo cappotto nero; una gonna blu; una sciarpa arancione e rossa e un cappellino con dei fiorellini bianchi. Nella mano sinistra teneva un’enorme borsa e, nella destra, un ombrello il cui manico era scolpito a forma di testa di pappagallo.
“E’ bello rivederla, Signor Gold” disse la donna.
“E’ bello rivedere anche lei… signorina Poppins” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Perché è già accaduto” rispose Rose alla domanda fatta prima dall’amica.

 
Storybrooke del passato

 
“Rose! Scendi da quel lampadario! Potresti farti male” gridò Gold, tentando di far scendere la figlioletta di quasi sei anni che si era messa in testa di trovarsi in una specie di giungla e che il lampadario si era magicamente trasformato in una liana con la quale dondolarsi.
“Ma, papino, mi sto divertendo un sacco” disse Rose, continuando a dondolarsi.
“Ti divertirai meno quando ti prenderò e ti sculaccerò! Scendi o rischi di romperti l’osso del collo” replicò Gold. Ma, di tutta risposta, Rose continuò a dondolarsi, poi gridò: “Sono Tarzan!” e si lasciò andare. Gold si buttò a terra, lanciando il bastone da una parte e riuscendo a prenderla in tempo.
“Tu non sei Tarzan! Sei in un mucchio di guai!” replicò Gold.
“Lo rifacciamo, papino?” chiese Rose, guardandolo.
“No! Non è un gioco e ci si può anche fare male. Ora per te ti aspetta l’angolo” rispose Gold, alzandosi in piedi e mettendo la figlia con i piedi per terra.
“Ancora l’angolo?! Ma ci sono già stata ieri” disse stupita Rose, mentre Gold riprendeva il bastone.
“Rose, devi capire che non posso gestire contemporaneamente te e i clienti. Ultimamente sei diventata un piccolo terremoto e lo sai benissimo che il negozio non è un parco giochi” disse Gold.
“Ma il parco giochi è qua vicino. Solo che tu non mi ci fai mai andare da sola” disse Rose.
“Perché è troppo pericoloso e ti potrebbe accadere qualcosa” disse Gold, accarezzandole una guancia.
“Magari ci potrei andare con Henry. Solo che tu hai sempre detto che non è leale” disse Rose.
“Male. Non leale. È male andarci con lui” la corresse il padre.
“Ma Henry è il mio migliore amico” disse Rose.
“Non è lui che mi preoccupa. Ma sua madre: ha una cattiva influenza e devi stare alla larga da lei” spiegò Gold. Sentirono la campanella della porta. Quindi Gold aggiunse: “Ora devo andare di là a servire un cliente. Tu vai nell’angolo e fai la brava” e, mettendole le mani sulle spalle, la condusse verso un angolo del muro per poi dirle: “E, quando ritorneremo a casa, ti prometto che giocheremo insieme.”
“E va bene” disse Rose.
“Brava la mia bambina. E mi raccomando, stai sempre qua nell’angolo” disse Gold e, dopo averla accarezzata sulla testa, se ne andò dal cliente.
Rose sbuffò, mentre guardava il muro davanti a sé. Poi volse lo sguardo per vedere alcuni oggetti posti a casaccio uno sopra l’altro, con un grosso tappeto viola, blu e dorato sotto di essi. Quindi disse: “Papà non si arrabbierà se gli do una mano a mettere a posto un po’ di cose” e, allontanandosi dall’angolo, si avvicinò a quegli oggetti. Li guardò. Li osservò in ogni minimo dettaglio. Provò a prenderne uno ma, appena lo fece, gli altri si mossero.
“Se ne muovo uno, c’è il rischio che faccia cadere anche gli altri. Devo trovare un modo per non farli cadere” disse. Quando abbassò lo sguardo verso il tappeto, un’idea le balenò in testa, così come un sorrisetto le comparve in volto.
Intanto, Gold stava gestendo un Leroy alquanto scorbutico. Be', in realtà lo era sempre stato.
“Non mi interessa quanto tempo ci vorrà. Ma lo voglio” replicò Leroy.
“Hai finito con le tue lamentele o sei venuto qua solo per quelle? Perché avrei altro di più importante del quale occuparmi” disse Gold, massaggiandosi la fronte, ormai prossimo a un mal di testa.
“Altro di più importante del quale occuparti?! Anche la mia cosa è importante!” replicò Leroy. In quel momento sentirono gran baccano provenire dal retro.
“Ora devo andare” disse Gold e, voltandosi, stava per andare nel retro, quando Leroy replicò: “Ma noi non abbiamo ancora finito!”
Gold lo guardò, dicendo: “Ho un terremoto formato figlia di cui occuparmi. Torna un’altra volta. Anzi, non tornare più!”
“Non finisce qua, Gold!” replicò Leroy e uscì dal negozio sbattendo la porta. Gold sospirò. Poi andò nel retro, ma si fermò non appena vide il macello di oggetti sparpagliati a terra e Rose con in mano un tappeto blu, viola e dorato. La figlia sorrise come se non fosse successo nulla.
“Rose” disse semplicemente Gold, riportandosi la mano sulla fronte. Ormai il mal di testa aveva preso il sopravvento.
“Scusami, papà. Volevo solamente aiutarti” disse Rose.
“Non è distruggendomi il negozio che mi aiuterai. Vedo che l’angolo non è più di tuo gradimento” disse Gold.
“In verità mi stavo annoiando a fissare il muro, quindi ho pensato di rimettere a posto alcune cose. Hai molto disordine qua” spiegò Rose.
“E’ molto carino da parte tua aiutarmi. Ma così metterai ancora più in disordine” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Ho visto che c’erano parecchi oggetti messi a casaccio, e così ho pensato di rimetterli a posto” spiegò Rose.
“Rose, devi capire che non posso gestire contemporaneamente te e i clienti. Te l’ho detto anche prima. Quindi mi trovi costretto a cercare un altro rimedio per tenerti buona per un po’” disse Gold. Ci pensò su. Poi gli venne in mente qualcosa: “Ti farò guardare un bel cartone animato alla televisione” e, mentre andava a prendere una piccola televisione, Rose entusiasta disse: “Che bello! Voglio La Bella e la Bestia!”
“Mi dispiace, piccola. Ma non ho quel film” disse Gold, spingendo con una mano un carrellino sopra al quale c'era una piccola tv. Di fianco a essa c'era una videocassetta. La prese e, mentre si abbassava – mettendola nell’apposito lettore posto al di sotto della televisione – aggiunse: “Ho solo a disposizione Robin Hood.”
“Che schifo! Non mi piace Robin Hood” replicò Rose.
“E’ il solo cartone animato che ho qua al momento. Quindi ti devi accontentare” iniziò col dire Gold e, mentre sullo schermo scorrevano i titoli di testa, andò dietro la figlia e, mettendole le mani sulle spalle, avvicinando poi il viso a quello di lei, continuò: “E poi hai sempre ammirato il Medioevo. Camelot. Excalibur.”
“Papà, quella è La Spada nella Roccia” disse Rose, guardandolo.
“Be', più o meno è uguale. E poi si svolgono nella stessa epoca” disse Gold.
Rose riguardò lo schermo e disse: “Be'… sì. E poi c’è il coniglietto bianco che mi piace.”
“Ecco. Lo vedi che poi tanto male non lo è? Goditi il film, mentre io vado a servire il prossimo cliente. E ti prometto che, quando ritorneremo a casa, potrai distruggere tutte le cose del vicino” disse Gold.
“Perché devo distruggere le cose del nostro vicino?” domandò stupita Rose.
“Perché così non distruggerai casa nostra. E ora fa la brava” rispose Gold e, dopo averle baciato una guancia, se ne andò ad accogliere il cliente che era appena entrato.
Passarono i minuti. Rose aveva ormai perso interesse per il cartone animato. Non che ne avesse mai avuto. Robin Hood non era mai stato il suo preferito. Lei adorava La Bella e la Bestia. Una storia che l’aveva da sempre affascinata. Anche se preferiva di gran lunga la versione narrata da suo padre. Raccontava fatti che nel cartone animato non c’erano. Adorava le fantasie del padre per qualsiasi storia. E poi cambiava voce per ogni personaggio. Rideva ogni qual volta faceva quella voce acuta e stridula, soprattutto quando le leggeva un’altra sua storia preferita: quella riguardante Tremotino e la figlia del mugnaio. Molti ripudiavano quel piccolo folletto dall’aspetto sgradevole. Ma lei ne era affascinata. Soprattutto per il fatto che sapesse tramutare la paglia in oro. Le sarebbe piaciuto vedere una cosa del genere. Ma sapeva che la magia esisteva solo nelle favole.
Venne distolta dai suoi pensieri quando sullo schermo comparve Robin Hood – travestito da cicogna per non farsi riconoscere dal Principe Giovanni – intento a gareggiare nel tiro con l’arco. Fu lì che le venne in mente un’idea. Si guardò intorno. Su uno scaffale a portata della sua altezza, vide una balestra e, accanto a essa, una faretra piena di frecce. Si alzò dalla sedia e camminò verso lo scaffale per poi prendere delicatamente in mano la balestra. Guardò anche la faretra, estraendo una freccia. Volse lo sguardo verso la televisione, osservando i movimenti che compiva Robin Hood. Riguardò la balestra e la freccia che teneva in mano e le comparve un sorrisetto in volto.
Nel frattempo, Gold stava parlando con Archie, il cliente entrato poco prima. Lo psicologo, vedendo l’espressione stanca di Gold, gli aveva domandato cosa fosse successo e lui gli aveva spiegato ogni cosa.
“Ha mai pensato di assumere una tata?” gli propose.
“Non voglio lasciare mia figlia in custodia a una sconosciuta!” replicò Gold.
“Ci sono tante ragazze qua che cercano lavoro. Sarebbe una bella opportunità” disse Archie.
“Non mi interessa! Riesco a cavarmela benissimo anche così. Vorrà dire che gestirò meglio entrambe le cose” disse Gold. All’improvviso, una freccia passò accanto a loro, sfiorandoli e andandosi a conficcare contro un quadro appeso a una parete.
“Rose!” gridò Gold e la figlia, trascinandosi a terra la balestra con fatica, andò dal padre.
“Ciao, Rose. Non mi dire che sei stata tu a scoccare quella freccia?” chiese Archie, facendo un piccolo sorriso.
“Papà mi stava facendo guardare il cartone animato di Robin Hood in televisione. Volevo anche io usare l’arco come lui, solo che ho trovato questa cosa molto pesante. Ci ho messo una freccia. Ho toccato questo coso e la freccia è partita da sola” spiegò Rose.
Gold sospirò per poi domandarle: “Rose, che cosa ti avevo detto prima?”
“Di fare la brava e guardare il cartone animato” rispose Rose.
“E perché invece hai fatto altro?” chiese Gold.
“Te l’ho detto il perché: volevo imitare Robin Hood e…” rispose Rose.
“E… e cosa? C’è altro, vero?” domandò Gold.
“… e mi stavo annoiando. Se solo mi lasciassi uscire” rispose Rose.
“Lo sai che non puoi! E’ pericoloso e ti potrebbe accadere qualcosa! E io non sarei lì a proteggerti. Solo stando accanto a me so che sarai al sicuro” disse Gold.
“Forse, se solo chiudesse il negozio anche per un po’, potrebbe andare con lei al parco. Ci sono tantissime attività che potete svolgere insieme” propose Archie.
“Grazie per la proposta, ma gradirei che non si immischiasse, dottore. È una faccenda che riguarda solo me e Rose. Io sono suo padre e so ciò che è meglio per lei” disse Gold.
“Allora, se sa ciò che è meglio per lei, ripensi all’offerta di assumere una tata” disse Archie.
“Tata?! Quale tata?” chiese stupita Rose.
“Nessuna tata entrerà nella vita di mia figlia. Finora sono riuscito benissimo a crescerla anche da solo” disse Gold.
“E’ vero. Ma quanto ancora potrà andare avanti così? Cioè, vuole veramente che le distrugga il negozio?” domandò Archie.
Gold stette in silenzio. Poi volse lo sguardo alla figlia, che guardava con curiosità i due adulti. Riguardò lo psicologo e fece un lungo sospiro.
Venne sera e Gold si trovava nel salotto di casa, seduto sul divano a rileggere per la quarta o quinta volta – ormai aveva perso il conto – l’annuncio che avrebbe fatto pubblicare sul The Mirror il giorno dopo. Alla fine, dopo i consigli del Dottor Hopper, aveva deciso di assumere una tata che si occupasse di Rose mentre lui gestiva il negozio. Secondo ciò che aveva scritto, la tata per Rose sarebbe dovuta essere severa, ma non troppo. Esigente e capace di tenere la vitalità della figlia a freno. Che fosse rispettabile e, ovviamente, accettabile per lui. Se fosse entrata nelle sue grazie, avrebbe ottenuto il posto.
Alzò lo sguardo quando sentì dei passetti e vide Rose, in pigiama, sulla soglia del salotto. La bambina teneva in mano un foglio.
“Rose, ti avevo messo a letto quasi un’ora fa. Cosa ci fai ancora sveglia?” chiese lui, guardandola premurosamente.
“Non riuscivo a dormire. Così ho pensato che avresti avuto bisogno di una mano” rispose lei, mentre si avvicinava.
“Una mano per cosa?” domandò Gold.
“Per la nuova tata. Dopotutto, la stai cercando perché io non faccio la brava in negozio. Quindi voglio aiutarti. Così ho scritto una lettera che potrai pubblicare sul giornale” spiegò Rose fermandosi di fronte a lui.
La bambina, seppur frequentasse solamente la prima elementare, già dimostrava di essere molto brava nel leggere e nello scrivere. Apprendeva anche velocemente le cose. Dopotutto, come le aveva detto più volte il padre, aveva ereditato tutto ciò dalla madre… ma anche un po’ da lui. E lui stesso ne andava molto orgoglioso.
“Non credo sia necessario, piccola” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Almeno ascolta ciò che ho scritto” disse Rose e, dopo aver schiarito la voce, iniziò:
 
“Cercasi tata per un’adorabile bambina”
 
“Adorabile?! Be', questo è da vedere. Non sei di certo una santarellina, mio piccolo fiore” disse Gold.
 
“Devi essere buona, brava e paziente e soprattutto non esigente.
Devi cantar e far divertire, ma mai farmi soffrire.
Scherzi non ti farò, se compiti da te non avrò.
Se te la senti di ubbidire, non te ne farò mai pentire.
Fai presto.
Rose Gold
 
Ci fu silenzio. Poi Gold disse: “Grazie del pensiero, piccola. Ma ora sarà meglio che te ne ritorni a letto” Rose abbassò tristemente lo sguardo. Lasciò il foglio sul tavolino e, voltandosi, uscì dal salotto, ritornando al piano di sopra. Gold prese in mano il foglio. Poi si alzò e, mentre si avvicinava al caminetto, disse: “Mi dispiace, piccola mia. Ma la tua tata non sarà così” e, dopo aver strappato in tanti pezzi il foglio, lo gettò nel caminetto. Poi prese il suo e andò a telefonare alla redazione del giornale.
Passarono i giorni. In uno di questi, Rose se ne stava a guardare fuori dalla finestra la fila di tate posta davanti a casa, pronte per essere ricevute – una dopo l’altra – da suo padre.
“E’ strano, ma nessuna di quelle assomiglia a quella descritta nel mio annuncio. Forse non ho scritto bene la lettera o forse sono loro a non averla letta bene” disse Rose, mettendosi una mano sotto il mento e poggiando il gomito sul davanzale. Improvvisamente cominciò ad alzarsi un forte vento. La bambina vide la banderuola dei vicini girare verso est. Poi riguardò le donne, le quali cercavano di proteggersi con braccia, ombrelli e ciò che potevano. Ma fu invano perché, una dopo l’altra, vennero spazzate via. Quando il viale fu deserto, accadde qualcosa. Rose alzò lo sguardo per vedere una donna volare giù dal cielo tenendo aperto l’ombrello. La bambina non poteva credere a ciò che vedeva. Non era possibile. Le persone che volavano esistevano solamente nei suoi libri di fiabe. Quella donna atterrò proprio davanti alla villa e bussò alla porta. Rose sorrise. Sì, quella era la tata perfetta per lei. Corse al pianerottolo per vedere suo padre aprire la porta e far entrare la donna. Ma rimase sorpreso quando non vide nessun'altra. Richiuse la porta, raggiungendo la donna in salotto.
“E’ lei il padre di Rose Gold?” chiese la donna. Gold la guardò senza rispondere. Come sapeva quella donna il nome di sua figlia? Non l’aveva scritto nell’annuncio. Quindi la donna ripeté la domanda: “E’ lei il padre di Rose Gold? Sì o no?”
“Ovvio che sì. E lei chi sarebbe?” le domandò.
“Sono Mary Poppins e ho risposto al suo annuncio. Allora vediamo un po’” rispose la donna. Dalla tasca del cappotto estrasse una lettera. Gold socchiuse gli occhi per vederla meglio, per poi sgranarli quando si rese conto che quella lettera era stata precedentemente strappata, considerata che ora era messa insieme da dello scotch. Si avvicinò alla donna mentre quest'ultima iniziava a leggere la lettera: “Punto primo: devi essere buona, brava e paziente. Io non mi arrabbio mai. Sono molto paziente, ma posso anche diventare molto severa.”
“Mi scusi, ma quella lettera dove l’ha presa?” chiese Gold. Mary Poppins lo guardò e, mentre Gold se ne andava verso il caminetto, continuò: “Punto secondo: devi far cantar e divertire. Sua figlia troverà molto divertenti i miei giochi.”
Vide Gold che guardava all’interno del caminetto, quindi gli domandò: “Signor Gold, si sente bene?” Gold batté la testa contro uno dei muretti del caminetto e, mentre se la massaggiava, disse: “Quel foglio… credevo di averlo strappato” e riguardò nel caminetto. Mary Poppins si affiancò a lui, imitandolo. Poi guardò l’uomo, dicendogli: “Facciamo una settimana di prova. Le voglio ricordare che voglio ogni mercoledì libero. Be', per ora è tutto. Vado a vedere sua figlia. Buona giornata.”
E si diresse al piano superiore. Ma, invece, di usare le scale, si sedette sullo corrimano e… salì tramite quello. Arrivò al pianerottolo, dove Rose la guardava con la bocca aperta.
“Chiudi la bocca, Rose: non sei un merluzzo” disse Mary Poppins e la bambina chiuse la bocca. La donna scese dallo corrimano e, affiancandosi alla bambina, aggiunse: “Su, oplà, mostrami la tua camera.” Le due entrarono nella camera della bambina, dove regnava il caos più totale.
“Tuo padre ti ha mai detto di metterla in ordine?” chiese Mary Poppins, mentre si addentravano nel caos.
“Qualche volta. O sempre. Non ricordo” rispose Rose e andarono nella camera accanto, quella degli ospiti. La bambina aggiunse: “Questa sarà la tua camera. Spero sia di tuo gradimento.”
“Sembra molto accogliente. Ma, secondo me, manca ancora qualcosa” disse Mary Poppins e depositò la grossa borsa sulla tavola. Poi l’aprì e, da essa, ne estrasse un grosso specchio che andò ad appendere a una parete. Rose rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a starci uno specchio così grosso in una borsa non così piccola ma nemmeno così alta? Mary Poppins ritornò alla borsa, estraendone una pianta, che andò a mettere nell’angolo. Rose si grattò la testa. Proprio non riusciva a capire come potevano stare tutti quegli oggetti – di grosse dimensioni – in quella borsa. Mentre la donna cercava qualcosa nella borsa, Rose le domandò: “Come fai a volare?”
“Ti sembra che abbia volato?” chiese Mary Poppins.
“Be', ti ho vista scendere giù dal cielo e atterrare nel nostro vialetto” rispose Rose.
“E’ stato solo frutto della tua immaginazione. Le persone non volano o, almeno, non come pensi di aver visto tu” rispose Mary Poppins, guardandola e mentre teneva in mano un oggetto.
“Però io ti ho vista farlo veramente. Scendevi dal cielo tenendo aperto il tuo ombrello. E poi, secondo il mio amico Henry, nessuno può entrare o uscire da Storybrooke. Tu come ci sei riuscita?” domandò Rose.
“Ci sono tante possibilità. Ma riserverò a te la sorpresa. Ora, però, basta con le domande: stai dritta e ferma” rispose Mary Poppins e, abbassandosi, le mise accanto quell’oggetto, trascinandolo verso terra. Si trattava di un metro. Ma non un metro qualunque. La donna lo portò ad altezza viso, leggendo la misura, ovvero il nome della bambina.
“Ummm... sei dolce e premurosa verso il prossimo. Ma sei anche incline a persuadere gli altri e cacciarti nei guai” disse Mary Poppins.
“Ehi, non è vero. Non sono persuasiva e, se mi caccio nei guai, è solo perché papà non mi fa mai uscire” disse Rose.
“Tuo padre ti vuole solo proteggere. E poi, il metro non sbaglia mai” disse Mary Poppins.
“Ammettiamo che sia così. Ora voglio vedere te” disse Rose.
Mary Poppins sorrise per poi dire: “Va bene. Reggi un momento” e, mentre lei teneva un’estremità del metro, Rose tenne l’altra, trascinandola verso il basso. Poi la lasciò e la donna sorrise nel leggere sotto il suo nome: “Mary Poppins. Praticamente perfetta sotto ogni aspetto.”
“Mary Poppins. Mi piace come nome ma mi suona anche familiare” disse Rose.
“Grazie. Ma ora vogliamo incominciare?” chiese Mary Poppins.
“Cominciare cosa?” domandò Rose, inarcando un sopracciglio.
“Nel tuo annuncio non avevi scritto che volevi che ti facessi divertire?” chiese la donna.
“Certo. Ma perché ho lo stesso un brutto presentimento?” domandò Rose mentre seguiva Mary Poppins in camera sua.
“Rimetteremo in ordine la tua camera” spiegò.
“Ecco… riguardo questo… potremmo semplicemente saltare questa fase e passare ad altro? E poi credo che papà mi stia chiamando” disse Rose.
“Rose, rimettere a posto la camera potrebbe anche essere divertente” disse Mary Poppins, sorridendole.
“Scusami se ti contraddico, ma non ci trovo nulla di divertente nel rimettere a posto la propria camera” disse Rose.
“Non dal punto di vista che pensi tu. Intendilo come un poco di zucchero e la pillola va giù” spiegò Mary Poppins. Rose la guardò stranamente. Vedendo l’espressione della bambina, Mary si volse verso il letto e, con uno schiocco di dita, esso si rifece da solo. Rose rimase a bocca aperta. La donna schioccò nuovamente le dita verso l’armadio e i vestiti, si piegarono da soli e altri ritornarono al proprio posto appesi. Rose volle provarci. Andò, quindi, davanti a dei suoi giocattoli e schioccò le dita. Ma non accadde nulla. Ci provò altre volte. Ma nulla. Guardò Mary Poppins che la guardò a sua volta sorridendo. Riguardò avanti sé e, con tenacia, schioccò le dita. I giocattoli ritornarono nella cesta dietro di loro. La bambina, entusiasta, andò in altre parti della camera, schioccando le dita e rimettendo a posto ciò che c’era in disordine. Poco dopo, la stanza fu in ordine.
“E ora mettiti il cappotto. Andiamo a fare una bella passeggiata nel parco” disse Mary Poppins, mentre tirava fuori un cappotto molto pregiato – Gold non voleva far mancare nulla alla figlia – dall’armadio.
“Ma dobbiamo proprio? Voglio rimettere di nuovo la stanza” disse Rose, mentre si faceva mettere il cappotto.
“La stanza è già in ordine. E poi, il troppo stroppia” disse Mary Poppins. Rose la guardò stranamente. Scesero le scale e uscirono.




Note dell'autrice: Buongiorno Oncers. Settimana senza ONCE, ma nel prossimo speriamo di vedere Gold vincere, finalmente, contro Uncino. Eccomi qua, come di consueto, con la prima parte del nuovo capitolo. Come avrete capito dal titolo (e siete arrivati anche fin qua), ecco il nuovo personaggio che ho introdoto e del quale vi ho parlato precedentemente. E' un capitolo transitorio che ci porterà, successivamente, a Skin Deep. Ma è anche un capitolo importante. Come farà questa Mary Poppins a entrare e uscire da Storybrooke senza perdere la memoria? E, soprattutto, come conosce tutto di tutti? Molti di voi avranno sicuramente già la risposta. Gran parte della vicenda - come avete visto - si svolge nel passato di Storybrooke. (Piccola nota: se Rose riesce a praticare quella magia, se ben ricorderete nei capitoli precedenti, la bambina riusciva anche a vedere "attraverso" la maledizione, identificando le persone come le loro controparti nella Foresta Incantata. Questo perchè Rose mantiene ancora un pò di magia da bambina, cosa che poi perderà crescendo. Questo perchè i bambini sono puri e credono (vedere Isola che Non c'è)
Con ciò, passo ai ringraziamenti. Grazie di cuore a tutti coloro che stanno recensendo, seguendo o semplicemente leggendo la fanfict. Spero di non avervi troppo annoiato. Tante cose devono ancora succedere anche se piano, piano i pezzi del puzzle si stanno mettendo insieme. Ringrazio, inoltre, anche la mia cara amica Lucia.
Concludo che vi aspetto prossimamente con la seconda parte del capitolo. Buon proseguimento di giornata, dearies


 
 
 
 

  
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