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Autore: _armida    19/11/2015    3 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXII: Icaro

Il giorno dopo...

Convocata di prima mattina nello studio di Lorenzo. Con la sbronza della notte precedente tutt'altro che passata. Con i postumi peggiori che avesse mai avuto. 
Elettra si stropicciò gli occhi stanchi ed arrossati; quella era stata davvero una notte memorabile. Lei, Leonardo, Nico e Zoroastro erano rimasti al Cane Abbaiante fino a quando Vanessa gli aveva sbattuti fuori, verso le cinque, perchè l'ora di chiusura del locale era passata già da un pezzo. Nonostante il coprifuoco fosse ancora in vigore, il piccolo gruppo, con passo malfermo, si era messo a passeggiare per le vie di Firenze. Era andato tutto bene fino a quando Zo non si era messo a cantare a squarciagola una canzone popolare, seguito a ruota da Elettra. Il tutto successo mentre Leonardo sghignazzava come un matto e Nico tentava inutilmente di farli stare zitti tutti. Inutile dire che tutto quel rumore, alle cinque di mattina, aveva allarmato le guardie della notte. Poco dopo il Capitano Dragonetti, insieme ad un drappello di uomini, aveva fatto la sua comparsa; ci era mancato davvero poco che fossero arrestati tutti e quattro. Fortunatamente erano solo stati scritti i loro nomi su quel suo dannato libretto. Tutto sommato poteva anche andargli peggio.
Alla fine Elettra era riuscita a tornare a casa. E chi ci aveva trovato in salotto? Girolamo. Su una poltrona. Addormentato.
La ragazza aveva sorriso, davanti a tutta quella premura. Non avrebbe mai pensato che il freddo e cinico Conte Riario avesse un lato così dolce; glielo dimostrava ogni qual volta si trovassero assieme. 
Le aveva fatto tenerezza, con la testa leggermente reclinata di lato e i capelli arruffati. Gli aveva poggiato una mano sulla guancia, accarezzandogli delicatamente il contorno del viso. Lo aveva trovato un po' troppo freddo e così era andata a prendergli una coperta. Dopodichè aveva appoggiato la propria testa sulle sue ginocchia e lo aveva guardato dormire. Doveva essersi addormentata anche lei perchè, quando aveva aperto gli occhi, si era trovata nel proprio letto, con addosso solo la camicia e avvolta nelle coperte. 
Maria l'aveva svegliata urlando che era appena andato via un messaggero della Signoria e che aveva lasciato un messaggio nel quale c'era scritto di presentarsi a palazzo il prima possibile.
Morale della favola: una sbronza colossale, neanche due ore di sonno e una probabile ramanzina da parte di Gentile Becchi. Il tutto alle otto di mattina.
Elettra si stropicciò nuovamente gli occhi, infastidita da tutta quella luce. Quanto le avrebbero fatto comodo gli occhialini di Girolamo in quel momento! Nonostante li considerasse ridicoli -e lo avesse fatto notare più volte al Conte, il quale non aveva per niente apprezzato il commento-, in quel momento avrebbero avuto una certa utilità.
"Elettra, mi stai ascoltando?". La voce di Lorenzo la fece ridestare dai propri pensieri. Lo sguardo della ragazza si spostò prima sul Magnifico e poi sul volto duro di suo zio. Doveva essere davvero arrabbiato, per usare quell'espressione. 
Annuì, cercando di essere convincente. Quel semplice movimento le causò delle fitte di dolore alle tempie. Era davvero messa male.
Lorenzo sospirò. "Ripetimi quello che ho appena detto"
"Vi stavate complimentando per ieri"
"Questo è successo dieci minuti fa", il de Medici dovette trattenersi dal ridere: dal suo punto di vista la situazione appariva quasi comica. D'altro canto, però, ammirava il semplice fatto che Elettra, nonostante tutto, si fosse prontamente presentata. Almeno non lo aveva insultato e tirato un cuscino in faccia come aveva fatto Giuliano.  "Te lo ripeterò velocemente un'ultima volta", le disse cercando di rimanere serio, "Venerdì sera nominerò Da Vinci gran maestro dell'ordine di san Giovanni Battista"
"E' una grande onorificenza", commentò sorpresa Elettra.
"E tu organizzerai una grande festa in suo onore"
La ragazza sorrise soddisfatta. La sua testa aveva già incominciato a vagare tra decorazioni, inviti e abiti da sera. "Come desiderate, Lorenzo", disse dopo un po'.
Il Magnifico le sorrise, poi fece cenno a Gentile Becchi di uscire ad accogliere alcune personalità in vista di Firenze che avevano chiesto udienza per quella mattina: il colloquio con Elettra aveva sforato e, senz'altro, i prossimi sulla lunga lista di incontri giornaliera di Lorenzo erano già fuori dal suo studio in attesa. Per il bene di tutti era meglio non farli attendere troppo.
Una volta che Becchi fu uscito il de Medici si mise più comodo sulla propria poltrona ed osservò divertito Elettra. "Giuliano è tornato stanotte verso le quattro e ha vomitato l'anima per il resto della notte. Quando sono andato a chiamarlo, poco prima che arrivassi tu a palazzo, mi sono beccato un vaffanculo e un cuscino in faccia e ora credo che stia dormendo profondamente", disse trattenendo le risate. "Tu come fai ad essere qui in condizioni relativamente decenti?"
"E pensare che ho bevuto molto più di vostro fratello", ribattè la ragazza.
Si misero entrambi a ridere di gusto.
 
***
 
Qualche ora più tardi (e un infuso alle erbe dopo)...

La testa non le doleva più come prima; il merito era tutto di quella tisana presa a Palazzo della Signoria. Lo aveva detto, Elettra, che aveva effetti miracolosi. Avrebbe chiesto alla cuoca la ricetta, un giorno.
Aveva aspettato che Leonardo andasse a palazzo, per continuare a dipingere il ritratto della Donati, e poi si era diretta alla sua bottega. Elettra aveva bisogno di idee e la bottega di Da Vinci era il luogo migliore per iniziare. Per non dare troppo nell'occhio, la ragazza era passata da un'entrata secondaria, situata in una traversa frequentata principalmente da gatti randagi; quella porta non era mai chiusa a chiave. Elettra abbassò la maniglia lentamente ed entrò senza fare il minimo rumore. Si guardò intorno curiosa: si sentiva come una bambina in un negozio di caramelle. Ovunque posasse lo sguardo vi erano schizzi, progetti e modellini di ogni genere ma, il vero protagonista, il filo conduttore di tutto, era il volo: prototipi di ali, uccelli di ogni specie impagliati e di legno. Alzò la testa verso l'alto, osservando ciò che pendeva dalle travi del soffitto: c'era il modello di ali testato da Nico; un altro con un'ala spezzata, che Zo aveva spezzato, quella volta che si era rotto una gamba; una copia perfetta della colombina usata nell'ultimo carnevale... Tante, tante cose. Tutte scaturite da quella mente geniale che era Leonardo. La sua vera essenza, ecco che cosa rappresentava quel posto.
Elettra cominciò a curiosare in giro, rovistando qua e là e prendendo alcuni fogli e disponendoli su uno dei tavoli al centro della stanza.

Non sapeva dire quanto tempo fosse passato, se appena una manciata di minuti o qualche ora. Si trovava seduta a gambe incrociate su uno dei tavoli da lavoro della bottega di Leonardo. Intorno a lei vi erano decine e decine di schizzi del geniale artista. Li osservava, decifrava e poi prendeva appunti. Nonostante tutto il suo impegno, non riusciva a farsi un'idea su come avrebbe dovuto organizzare la festa: Leo era come un dado dalle troppe facce e, far rientrare tutto nella festa, sarebbe stato impossibile ma, lasciare da parte qualcosa, avrebbe significato non mostrare appieno la sua genialità. Aveva tante, troppe informazioni, ma, in ultima analisi, niente di concreto. 
Elettra dava le spalle alla porta d'ingresso. Non la sentì aprirsi, nè notò la figura che entrò. Brandiva un compasso come se fosse la più letale delle armi. La ragazza si accorse solo di una presenza alle sue spalle, quando fu abbastanza vicino.
"Salve, Maestro", lo salutò.
Andrea rimase per un attimo interdetto. "Bambina mia, cosa ci fai qui tutta sola? Avrei potuto farti del male!"
"Con un compasso da disegno?" chiese lei sarcastica.
Il Verrocchio alzò gli occhi al cielo: quella battuta l'aveva già sentita da Leonardo. Era incredibile come i suoi due pupilli si assomigliassero! Sospirò e buttò il compasso sul tavolo. Anche Elettra sospirò, prima di ritornare con il naso immerso nei progetti di Da Vinci.
Andrea la osservò attentamente: era diventata una donna ormai. Non era più quella bambina spaventata che, la prima volta che aveva messo piede nella sua bottega, stringeva forte la mano di Gentile Becchi. Non aveva più bisogno della pittura per superare la perdita di sua madre e sua sorella. Era diventata una donna forte e determinata. Era fiero della sua allieva.
"Cosa c'è che ti turba, bambina mia?". Nonostante tutto, non riusciva a fare a meno di chiamarla 'bambina mia'; era davvero molto affezionato a lei.
Elettra alzò la testa, per poterlo guardare negli occhi. "Lorenzo vuole che organizzi una festa in onore di Leo"
"E' una splendida notizia". Per Andrea, lei e Da Vinci erano i suoi migliori risultati.
"Ho paura di non riuscire a fare un buon lavoro", confessò sconfortata.
"Perchè dici così? Qualsiasi cosa che fai è sempre splendida.", cercò di confortarla. "In fondo, ti ho istruita io, no?", aggiunse il Verrocchio con un sorriso.
La ragazza gli sorrise mentre lui le accarezzava dolcemente la testa proprio come quando era bambina. Alcune cose non cambiavano mai.
"Leo è la mente più geniale di tutta l'Europa e io ho paura di non riuscire ad organizzare qualcosa che sia alla sua altezza"
"Leonardo, a mio parere, è un po' come Icaro". Voleva darle uno spunto di riflessione.
"Ma a Leo non si scioglieranno mai le ali ad avvicinarsi troppo al sole"
"Invece temo che prima o poi accadrà, bambina mia", quel pensiero teneva spesso Andrea sveglio la notte. La paura che Leonardo ed Elettra si cacciassero in qualche guaio più grande di loro era la sua più grande paura. "Quando accadrà, tu dovrai stargli vicino"
Nella stanza calò un pesante silenzio, rotto solo a tratti dal rumore della matita che sfregava sulla carta ruvida del blocco da disegno.
"Grazie, Maestro", disse dopo un po' Elettra. Parlare con il Verrocchio le era servito per mettere in ordine le proprie idee: ora sapeva che strada percorrere.
Lui le sorrise con fare paterno.
"Secondo voi Lorenzo mi permetterà di installare una spingarda nella sala dei banchetti?", chiese divertita.
Ancrea alzò nuovamente gli occhi al cielo.

***

Nel tardo pomeriggio...

Girolamo aprì gli occhi, osservando la camera da letto di Elettra. A giudicare dallo stato di torpore in cui si trovava, doveva essersi addormentato. Si stiracchiò e si girò tra le coperte, mettendosi steso di lato. Guardò rapito il profilo della ragazza stesa di fianco a lui: Elettra era sdraiata a pancia in giù; non aveva addosso niente, neanche un lenzuolo.  E, come suo solito, era con il naso immerso nel lavoro. Lei era sempre immersa nel lavoro. Talmente immersa che non si era neanche accorta che ora lui la stava osservando.
"Riuscirò, prima o poi, ad averti completamente per me?", le chiese sarcastico.
Elettra finalmente alzò la testa dai propri appunti e lo guardò. "Mi pare che siamo qui soli", rispose con quel suo solito tono di voce che Girolamo considerava sempre troppo impertinente. Ma era un'impertinenza piacevole, la maggior parte delle volte.
Fece per avvicinarsi a lei ma un improvviso scricchiolio sotto al proprio petto lo fece desistere. Contrariato, estrasse da sotto le coperte un foglio di carta tutto stropicciato. "E questo, allora?", ribattè sventolandoglielo davanti.
Il viso di Elettra parve illuminarsi, alla vista di quell'appunto mancante. "Tu non sai da quanto lo stavo cercando!", commentò strappandoglielo di mano. Soddisfatta, lo mise in mezzo a tutti gli altri.
Girolamo sbuffò: non poteva neanche muoversi liberamente, senza rischiare di sdraiarsi su qualche foglio. Si rimise a pancia in sù, osservando i complicati motivi floreali del baldacchino; era grazioso, come tutta la casa in fondo, ma per lui, amante delle tinte scure, quel posto era troppo colorato. Troppo chiaro e troppo luminoso. 
"Tu lavori troppo", le disse.
"Prova tu ad avere come ospite abusivo un logorroico conte romano e presto anche i sovrani di Spagna"
Girolamo sorrise alla frecciatina della ragazza. "Conosco molto bene Isabella e Ferdinando", le sussurrò mentre le si avvicinava. "La Regina mi ha  donato personalmente il mio andaluso nero"
"Il cavallo con problemi intestinali?", chiese lei con quel suo solito tono impertinente.
Il Conte alzò gli occhi al cielo: questa doveva senz'altro averla sentita dall'artista. Ritornò nella sua metà del letto con l'aria interdetta.
Dopo alcuni momenti di silenzio, Elettra parve perdere interesse nei propri appunti. "Stavi russando, prima", disse divertita.
Girolamo si rigirò verso di lei, osservandola negli occhi. Cercava di capire se dicesse, o meno, la verità. "Io non russo", ribattè seccato, alla fine.
"Si, tu russi", ripetè la ragazza. "Come un vecchio trombone"
"Nessuna donna me lo ha mai fatto notare". Era tornato alla sua solita apatia. Segno che aveva preso male la questione.
Elettra però era cocciuta. Non gliela avrebbe mai data vinta solo perchè la guardava con quel suo sguardo intimidatorio. "Solo perchè non ti sono mai state abbastanza vicine come me ora", disse lei avvicinandosi e poggiando delicatamente la propria testa sul petto scolpito dell'uomo.
"Zita non mi ha mai detto che russo"
La ragazza rise. "La tua serva abissina ha paura della sua stessa ombra, non oserebbe mai dirti una cosa del genere"
Girolamo borbottò tra sè e sè qualcosa su quanto le donne fiorentine potessero essere impertinenti e petulanti, poi scostò Elettra dal proprio petto e si girò su un lato, dandole così le spalle.
Lei dovette impegnarsi molto per trattenere una risata: non credeva che il Conte di Imola e Forlì fosse un uomo così permaloso, nè che da offeso avesse lo stesso comportamento di un bambino capriccioso. "Girolamo", lo chiamò.
Niente.
"Girolamo", provò a sussurrargli ad un orecchio.
Ancora niente. La stava ignorando alla grande. 
Elettra lo osservò per un attimo: il comportamento di Riario cominciava a irritarla. Doveva cambiare approccio, se voleva ottenere la sua attenzione. Gli si avvicinò ancora di più, facendo aderire il proprio corpo al suo. Gli diede un bacio su una spalla.
"Non pensare di potermi comprare, facendo così". Almeno aveva ancora una lingua. Ed era pure in grado di articolare delle parole.
"Intendo fare molto di più, in verità", gli sussurrò ad un orecchio.
A quel punto Girolamo si girò improvvisamente, cogliendola di sorpresa. Lei finì schiacciata proprio sotto al suo corpo. Gli appunti scricchiolarono, sotto al peso di entrambi. Elettra si mise a ridere: quella del Conte era stata solo una messa in scena. "Sei un manipolatore", disse divertita.
"Ha parlato l'innocenza in persona", ribattè lui.
"Rispetto a te, senz'altro" 
Girolamo avvicinò il proprio viso a quello di Elettra. Lei provò ad accorciare ancora di più quella distanza, cercando le sue labbra ma lui allontanò il proprio viso da quello di lei. Un sorriso divertito e malizioso gli comparve in volto.
La ragazza sbuffò: quell'uomo stava giocando con lei! Lo guardò fisso negli occhi, aspettando la sua successiva mossa.
Tuffarsi nei suoi occhi azzurri per il Conte era tutto. Quanto sarebbe durato ancora? Lui sapeva che quello che stava accadendo tra di loro era solo un illusione. Un castello di carte che sarebbe crollato al primo soffio di vento. Conoscendosi, probabilmente, sarebbe stato lui stesso a soffiarci sopra, rovinando tutto. Anche lei ne era consapevole, ne era certo. 
"Girolamo". La voce di Elettra lo riportò alla realtà. Lo guardava con un misto di preoccupazione e malinconia; probabilmente stavano pensando la stessa cosa. 
In entrambi stava, ormai da tempo, prendendo piede  un nuovo sentimento. Non sapevano dargli un nome o, forse, non volevano. Nessuno dei due, per orgoglio o per timore di mostrarsi, così facendo, troppo vulnerabile, voleva ammettere che c'era qualcosa di più di un semplice patto, tra loro.
Elettra provò nuovamente ad azzerare la distanza tra le loro labbra e, questa volta, Girolamo la lasciò fare. Fu un bacio dolce e passionale, che esprimeva il desiderio di entrambi di non allontanarsi l'una dall'altro. La ragazza allacciò le proprie braccia intorno al collo del Conte mentre le mani di lui percorrevano lentamente le sue cosce. Si allontanarono solo quando furono entrambi con il fiato corto. 
"Sei bellissima, mia diletta", le sussurrò ad un orecchio prima di  scendere a torturarle l'esile collo di porcellana con le sue labbra calde. Non poteva vederla in viso ma, conoscendola, era certo che le sue gote fossero diventate vermiglie. Si coloravano sempre, quando le faceva un complimento.
Il respiro di Elettra era irregolare e il battito del suo cuore accelerò ancora di più quando lo sentì lasciare una scia di baci sempre più in basso. Sussultò, quando le diede un piccolo morso sul seno. L'avrebbe pagata cara, se le avesse nuovamente lasciato il segno. 
Rise, al contatto con il leggero accenno di barba del Conte.
Rise anche dopo, vedendo Girolamo tentare di districarsi tra le lenzuola sfatte, unico ostacolo che ancora divideva i loro corpi desideriosi l'uno dell'altra.
Risero insieme, dimenticandosi del resto del mondo che li circondava.
 
***

Elettra si stropicciò gli occhi, ancora assonnata. Non sentire più il caldo abbraccio di Girolamo cullarla, l'aveva ridestata dallo stato di dormi veglia nel quale si trovava. Lo osservò mentre si rivestiva. 
Decise di fare lo stesso e, con una grazia pari a quella di un'otaria spiaggiata, si alzò di malavoglia. Recuperò la propria vestaglia, appoggiata su di una poltrona e la indossò. Dopodichè cominciò a raccogliere i propri appunti sparsi qua e là, tra le lenzuola e il pavimento. "Hai una spingarda di Leonardo sulla schiena", fece notare divertita  a Girolamo.
L'altro si girò, guardandola perplesso. Si accorse solo dopo un po', tra le risatine di Elettra, che uno dei fogli gli si era incollato sulla schiena. Con studiata nonchalance, lo porse alla ragazza, ancora parecchio divertita.
Lei gli si avvicinò, offrendosi di aiutarlo ad allacciare i bottoni della camicia, rigorosamente nera. La bionda non credeva che il Conte possedesse vestiti di altri colori.
"Dove devi andare?", gli chiese mentre gli porgeva la giacca.
"Da Francesco Pazzi, dobbiamo discutere di alcune questioni importanti", rispose lui vago. Era sempre vago, quando si trattava della famiglia Pazzi.
"Piccoli cattivi con manie di conquista del mondo crescono?", ironizzò Elettra.
"Semmai d'Italia, non del mondo", ribattè lui, fingendosi tremendamente serio. Le diede un bacio sulla guancia, prima d'uscire. 

***

Più tardi a Palazzo Pazzi...

"Conte Riario", lo salutò Francesco Pazzi con un inchino che Riario considerò esagerato. Da un... 'leccaculo', come lo aveva più volte definito Elettra, non poteva aspettarsi nient'altro. Nonostante non gli piacesse per niente, quell'uomo era necessario per la perfetta riuscita dei piani di Roma per Firenze. Doveva farselo andare bene. Per Roma. Per suo padre, il Santo Padre.
"Francesco", rispose con la sua solita freddezza.
Pazzi indugiò un po' sul colletto della camicia del Conte, sospettosamente troppo alto. Ma non abbastanza da nascondere un vistoso segno rosso di forma circolare. Le sue labbra si piegarono in un leggero ghigno, capendo cosa fosse. Un pensiero improvviso lo fece però tornare immediatamente serio: sua moglie Allegra aveva più volte espresso il suo apprezzamento sulla figura di Riario... e in quel momento non si trovava in casa. Era stata piuttosto vaga, circa la sua meta.
Il Conte si portò una mano sul colletto risistemandoselo. Lo aveva detto ad Elettra di evitare ma lei gli aveva risposto qualcosa riguardo ad una vendetta... Aveva sempre la scusa pronta, lei. Questo fatto lo faceva irritare oltre ogni dire. E gli piaceva, oltre ogni dire.
La porta del salotto per le udienze, alle spalle del Conte, si aprì ed una donna sgusciò all'interno silenziosamente.
"Madonna Donati"
Lucrezia guardò con disprezzo entrambi gli uomini. "Signori". Il suo odio traspariva da ogni singola sillaba. Era colpa loro se Amelia, la sua sorellina, era morta. Era colpa loro se ora era costretta ad essere la puttana di Lorenzo. Ed era ancora colpa loro se era una traditrice. Temeva quello che le avrebbero fatto fare, questa volta.
"Siete in ritardo", le fece notare Riario. 
"Ero da Lorenzo", rispose freddamente lei.
Il Conte le lanciò un'occhiata intimidatoria. Non doveva mai permettersi si rispondergli in quel modo.
"Perchè mi avete fatta chiamare?", continuò imperterrita la Donati.
"Il Magnifico questo fine settimana organizzerà una festa in onore di Da Vinci", spiegò Riario.
"Giocheremo un bel colpo basso, a quell'artista", disse Pazzi con un sorriso da orecchio ad orecchio. "E anche a Lorenzo".
Il ghigno malvagio dipinto sulla sua faccia fece venire i brividi a Lucrezia. Leonardo, avrebbe dovuto tradire anche lui, allora.

***

Venerdì sera, a Palazzo della Signoria... 

Elettra era in ritardo, dannatamente in ritardo. Come suo solito. Sospirò, osservando la sala ormai gremita di gente. Passò tra  i vari invitati a passo spedito, cercando con lo sguardo Gentile Becchi.
Sorrise, alla vista delle due colossali spingarde che si trovavano ai lati del portone d'ingresso della sala dei banchetti. Aveva dovuto penare -e non poco- per convincere Lorenzo a lasciargliele installare. Era anche riuscita a modificarne il meccanismo interno; durante la serata, infatti, esse avrebbero sparato coriandoli e stelle filanti per tutto il salone. Sul soffitto, invece, vi erano appesi numerosi prototipi di ali e voltatili in legno. Alla fine, nonostante tutte le sue incertezze, ce l'aveva fatta, a fare un buon lavoro.
La festa doveva essere iniziata già da parecchi minuti. Le feste che organizzava, a differenza sua, erano precise come un orologio svizzero. Doveva senz'altro essere successo qualcosa, per giustificare un tale ritardo.
Finalmente vide suo zio, seduto in seconda fila. Gli si avvicinò e si mise al suo fianco. Era nervoso. Anche i rappresentanti della famiglia de Medici sorridevano nervosi ai vari ospiti, sempre più spazientiti.
"Cosa succede?", gli chiese, sempre più preoccupata.
"Da Vinci non si è ancora visto", rispose Gentile Becchi, continuando a guardarsi intorno.
Anche Elettra si mise a guardarsi in giro, aguzzando la vista, sperando di poter scorgere finalmente Leonardo. Quante volte gli aveva ripetuto che doveva assolutamente essere puntuale? 
Sbuffò irritata. Gesto che non passò inosservato a Giuliano, che, da quando l'aveva vista fare il suo ingresso nella sala, cercava di attirare  la sua attenzione. 
Finalmente i loro sguardi si incontrarono. "Dov'è finito Da Vinci?", le chiese a gesti.
Elettra scosse la testa. Non ne aveva proprio idea.
"Vado a cercare Leonardo", disse a Gentile Becchi, alzandosi di fretta dalla propria seduta.
Girolamo la vide sfrecciare di fianco a passo spedito; era chiaro come il sole che c'era qualcosa che la irritava oltre ogni dire. Che fosse successo qualche imprevisto? Un po' gli sarebbe dispiaciuto: sapeva quanto Elettra si era impegnata, per organizzare quella festa. Nonostante fosse entrata nel suo campo visivo solo per pochi secondi, non potè fare a meno di pensare a quanto fosse magnifica, in quell'abito blu elettrico con quell'ampio scollo a barchetta, che le lasciava scoperte le spalle. Non aveva un corsetto, ma solo una lunga fila di bottoni sul retro; e la gonna non era ampia, ma ricadeva dolcemente sulle forme del suo corpo. 

Elettra non aveva smesso di imprecare dal momento esatto in cui era uscita dal salone dei banchetti. Avrebbe fatto impallidire anche uno scaricatore di porto, in quel momento. Dove cazzo si era cacciato Leonardo?
Gliel'avrebbe fatta pagare cara, se avesse rovinato la festa che lei aveva organizzato.
Uno dei servi l'aveva assicurata sul fatto di averlo visto di sfuggita attraversa uno dei numerosi corridoio, circa un'ora prima. Che cazzo stava facendo?
Sbuffò infastidita, mentre svoltava per l'ennesima volta. 
Finalmente lo vide. Era nella galleria dei ritratti della famiglia de Medici. Immobile davanti al ritratto di Cosimo. Blaterava parole incomprensibili riguardanti una spedizione navale, i Figli di Mitra e la Volta Celeste.
"Cristo Santo, Leonardo!", urlò Elettra, "Si può sapere che cazzo stai facendo?". Era furiosa e parecchio incazzata.
Quando Nico si girò per osservarla meglio, era certo di aver visto del fumo, uscirle dalle orecchie.
Da Vinci si voltò verso di lei, continuando a blaterare; aveva stampata in volto quella sua espressione folle, tipica di quando gli veniva qualche idea.
'Sorridi, annuisci e vai avanti. Sorridi, annuisci e vai avanti', si sforzò di pensare Elettra. Sapeva che se, in quel momento avesse dato corda al geniale artista, la festa poteva pure scordarsela. "Leonardo, qualsiasi cosa tu voglia dirmi, c'è tempo dopo", disse prendendolo a braccetto e conducendolo verso il salone dei banchetti. "Ora, Lorenzo ti sta aspettando"

"Mio nonno, Cosimo, aveva un sogno...". Ovviamente Leonardo era corso nella sala, senza aspettare Elettra, che entrò più tardi, mentre Lorenzo aveva già incominciato a parlare.
Cercando di passare il più inosservata possibile -per quanto il suo aspetto lo permettesse -, fece per tornare a sedersi al suo posto, di fianco a Gentile Becchi. Rimase per un attimo spiazzata, vedendolo occupato da Piero Da Vinci. Quei due, insieme, spettegolavano peggio delle comari della cucina del palazzo. Il chè era tutto dire.
Cercò con lo sguardo altri posti liberi ma, gli unici disponibili erano erano o di fianco al Capitano Grunwald ( 'Assolutamente no', pensò), o di fianco a Girolamo. Non dovevano farsi vedere troppo insieme ma non è che avesse molta scelta. 
"Conte, posso?" chiese gentilmente.
Lui parve inizialmente sorpreso, da quella richiesta ma acconsentì, mettendo in mostra uno dei suoi rarissimi sorrisi sinceri. "Sei bellissima, stasera", le sussurrò ad un orecchio.
Elettra sperò con tutta sè stessa che nessuno la stesse guardando in quel momento: le sue guance stavano assumendo lo steso colore delle vesti vermiglie solitamente indossate da Lorenzo. "Ci sono occhi e orecchie parecchio indiscrete in questa sala", gli sussurrò a sua volta, "Se fossi in voi eviterei"
Girolamo ridacchiò.
"...Nessun figlio di Firenze può rappresentare al meglio questi ideali, come Leonardo Da Vinci", nel frattempo il Magnifico aveva continuato il suo discorso. 
Un paggio entrò nel salone: portava in mano un cuscino di velluto rosso, sul quale era adagiata una lunga collana d'oro, terminante con un vistoso pendente circolare rappresentante il simbolo dell'ordine di San Giovanni Battista.
"Vi nomino Gran Maestro dell'Ordine di San Giovanni Battista, Santo Patrono di Firenze", disse Lorenzo, prendendo la collana dal cuscino e mettendola al collo di Leonardo. 
"Vi consegno la riproduzione vivente di una genialità esemplare: Leonardo Da Vinci", proferì solenne alla grande folla di invitati.
Si alzarono tutti in piedi, battendo le mani e complimentandosi con l'artista.
"Grande Leo!", urlò Elettra, aggiungendo anche qualche fischio d'ammirazione. Sentì gli occhi delle persone nelle sue vicinanze tutti addosso. Girolamo la guardò un po' male: aveva esagerato. La ragazza in quel momento avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna: si era dimenticata di non essere al Cane Abbaiante ma nel salone dei banchetti di Palazzo della Signoria. Aveva Decisamente esagerato. Nonostante il rossore delle proprie gote, cercò di ricomporsi e darsi un tono autoritario, cosa che fece ridere ancora di più il Conte.
Elettra notò positivamente quanto Girolamo fosse di buon umore, quella sera. Di solito quel genere di feste lo infastidivano e, appena possibile, se ne andava con qualche scusa. Sembrava non vedesse l'ora di festeggiare...
"Prego, Maestro, concedeteci qualche parola", disse Lorenzo, una volta che la folla si fu calmata.
Leonardo incominciò con il suo discorso: "Le migliori esportazioni di Firenze sono sempre state le sue idee. La nostra Repubblica rappresenta la massima espressione della ricerca. Noi stiamo inventando il futuro. Tuttavia, possiamo sopravvivere solo ampliando i nostri orizzonti.", proferì rivolto alla folla. "Quindi vi propongo un nuovo ardito passo", disse voltandosi verso Lorenzo, "Esiste una terra poco nota, Vostra Magnificenza, ad occidente; in gran parte inesplorata ma assicurano che sia piena di meraviglie quindi, con il Vostro patrocinio, sarò a capo di una spedizione che ci porterà a..."
Le porte del grande salone si aprirono e alcune guardie della notte, seguite da Francesco Pazzie e da un contrariato Quattroni, fecero il loro ingresso. Il Capitano Dragonetti e il Pazzi avevano un'aria trionfante. 
Anche il Conte Riario, di fianco ad Elettra, aveva assunto un sorriso affilato, che non prometteva niente di buono...
"Capitano Dragonetti, cosa significa questo affronto?". Lorenzo era seccato, da quella sgradita interruzione.
"Vogliate perdonarmi, ma è stata avanzata una gravissima accusa contro uno dei vostri ospiti", rispose prontamente l'altro.
'Ci risiamo', pensò Elettra. Anche alla festa di Capodanno dell'anno prima era dovuto intervenire Dragonetti -ovviamente aveva interrotto il discorso di felice anno nuovo di Lorenzo -. Il Magnifico non aveva preso bene il fatto che uno dei suoi ospiti, già ubriaco fradicio prima di entrare a palazzo, si fosse messo ad adempiere ai suoi bisogni fisiologici proprio davanti al Palazzo di Giustizia...
Elettra si morse un labbro per trattenere le risate mentre, con lo sguardo, cercava di capire chi fosse, ad averne combinata una. I prossimi minuti se li aspettava parecchio divertenti.
"Non so niente di nessuna accusa. E a quanto mi risulta, voi rispondete solamente a me", disse secco il Magnifico.
"In realtà rispondo alla Signoria, Vostra Magnificenza", ribattè il capitano.
"Di cui voi siete solamente una voce", si intromise Pazzi.
"Non ho potuto dissuaderli purtroppo. E' questo il protocollo. Ho le mani legate", si scusò Quattroni.
"Continuate Capitano", disse alla fine Lorenzo, notevolmente seccato.
"E' una notizia giunta all'attenzione delle Guardie della Notte per mezzo di una denuncia anonima che recita: 'Leonardo di Ser Piero Da Vinci..."
Aspetta... Cosa?! 
Elettra, che si pregustava già le risate, guardò allarmata Leonardo che, a sentir pronunciare il suo nome, era rimasto paralizzato. Stringeva nervosamente i braccioli della sua seduta. 
"...ha commesso, in violazione degli statuti della Repubblica di Firenze e della Legge Divina e naturale l'empio reato della sodomia. Suddetto individuo verrà prontamente instradato  al Bargello..." 
"Non c'è niente di vero, è una calunnia", urlò indignato Nico. 
Anche Elettra provò a muoversi in direzione di Dragonetti, ma venne bloccata dalla forte presa di Girolamo. Si girò verso di lui: aveva una strana espressione in volto. Lo aveva visto con quell'espressione solo una volta; quando aveva parlato con Lorenzo, la sera del suo arrivo. Un dubbio tremendo cominciò a prendere piede nella sua mente. Di colpo era come se la mano del Conte che teneva saldamente il suo polso fosse diventata incandescente.
"...dove resterà fino a quando i magistrati ne avranno accertato la colpevolezza o l'innocenza. Se l'accusa verrà convalidata sarà condotto dalla pubblica piazza fino al Palazzo di Giustizia. E lì verrà bruciato. Così che morendo la sua anima venga sparata dal corpo"
"No! Questa è opera vostra, Francesco. Sento il fetore della famiglia Pazzi in ogni atto di questa farsa", urlò Lorenzo indignato.
'Non solo di Francesco Pazzi...', pensò Elettra mentre il suo viso perdeva velocemente colore. 
"No, la denuncia è reale Lorenzo. C'è una vittima disposta a testimoniare", disse con un sorriso affilato il Pazzi. 
"Nessuno viene condannato per questo crimine da più di cinquant'anni", ribattè il Magnifico. 
"Eppure è ancora nei libri dello statuto. Se avete riserve rivolgetevi al vostro avo, Cosimo. Non è stato lui a rivedere la costituzione di Firenze? O volete contravvenire alle leggi della Repubblica come meglio credete? Avevo l'impressione che vivessimo sotto una democrazia. Non sotto dittatura, invero". Francesco Pazzi lo stava provocando. E Lorenzo aveva chiaramente le mani legate.
Il Magnifico non potè fare altro che farsi da parte, lasciando che Dragonetti si avvicinasse a Da Vinci.
"I vostri polsi, prego", disse vittorioso all'artista.
Leonardo fu incatenato e portato fuori dal salone tra i mormorii e lo shock generale. 
I suoi occhi persi vagarono per la sala, andando ad incrociarsi con quelli di Elettra, ormai già umidi. Lei lo seguì con lo sguardo fino a quando le fu possibile.
Icaro era andato troppo vicino al Sole e si era scottato e, per quanto riguardava sè stessa, il suo castello di illusioni era caduto, spazzato via da un soffio di vento che, di certo, non aveva causato lei.
Guardo per un attimo il Conte Riario, al suo fianco: aveva un'espressione vittoriosa stampata in volto. 
Elettra cominciò a sentire la propria gola restringersi, il suo cuore battere sempre più forte e le gambe farsi deboli. Senza pensarci due volte corse via, lontano da quel salone e sopratutto lontano da lui: l'aveva tradita ed ora era il povero Leonardo a pagarne le conseguenze.
Si rifugiò nella biblioteca di Cosimo, chiudendo a chiave la porta dietro di sè.
Due grandi lacrime le rigarono il volto mentre il suo intero corpo veniva scosso da singhiozzi sempre più forti. Si lasciò sciovolare lungo il freddo muro fino a terra, stringendo forte le ginocchia al petto.


Nda
Si. Sono ancora viva. E mi scuso per il ritardo.
Questo capitolo è il cosiddetto 'capitolo sfigato': teoricamente era già tutto pronto settimana scorsa ma la mia chiavetta, su cui si trovavano gli ultimi dieci anni della mia vita, ha pensato bene di passare a minor vita... Ho dovuto riscrivere tutto da capo. E il fatto che domani ho l'esame di analisi non ha aiutato...
Questo è il link dell'abito che avevo pensato per la festa: http://www.google.it/imgres?imgurl=https://pbs.twimg.com/media/CPr75l1WEAA1mmc.png&imgrefurl=https://twitter.com/marchesafashion/status/647106467720511492&h=624&w=600&tbnid=5pfzsOxMwbs50M:&docid=chOOyUqN-5hMzM&ei=ftZNVv3QC8L4UNT0j5AN&tbm=isch&ved=0CC4QMygQMBBqFQoTCP2HnLHTnMkCFUI8FAodVPoD0g
Bene! Siamo tornati sulla retta via della serie TV, dopo un'ampia (ampissima) parentesi.

PS Mi Stavo quasi dimenticando... volevo ringraziare tutti: chi recensisce (e che mette sempre una buona parola per me), chi ha messo la mia storia tra le seguite e anche chi semplicemente legge :D
   
 
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