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Autore: Romanova    22/11/2015    1 recensioni
La volontaria del Distretto Dodici si troverà a fare una scelta difficile, perchè Peeta è spacciato, ma lei deve andare avanti a combattere.
Con un insospettabile alleato.
{Catoniss dedicata a JackLoveCatonissForever, come promesso}
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cato, Katniss Everdeen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“No, nemmeno se potrò” si sente rispondere “è…passato”.
Le fa male dirlo, sente qualcosa che le annoda la gola appena finisce la frase.
Fa improvvisamente freddo nonostante il sole che illumina la giornata.
“Ti va di parlarmi di lei?” chiede di getto la Everdeen.
“Dopo” risponde il biondo “stanno arrivando per noi” le indica i cameraman.
“Allora, i nostri Vincitori che partecipano al funerale di una vittima, immagino quanto sia grande il vostro cordoglio…” inizia il giornalista.
“Così grande che non esistono parole per descriverlo” ribatte pacatamente Cato “Clove era la mia migliore amica e voglio ricordarla felice e sana”.
“Era malata?”
“Si è ammalata durante l’addestramento qui in Accademia, purtroppo a volte la nostra anima viene colpita da dolori peggiori di quelli che affliggono un corpo, che sono decisamente più curabili” chiarisce il ragazzo “si è persa molto prima dell’Arena” conclude sperando che bastasse a soddisfare il giornalista.
“E tu, Ragazza in Fiamme, cosa ci dici di Clove, tua temibile avversaria?”
Eh, una buona domanda.
“Clove era… un’ottima avversaria, ma soprattutto una ragazza che io non ho avuto il piacere di conoscere e penso che saremmo potute anche essere amiche, se questa follia non avesse diviso tutti noi”.
Sta esagerando, Cato avvisato da Haymitch tenta di farle capire che è consigliabile essere maggiormente prudenti con un’occhiataccia.
“Bene, grazie per le tue parole, Katniss, sempre dure e taglienti come l’ostinazione che ti ha portata alla vittoria!” disse allegro il giornalista passando a Cato “tu eri molto legato alla povera vittima che ricordiamo qui oggi” disse l’uomo “di sicuro sei uno di quelli che soffrono di più…vuoi offrirci un ricordo a te particolarmente caro della nostra caduta da trasmettere al paese,o una frase ad epitaffio?”
La Everdeen si sentì stringere rigidamente la mano, ma il volto del ragazzo non sta facendo una piega per mostrare soltanto pacato dolore e nient’altro.
Quelle domande però sono disgustose e senza nessun genere di tatto, nemmeno nei confronti dei genitori che hanno perso una figlia.
Dovrebbero esserci momenti in cui le telecamere si spengono davanti al dolore, davanti alla fine di una vita.
E invece no, la bara viene calata nella fossa e loro devono guardarla sorridendo.
La mora non riesce a fare di più che sfoggiare un’espressione cupamente neutrale e abbracciò il biondo a favore di telecamera, come richiesto.
Fischia le sue note che si diffondono nel silenzio.
Il diciottenne, con sua sorpresa, le riprende.
Clove non è una sua amica, ma è una vittima di qualcosa di più grande, plagiata a scegliere la morte per qualcosa di inesistente e senza nessuno scopo se non la maggior gloria di un gruppo di folli ricchi.
Ora ai suoi occhi è una ragazzina, robusta, forte, agile, astuta e sadica. Ma in una tomba indifesa.
Sono cose che ti confondono il cervello.
I due si riscuotono solo quando si accorsero di essere rientrati nella casa loro assegnata da Panem e Capitol City.
Cato la abbraccia di nuovo e la stringe a sé con bisogno di qualcosa di vagamente simile all’affetto.
Ha imparato presto a sopravvivere da solo, ha imparato a non aver bisogno di nessuno e a disprezzare chi ne ha, dopo aver capito a suon di botte all’Accademia del suo Distretto, a suon di delusioni date ai suoi genitori e a forza di torture che non c’è tempo per fidarsi degli altri o avere voglia di far qualcosa di differente dal morire.
Ha detto a quattordici anni ai suoi che non sarebbe entrato in una di quelle puzzolenti fabbriche di operai che morivano di malattie polmonari per i materiali che lavorano o diventavano ciechi per aver maneggiato incautamente uno strumento.
L’alternativa ovviamente è stata l’addestramento da Pacificatore oppure gli Hunger Games e ha compiuto presto la sua scelta.
L’incontro con Katniss ha cambiato molto nella sua vita e  l’incontro con la morte ha modificato radicalmente le sue prospettive, non sa nemmeno come spiegarlo esattamente, sente semplicemente di essere appena diventato una terza persona nuova tutta da conoscere da capo.
Prima o poi saprà raccontarglielo, saprà mostrarle cosa vuol dire vivere tanto vicino al controllo malato di Snow.
Entrano Haymitch e Effie.
“Molto teatrale, dolcezza, ma non pensare di poterlo rifare durante il tour della Vittoria se non vuoi farci ammazzare tutti”.
Katniss gli rifila un’occhiata stanca: si sente come uno straccio abbandonato alla corrente di un fiume impetuoso, deve trovare il modo di reagire e lo sa.
“No, non lo farò Haymitch”.
“Ehy, non ci sei solo tu in questo gioco, ok?” ringhia il mentore “ci andiamo di mezzo tutti quando tu fai qualcosa, vedi di ficcartelo bene in quella tua testa di ragazzina impulsiva e imbecille!”.
Effie gli mette una mano sulla spalla:”Haymitch, è una giornata difficile per tutti, torna sul treno che di sicuro ti daranno qualcosa da bere, io arrivo!” gli dice con la vocina irritante tipica sua che gli dà sempre il mal di testa peggio di una sbornia con liquore a basso costo.
“Scusa, Effie” replica solo la Everdeen “stava diventando troppo per… la mia pazienza”.
“Che non hai, lo sappiamo” sospira teatrale la donna” sei uguale a Haymitch, tu” prosegue gesticolando con il suo modo affettato da capitolina “non fate altri colpi di testa sino alla partenza del tour, e ho sentito gli annunci, mi dispiace” batte una mano sulla spalla della diciottenne “ne riparliamo in treno”.
Esce.
Non esiste qualcosa che viene da Capitol e fa bene a chi ne è coinvolto.
Si siedono sul divano e lasciano che sia il silenzio a parlare per loro.
Qualcuno bussa alla porta.
Apre Cato e tenta di sorridere a una donna anziana sopra i sessanta, dai capelli color della neve, gli occhi piccoli, scuri e vivaci e le mani consumate dal lavoro.
Si abbracciano velocemente.
“Ragazza in Fiamme, lei è mia nonna, Olga” la presenta il suo coinquilino.
La diciottenne allunga la mano verso di lei e la sente presa in una stretta vigorosa.
“E così voi siete i nuovi Vincitori, ragazza?”
Annuisce.
“Non siete ben visti in questo Villaggio e nemmeno in questo distretto, dimostrarvi amicizia pare non sia di moda”.
Chissà perché, la giovane se lo aspettava.
“Eppure lo fanno” dice “almeno apparentemente”.
“I genitori delle vittime più vecchie di sicuro sì, i famigliari dei Vincitori e i Vincitori stessi non vi vedono abbastanza feroci e temibili, chi non risponde a queste caratteristiche qui viene eliminato alla nascita” spiega Olga come se fosse il meccanismo più normale del mondo.
Effettivamente la selezione naturale lo è, ma gli esseri umani avrebbero dovuto in qualche migliaio di anni superare lo stadio barbaro e aver già da tempo soddisfatto le necessità di sopravvivenza.
Probabilmente non è così esatto che a un determinato arco di tempo corrisponda una serie di progressi in senso oggettivo.
Panem è nata facendo soffrire i suoi figli, strappandoli alle madri quando poco più che in grado di capire che sta succedendo e non sarebbe cambiato quel perverso meccanismo.
Non subito.
 
   
 
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