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Autore: Mary P_Stark    21/11/2015    3 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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8.
 
 
 
 
 
Avanzando come uno schiacciasassi tra la neve soffice, non badai alle ombre lunghe che solcavano il sottobosco dormiente.

In quel momento, foss’anche comparso un drago inferocito, lo avrei ucciso con le sole mani.

Ero furiosa.

L'ultima nevicata aveva lasciato cadere almeno quaranta centimetri di candido manto e,  ogni dove, il mondo pareva avvolto nell’ovatta.

Avesse voluto il cielo che anche il mio cervello vi fosse avvolto!

Avrei evitato di sentire gli insulti che, mentalmente, stavo lanciando a entrambi i fratelli Doherty.

La foresta era silente, se si escludeva qualche passerotto solitario e il mio incedere sgraziato.

L'ambiente ideale per una persona iraconda come ero io in quel momento.

Vivianne e Parcifal, poco lontani da me, stavano giocando a rincorrersi, levando zolle di neve sui campi a riposo.

Lanciai un'occhiata in lontananza, intravedendo tra gli alberi la sagoma distante della casa di Rey, e imprecai.

Istintivamente, scaricai un pugno contro un tronco vicino, e la corteccia si ruppe.

Una  lunga crepa si dilungò nel tronco, larga almeno un dito, e schizzò verso l’alto, fino all’attaccatura dei rami.

“Siamo piuttosto furiosi, vero, principessa?”

Una voce cavernosa e stentorea giunse alle mie orecchie e, subito, levai il capo a guardare sopra di me.

Sorridente, e appollaiato su un ramo come un rapace, un uomo di circa quarant'anni mi stava osservando con attenzione e curiosità.

Storsi il naso, e dissi: “Abbastanza. Con chi ho il piacere di parlare?”

L'uomo balzò a terra con un movimento plastico, affondando gli scarponi nella neve prima di raddrizzarsi e allungare una mano verso di me.

“Keath MacNamara, Sköll del branco di Cork. Molto piacere, principessa.”

Sgranai gli occhi, guardandomi intorno con espressione affranta ed esalai: “Oddio! Ho sconfinato? Sono finita nel vostro Luogo di Potere? Giuro, non l'ho fatto apposta!”

Keath rise sommessamente, scuotendo il capo, e replicò: “Nessun problema, davvero. Coloro che sono ospitati da Rey, sono liberi di girare indisturbati per la proprietà. Inoltre, il nostro Luogo di Potere, il Vigrond, è ben lontano da qui. Molto più addentro nella foresta.”

“Meno male” esalai, stringendogli la mano. “Io sono Litha mac Elathain.”

Fu strano usare il mio vero nome per la prima volta in quattromila anni ma, in qualche modo, mi fece anche uno strano piacere.

Prima o poi, avrei trovato la mia strada, anche se ero rimasta senza un solo parente in vita. Dovevo pur cominciare da qualche parte.

Usare il mio nome, poteva essere un buon inizio.

Forse, dopotutto, Rohnyn e gli altri avrebbero potuto essere miei amici, pur senza essere veramente i miei fratelli. Anche questo, avrebbe potuto essere un passo avanti.

Rohnyn si era dichiarato molto preoccupato per me, e questo deponeva a suo favore.

Sì, avrei potuto affidarmi a loro per ricreare qualcosa di veramente mio.

Non saremmo mai stati fratelli di sangue ma, forse, avremmo potuto rimanere tali nel nostro cuore.

Keath storse appena la bocca, nel sentire il mio nome, e replicò dubbioso: “Ma... non sei una mac Lir?”

“Storia lunga... decisamente lunga” ghignai, infilando le mani nel mio parka.

Tornai a guardare la casa di Rey e borbottai subito dopo: “Sai perché Conner e Rey non vanno d'accordo?”

Keath si espresse con un gergo davvero colorito, alla mia domanda improvvisa, e io sorrisi.

Meno male che non ero l'unica a pensarla a quel modo!

“E' un viscido e subdolo esemplare di uomo, che non ho divorato solo perché ha lo stesso sangue di Rey. Non meriterebbe altro, comunque.”

“Potrei tenertelo fermo” ghignai, trovando il suo pieno plauso nel sorriso trionfante che mi dedicò.

Imitando la mia posa, Keath mormorò pensoso: “Non so come faccia, Rey, a sopportare un arrivista di tal risma. Non conosco i particolari ma a volte, quando ci scoliamo assieme una birra, mi parla di lui.”

“E non sono belle cose, vero?”

“Gli chiede dei soldi, più volte di quante una persona onesta dovrebbe fare col proprio fratello maggiore” borbottò Keath, aggrottando la fronte.

Sorpresa, esalai: “Ma... e l'auto di lusso, i vestiti eleganti e tutto il resto?”

“Tutta scena. Da quel che sappiamo, è un avvocato mediocre e, più spesso di quanto dovrebbe, gioca somme ingenti di denaro ai cavalli.”

Sbuffai, trovando paradossale l'intera situazione.

Come poteva, Rey, sopportare di essere sfruttato a quel modo?

“I genitori?”

“Gente superficiale, che non degneresti di una seconda occhiata ma, per lo meno, non gravano come avvoltoi su Rey come fa Conner” mi spiegò, lanciandomi un'occhiata significativa.

Approvai ciò che la sua mente si lasciò sfuggire.

“Percepisci quel che penso?” mi domandò poi, ghignando.

“Una licantropa del branco di Dublino ci ha insegnato come fare. Prima, i nostri doni erano piuttosto grezzi. Ora, siamo in grado di percepire senza sforzo i pensieri altrui... e di trasmettere i nostri. E, contrariamente a voi, noi percepiamo anche quelli degli umani.”

“Vantaggioso, anche se, nel caso di Conner Doherty, decisamente fastidioso” asserì, prima di tornare a parlare normalmente. “Così, immagino avrai capito subito che razza di uomo è Conner.”

“Purtroppo sì. E, se prova a toccarmi, gli mozzo una mano.”

Keath rise, assentendo con apprezzamento, e disse: “Sì, è un porco matricolato, perciò lo terrei alla larga, se fossi in te.”

“Mi disgusta pensare che ha lo stesso sangue di Rey.”

“Rey è una perla rara. Cresciuto dai nonni secondo le antiche regole. Non ha nulla a che spartire con il resto della famiglia. Lui è un Guardiano degno di tale nome” dichiarò il licantropo, pieno di fiero orgoglio.

Non potei che essere d'accordo con Keath. Rey era veramente degno di rispetto.

Anche se aveva un cuore troppo generoso, e con persone che non meritavano una simile attenzione da parte sua.

“Torno da lui. Così, se vorrà ammazzare il fratello, gli darò una mano” ironizzai, avviandomi verso valle con un tetro sorriso.

“Fai un fischio, se vuoi un aiutino” mi disse Keath, strizzandomi l'occhio prima di correre via.

In un attimo, era svanito nella foresta.

Lentamente, me ne tornai indietro e, richiamando accanto a me Vivianne e Parcifal, mormorai: “Credo che terrò per me il piacere di farlo a pezzettini.”
 
***

Rimboccate le coltri a nonnina, abbassai la luce fino a renderla fioca – come piaceva a lei – e, accomodatami su una sedia, la scrutai dubbiosa.

“Quante domande ci sono in quei tuoi begli occhi, bambina! Cosa ti turba tanto?”

Sospirai, lanciando un'occhiata alla porta della stanza, che ci divideva dal corridoio e dal salone, dove Rey e Conner stavano parlando.

Di soldi, con tutta probabilità.

La cena era stata un monologo egoistico e vanaglorioso di Conner che, dando voce a suoi dubbi successi, aveva decantato le sue vittorie nel Foro.

Avendo avuto l’imbeccata di Keath, circa le sue reali capacità, avevo perciò sbirciato, scoprendo cose ben poco lusinghiere.

Minacciare la difesa non era corretto, così come assoldare dei loschi figuri per infangare i nomi di giurati e testimoni.

Mi ero allontanata alla svelta da quella mente, preferendo pensare a tutt’altro.

Il contorno frastagliato dei fondali marini, per una volta, mi era parso qualcosa di interessante a cui pensare con assiduità.

Tornando col pensiero a nonnina, le domandai: “Perché è così generoso e altruista? Non capisce che Conner se ne approfitta e basta?”

“E' difficile, per non dire impossibile, far entrare in testa a Rey che deve smettere di prendersi cura di lui a questo modo” mormorò Gwendolin con un dolente sorriso. “Il mio nipotino si è sempre preso carico di ogni cosa, fin da quando era poco più che undicenne.”

“Un cuore tenero” motteggiai.

“Un'anima devota, piuttosto. Per lui, i valori familiari contano molto, così come la devozione alla causa. Ha preso molto sul serio il suo ruolo di Guardiano, e penso sacrificherebbe tutto, pur di mantenere in piedi questo Santuario.”

Anche nella voce di nonnina, percepii lo stesso orgoglio sconfinato che, quella mattina, avevo percepito nella voce di Keath.

Perché, Rey, cercava conforto e approvazione solo nelle persone sbagliate?

“Chi ha i denti non ha il pane, cara, e viceversa” motteggiò nonnina, come se mi avesse letto nella mente.

“Ora come ora, glieli spaccherei, i denti” brontolai, levandomi in piedi per andarmene. “Buonanotte, nonnina, e fai bei sogni.”

“Non avercela troppo con lui, bambina. Si è sempre sentito in dovere di proteggerlo, ed è difficile cambiare abitudini.”

Annuii, uscendo dalla sua stanza per raggiungere il salone.

Li trovai seduti su due diverse poltrone, torvi entrambi, ma preferii non sbirciare.

Mi limitai a prendere il cordless e, data loro la buonanotte, mi recai in camera mia per telefonare… e non avere gli occhi di Conner addosso.

Mi era già bastato cenare con lui; non avevo bisogno di ulteriori scansioni ai raggi X.

E poi, non era così tardi per non fare una telefonata a Rohnyn.

Mi accoccolai perciò sul letto a gambe intrecciate e, panno di lana sulle spalle, attesi che rispondesse.

Al quinto squillo, sentii la sua voce.

“Pronto?”

“Ciao, Rohnyn.”

“Sorellina!”

Sorrisi grata, sentendomi scaldare da quella semplice parola.

Pur se non avevo il suo stesso sangue, pur se in me scorreva in parte sangue Tuatha, per Rohnyn ero ancora la sua sorellina.

Forse, dopotutto, non ero così sola come temevo di essere. E forse, Rohnyn e gli altri non sarebbero stati solo amici, per me, ma qualcosa di più.

“Come va, lì? Procede tutto bene?”

“Kevin cresce, mangia e dorme, e Sheridan pensa che sia telecomandato” rise, nel dirlo, e percepii il suo orgoglio di padre, nella voce roca e a me cara di Rohnyn.

“Bene. Mi fa piacere. Notizie di Stheta e gli altri?”

“Mi domandano sempre di te, se è questo che vuoi sapere, e Krilash scalpita come un forsennato, ben deciso a venire lì – ovunque tu sia – per riportarti a casa. Mi ha addirittura minacciato, se non avessi preso nota del tuo numero di telefono, così da poterlo rintracciare.”

Risi sommessamente, replicando: “Posso anche dirti dove sono, senza bisogno che ti scomodi tanto, ma ugualmente non tornerei. Per ora, sto bene qui. Inoltre, sto portando a termine una cosa.”

“E cioè, se posso chiedere?”

“So chi sono, Rohnyn.”

“Sei mia sorella. Dovrebbe interessarti solo questo, sai?” mi rabberciò bonariamente, portandomi a sorridere divertita.

“Sai cosa intendo. Ho scoperto chi sono i miei veri genitori.”

“E come diavolo...”

Presi un gran respiro e gli parlai dei glifi, di come fossero comparsi nel corso dei millenni e di come, il tocco di Rey, li avesse fatti sparire, riportando a galla il passato.

Alla fine del mio racconto, a Rohnyn non restò che dire: “Beh, che mi venisse un colpo!”

“Preferirei di no.”

“Anch'io, poco ma sicuro, ma la faccenda rimane. Wow! Quindi, sei una semidea. Hai sangue di entrambe le dinastie, dentro di te.”

“Per questo, sono sopravvissuta alla scomparsa dei miei avi, e Tethra ha potuto risvegliare la mia rihall, così da legare al mio corpo la pelle di delfino” assentii, sfiorandomi il collo, in corrispondenza della stella. “Diversamente, con la scomparsa del culto dei figli di Dana, sarei scomparsa anch’io. Volendo spaccare il capello in quattro, risulteremmo cugini di non so quale grado.”

“Litha la semidea. Mi piace.” Rise sommessamente e aggiunse: “Pensi di crearti un tuo tempio, con tanto di postulanti e guerrieri preposti alla tua difesa?”

“Quanto sei idiota” brontolai, pur sorridendo.

Mi era mancato il mio cameratismo con Rohnyn e fui felice di scoprire che, in realtà, nulla era andato perso. Si era solo... trasformato.

Esattamente come me. Non più solo principessa fomoriana, ma qualcosa di più, e qualcosa di meno.

Una nuova creatura. Una crisalide uscita dal bozzo.

“Come va, lì, con il tizio?”

“Si chiama Rey, non tizio, Rohnyn. E va bene. E' molto gentile e premuroso, con me.”

“E tu con lui?”

Il suo tono malizioso mi fece ridere sommessamente.

“Abbastanza.”

“Ohhh, devo venire a conoscerlo?”

“Per ora, mi piace averlo nei paraggi.”

“Non dubito che gli spaccheresti la faccia, se facesse qualcosa di scorretto, quindi non ti dirò di chiamarmi, se fa l'idiota.”

“Grazie, fra... Rohnyn” dissi, affrettandomi a correggere la mia gaffe. Era così facile cadere in errore!

“Sorellina... indipendentemente da tutto, e dagli errori di Muath e Tethra, tu sei e sarai mia sorella, la mia gemella. Nulla è cambiato, nel mio cuore, anche se sei più grande di me di… quanto? Un mese? Due?”

“Credo due, più o meno” mormorai, sorridendo mesta.

Mi morsi un labbro, sentendomi prossima alle lacrime, ma le scacciai in fretta.

Non volevo rovinare tutto con un pianto. Mi ero ripromessa di non piangere più. Non avevo bisogno di essere debole.

“Neppure nel mio cuore, fratello. Anche se ho tanta paura di non saper ritrovare l’equilibrio di un tempo.”

“Hai detto che, grazie all'aiuto di Rey – e non ti chiederò, nello specifico, come ti aiuta – riesci a leggere i tuoi ricordi. E' un inizio. Quando avrai scoperto tutto, lavoreremo insieme sul resto. Che ne dici?”

“Mi piacerebbe” assentii, lieta che me l'avesse proposto.

“Non divertirti troppo, con il tuo uomo, e pensa a mandare un messaggio a Stheta e Krilash. Manchi molto anche a loro.”

“Vedrò di recarmi sulla costa, uno di questi giorni, e di consegnare una missiva a una delle sentinelle marine che perlustrano l’oceano” assentii nuovamente, trovando più che giusto ciò che mi aveva detto.

Gli augurai la buonanotte e, nel mettermi sotto le coperte, attesi l'arrivo di Rey.

Lui, però, non si presentò.
 
***

Lasciare un messaggio sul bancone della cucina, mi sembrò il sistema più adatto per avvisare Rey della mia temporanea mancanza da casa.

Non mi era parso giusto disturbarlo, vista la giornataccia appena passata.

Il rischio di vedere nuovamente Conner, poi, mi aveva fatto mettere le ali ai piedi.

Poco prima dell’alba, ero uscita di casa e mi ero diretta a piedi verso Midleton, che distava poco più di tre miglia da Harrisgrove.

Da lì, avrei preso la via del mare con la mia pelle di delfino e, tramite una delle sentinelle di passaggio, avrei consegnato un messaggio per i miei fratelli.

Avevo chiarito con Rey che sarei tornata nel pomeriggio inoltrato, perciò non sarebbe stato in pensiero per me.

Ora, in un angolo appartato del porto fluviale della piccola cittadina, mi immersi nell’acqua gelida e calma.

Affondandovi, seguii le correnti verso l’oceano, tornando a gustare il piacere del nuoto.

Era dura da mandar giù, ma mi era mancata quella parte di me.

Non impiegai molto per raggiungere le acque salate del mare e lì, avvoltami nelle pelle di delfino, mutai forma e mi misi alla ricerca di una sentinella.

Non sarebbe stato difficile trovarne una – pattugliavano da sempre le coste irlandesi – ma, quel che non mi aspettai di certo, fu di incrociare Krilash sulla mia strada.

Mi bloccai di colpo, emettendo uno schiocco con la lingua e lui, balzando fuori dall’acqua con un possente volo, mi fece capire a gesti quanto fosse felice di vedermi.

Giocherellò per un po’ nel mare, nuotandomi attorno tutto contento, finché io non gli andai a sbattere contro, decisa a bloccare i suoi festeggiamenti.

Lui, allora, indicò con il suo muso di delfino un tratto deserto di costa, e là ci dirigemmo.

Quando finalmente toccammo terra, io ripresi sembianze umane e Krilash non fu da meno, balzando verso di me per abbracciarmi.

Quasi mi stritolò, nella foga di farmi comprendere quanto gli ero mancata.

Io non fui da meno perché, volessi accettarlo o meno, Krilash sarebbe sempre rimasto mio fratello, così come Rohnyn e Stheta.

Potevo anche essere infuriata con Tethra e Muath, per quello che avevano fatto, ma i miei fratelli non c’entravano nulla.

Loro non avevano colpe.

“Sorellina…” mormorò accorato Krilash, lasciandomi andare solo per sorridermi lieto e carezzare il mio viso.

Pur se io ero alta, Krilash mi sorpassava di mezza testa e, in quel momento, mi fece sentire piccola e bisognosa di affetto.

Per una volta, però, la cosa non mi diede alcun fastidio.

“Fratellone…”

Mi baciò sulla fronte, con partecipazione e, passandosi una mano tra i corti capelli biondo castani, esalò: “Dèi, sembrano passati secoli, da quando ci siamo visti l’ultima volta, invece…”

“Poco più di due mesi. Di certo, molto meno di quanto ti è sembrato” assentii, pur trovandomi d’accordo con lui.

Erano cambiate così tante cose, e un tempo così breve sembrava non poterle contenere tutte.

“Rohnyn ci ha detto che risiedi presso l’abitazione di un Guardiano. E’ vero?”

Assentii, parlandogli di Rey e di sua nonna.

Fu sorpreso di scoprire come fossi riuscita a trovare il Santuario, e trovò divertente l’idea che io lavorassi in una fattoria.

Io gli diedi di gomito, rammentandogli che non ero certo una mammoletta, e lui mi prese in giro, replicando quanto fossi poco esperta di lavori simili.

Risi con lui, quando gli raccontai di Vivianne e di Parcifal, quella strana accoppiata di cane e gatto ma, quando accennai a nonnina, si fece più serio.

Dovette scorgere sul mio viso qualcosa di particolare, perché il suo sorriso si fece più dolce e, con delicatezza, mi carezzò il viso.

Mi guardò lungamente, forse chiedendosi cosa provassi per lei e, cordiale, mi disse: “Da come me la descrivi, mi pare una donnina davvero simpatica. E lui, com’è?”

Storsi il naso a quella domanda apparentemente casuale, e borbottai: “Perché ho idea che Rohnyn abbia fatto la comare?”

“Perché è vero!” scoppiò a ridere, dandomi una pacca sulla spalla.

“Uffa… comunque, mi piace e, per il momento, desidero rimanere con lui. Ma volevo rassicurarvi circa la mia salute.”

“Bene. Mamma sarà felice di…”

Mi accigliai immediatamente, a quell’accenno e, scuotendo il capo, replicai: “Non dovrai dire nulla, a Muath.”

“Ma Lithar… Litha” si corresse alla svelta, guardandomi spiacente.

“Lei e Tethra vi hanno strappato Fay il primo giorno che hanno conosciuto lei e Rachel, e solo per imporre ancora una volta la loro volontà assoluta, invece di pensare ai sentimenti tuoi e della tua compagna.”

Scossi il capo, e aggiunsi livida: “No. Lascia che soffra… anche se dubito che senta veramente la mia mancanza.”

Parve contrariato, ma accettò suo malgrado.

Nell’abbracciarlo, dissi accorata: “Porta i miei saluti a Rachel, e dille di essere forte. Sono più che sicura che Fay non incontrerà nessun ostacolo, nella sua educazione.”

Krilash allora mi sorrise, annuendo, e ammise: “In effetti, è tra le migliori del suo anno. La faccio controllare periodicamente da uno dei soldati più fidati di Ciara, e lui ci ha riferito che sta bene. Si è fatta tagliare i capelli da una sua nuova amica, la figlia più giovane di uno dei mac Lairdh, e ora incontra molte meno difficoltà, nel corpo a corpo.”

Sfiorai la mia chioma, sapendo bene cosa volesse dire.

A mia volta, mi ero tagliata le trecce con una daga, per evitare che gli altri si approfittassero di quel punto di presa.

“Quindi, è brava.”

“Molto. Ogni tanto, quando salgo sul tetto del palazzo assieme a Rachel, riusciamo a vederla” mormorò, orgoglioso e speranzoso insieme.

“Diventerà una guerriera indomabile, e una donna dalla notevole forza morale” lo rassicurai, dandogli una pacca sul braccio.

“Come sua zia” replicò, dandomi un bacio sulla guancia.

Mi sorrise, e in lui notai una sicurezza nuova, e gli occhi non più velati dagli incubi che, sapevo, lo avevano condizionato tanto per secoli.

Non mi aveva mai parlato di cosa lo avesse tanto scioccato, per far nascere tali sogni terrificanti, ma non avevo faticato a farmi un’idea mia.

Anche grazie a questo particolare, avrei dovuto capire che qualcosa non andava, in me.
Perché io ero sempre stata l’unica, in famiglia, a non sognare?

Sorrisi tra me, pensando a quanto si potesse essere ciechi, pur di nascondere le proprie paure.

Scrutando Krilash, mi domandai se anche lui avesse rinunciato alle proprie paure, o ai propri dubbi, per ritrovare quello sguardo limpido.

Dún Aonghasa aveva lasciato molte cicatrici, visibili e invisibili, e non faticavo a credere che, molti dei suoi incubi, dipendessero da quella battaglia.

A sorpresa, mi strinse in un caldo abbraccio e, contro la mia guancia, mi disse: “Quando la tua mente sarà libera da demoni, trova un po’ di tempo per me, sorella. Vorrei parlarti di una cosa.”

“Possiamo farlo anche ora” sottolineai, trattenendolo accanto a me.

Lui però si scostò, scosse il capo e replicò con saggezza: “Non è il mio tempo, Litha, ma il tuo. Gestiscilo come meglio credi. Io sarò lì ad attenderti, quando ti sentirai veramente te stessa.”

“A Rohnyn e Stheta l’hai già detto? Di Dún Aonghasa?” volli sapere.

Mi sorrise vagamente sorpreso, ma annuì.

“E’ stata la mia catarsi, come stare a casa del signor Doherty è la tua. Coglila appieno, sorellina, poiché essa non potrà che farti bene. Quando sarai nuovamente serena, verrai da noi, e noi ti ameremo come abbiamo sempre fatto. Nel nostro cuore, nulla è cambiato.”

Assentii, sapendo che diceva il vero, su me stessa e su di loro.

“Riguardati, e non pensare mai più che non puoi affidarti a noi. Ci saremo sempre, qualsiasi decisione tu prenderai” aggiunse infine Krilash, levandosi in piedi con grazia.

“Lo so. Ora lo so” annuii, lasciando che si allontanasse per gettarsi in acqua.

Un momento dopo, lo vidi prendere le sembianze di delfino e, con un paio di balzi, inabissarsi per tornare a Mag Mell.

Tornata seria, lo imitai e, con calma, ripercorsi la strada a ritroso, pensando a ciò che avevo detto a proposito di Muath.

Era giusto che capisse quanto, le sue azioni e quelle del marito, mi fossero costate in termini di pace mentale.

Che pagassero con l’abbandono e il dolore, le loro colpe.

Anche questo serviva per la mia catarsi, ne ero certa, e non avrei lasciato nulla di intentato, per ritrovare la pace interiore.

Sempre che – e non ne ero del tutto certa – i reali di Mag Mell fossero capaci di provare un simile sentimento.
 
***

Come promesso, mi ripresentai a casa di Rey nel tardo pomeriggio e, con un sorriso, apprezzai la mancanza della BMW di Conner nel cortile.

Sarebbe stata una cena più rilassata, poco ma sicuro.

Quando rientrai, salutai nonnina con un bacio e, nel vedere Rey in cucina, mi avvicinai per salutare anche lui.

Fui confortata nel notare il suo sorriso colmo di sollievo – come se avesse temuto che io non tornassi più – ma, quando scorsi la luce stanca nei suoi occhi, seppi che Conner aveva lasciato il segno.

Gli passai una mano sulla schiena, all’altezza della vita, accarezzandolo come tante volte avevo visto fare a Sheridan con Rohnyn.

Lui mi seguì con lo sguardo, lasciò che prendessi dalle sue mani la ciotola della verdura e, piano, gli dissi: “Puoi parlarmi, se vuoi. Sempre.”

Rey non disse nulla, ma annuì.

Sapevo che non avrebbe parlato, specialmente davanti a nonnina, ma fui confortata dal suo cenno di assenso.

Non era stato un no secco, ma una promessa di fiducia.

Per il momento, mi bastò.


 
  
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