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Autore: _ Arya _    20/11/2015    4 recensioni
Questa storia é il seguito di "On adventure with the Pirate" e riprende qualche mese dopo l'epilogo.
Rumplestiltskin ha dichiarato guerra ad Emma Swan, e di conseguenza a tutta la sua famiglia e il suo regno. La sua intenzione é quella di scagliare una maledizione simile a quella di Regina, ma peggiore: lasciare a tutti i propri ricordi, e far perdere ad Emma le persone che pié ama: suo marito e suo figlio.
La maledizione verrà lanciata... ma tutto andrà secondo i piani dell'Oscuro?
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[Dal Prologo]
-No! Killian no... non voglio perderti...- sussurrai quasi senza voce tra i singhiozzi, e lo guardai con disperazione in quello stato dal quale non poteva far nulla per liberarsi.
-Ti amo...- vidi le sue labbra pronunciare, prima di iniziare a contorcersi sotto il controllo del suo acerrimo nemico, che sembrava gli stesse causando dolore in ogni fibra del corpo. Era come se lo stesse causando anche a me, perché io e lui eravamo una cosa sola
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Shock














KILLIAN POV

“Nostra figlia”.
Nella mia testa quelle due parole risuonarono decine e decine di volte, forse addirittura centinaia.
Leia Gemma Jones.
Mia figlia. Nostra figlia.
Abbassai lo sguardo sul bambino che tenevo sulle gambe, poi lo alzai nuovamente verso la piccola in braccio ad Emma.
Il mio primo e unico ricordo di un fagottino così piccolo era con Liam, quando era nato: com'era possibile un cambiamento del genere nel tempo di un battito di ciglia?
Com'era possibile chiudere gli occhi da padre di un figlio e riaprirli come padre di due?
Con un cenno del capo appena percettibile feci capire a Emma che volevo avvicinasse la bambina, volevo vederla. Volevo vedere mia figlia.
“Mia figlia”... anche solo pensarlo, faceva un effetto stranissimo. Aveva quasi dell'incredibile.
La donna lentamente si sedette sul letto, e mi mostrò la piccola.
E fu un colpo di fulmine al primo sguardo.
La bambina più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita: i suoi occhi erano azzurri come i miei, e grandi come quelli di Emma.
Come aveva fatto un ex pirata crudele e spietato a costruirsi una famiglia così perfetta?
Una moglie perfetta, dei bambini perfetti, una vita perfetta. Non mi sarei mai perdonato per aver perso quasi un anno di quella perfezione.
Solo ora, guardando Emma, notai la stanchezza celata dietro il suo sorriso: quanto doveva essere stato difficile per lei crescere il nostro bambino senza di me, e al tempo stesso portare in grembo nostra figlia? Eppure lei continuava a sorridere, e sapevo non avrebbe mai ammesso di aver sofferto troppo, perché lei era così, come l'avevo conosciuta: forte e testarda.
-Papàà, Lia!- esclamò Liam distogliendomi dai pensieri, e allungò allegro una manina per toccare quella ancora più piccola della sua sorellina.
Scena più bella, probabilmente, non era mai esistita sulla faccia della terra.
-Killian... ti senti bene? Il tuo cuore sta battendo forte...
-Cosa?- domandai, come risvegliandomi da un sogno: solo in quel momento mi resi conto che uno strano rumore in sincronia coi miei battiti tradiva l'emozione che stavo provando. Doveva essere colpa di una delle tante cose che tenevano uniti me e l'aggeggio infernale sul lato opposto del letto.
-Sto bene. Sto... posso prenderla?
-Ma certo amore, è... è tua figlia. Solo, sei sicuro di farcela?
-Sono sicuro. Non lo sono mai stato così tanto.- confermai, e delicatamente sistemai Liam vicino a me, per poter fare posto tra le braccia alla bambina. A Leia. Gemma. Ancora non sapevo con quale dei due nomi l'avrei chiamata, non sapevo Emma con quale nome la chiamava: non sapevo niente di niente, in realtà.
Con un controllo che non sapevo di aver già riacquistato, afferrai mia figlia senza lasciare che neanche un minimo tremore delle mie braccia rovinasse tutto, poi la strinsi al petto: fu allora che il mio cuore batté forte come solo due volte aveva fatto.
La prima volta che avevo baciato Emma.
La prima volta in cui avevo tenuto tra le braccia Liam.
Era come se stesse per saltarmi fuori dal petto.

 

EMMA POV – 7 mesi prima

-Ashley, è assurdo che tu mi abbia fatto prendere un giorno! Cosa vuoi che sia se non lo stress?! Mi sembra così ovvio!
-Sì, lo stress è così forte da farti vomitare? Lo so che non è facile, ma fino a un paio di settimane fa sembrava te la stessi cavando. Non succede niente se perdi un giorno, lo sai.
Sospirai, non sapendo cosa risponderle perché in fondo aveva ragione: anche la boss da qualche giorno insisteva perché mi prendessi una pausa o mi facessi vedere da un dottore, ed era stata contenta che alla fine avessi deciso di farlo.
Tuttavia mi ero convinta solo perché Ashley continuava a tormentarmi, e non perché avevo appena passato mezza nottata china sul water a vomitare. Non era stato piacevole, ma lo stress ultimamente sembrava essere aumentato: aumentava ogni giorno in più che Killian passava in coma. Come poteva, dopo 2 mesi, non avere ancora aperto gli occhi?! Il medico continuava a dirmi che sarebbe potuto succedere da un momento all'altro, ma io stavo sempre peggio.
Liam stava crescendo a vista d'occhio, aveva iniziato a dire “papà”, “mamma”, “pappa” e “nanna”, e suo padre si stava perdendo tutto questo.
Quelli erano momenti che avrei voluto condividere con lui, che avevo dato per scontato avrei condiviso con lui... e invece non sapevo neanche quando sarebbe tornato da noi. Almeno avevo eliminato il “se”, avevo deciso di avere fiducia e pazienza, ma quanta ancora avrei dovuto averne?! Ero piuttosto certa che ci fosse un limite.
-Sì, lo stress mi fa vomitare.- borbottai quindi, incrociando le braccia al petto scocciata.
Decisi di ignorare il fatto che avesse appena alzato gli occhi al cielo e continuai ad aspettare il mio turno in silenzio; perché diavolo mi avevano dato un orario se era già da mezz'ora che aspettavo?!
Quando finalmente la porta si aprì, alzai lo sguardo, e dopo che una donna che ne uscì si allontanò, la dottoressa mi fece un cenno col capo.
-La signora Emma Jones?
-Sì- confermai, e mi alzai dalla sedia prima di mettere seriamente radici.
-Chiamami quando hai finito, io aspetto in cortile, d'accordo?- fece Ashley, alzandosi dopo di me.
Annuii, e seguii la dottoressa in sala, per poi sedermi di fronte alla sua scrivania.
La donna mi imitò, ed aprì quella che doveva essere la mia “cartella clinica”, o almeno ricordavo si chiamasse così.
-Signora Jones... mi dica, come mai è qui? Vedo che due mesi fa è stata ricoverata in seguito ad un'aggressione e...
-Sì, ma non c'entra nulla. Sono qui solamente perché mi hanno costretta. Ultimamente sto poco bene, ma sa, lo stress... mio marito è in questo ospedale, in coma da due mesi, e mio figlio sta crescendo senza suo padre. Le sembra abbastanza?- esclamai infine, per rendermi conto solo dopo di avere esagerato un pochino: in fondo, che colpa ne aveva lei?
-Certo. Mi descriva i sintomi... come dice lei è probabile che sia stress, ma è sempre meglio essere sicuri quando si tratta di salute.
Come se me ne importasse, pensai, ma tenni quel commento per me.
Le elencai quindi i miei problemi di sonno, la conseguente stanchezza, la fame che nonostante lo stress mi aveva fatto mettere su un chilo e mezzo, e la nausea che ogni tanto mi assaliva, soprattutto la sera precedente.
-Effettivamente sono sintomi da stress, ma non solo. Vorrei farle una domanda un po' personale, che potrebbe essere poco delicata considerate le circostanze.
Scrollai le spalle per farle capire che non mi importava, poteva chiedermi tutto quello che voleva.
-Quand'è l'ultima volta che ha avuto un rapporto sessuale?
-Cosa?- feci sorpresa, e allora quelle premesse assunsero un significato. Non mi ero proprio aspettata una domanda del genere, anche perché la risposta era piuttosto ovvia.
-Sì, beh... suppongo tempo fa, ma...
-Due mesi e mezzo fa, direi. Più o meno.
-Capisco. E ha questi sintomi da un paio di settimane... sa se il suo ciclo è regolare?
-Non ci ho pensato... non proprio, ma lo stress... insomma. Ma perché queste domande? Dove vuole andare a parare?- domandai, anche se stavo lentamente iniziando a capire, pur non volendo farlo.
-Ovviamente è solo una possibilità, signora. Ma... ecco, io credo che una gravidanza non sia da escludere.


Erano state le 48 ore più lunghe della mia vita, ed ora che avevo il foglio coi risultati davanti avevo paura di aprirlo.
Avevo paura di scoprire che i miei timori si rivelassero reali, perché non ero pronta ad affrontare una cosa del genere, non ora. Soprattutto non da sola.
-Emma, se non leggi tu quel maledetto foglio giuro che lo prendo e lo faccio io!- esclamò Ashley esasperata.
Per mia scelta avevo ritirato la busta con la decisione di portarla a casa e leggere lì l'esito, in modo da avere accanto la mia amica che mi sostenesse in caso dessi di matto... soltanto che per come stavano andando le cose, avrei mandato all'esasperazione anche lei insieme a me.
Quindi presi il foglio, decisa a scoprire subito la verità: forse, se l'avessi fatto in fretta, sarebbe stato come strappare via un cerotto.
Mi sbagliavo: fu uno shock scoprire di essere appena entrata nella decima settimana di gravidanza.



KILLIAN POV

-Siete dolcissimi...- sussurrò Emma, accarezzando la bimba che mi guardava con un pollicino in bocca -Non vedevo l'ora che la conoscessi anche tu...
-E' stupenda, Swan. Credo di avere avuto una specie di attacco di cuore... ma è stupenda. È... è davvero mia figlia?
-Certo idiota, per chi mi hai presa?!- esclamò offesa, ma la finta durò poco: scoppiò a ridere, seguita a ruota da me, da Ashley e poi dai bambini – anche se, per fortuna, loro non potevano aver capito il motivo.
Io stesso mi rendevo conto di aver fatto una domanda molto stupida, ovviamente non avrei mai insinuato volontariamente che Emma avrebbe potuto esser stata con un altro, ma la situazione era così sconvolgente da non sembrarmi ancora vera.
-Io vi lascio soli adesso... Emma, vado a casa o pensi di avere bisogno di me? Per i bambini?
-No, grazie Ashley... hai fatto moltissimo. Non aspettarmi sveglia tra l'altro, in caso faccia tardi...
-Ok. Allora intanto buona notte... e mi ha fatto piacere conoscerti, Capitano! Non riuscivo a credere davvero che Capitan Uncino avesse un lato tenero prima di vederlo dal vivo, nonostante Emma me l'abbia ripetuto mille volte...- scherzò la ragazza, e si avvicinò per porgermi la mano.
-Solo non andare a raccontarlo in giro, o la mia reputazione sarebbe rovinata!- stetti al gioco, ricambiando la stretta; quella ragazza sembrava davvero molto simpatica, e sicuramente aveva un gran cuore se aveva accolto la mia famiglia senza esitazioni. Sarei stato ben lieto di conoscerla meglio una volta a casa, e magari avrebbe potuto darci una mano con la nostra ricerca insieme a Jefferson, che non avevo ancora capito se stesse con lei o cosa.
-Tu e il cappellaio state insieme?- le domandai quindi senza giri di parole, e ignorai l'occhiataccia che mi lanciò Emma. La giovane invece arrossì, e la risposta mi fu chiara ancor prima che parlasse.
-No certo che no! Siamo solo amici, lui ha una figlia, no! Cosa dici... ora io vado, ci vediamo presto!- borbottò imbarazzata, e dopo che Emma e Liam la salutarono uscì dalla stanza, lasciandomi piuttosto divertito.
Incrociai lo sguardo con mia moglie, e scoppiammo entrambi a ridere divertiti: avevo incontrato Jefferson una sola volta, ma ero piuttosto sicuro che le biondine non gli dispiacessero.
-Ovviamente si piacciono, ma nessuno dei due ha le palle per dirlo all'altro suppongo...
-Esatto. Ashley non è come me, è più... sai, timida.- confermò Emma, sistemandosi comodamente vicino a me e prendendo Liam tra le sue braccia.
-Sì, immagino... Voglio dire, non tutte sono abbastanza spavalde da saltare addosso ad un bell'uomo...
-Io non ti sono saltata addosso! Tu mi sei saltato addosso!- protestò, e il calcio che mi diede mi convinse del tutto che non avevo perso la sensibilità.
-Dolcezza, sarò anche io a essere stato in coma per quasi un anno, ma qua ad avere seri problemi di memoria sei tu... devo ricordarti che io ti stavo semplicemente fasciando la mano?
-Oh, ma zitto- tagliò corto, ma si sporse per darmi un bacio facendo attenzione a non schiacciare i piccoli tra le nostre braccia, che si erano calmati e probabilmente si sarebbero addormentati molto presto.
Pensai che in fondo la sua vicinanza l'avevo sempre sentita, altrimenti, forse, non avrei mai avuto la forza di riaprire gli occhi. Ricordavo che il momento in cui Rumplestiltskin mi aveva scagliato in aria avevo creduto di morire, con l'unico rimpianto di dover perdere la mia famiglia. Poi, il dolore alla testa era l'ultima cosa che ricordavo, prima di andare all'inferno.
Perché una volta persi i sensi, avevo davvero creduto di essere all'inferno: ora sapevo che era stato una specie di sogno, o piuttosto un incubo. Durante tutto quel tempo avevo sognato di dormire: in qualche modo, a volte, ero stato cosciente di quel sonno, ma non mi ero mai veramente svegliato.
Per questo, l'unico paragone che mi veniva in mente al momento era l'inferno: in un incubo ci sarebbe stata azione, ci sarebbe stato qualcosa, io invece avevo vissuto nel nulla. “Vissuto” non era neanche la parola giusta, ma probabilmente non ne esisteva una per descrivere ciò che avevo passato.
E poi, come in un'eco, delle parole si erano insinuate nella mia testa, sempre più vicine, fino a che non avevo iniziato a comprenderne il significato.
E la voce di Emma, quella bellissima voce melodiosa l'avevo riconosciuta subito; poi avevo riconosciuto la storia, la nostra storia, e qualcosa era scattato.
Ora potevo affermare con certezza che la diceria secondo la quale prima di morire la propria vita passasse davanti in un flash era falsa, o almeno non valeva per me: per me, era l'istante del ritorno alla vita quello in cui tutte le immagini si erano susseguite in un battito di ciglia. Tutta la mia vita, i miei ricordi, tutto... ma non avevo subito aperto gli occhi, o parlato. Avevo voluto godermi quella dolce melodia, e solamente nel momento in cui non ero più riuscito a resistere ero intervenuto, concludendo il racconto esattamente con le parole che anche in quello stesso momento avrei voluto dirle.
-Killian... mi senti? Stai bene?- sentii esclamare Emma allarmata, e prima ancora di risponderle la rassicurai stringendo la sua mano.
-Sto bene, dovresti smettere di preoccuparti, lo stress non fa bene... credimi tesoro, non ho intenzione di lasciarvi mai più. Capito?
La ragazza annuì, e poggiò la testa sulla mia spalla, facendo un gran respiro. Avrei voluto dirle molte cose, ma non sapevo da dove iniziare: io avevo dormito all'inferno, forse, ma lei? Per lei doveva essere stato mille volte peggio. Ricordavo ancora quelli interminabili minuti durante i quali, nella grotta di Neverland, avevo creduto di averla persa, e non riuscivo ad immaginare nulla di peggio. Lei aveva vissuto quella situazione per ben due volte: sebbene la prima fosse durata poco, ora era durata ben dieci mesi. Avevo davvero sposato la donna più forte di tutti i reami.
-Scusami... è che adesso che sei qui ho così tanta paura di perderti di nuovo che... che...
-Sono un osso duro, lo sono sempre stato. Questo è il momento in cui ti abbraccerei, ma ho entrambe le braccia occupate...- sorrisi, ammirando la piccola che sembrava aver preso sonno: aveva la stessa espressione angelica di Emma quando dormiva, ed era davvero dolcissima. Liam invece teneva gli occhietti appena aperti, ma aveva la testa sul collo di Emma e presto avrebbe raggiunto la sorellina nel mondo dei sogni.
-Sono bellissimi, vero?
-Da morire. Mi dispiace essermi perso i primi momenti di Liam... e non averti aiutata nella gravidanza, aver lasciato che partorissi da sola... non me lo perdonerò mai.
-Zitto, non è colpa tua. E comunque... me la sono cavata. E poi tu c'eri, venivamo a trovarti tutti i giorni. Anche prima di entrare in sala parto – sì, qui esiste una sala parto – sono voluta passare da te a tutti i costi. Ci sei sempre stato...- sussurrò, alzando lo sguardo per immergerlo nel mio.
Liam non era l'unico ad essere cresciuto: anche lei era cresciuta, e se possibile era diventata ancora più bella. Nonostante la stanchezza evidente, gli occhi lucidi avevano ancora lo stesso bellissimo colore che ricordavo, ma in qualche modo era ancora erano ancora più belli, come ogni parte di lei.
-Se continui a fissarmi così mi farai un buco in fronte...
-Scusa dolcezza, ti ammiravo.
-Sono diventata vecchia e brutta, non c'è niente da ammirare...
-Ti darei uno schiaffo se non fossi un gentiluomo... e non avessi due figli di mezzo. Ma non provare a dire ancora una cosa del genere, sei bellissima. E poi sei in forma, anche se hai partorito da solo un mese.
-Vado a correre la mattina.- ammise -ma devo dire che a parte nella pancia, non ho preso molto peso... vabbé ma chi se ne frega di come sono, l'importante è che ci sei tu con noi.
-Sì, hai ragione... se non fossi così bella, lo sarei stato comunque io per entrambi...
Mi beccai l'ennesimo calcio, ma stavolta trattenemmo le risate per non svegliare i bambini: non vedevo davvero l'ora di tornare alla mia vita, alla mia famiglia, a tutto ciò che avevo messo in pausa tanto a lungo. Troppo a lungo.
-Beh, già che ci siamo... perché non rimani a dormire? I piccoli dormono e mi dispiacerebbe svegliarli per andarcene...
-Sì io... non lo so se mi fanno restare, ma immagino che non sarà un problema. Ad ogni modo non puoi di certo venire già a casa, quindi...
-Lo so... domani.
Emma scosse la testa, e mi ci volle un attimo a capire che qualcosa non andava: la conoscevo bene, e nonostante stesse cercando di rimanere tranquilla, stava andando nel panico. Cosa c'era che ancora non mi aveva detto, oltre alle mille sorprese e il problema Rumple da affrontare?
-Cos'hai... sai che puoi dirmi tutto.
-Io... non si tratta di cos'ho io, io sto bene. Ma tu... tu non puoi tornare subito a casa, come niente fosse. Devi rimanere qui e farti curare, devi recuperare le forze.
-Emma! Che bisogno c'è? Io sto bene, e non ho nessuna intenzione di restare in questo posto. Voglio tornare da voi, ho già perso fin troppo tempo- le ricordai, mentre la guardavo incredulo per ciò che mi aveva appena detto: come poteva anche solo pensare che sarei rimasto in un ospedale, lontano da lei e dai miei figli? E come poteva lei, chiedermi di fare una cosa del genere?!
-Non parliamone adesso, ti prego. Voglio passare dal dottore a chiedergli se posso rimanere a dormire qui con te, e domani ne discuteremo con calma. Ok?
-No, non è ok.- dissi deciso, pur tenendo un tono di voce abbastanza basso per non svegliare i bambini.
-Per favore... sono felice ora, non voglio litigare e rovinare tutto...
-No Swan, dobbiamo parlarne invece. Perché tu vuoi tenermi in questo posto, e io non sono assolutamente d'accordo.
-Ma se non ti reggi neanche in piedi! Ti prego, si tratta solo di qualche settimana, qui possono darti cure migliori... e comunque verremo a trovarti tutti i giorni...
-Non ho bisogno di nessuna cura, ma solo di voi. Sono indolenzito perché ho mille cose infilate nella pelle, ma mi basta qualche ora di sonno senza tutta questa roba e starò bene. Se fossimo nel nostro mondo non ti faresti tutti questi problemi!
-Se fossimo nel nostro mondo, tu saresti morto!- esclamò, ed in quel momento entrambi i bambini scoppiarono a piangere.
La donna si portò una mano alla bocca, spaventata e disorientata, e in quel momento decidemmo silenziosamente di darci una tregua per calmare Leia e Liam.


-Ok...- borbottò, quando dopo mezz'ora i piccoli tornarono nel mondo dei sogni, nella buffa carrozzina a due posti. Era stata più dura di quanto ricordassi riuscire a calmarli, perché nonostante Liam avesse smesso prima, vedendo la sua sorellina piangere ancora era scoppiato di nuovo in lacrime.
Avevamo fatto una fatica tremenda, ed ero stanco da morire, ma allo stesso tempo frustrato e impotente: quella situazione era colpa mia, perché io non ero stato abbastanza forte da rimanere con loro quando più ne avevano avuto bisogno. Avevo lasciato mia moglie a gestire da sola due bambini piccoli, ed ero certo che momenti come questo fossero stati piuttosto frequenti negli ultimi mesi.
-Mi dispiace, Emma...
-Non è colpa tua, è anche mia. Forse è meglio che li porto a casa... e... e non lo so, tornerei da te ma non posso lasciarli tutta la notte ad Ashley, io... non...- si portò le mani sul viso disperata, ed io la attirai a me per darle un abbraccio, anche se non ero proprio sicuro che lo volesse.
-Vai. Sono loro padre, pensi metterei le mie priorità davanti a quelle dei miei figli?
-Lo so, ma...
-Niente “ma”, Emma. Vai, è giusto così. Ci serve del tempo per schiarirci le idee, perché in ogni caso finiremmo per litigare se tu tornassi qui... e non è ciò che voglio. Ti amo, e voglio soltanto tornare al tuo fianco...
-Lo sai che insisterò per farti rimanere qui, vero?
-E tu sai che insisterò per tornare a casa. Però sono disposto a rimandare la questione a domani.
In più avevo bisogno di star solo, per sfogarmi senza che lei potesse vedere. Pur bellissimi, ogni sguardo che lanciavo a lei e i miei figli mi ricordava che avevo perso troppi momento importanti, ed era una fardello che appesantiva il mio cuore con troppa forza. Dovevo riuscire a liberarmi in qualche modo, senza far soffrire anche lei, perché come io la conoscevo, allo stesso modo mia moglie conosceva me, e si sarebbe accorta subito che qualcosa non andava.
-Quindi... quindi vado a casa? Starai bene? Vorrei tanto rimanere qui, ma... non so che fare...
-Swan, datti una calmata e non andare nel panico... Starò bene, te lo prometto. Ci vediamo domani per colazione, d'accordo?
-D'accordo. Ti porto qualcosa di buono... anche se non so cosa puoi mangiare...
-Mi mangerei qualsiasi cosa, credimi... ho una fame tremenda!
-Riesci a deglutire?
-Certo. Mi mangerei anche te se potessi...- sorrisi, e la attirai a me per stringerla forte e baciarla un'altra volta. Dio, come avevo fatto a sopravvivere senza quelle labbra morbide e lisce? Avrei potuto baciarla per tutta la notte, ma per il bene dei nostri figli dovevo lasciarla andare in modo che potessero riposare comodi e tranquilli.
-Ti amo, pirata cretino che non vuole mai darmi retta...- sussurrò sulle mie labbra, con un sorriso radioso.
-Tu invece sei una grande stronza... ma ti amo lo stesso anch'io.- risposi al suo sorriso, e la afferrai saldamente attirandola in modo che si sedesse a cavalcioni sulle mie gambe. Se doveva andare a casa, voleva salutarla come si deve – pur senza esagerare non essendo soli.
-Wow, sei pieno di forze Capitano!
-Te l'ho detto, dolcezza. Non hai di che preoccuparti, i miei 200 anni mi hanno dato una pellaccia molto dura... e non solo quella.
-Porco!- esclamò fingendosi scandalizzata, e mi diede un pugno decisamente doloroso al petto, prima di baciarmi un'altra volta. Magari non avevo bisogno di rimanere a lungo in ospedale, ma di questo passo sarebbe stata lei a renderlo necessario.
-Dai, ora vai. Ti terrei qui tutta la notte ma è tardi... solo, magari, se andando potessi chiedere di farmi portare qualcosa da mangiare...
-Certo, sarà fatto. A domani, allora... sicuro che posso lasciarti qui?
-Non ho un anno, Emma... sono i bambini quelli che non puoi lasciare una notte senza la loro mamma. Solo fammeli sbaciucchiare un'altra volta...


 

***


 

Mi voltai per l'ennesima volta speranzoso verso l'orologio, pregando con tutto me stesso che fossero almeno le 7 di mattina: invece erano le 3.47. Ancora.
Non solo avevo avuto una cena orribile che avevo vomitato – secondo l'infermiera era perché il mio corpo doveva riadattarsi al nutrimento naturale, ma io ero piuttosto certo che fosse per colpa del tremendo sapore della “crema di porro” – ma non mi avevano lasciato neanche avere un bicchierino di rum. In che razza di mondo barbaro eravamo stati catapultati? Ne avevo visti di tutti i colori, ma mai uno come quello.
Se non altro lo strano dottore mi aveva visitato di nuovo e aveva deciso, sorpreso, di poter rimuovere tutta quella roba a cui ero attaccato, tranne che per una cosa strana al dito con la quale, a sua detta, ero collegato alla macchina e in tal modo se fosse successo qualcosa se ne sarebbero accorti. Io invece ero convinto che lo facessero per assicurarsi che non mi alzassi da quello stupido letto per andare a cercare qualcosa di decente da mettere sotto i denti.
E l'altro problema che avevo, era il sonno: non riuscivo ad addormentarmi, in realtà anche solo l'idea di dormire mi dava la nausea.
Non l'avrei ammesso davanti a nessuno, ma avevo paura di chiudere gli occhi. Se mi fossi risvegliato di nuovo tra un altro anno? Non avrei sicuramente retto di vedere un Liam di quasi tre anni e una Leia di uno, già a chiamarmi “papà” anche lei.
Di conseguenza, il fatto che fossi solo ed incapace di dormire mi rendeva impossibile non pensare: pensare al tempo perso. Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e di quel passo sarei impazzito.
Eppure, come potevo ignorare il fatto che Liam avesse imparato a camminare senza di me? Doveva essere stato dolcissimo guardarlo fare i suoi primi passetti, guidarlo nelle sue prime impronte in questa vita.
E Leia? Come avrei fatto a perdonarmi per non essere stato accanto alla mia stessa figlia durante il suo primo respiro, il suo primo sguardo sul mondo. Era una bimba bellissima, ed io non ero stato lì quando era nata, nonostante Emma avesse cercato di convincermi del contrario. Non avevo potuto tenerla in braccio appena nata per creare quel legame padre-figlia speciale.
E dopo tante ore in cui avevo resistito, nel buio e la solitudine della stanza lasciai andare tutte le lacrime che avevo in corpo, e gridai scaraventando un cuscino contro la parete, gridando.
Il coccodrillo era riuscito ancora una volta a rovinare un frammento importante della mia vita, e giurai a me stesso che questa volta se ne avessi avuto la possibilità, l'avrei ucciso con le mie stesse mani.


Talebrooke, Canterbury – 10 mesi prima

Rumplestiltskin ci mise poco a riprendersi, diversamente da tutti gli altri abitanti della Foresta Incantata.
Aprì la finestra della torre della sua nuova reggia, e si poggiò comodamente ad ammirare tutte quelle piccole ed insignificanti persone che si guardavano intorno confuse. I suoi sudditi. I suoi schiavi. Schiavi di quella nuova isoletta nel Mare del Nord a poche miglia da Canterbury, Kent, in Inghilterra.
Talebrooke: invisibile a occhio esterno, ed impossibile da attraversare dall'interno. Per il momento, solo lui riusciva dall'alto della sua abitazione a scorgere la barriera che avrebbe impedito a chiunque di allontanarsi da lì, ma presto qualcuno se ne sarebbe accorto e la voce si sarebbe sparsa.
Non avrebbe permesso ad un piccolo inconveniente di rovinare i suoi piani: Emma Swan, vedova con un figlio, sarebbe sicuramente arrivata, presto o tardi, nel suo ruolo di Salvatrice. Il suo patetico spirito eroico sarebbe stato il suo punto debole. La sua rovina. E il suo mezzo per riavere ciò che gli era stato strappato.





















 

Angolo dell'autrice;
Ciao! Non credevo avrei postato, perché dopo la 5x08 sono molto ma molto instabile e non riesco a scrivere niente, ma alla fine ce l'ho fatta... stranamente. Però voglio ancora piangere, non mi riprenderò MAI più xD
Comunque... almeno qui, Killian sta bene, non è l'Oscuro e non è morto (...) e dopo lo shock è stato felice di avere una bambina bellissima :') Certo, sarà difficile superare il fatto di aver perso tanti momenti... ma ora ne avrà altri. L'unico problema sarà il recupero... dato che non è contento di non poter tornare a casa.

Vabbé, torno nel mio angolino a deprimermi e soffrire, anche perché questa Domenica niente OUAT e quindi non sapremo ancora come andrà avanti tutto quel casino e io NON CE LA FACCIO. Da un lato sono commossa e felice del fatto che Emma abbia sacrificato tutto per non perderlo, dall'altro vorrei piangere per sempre perché è stato tutto molto distruttivo e io non ho più l'età per sopportare questa sofferenza estrema ç____ç

Un abbraccio, e grazie come sempre a tutti :*
   
 
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