Capitoletto un po'
noioso, ma purtroppo non si può partire subito all'attacco ;v; Spero
di non aver fatto casino coi verbi, in quanto continuavo a scrivere
tutto al presente quando in realtà è tutto al passato: ho corretto
un bel po' di verbi, ma potrebbe essermene sfuggito qualcuno. Vi
lascio subito al capitolo, buona lettura uvu
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
La via
Ashbury finiva in un pittoresco praticello accerchiato da pini, come
quelli che si trovavano nei dipinti di un museo. Al centro del
fazzoletto di terra, accarezzata dagli ultimi raggi di Sole di fine
autunno, vi era una casetta recentemente ristrutturata e verniciata.
Poco più in là c'era un corso d'acqua, il cui scrosciare si sentiva
fin dal portico della casa, quando il vento tirava dalla parte
giusta.
L'aria era pulita e
frizzante, in vista del freddo.
Quel
posto irradiava un senso di pace e sicurezza, come un pagina
strappata da un libro di fantasia. Delle piccole nuvolette
punteggiavano l'altrimenti azzurro cielo e le foglie danzavano fino a
raggiungere le sorelle, una volta posate a terra.
Una
pesantezza che solo la natura poteva fargli sentire fino le ossa:
odiava tutto questo.
"La
odio." Disse Levi, senza alcuna esitazione.
Era
abituato alla vita di città, ai condomini che tremavano ad ogni
treno che passava. Alle luci degli edifici, al fracasso dei nightclub
e il rumore dei taxi. Questo non era nulla a cui era abituato. No. Al
contrario, odiava sentire i rumori generati dall'ambiente, mentre
lavorava. Poteva già immaginare com'era sentire i cinguettii degli
uccelli e lo scrosciare del fiumiciattolo al suo risveglio.
"Io
penso sia carina," Disse Hanji, portandosi una mano al mento e
facendo un verso d'approvazione. "Non avrai vicini, non
respirerai i fumi di qualche industria. Cioè, tu non fumi, ma penso
che i tuoi polmoni ormai siano messi maluccio."
Levi
grugnì, sistemandosi la sciarpa attorno le spalle quando una brezza
gelida scompigliò gli alberi. "E' noiosa."
"E
tu sei un uomo noioso," Gli risponde la donna, mostrandogli il
pollice alzato. "Questo posto è perfetto."
Prima
che potesse ribattere, il familiare suono di un pickup attirò la
loro attenzione verso la strada. Hanji scosse una mano in segno di
saluto, mentre Levi percorse scocciato il praticello, allontanandosi
dalla conversazione che era certo sarebbe iniziata non appena le
porte del pickup appena arrivato si sarebbero
aperte.
Apparentemente, nonostante
le fondamenta nuove e i pilastri rinforzati, la casa emetteva i
classici cigolii sinistri di ogni fottutissima casa vecchia. Ogni
passo che faceva verso la porta d'entrata veniva seguito da un
lamento delle travi sotto i suoi piedi e tutto questo non faceva che
dargli sui nervi.
Guardare
attraverso la porta sotto il porticato gli fece rizzare i capelli
senza ragione, probabilmente perché poteva vedere attraverso la casa
e il vetro della porta posteriore e ancora più lontano, fino
all'oscurità della foresta. Nonostante la casa fosse piccola, gli
sembrava troppo grande per una persona sola.
Era
troppo aperta, tanto che sembrava invitare gli animali selvatici ad
entrare e, quando il sole era nella giusta posizione, si veniva a
creare un'ombra senza faccia che sembrava vagare per i corridoi.
Si
voltò verso la via, preferendo guardare la gente uscire dal pickup,
tutto nero con dettagli argentati.
Erwin
fu il primo a scendere, dalla parte del guidatore, Mike invece uscì
dalla parte del passeggero, premurandosi si tirare in avanti il
sedile. Petra, Erd e Gunther uscirono da dietro, ridendo ad una
battuta che Levi non aveva sentito. Auruo scese dal rimorchio.
"Ti
sei già sistemato?" Gli chiese Erwin, agitando una mano nella
direzione di Levi con un sorriso brillante in volto.
"Siamo
appena arrivati," Fu Hanji a rispondere al posto suo,
avvicinandosi al bagagliaio quando Erwin lo aprì. "Non abbiamo
ancora scaricato nulla."
Levi
li guardò togliere la copertura del bagagliaio, rivelando così un
grande scatolone. Riuscì a vedere cos'era solo quando venne messo di
lato e si ritrovò a non saper scegliere se corrucciare lo sguardo o
portare gli occhi al cielo. Erwin, Hanji e Auruo scaricarono il suo
nuovo televisore a schermo piatto.
"Consideralo
un regalo per la nuova casa," Gli disse Erwin, mentre assieme
agli altri faceva piccoli passi fino alla porta di casa. "Mike
ti ha aggiunto al suo account Netflix."
"Se
mi trasferisco pure io anche a me date Netflix in regalo?"
Chiese Petra, con due pacchi di birra in mano.
"Pensi
si possa fare un falò qui?" Chiese Erd a nessuno in
particolare, girandosi su sé stesso per guardarsi attorno. "Sarebbe
un posto perfetto per il campeggio. Scommetto che si riescono a
vedere le stelle, la notte."
"Non
con questi fottuti alberi giganteschi." Borbottò Levi, aprendo
la porta per far entrare gli altri.
Non
che lo sapesse. L'unica volta che si era fermato qui la notte era
stato di fretta. Poteva giurare che una persona l'avesse chiamato,
avvisandolo che qualcuno doveva essere entrato nella casa, ma non
ricordava la chiamata in sé. L'uomo però ricordava di aver guidato
fino alla fine della via Ashbury verso mezzanotte, con una mazza da
baseball in mano, pronto ad attaccare chiunque avesse osato
introdursi nella sua proprietà.
Ovviamente
non aveva trovato nulla. Non un singolo lenzuolo fuori posto, non una
tenda scompigliata. Se n'era andato con un peso sulle spalle e un
sussurro non sentito sull'orecchio.
Visitare
la casa nel bel mezzo della notte lo aveva reso esageratamente
consapevole di ciò che lo circondava ad ogni ora della giornata.
Aveva paura di venire investito quando attraversava una strada o di
strangolarsi nel sonno. Non c'era alcuna ragione che lo aveva portato
a sviluppare questa nuova paranoia, gli era semplicemente venuta.
Aveva iniziato a provarla da quella notte.
Quando
ognuno fu entrato, Levi si chiuse la porta dietro di sé e si diresse
al salotto, togliendosi la sciarpa e la giacca. Tutti i suoi amici si
erano già accomodati e tolti i giubbotti, che avevano sistemato
accuratamente su di un tavolino.
Petra
stava sistemando la televisione mentre Erwin la teneva ferma, gli
altri invece erano in cucina e stavano mettendo in frigo la
birra.
Levi rimase nel corridoio
che separava le due stanze, prima di decidersi a buttarsi sul divano,
per venire invece fermato da Hanji che gli disse di non muovere un
muscolo.
"Abbiamo lasciato le
pizze nella tua auto," Gli disse, spingendolo verso la porta.
"Vai a prenderle e percorri la strada più lunga." Con un
occhiolino, la donna sbatté la porta. "Non stiamo facendo nulla
di sospetto!"
Essendo
incapace di mentire, Hanji si era arresa anni prima a tenere nascosta
alcuna sorpresa.
Levi si diresse
all'auto, sentendo il tipico rumore che le foglie secche emettevano
ad ogni suo passo, fu solo allora che l'uomo si rese conto che non
sarebbe potuto rimanere troppo fuori senza la giacca. Faceva un
freddo cane, così mise le mani in tasca mentre percorreva il prato,
diretto alla sua macchina.
Il Sole
stava tramontando, l'arancione e il rosso stavano lasciando il posto
al blu e al grigio, e quel senso di disagio che provava ogni volta
che ricordava che avrebbe dovuto dormire in quella casa gli
appesantì le spalle. Gli ci erano voluti sei mesi, da quando aveva
comprato quella casa, per andare a guardarla e altri due per metterci
piede. Ora non avrebbe avuto altra scelta se non dormire nel letto
che si era sistemato.
Si disse che
non c'era nulla di cui aver paura. Era un adulto e di certo non
pensava che ci fossero mostri a nascondersi sotto il suo letto. La
vera ansia veniva sotto forma di solitudine. Nel suo vecchio e
piccolo appartamento, erano in due a viverci ed erano felici di
scontrarsi ogni volta che cercavano di raggiungere la cucina o il
bagno.
Questa casa era grande e
vuota, anche adesso che c'erano i suoi amici ad occuparla per fargli
una sorta di festa.
Quando
raggiunse l'auto, Levi aprì una porta posteriore e tirò fuori le
pizze.
Una ventata particolarmente
violenta gli fece sfuggire i fazzoletti che erano sopra le scatole
delle pizze e, mormorando qualche parolaccia, l'uomo si trovò senza
avere altra scelta che chinarsi per raccoglierli. Sarebbe ancora
dovuto uscire a comprare delle cose essenziali, ma avrebbe potuto
aspettare anche domani. Per ora quei fazzoletti erano l'unica cosa
con cui avrebbe potuto pulire il caos che si sarebbero lasciati
dietro i suoi amici.
Afferrando
quelli che non si erano addentrati fino alla foresta, Levi se li
infilò nella tasca dei pantaloni per poi girarsi pronto a prendere
nuovamente le pizze, ma si bloccò sul posto.
Voltò
di scatto la testa di lato, certo di trovare qualcuno di fianco a
lui, ma tutto quello che vide furono solo alberi e il pickup di
Erwin.
Con la porta dell'auto
ancora aperta, l'uomo si appoggiò ad essa, ispezionando attentamente
il prato attorno a lui alla ricerca, probabilmente, dello stesso
intruso di cui era stato avvisato con una chiamata tempo fa. Non vide
nulla, oltre ai giochi di luce e ombra tra i rami degli alberi della
foresta.
Un'altra ventata lo
spinse a prendere nuovamente le pizze, ma qualcosa di bianco attirò
la sua attenzione verso le finestre del primo piano di casa sua.
Non
c'era nulla, oltre alle tende bianche smosse dal vento.
Dopo
qualche secondo, l'uomo afferrò le scatole e chiuse la portiera con
un piede.
Salendo gli scalini del
porticato, lanciò un ultimo sguardo verso la foresta, prima di
decidere che probabilmente era solo l'idea di dover dormire in quella
casa a fargli provare quelle sensazioni. Se avesse potuto decidere,
avrebbe preferito dormire in qualche catapecchia nei bassifondi della
città.
La porta davanti a lui
venne aperta prima che potesse anche solo muovere un muscolo e le
scatole delle pizze gli vennero portate via, mentre i suoi amici lo
festeggiavano all'unisono.
Una
torta era stata appoggiata sul tavolo della sala da pranzo.
"Cosa?
State celebrando la mia dipartita?"
"Ad
un nuovo inizio!" Disse Petra, con un sorriso che andava da
orecchio a orecchio, mentre appoggiava le pizze vicino alla
torta.
Tutti gli altri gli
sorrisero e annuirono, ma nessuno approfondì il discorso. Che
persone intelligenti.
Il tempo
passò e vide loro distrarsi davanti alla TV, con piatti di
pizza e torta appoggiati sulle gambe e il film più stupido che Erd
era riuscito a trovare. Surf Nazis,
una robaccia che guardarono a velocità doppia da quanto faceva
schifo, perché comunque non volevano perdersi il finale.
"Vuoi
un'altra birra?" Gli chiese Erwin, obbligando Levi ad
allontanare lo sguardo dallo schermo, nel quale al momento degli
squali stavano invadendo una costosa villa.
Essendo
più un invito che una richiesta, l'uomo si alzò dal divano e seguì
Erwin fino alla cucina, lasciando gli altri a grugnire e ridere dei
pessimi effetti speciali del film.
Aprendo
il frigorifero, il più alto afferrò due lattine, lanciandone una
nella direzione di Levi.
"Come
ti senti?" Gli chiese Erwin.
Il
più basso aprì la lattina con lo sguardo fisso verso il salotto,
dove poteva vedere degli squali fuoriuscire da un tornado.
Auruo fece un commento che portò Petra a piantargli un gomito tra le
costole. Avrebbe passato la serata in compagnia, ma alla fine se ne
sarebbero andati tutto: ecco il motivo della domanda di Erwin.
Nel
momento in cui i suoi amici avrebbero varcato la sua porta di casa,
Levi avrebbe passato la sua prima notte da solo dopo più di due
anni.
"Sto bene."
Rispose, portando gli occhi contro la porta che dava al retro della
casa. Non c'era nulla se non buio, ora.
Altre
risate fecero ridacchiare anche Erwin, che afferrò la manica di Levi
e lo trascinò fuori dalla stanza. Entrambi si ricordarono di
prendersi la giacca, prima di uscire.
L'ultima
volta che avevano passeggiato assieme era stato dieci anni fa a Coney
Island e avevano condiviso molto di più che patatine fritte e
corndogs. Ed eccoli qui, dopo una separazione, nuove relazioni e un
matrimonio. Erwin Smith era rimasto una costante nella sua vita, una
roccia che mai si sarebbe spostata.
Decidendo
che era troppo buio per avventurarsi fino al corso d'acqua, decisero
di sedersi sugli scalini del porticato, sotto la luce delle
stelle.
Rimasero in silenzio per
un po', silenzio interrotto unicamente dalle risate provenienti
dall'interno della casa.
"Se
diventa troppo difficile da gestire, fammelo sapere," Gli disse
Erwin, appoggiando la birra perché faceva troppo freddo da tenerla
in mano. "Verrò subito da te."
"Vivi
a due ore di macchina." Rispose Levi, imitando l'altro e
mettendo le mani in tasca.
In
qualche modo la sua era un'accusa. Erwin era stato il primo ad
insistere per fargli cambiare posto e sempre lui aveva scelto la
casa, in quanto Levi era stato riluttante a farlo. Quest'ultimo si
era affezionato al suo vecchio e piccolo appartamento. Era suo. I
suoi ricordi più preziosi erano ambientati in quelle quattro
mura.
"Allora chiamami. O
chiama Hanji. Diamine, chiama chiunque," Appoggiò una mano sul
ginocchio del più piccolo, stringendolo piano. "Ambientarti non
ti sarà facile, ma non devi soffrire da solo."
Levi
quasi rise, ma si trattenne. "Ho guardato mio marito morire,"
Disse, con un tono di voce troppo calmo anche alle sue stesse
orecchie. "Posso sopportare di dormire nella mia camera da
letto."
Guardando il cielo
stellato, Erwin corrugò le sopracciglia. "Non fare così."
Ed eccolo, quel tono accondiscendente che aveva spinto Levi a mettere
fine alla loro relazione. Voleva un compagno, non un padre. La
lussuria non era stata abbastanza da farlo rimanere al suo
fianco.
La luce lunare si
rifletteva sul cristallo del pickup e, di conseguenza, Levi abbassò
lo sguardo verso il semplice anello in argento sul suo dito. Lo
stesso che portava dal suo matrimonio di quattro anni fa, che non
aveva avuto il coraggio di togliere.
Non
si era mai affezionato ad oggetti materiali, perché quelli gli
potevano venire tolti con facilità, ma mai avrebbe creduto che la
stessa cosa si poteva dire riguardo gli esseri umani. Levi non aveva
pianto quando suo padre era morto, nonostante fosse stato una persona
decente. Aveva però pianto quando la bara era stata abbassata dentro
la fossa e tutti, a parte Erwin, se n'erano andati.
Nella
sua lunga lista di amanti, romantici o meno, Eren era stato il suo
tutto.
"Quell'appartamento
era una tomba," Disse Erwin, guardandolo. "Non saresti mai
andato avanti."
"L'ho
superata, la morte."
"Sotterrare
la tua sofferenza sotto pile di lavoro non equivale ad aver superato
un bel niente, Levi. Prenditi questa opportunità per riniziare
da capo. Non ti sto dicendo di dimenticare, ma almeno superare questo
tuo ostacolo."
"Certo,
perché buttare una persona in mezzo alla natura selvaggia, magari
farla mangiare da un orso, questo sì che equivale a farle superare
gli ostacoli. Non riesco a capire il tuo ragionamento."
Strusciando
i palmi nel tessuto dei jeans, Erwin emise un verso divertito. "Hai
solo bisogno di aria fresca."
"Quello
di cui ho bisogno è una buona scopata." Le parole gli
scapparono di bocca prima che potesse fermarle, ma ormai non gliene
fregava più nulla. Non era l'intera verità, ma non era neanche una
bugia. "Ho bisogno..." Non finì la frase, perché non ne
avrebbe ricavato nulla di buono, non con la preoccupazione che gli
stava riservando Erwin in quel momento.
Nonostante
il suo tentativo, Levi non riuscì ad allontanarsi quando Erwin
premette una mano contro la sua guancia. "Mi dispiace." Gli
disse.
"Non mi riferivo a
te," E questa sì che era una bugia. "Dimenticati di quel
che ho detto."
"Non
questa volta. Non voglio continuare ad ignorare queste cose."
"Quali
cose, Erwin? Non c'è nulla."
"E
di chi è la colpa?"
Levi gli
riservò un'occhiataccia, ma non gli disse che stava sbagliando. Non
aveva rimorso delle sue decisioni. "Sopravviverò." Disse,
invece, guardando oltre la sua spalla verso la casetta. "Se non
riesco a dormire ti manderò via email i rapporti." Si voltò
verso Erwin. "Prometto di non ammazzarmi."
In
entrambe le precedenti occasioni era stato troppo codardo da premere
il grilletto.
•••
Levi serrò la
porta d'entrata alle due e un quarto di mattina, felice e scocciato
di essere lasciato solo in un posto del genere.
Per
prima cosa si fece una doccia lunga e bollente, poi s'infilò un
pigiama nuovo, cortesia di Gunther. Sia la maglietta che i
pantaloncini erano troppo grandi per lui, ma il tessuto era morbido e
comodo, quindi lo avrebbe sopportato. Magari avrebbe fatto troppo
freddo per dei vestiti così leggeri, ma per la prima notte avrebbe
potuto mettere il riscaldamento al massimo.
Mettendo
l'acqua a bollire sui fornelli, l'uomo girò la casa per assicurarsi
che tutte le finestre fossero chiuse e che le tende ne coprivano i
vetri. Non avrebbe sopportato l'idea di avere qualsiasi tipo di
roditore in casa.
Dopo lavò i
piatti, i ripiani della cucina e, mentre stava spazzando il
pavimento, la teiera prese a fischiare.
Levi
si preparò una tazza di tè nero, forte, con un po' di latte e
zucchero. Poi appoggiò la tazza per passare uno straccio sui
fornelli, in modo da non lasciare sporcizia.
Quando
fu certo di non avere più nulla da fare, l'uomo spense la luce,
prese il suo tè e si diresse al piano superiore.
Il
legno sotto i suoi piedi scricchiolava ad ogni suo passo,
irritandolo. Amava la perfezione e, assieme all'aiuto di Erwin, non
aveva fatto caso a spese nella restaurazione della casa. Non
dovrebbero esserci stati segni sul muro, o della vernice
mancante.
La sua camera da letto,
tuttavia, era impeccabile. Piccola e semplice, fornita unicamente di
cose essenziali: un letto, un comodino, un armadio, uno specchio, un
cassettone, una scrivania e una finestra che dava sul lato anteriore
della casa.
Dopo aver raggiunto il
suo lato del letto accese il lume e corrugò le sopracciglia nel
notare lo stato delle coperte. Ci dedicò solo qualche secondo della
sua attenzione, chiedendosi se mentre era uscito con Erwin qualcuno
fosse salito.
Appoggiò il tè sul
comodino in modo da chiudere le tende, ma finì con lo spendere più
tempo del previsto davanti alla finestra. Fuori non c'era molto da
vedere, ma i riflessi argentati della Luna si rivelarono
calmanti.
La foresta era buia, i
suoi alberi impenetrabili. La possibilità che ci fosse qualche
animale da poter cacciare era quasi nulla e lui non era mai stata una
persona che amava andare a caccia, ma avrebbe potuto provarci. Non
che avesse idea di cosa fare con l'animale ucciso, poi. Non ne
avrebbe affisso la testa su un muro e non l'avrebbe neanche mangiato.
Uccidere unicamente per aver la soddisfazione di uccidere non lo
attirava per niente.
Quando la
vista gli prese ad appannarsi, a causa del sonno, Levi chiuse le
tende e tornò al letto. Il suo tè ormai era freddo. Considerò di
lasciare la tazza lì fino al mattino successivo, quando l'avrebbe
portata di sotto e lavata prima di fare colazione, ma l'odore non
l'avrebbe lasciato dormire.
Con un
sospiro prese la tazza e raggiunse la cucina, senza preoccuparsi di
accendere le luci.
Una volta che
la tazza venne sciacquata e messa ad asciugare, l'uomo controllò tre
volte che la porta d'entrata fosse chiusa. Cercò di aprirla, scosse
il pomello, bussò sul legno e la porta gli rispose imitandolo.
Levi
si bloccò.
Col pugno a mezz'aria
si voltò e guardò verso le scale.
Un
eco, magari, perché il suono era arrivato dal secondo piano - non
dalla porta che aveva appena bussato. Bussò nuovamente ed eccolo, un
suono identico rimbalzò tra le pareti della casa.
L'uomo
portò gli occhi al cielo e sospirò sollevato, perché era troppo
vecchio per venire spaventato dai rumori di una vecchia casa in
legno.
Portandosi una mano a
scompigliarsi i capelli, tornò al piano superiore e chiuse a chiave
la porta della camera da letto.
Si
grattò il mento, appuntandosi mentalmente di radersi il mattino
dopo, poi si bloccò ai piedi del letto.
Si
bloccò perché le coperte erano ben distese, rimboccate e senza una
piega. Si bloccò perché il tappeto circolare al fianco del letto
era piegato a metà, come se qualcuno l'avesse accidentalmente
calciato.
Sembrava quasi che si
fosse preso il suo tempo a sistemare il letto con dovizia, prima di
andare di sotto, ma mentre era ben conscio della sua involontaria
compulsione per la perfezione, l'uomo sapeva che non aveva sistemato
le coperte.
Non si fece alcuna
domanda. Non ci pensò neanche, perché facendolo avrebbe accettato
che non sapeva come questo sarebbe potuto accadere, non avrebbe avuto
una spiegazione adatta a questo avvenimento.
Nel
bel mezzo della foresta, a due ore dalla civiltà, era un brutto
posto dove trovarsi, senza avere delle risposte alle proprie
domande.
Fanculo ad Erwin e le sue
stupide idee.
Levi si rifiutò di
muoversi quando sentì nuovamente bussare anche se, questa volta, il
suono provenne dalla porta della sua camera.
Il
pomello si scosse e la porta scricchiolò-
Era
un incubo. Doveva aver bevuto troppo. Doveva essere così, perché i
suoi amici non gli avrebbero fatto una cosa del genere. In più non
c'era modo di spiegare perché la camera fosse diventata
improvvisamente così fredda. Magari il riscaldamento si era rotto,
ma-
"Oh! Che bello vederti
qua!"
In piedi in mezzo alla
stanza, in pantaloncini corti e una canottiera troppo grande per lui,
in una stanza gelida, Levi giunse ad un'unica conclusione. Doveva
aver bevuto troppo, essere svenuto, Erwin o Mike dovevano averlo
portato in camera sua ed ora doveva star avendo un incubo.
"Uh,
Levi?"
Non poteva esserci
altra spiegazione, perché i morti non camminano e ovviamente non
parlano.
I morti non entrano nelle
stanze da letto vestendo jeans e maglioni, non potevano apparire sani
nonostante l'oscurità della stanza.
"Va...
Tutto bene? Mi stai spaventando."
Levi
lo stava spaventando.
Il suo
marito morto da tempo era appena entrato nella sua camera da letto,
ed era lui a
spaventarlo.
"Dimmi qualcosa,
per favore?"
"Ho bisogno
di bere." Fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Quello
che non disse fu che probabilmente doveva aver bisogno di un lungo
soggiorno nell'istituto psichiatrico più vicino.