Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    22/11/2015    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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HoE chap 2

Capitoletto un po' noioso, ma purtroppo non si può partire subito all'attacco ;v; Spero di non aver fatto casino coi verbi, in quanto continuavo a scrivere tutto al presente quando in realtà è tutto al passato: ho corretto un bel po' di verbi, ma potrebbe essermene sfuggito qualcuno. Vi lascio subito al capitolo, buona lettura uvu

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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La via Ashbury finiva in un pittoresco praticello accerchiato da pini, come quelli che si trovavano nei dipinti di un museo. Al centro del fazzoletto di terra, accarezzata dagli ultimi raggi di Sole di fine autunno, vi era una casetta recentemente ristrutturata e verniciata. Poco più in là c'era un corso d'acqua, il cui scrosciare si sentiva fin dal portico della casa, quando il vento tirava dalla parte giusta.

L'aria era pulita e frizzante, in vista del freddo.

Quel posto irradiava un senso di pace e sicurezza, come un pagina strappata da un libro di fantasia. Delle piccole nuvolette punteggiavano l'altrimenti azzurro cielo e le foglie danzavano fino a raggiungere le sorelle, una volta posate a terra.

Una pesantezza che solo la natura poteva fargli sentire fino le ossa: odiava tutto questo.

"La odio." Disse Levi, senza alcuna esitazione.

Era abituato alla vita di città, ai condomini che tremavano ad ogni treno che passava. Alle luci degli edifici, al fracasso dei nightclub e il rumore dei taxi. Questo non era nulla a cui era abituato. No. Al contrario, odiava sentire i rumori generati dall'ambiente, mentre lavorava. Poteva già immaginare com'era sentire i cinguettii degli uccelli e lo scrosciare del fiumiciattolo al suo risveglio.

"Io penso sia carina," Disse Hanji, portandosi una mano al mento e facendo un verso d'approvazione. "Non avrai vicini, non respirerai i fumi di qualche industria. Cioè, tu non fumi, ma penso che i tuoi polmoni ormai siano messi maluccio."

Levi grugnì, sistemandosi la sciarpa attorno le spalle quando una brezza gelida scompigliò gli alberi. "E' noiosa."

"E tu sei un uomo noioso," Gli risponde la donna, mostrandogli il pollice alzato. "Questo posto è perfetto."

Prima che potesse ribattere, il familiare suono di un pickup attirò la loro attenzione verso la strada. Hanji scosse una mano in segno di saluto, mentre Levi percorse scocciato il praticello, allontanandosi dalla conversazione che era certo sarebbe iniziata non appena le porte del pickup appena arrivato si sarebbero aperte.

Apparentemente, nonostante le fondamenta nuove e i pilastri rinforzati, la casa emetteva i classici cigolii sinistri di ogni fottutissima casa vecchia. Ogni passo che faceva verso la porta d'entrata veniva seguito da un lamento delle travi sotto i suoi piedi e tutto questo non faceva che dargli sui nervi.

Guardare attraverso la porta sotto il porticato gli fece rizzare i capelli senza ragione, probabilmente perché poteva vedere attraverso la casa e il vetro della porta posteriore e ancora più lontano, fino all'oscurità della foresta. Nonostante la casa fosse piccola, gli sembrava troppo grande per una persona sola.

Era troppo aperta, tanto che sembrava invitare gli animali selvatici ad entrare e, quando il sole era nella giusta posizione, si veniva a creare un'ombra senza faccia che sembrava vagare per i corridoi.

Si voltò verso la via, preferendo guardare la gente uscire dal pickup, tutto nero con dettagli argentati.

Erwin fu il primo a scendere, dalla parte del guidatore, Mike invece uscì dalla parte del passeggero, premurandosi si tirare in avanti il sedile. Petra, Erd e Gunther uscirono da dietro, ridendo ad una battuta che Levi non aveva sentito. Auruo scese dal rimorchio.

"Ti sei già sistemato?" Gli chiese Erwin, agitando una mano nella direzione di Levi con un sorriso brillante in volto.

"Siamo appena arrivati," Fu Hanji a rispondere al posto suo, avvicinandosi al bagagliaio quando Erwin lo aprì. "Non abbiamo ancora scaricato nulla."

Levi li guardò togliere la copertura del bagagliaio, rivelando così un grande scatolone. Riuscì a vedere cos'era solo quando venne messo di lato e si ritrovò a non saper scegliere se corrucciare lo sguardo o portare gli occhi al cielo. Erwin, Hanji e Auruo scaricarono il suo nuovo televisore a schermo piatto.

"Consideralo un regalo per la nuova casa," Gli disse Erwin, mentre assieme agli altri faceva piccoli passi fino alla porta di casa. "Mike ti ha aggiunto al suo account Netflix."

"Se mi trasferisco pure io anche a me date Netflix in regalo?" Chiese Petra, con due pacchi di birra in mano.

"Pensi si possa fare un falò qui?" Chiese Erd a nessuno in particolare, girandosi su sé stesso per guardarsi attorno. "Sarebbe un posto perfetto per il campeggio. Scommetto che si riescono a vedere le stelle, la notte."

"Non con questi fottuti alberi giganteschi." Borbottò Levi, aprendo la porta per far entrare gli altri.

Non che lo sapesse. L'unica volta che si era fermato qui la notte era stato di fretta. Poteva giurare che una persona l'avesse chiamato, avvisandolo che qualcuno doveva essere entrato nella casa, ma non ricordava la chiamata in sé. L'uomo però ricordava di aver guidato fino alla fine della via Ashbury verso mezzanotte, con una mazza da baseball in mano, pronto ad attaccare chiunque avesse osato introdursi nella sua proprietà.

Ovviamente non aveva trovato nulla. Non un singolo lenzuolo fuori posto, non una tenda scompigliata. Se n'era andato con un peso sulle spalle e un sussurro non sentito sull'orecchio.

Visitare la casa nel bel mezzo della notte lo aveva reso esageratamente consapevole di ciò che lo circondava ad ogni ora della giornata. Aveva paura di venire investito quando attraversava una strada o di strangolarsi nel sonno. Non c'era alcuna ragione che lo aveva portato a sviluppare questa nuova paranoia, gli era semplicemente venuta. Aveva iniziato a provarla da quella notte.

Quando ognuno fu entrato, Levi si chiuse la porta dietro di sé e si diresse al salotto, togliendosi la sciarpa e la giacca. Tutti i suoi amici si erano già accomodati e tolti i giubbotti, che avevano sistemato accuratamente su di un tavolino.

Petra stava sistemando la televisione mentre Erwin la teneva ferma, gli altri invece erano in cucina e stavano mettendo in frigo la birra.

Levi rimase nel corridoio che separava le due stanze, prima di decidersi a buttarsi sul divano, per venire invece fermato da Hanji che gli disse di non muovere un muscolo.

"Abbiamo lasciato le pizze nella tua auto," Gli disse, spingendolo verso la porta. "Vai a prenderle e percorri la strada più lunga." Con un occhiolino, la donna sbatté la porta. "Non stiamo facendo nulla di sospetto!"

Essendo incapace di mentire, Hanji si era arresa anni prima a tenere nascosta alcuna sorpresa.

Levi si diresse all'auto, sentendo il tipico rumore che le foglie secche emettevano ad ogni suo passo, fu solo allora che l'uomo si rese conto che non sarebbe potuto rimanere troppo fuori senza la giacca. Faceva un freddo cane, così mise le mani in tasca mentre percorreva il prato, diretto alla sua macchina.

Il Sole stava tramontando, l'arancione e il rosso stavano lasciando il posto al blu e al grigio, e quel senso di disagio che provava ogni volta che ricordava che avrebbe dovuto dormire in quella casa gli appesantì le spalle. Gli ci erano voluti sei mesi, da quando aveva comprato quella casa, per andare a guardarla e altri due per metterci piede. Ora non avrebbe avuto altra scelta se non dormire nel letto che si era sistemato.

Si disse che non c'era nulla di cui aver paura. Era un adulto e di certo non pensava che ci fossero mostri a nascondersi sotto il suo letto. La vera ansia veniva sotto forma di solitudine. Nel suo vecchio e piccolo appartamento, erano in due a viverci ed erano felici di scontrarsi ogni volta che cercavano di raggiungere la cucina o il bagno.

Questa casa era grande e vuota, anche adesso che c'erano i suoi amici ad occuparla per fargli una sorta di festa.

Quando raggiunse l'auto, Levi aprì una porta posteriore e tirò fuori le pizze.

Una ventata particolarmente violenta gli fece sfuggire i fazzoletti che erano sopra le scatole delle pizze e, mormorando qualche parolaccia, l'uomo si trovò senza avere altra scelta che chinarsi per raccoglierli. Sarebbe ancora dovuto uscire a comprare delle cose essenziali, ma avrebbe potuto aspettare anche domani. Per ora quei fazzoletti erano l'unica cosa con cui avrebbe potuto pulire il caos che si sarebbero lasciati dietro i suoi amici.

Afferrando quelli che non si erano addentrati fino alla foresta, Levi se li infilò nella tasca dei pantaloni per poi girarsi pronto a prendere nuovamente le pizze, ma si bloccò sul posto.

Voltò di scatto la testa di lato, certo di trovare qualcuno di fianco a lui, ma tutto quello che vide furono solo alberi e il pickup di Erwin.

Con la porta dell'auto ancora aperta, l'uomo si appoggiò ad essa, ispezionando attentamente il prato attorno a lui alla ricerca, probabilmente, dello stesso intruso di cui era stato avvisato con una chiamata tempo fa. Non vide nulla, oltre ai giochi di luce e ombra tra i rami degli alberi della foresta.

Un'altra ventata lo spinse a prendere nuovamente le pizze, ma qualcosa di bianco attirò la sua attenzione verso le finestre del primo piano di casa sua.

Non c'era nulla, oltre alle tende bianche smosse dal vento.

Dopo qualche secondo, l'uomo afferrò le scatole e chiuse la portiera con un piede.

Salendo gli scalini del porticato, lanciò un ultimo sguardo verso la foresta, prima di decidere che probabilmente era solo l'idea di dover dormire in quella casa a fargli provare quelle sensazioni. Se avesse potuto decidere, avrebbe preferito dormire in qualche catapecchia nei bassifondi della città.

La porta davanti a lui venne aperta prima che potesse anche solo muovere un muscolo e le scatole delle pizze gli vennero portate via, mentre i suoi amici lo festeggiavano all'unisono.

Una torta era stata appoggiata sul tavolo della sala da pranzo.

"Cosa? State celebrando la mia dipartita?"

"Ad un nuovo inizio!" Disse Petra, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, mentre appoggiava le pizze vicino alla torta.

Tutti gli altri gli sorrisero e annuirono, ma nessuno approfondì il discorso. Che persone intelligenti.

Il tempo passò e vide loro distrarsi davanti alla TV, con piatti di pizza e torta appoggiati sulle gambe e il film più stupido che Erd era riuscito a trovare. Surf Nazis, una robaccia che guardarono a velocità doppia da quanto faceva schifo, perché comunque non volevano perdersi il finale.

"Vuoi un'altra birra?" Gli chiese Erwin, obbligando Levi ad allontanare lo sguardo dallo schermo, nel quale al momento degli squali stavano invadendo una costosa villa.

Essendo più un invito che una richiesta, l'uomo si alzò dal divano e seguì Erwin fino alla cucina, lasciando gli altri a grugnire e ridere dei pessimi effetti speciali del film.

Aprendo il frigorifero, il più alto afferrò due lattine, lanciandone una nella direzione di Levi.

"Come ti senti?" Gli chiese Erwin.

Il più basso aprì la lattina con lo sguardo fisso verso il salotto, dove poteva vedere degli squali fuoriuscire  da un tornado. Auruo fece un commento che portò Petra a piantargli un gomito tra le costole. Avrebbe passato la serata in compagnia, ma alla fine se ne sarebbero andati tutto: ecco il motivo della domanda di Erwin.

Nel momento in cui i suoi amici avrebbero varcato la sua porta di casa, Levi avrebbe passato la sua prima notte da solo dopo più di due anni.

"Sto bene." Rispose, portando gli occhi contro la porta che dava al retro della casa. Non c'era nulla se non buio, ora.

Altre risate fecero ridacchiare anche Erwin, che afferrò la manica di Levi e lo trascinò fuori dalla stanza. Entrambi si ricordarono di prendersi la giacca, prima di uscire.

L'ultima volta che avevano passeggiato assieme era stato dieci anni fa a Coney Island e avevano condiviso molto di più che patatine fritte e corndogs. Ed eccoli qui, dopo una separazione, nuove relazioni e un matrimonio. Erwin Smith era rimasto una costante nella sua vita, una roccia che mai si sarebbe spostata.

Decidendo che era troppo buio per avventurarsi fino al corso d'acqua, decisero di sedersi sugli scalini del porticato, sotto la luce delle stelle.

Rimasero in silenzio per un po', silenzio interrotto unicamente dalle risate provenienti dall'interno della casa.

"Se diventa troppo difficile da gestire, fammelo sapere," Gli disse Erwin, appoggiando la birra perché faceva troppo freddo da tenerla in mano. "Verrò subito da te."

"Vivi a due ore di macchina." Rispose Levi, imitando l'altro e mettendo le mani in tasca.

In qualche modo la sua era un'accusa. Erwin era stato il primo ad insistere per fargli cambiare posto e sempre lui aveva scelto la casa, in quanto Levi era stato riluttante a farlo. Quest'ultimo si era affezionato al suo vecchio e piccolo appartamento. Era suo. I suoi ricordi più preziosi erano ambientati in quelle quattro mura.

"Allora chiamami. O chiama Hanji. Diamine, chiama chiunque," Appoggiò una mano sul ginocchio del più piccolo, stringendolo piano. "Ambientarti non ti sarà facile, ma non devi soffrire da solo."

Levi quasi rise, ma si trattenne. "Ho guardato mio marito morire," Disse, con un tono di voce troppo calmo anche alle sue stesse orecchie. "Posso sopportare di dormire nella mia camera da letto."

Guardando il cielo stellato, Erwin corrugò le sopracciglia. "Non fare così." Ed eccolo, quel tono accondiscendente che aveva spinto Levi a mettere fine alla loro relazione. Voleva un compagno, non un padre. La lussuria non era stata abbastanza da farlo rimanere al suo fianco.

La luce lunare si rifletteva sul cristallo del pickup e, di conseguenza, Levi abbassò lo sguardo verso il semplice anello in argento sul suo dito. Lo stesso che portava dal suo matrimonio di quattro anni fa, che non aveva avuto il coraggio di togliere.

Non si era mai affezionato ad oggetti materiali, perché quelli gli potevano venire tolti con facilità, ma mai avrebbe creduto che la stessa cosa si poteva dire riguardo gli esseri umani. Levi non aveva pianto quando suo padre era morto, nonostante fosse stato una persona decente. Aveva però pianto quando la bara era stata abbassata dentro la fossa e tutti, a parte Erwin, se n'erano andati.

Nella sua lunga lista di amanti, romantici o meno, Eren era stato il suo tutto.

"Quell'appartamento era una tomba," Disse Erwin, guardandolo. "Non saresti mai andato avanti."

"L'ho superata, la morte."

"Sotterrare la tua sofferenza sotto pile di lavoro non equivale ad aver superato un bel niente, Levi. Prenditi questa opportunità per riniziare da capo. Non ti sto dicendo di dimenticare, ma almeno superare questo tuo ostacolo."

"Certo, perché buttare una persona in mezzo alla natura selvaggia, magari farla mangiare da un orso, questo sì che equivale a farle superare gli ostacoli. Non riesco a capire il tuo ragionamento."

Strusciando i palmi nel tessuto dei jeans, Erwin emise un verso divertito. "Hai solo bisogno di aria fresca."

"Quello di cui ho bisogno è una buona scopata." Le parole gli scapparono di bocca prima che potesse fermarle, ma ormai non gliene fregava più nulla. Non era l'intera verità, ma non era neanche una bugia. "Ho bisogno..." Non finì la frase, perché non ne avrebbe ricavato nulla di buono, non con la preoccupazione che gli stava riservando Erwin in quel momento.

Nonostante il suo tentativo, Levi non riuscì ad allontanarsi quando Erwin premette una mano contro la sua guancia. "Mi dispiace." Gli disse.

"Non mi riferivo a te," E questa sì che era una bugia. "Dimenticati di quel che ho detto."

"Non questa volta. Non voglio continuare ad ignorare queste cose."

"Quali cose, Erwin? Non c'è nulla."

"E di chi è la colpa?"

Levi gli riservò un'occhiataccia, ma non gli disse che stava sbagliando. Non aveva rimorso delle sue decisioni. "Sopravviverò." Disse, invece, guardando oltre la sua spalla verso la casetta. "Se non riesco a dormire ti manderò via email i rapporti." Si voltò verso Erwin. "Prometto di non ammazzarmi."

In entrambe le precedenti occasioni era stato troppo codardo da premere il grilletto.

•••

Levi serrò la porta d'entrata alle due e un quarto di mattina, felice e scocciato di essere lasciato solo in un posto del genere.

Per prima cosa si fece una doccia lunga e bollente, poi s'infilò un pigiama nuovo, cortesia di Gunther. Sia la maglietta che i pantaloncini erano troppo grandi per lui, ma il tessuto era morbido e comodo, quindi lo avrebbe sopportato. Magari avrebbe fatto troppo freddo per dei vestiti così leggeri, ma per la prima notte avrebbe potuto mettere il riscaldamento al massimo.

Mettendo l'acqua a bollire sui fornelli, l'uomo girò la casa per assicurarsi che tutte le finestre fossero chiuse e che le tende ne coprivano i vetri. Non avrebbe sopportato l'idea di avere qualsiasi tipo di roditore in casa.

Dopo lavò i piatti, i ripiani della cucina e, mentre stava spazzando il pavimento, la teiera prese a fischiare.

Levi si preparò una tazza di tè nero, forte, con un po' di latte e zucchero. Poi appoggiò la tazza per passare uno straccio sui fornelli, in modo da non lasciare sporcizia.

Quando fu certo di non avere più nulla da fare, l'uomo spense la luce, prese il suo tè e si diresse al piano superiore.

Il legno sotto i suoi piedi scricchiolava ad ogni suo passo, irritandolo. Amava la perfezione e, assieme all'aiuto di Erwin, non aveva fatto caso a spese nella restaurazione della casa. Non dovrebbero esserci stati segni sul muro, o della vernice mancante.

La sua camera da letto, tuttavia, era impeccabile. Piccola e semplice, fornita unicamente di cose essenziali: un letto, un comodino, un armadio, uno specchio, un cassettone, una scrivania e una finestra che dava sul lato anteriore della casa.

Dopo aver raggiunto il suo lato del letto accese il lume e corrugò le sopracciglia nel notare lo stato delle coperte. Ci dedicò solo qualche secondo della sua attenzione, chiedendosi se mentre era uscito con Erwin qualcuno fosse salito.

Appoggiò il tè sul comodino in modo da chiudere le tende, ma finì con lo spendere più tempo del previsto davanti alla finestra. Fuori non c'era molto da vedere, ma i riflessi argentati della Luna si rivelarono calmanti.

La foresta era buia, i suoi alberi impenetrabili. La possibilità che ci fosse qualche animale da poter cacciare era quasi nulla e lui non era mai stata una persona che amava andare a caccia, ma avrebbe potuto provarci. Non che avesse idea di cosa fare con l'animale ucciso, poi. Non ne avrebbe affisso la testa su un muro e non l'avrebbe neanche mangiato. Uccidere unicamente per aver la soddisfazione di uccidere non lo attirava per niente.

Quando la vista gli prese ad appannarsi, a causa del sonno, Levi chiuse le tende e tornò al letto. Il suo tè ormai era freddo. Considerò di lasciare la tazza lì fino al mattino successivo, quando l'avrebbe portata di sotto e lavata prima di fare colazione, ma l'odore non l'avrebbe lasciato dormire.

Con un sospiro prese la tazza e raggiunse la cucina, senza preoccuparsi di accendere le luci.

Una volta che la tazza venne sciacquata e messa ad asciugare, l'uomo controllò tre volte che la porta d'entrata fosse chiusa. Cercò di aprirla, scosse il pomello, bussò sul legno e la porta gli rispose imitandolo.

Levi si bloccò.

Col pugno a mezz'aria si voltò e guardò verso le scale.

Un eco, magari, perché il suono era arrivato dal secondo piano - non dalla porta che aveva appena bussato. Bussò nuovamente ed eccolo, un suono identico rimbalzò tra le pareti della casa.

L'uomo portò gli occhi al cielo e sospirò sollevato, perché era troppo vecchio per venire spaventato dai rumori di una vecchia casa in legno.

Portandosi una mano a scompigliarsi i capelli, tornò al piano superiore e chiuse a chiave la porta della camera da letto.

Si grattò il mento, appuntandosi mentalmente di radersi il mattino dopo, poi si bloccò ai piedi del letto.

Si bloccò perché le coperte erano ben distese, rimboccate e senza una piega. Si bloccò perché il tappeto circolare al fianco del letto era piegato a metà, come se qualcuno l'avesse accidentalmente calciato.

Sembrava quasi che si fosse preso il suo tempo a sistemare il letto con dovizia, prima di andare di sotto, ma mentre era ben conscio della sua involontaria compulsione per la perfezione, l'uomo sapeva che non aveva sistemato le coperte.

Non si fece alcuna domanda. Non ci pensò neanche, perché facendolo avrebbe accettato che non sapeva come questo sarebbe potuto accadere, non avrebbe avuto una spiegazione adatta a questo avvenimento.

Nel bel mezzo della foresta, a due ore dalla civiltà, era un brutto posto dove trovarsi, senza avere delle risposte alle proprie domande.

Fanculo ad Erwin e le sue stupide idee.

Levi si rifiutò di muoversi quando sentì nuovamente bussare anche se, questa volta, il suono provenne dalla porta della sua camera.

Il pomello si scosse e la porta scricchiolò-

Era un incubo. Doveva aver bevuto troppo. Doveva essere così, perché i suoi amici non gli avrebbero fatto una cosa del genere. In più non c'era modo di spiegare perché la camera fosse diventata improvvisamente così fredda. Magari il riscaldamento si era rotto, ma-

"Oh! Che bello vederti qua!"

In piedi in mezzo alla stanza, in pantaloncini corti e una canottiera troppo grande per lui, in una stanza gelida, Levi giunse ad un'unica conclusione. Doveva aver bevuto troppo, essere svenuto, Erwin o Mike dovevano averlo portato in camera sua ed ora doveva star avendo un incubo.

"Uh, Levi?"

Non poteva esserci altra spiegazione, perché i morti non camminano e ovviamente non parlano.

I morti non entrano nelle stanze da letto vestendo jeans e maglioni, non potevano apparire sani nonostante l'oscurità della stanza.

"Va... Tutto bene? Mi stai spaventando."

Levi lo stava spaventando.

Il suo marito morto da tempo era appena entrato nella sua camera da letto, ed era lui a spaventarlo.

"Dimmi qualcosa, per favore?"

"Ho bisogno di bere." Fu l'unica cosa che riuscì a dire.

Quello che non disse fu che probabilmente doveva aver bisogno di un lungo soggiorno nell'istituto psichiatrico più vicino.

   
 
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