Crossover
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Autore: Odinforce    22/11/2015    5 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 24. Il futuro non scritto

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« Ora sono con te, Jake... siamo uniti per sempre. »

« Ugh... Neytiri... »

« ...per sempre... »

« Neytiri! »

Jake Sully aprì gli occhi, urlando a gran voce il nome della sua amata. Ora più che mai desiderava vederla accanto a sé, al risveglio dopo la notte più magica mai scesa su Pandora... ma ciò che vide non realizzava minimamente il suo desiderio. Si trovava su una superficie sabbiosa e umida, sotto un cielo avvolto dal buio più totale: chiaramente era notte, e l’assenza di stelle e del profilo del pianeta intorno a cui orbitava Pandora lasciò intendere che non era tornato a casa.

Si alzò a sedere, costretto ad accettare un nuovo dettaglio di quella triste realtà. Jake era solo in quella spiaggia: non c’era traccia dei suoi compagni, e il motivo di tale assenza non tardò a collegarsi agli ultimi ricordi che aveva prima di riprendere i sensi. Il Titanic stava affondando, ridotto a pezzi per i danni causati dallo scontro tra i Valorosi e un terribile nemico ignoto; l’ultimo, disperato attacco combinato per annientare quel mostro, che aveva causato un’esplosione gigantesca. Jake non era riuscito a mettersi in salvo... aveva donato tutta la sua forza per sconfiggere il nemico, così era stato spazzato via dall’esplosione, impotente come una foglia secca. Era caduto in acqua, perdendo i sensi... separato dai suoi amici.

Ora si sentiva meglio, ma non sapeva dire quanto tempo fosse passato dal naufragio: ore, o addirittura giorni. Il tempo, ricordava, scorreva in modo irregolare in quel mondo... e ora doveva sfruttare quello a sua disposizione per ritrovare gli altri Valorosi. Non poteva credere di essere stato l’unico a salvarsi dal disastro.

« Sora! » gridò, guardandosi bene intorno. « Po! Harry! Lara!! Dove siete!? »

Nessuna risposta. Gridò ancora, invocando a gran voce i nomi di tutti i suoi amici, ma non cambiò nulla. Anche se i suoi occhi di alieno vedevano attraverso il buio e tendeva le orecchie al massimo, non percepiva alcuna presenza nei dintorni. Il silenzio dominava incontrastato intorno a Jake, costringendolo ad accettare la realtà del momento: era solo... completamente solo.

Il Na’vi cercò di non perdersi d’animo e si rimise in marcia. Su quella stessa spiaggia ritrovò buona parte del suo equipaggiamento: il pugnale, il fucile M60, il cinturone con le granate, qualche freccia, ma soprattutto l’arco di Neyitiri. Jake era abbastanza sicuro che la sua compagna gli avrebbe staccato le orecchie a morsi se fosse tornato a casa senza l’arma appartenuta a suo padre, la quale aveva visto più battaglie di quante ne potesse immaginare. Ovviamente non vedeva l’ora di tornare su Pandora, ma adesso aveva una nuova priorità: ritrovare i suoi amici, sani e salvi.

Jake lasciò la spiaggia pochi minuti dopo, addentrandosi in un nuovo territorio: una città in rovina si ergeva davanti ai suoi occhi, cupa e silenziosa come tutto il resto. Ovunque volgeva lo sguardo, non vedeva altro che macerie e morte: edifici, automobili, tutto ciò che comprendeva l’ambiente urbano era bruciato o ridotto in frantimi. Vide inoltre un gran numero di scheletri, a cumuli, ciò che restava degli abitanti: erano dappertutto, sui marciapiedi o tra le macerie degli edifici, o ancora a bordo delle auto, come se fossero stati colpiti all’improvviso da una catastrofe... troppo in fretta, per riuscire a salvarsi.

A giudicare dall’aspetto, sembrava che l’intera città fosse stata investita da un’ondata di fuoco, distruggendo tutto nel suo raggio d’azione. In quel momento Jake riusciva a pensare a una sola arma in grado di arrecare un simile danno a una città intera... qualcosa che non aveva mai visto con i suoi occhi in vita sua, ma che da secoli era divenuta tristemente famosa per ciò che aveva saputo fare all’umanità.

Una bomba atomica.

Jake tirò un calcio a un cumulo di rottami, colmo di rabbia. Credeva di aver visto il peggio dalla razza che aveva rinnegato, ma evidentemente si sbagliava: all’orrore non c’era mai fine, e ora ci stava camminando dentro... un orrore fin troppo simile a quello accaduto su Pandora. Per un attimo gli parve di trovarsi di nuovo tra i resti bruciati dell’Alberocasa, respirando l’aria intrisa di cenere: una sciagura portata dagli umani, capaci solo di distruggere.

Di distruggere persino il loro stesso mondo.

« Maledetti... » ringhiò a bassa voce, ma ormai non riusciva più a trattenersi. Afferrò un teschio e lo lanciò in aria, urlando con quanto fiato aveva. Ne aveva abbastanza di tutto questo... di tutto l’orrore partorito dalla follia umana.

« MALEDETTI UMANI!!! »

Tacque poco dopo per riprendere fiato, ma ebbe appena un paio di secondi per farlo. Il silenzio, infatti, fu spezzato subito dal rumore di uno sparo. Jake vide una specie di raggio laser sfiorare la sua guancia e colpire il suolo poco più avanti, facendo un buco per terra. Allarmato, si voltò, l’arco in mano, e vide il suo aggressore.

Stava in piedi sopra un’auto davanti a lui: era un robot umanoide, alto circa due metri, il cui aspetto ricordava molto quello di uno scheletro. La testa, in particolare, sembrava un teschio umano, con occhi che brillavano di rosso. Era armato di fucile, puntato ora in direzione di Jake.

Il Na’vi restò in guardia, cercando di valutare la situazione.

« E tu chi diavolo sei? » chiese, ma non ottenne risposta. Il robot si limitò a osservarlo, emettendo deboli ronzii con il movimento dei suoi arti metallici. Sembrava incerto, nonostante un attimo prima gli avesse sparato.

« Ti avverto » aggiunse Jake, sollevando l’arco teso. « Mi hai colto in un momento davvero brutto... quindi, se non vuoi scoprire di cosa sono capace quando sono incazzato, ti consiglio di sparire! »

Il robot, non appena vide una freccia puntata contro di lui, reagì, aprendo il fuoco: una raffica di colpi laser esplose dal suo fucile, costringendo Jake a mettersi al riparo. Scattò di lato, correndo intorno all’auto per non disorientare l’aggressore; un colpo andò a segno sulla sua spalla, facendolo sbilanciare. Non si fermò e continuò a correre, fino a trovare riparo dietro un furgone.

« Ah, io le odio le macchine! »

Jake controllò subito la ferita: bruciava parecchio ma non era profonda... la sua fisionomia aliena lo aveva protetto ancora una volta; poteva occuparsene più tardi, ora doveva liberarsi di quel robot. Lo sentiva ancora sparare all’impazzata, e si stava avvicinando. Non aveva mai avuto a che fare con macchine simili, ma in quel momento non occorreva essere un esperto di robotica per scoprire come farlo secco: per prima cosa gli occorreva un diversivo...

Raccolse un sasso e lo lanciò in aria. Mentre il robot alzava lo sguardo e sparava al nuovo bersaglio, Jake uscì fuori e scagliò una freccia, colpendo il nemico in un occhio. Il robot non gridò, ma dal suo cranio uscirono scintille; il danno lo disorientò, cominciando a sparare in varie direzioni senza alcun controllo. Jake schivò i colpi laser e gli andò addosso, fucile alla mano. Con uno spintone buttò il robot a terra e iniziò a crivellarlo di colpi: il suo urlo di rabbia fu coperto dal suono assordante della mitragliatrice, ma non gli importava... ciò che contava era distruggere quell’ennesima minaccia che incrociava il suo cammino!

Smise di sparare e di urlare poco dopo. Il robot taceva immobile ai suoi piedi, ridotto a un ammasso di pezzi di metallo fumante. Jake lo guardò a lungo con disgusto, mentre tornava indietro con la memoria a giorni di dolore: i giorni in cui, ancora umano, viveva nel suo mondo morente, dove le macchine soffocavano intere nazioni di terra sterile.

« Fottute macchine » mormorò, distogliendo lo sguardo da quel rottame. Fece appena un passo in avanti, quando udì un frastuono rompere il silenzio sopra la sua testa; contemporaneamente fu illuminato da un fascio di luce, come se si trovasse all’improvviso sotto un riflettore. Jake alzò lo sguardo: dal cielo era giunto un velivolo, simile a un piccolo aereo, completamente in metallo e privo di abitacolo; due grosse turbine poste ai lati soffiavano l’aria, provocando un rumore assordante; emetteva il fascio di luce con cui lo puntava, come se lo tenesse sotto tiro. Jake tornò in guardia, ma le sorprese non erano finite: sulla strada erano comparsi altri robot, identici a quello che aveva appena distrutto. Erano almeno una dozzina, una truppa di scheletri metallici tutti armati di fucile laser; Jake vide i loro occhi rossi puntati contro di lui, sempre più vicini.

« Mi sembrava fosse troppo facile » borbottò, sempre più esasperato. Strinse la presa sul suo M60, pronto a opporre resistenza ancora una volta. Forse sarebbe andato incontro alla morte, ma avrebbe resistito fino alla fine... come un vero guerriero di Pandora. Un vero membro del Popolo.

Ci fu un boato, poi un’esplosione. Jake alzò lo sguardo ancora una volta, appena in tempo per vedere il velivolo colpito da una raffica di colpi laser, che lo mandarono a schiantarsi contro l’edificio più vicino.

Poi, alle sue spalle, si levarono urla e spari in quantità, appartenenti a un gruppo di uomini comparsi improvvisamente sulla scena. Sembravano soldati, ma Jake non ebbe tempo per porsi altre domande: senza aspettare di scoprire se avessero anche loro intenzioni ostili, il Na’vi si mise al riparo. I soldati erano concentrati sui robot, che camminavano senza sosta in avanti facendo piovere su di loro raffiche di colpi laser. Attraverso corpi in corsa e lampi di luce, Jake vide quegli uomini combattere con estremo coraggio: le urla del loro leader, in prima linea, sembravano sovrastare gli spari e le esplosioni, infondendo grinta alla sua truppa.

« AVANTI! PER LA LIBERTA'! PER LA VITTORIA! »

Jake si tenne a distanza mentre gli uomini avanzarono. I robot cadevano come sassi sotto i loro colpi, nonostante la grande potenza di fuoco di cui erano dotati. Quei soldati sapevano il fatto loro, doveva ammetterlo. Pochi minuti dopo, lo scontro era già finito: i robot erano stati distrutti, annientati da quel formidabile attacco; gli uomini erano sopravvissuti, anche se avevano perso alcuni compagni nell’azione. Mentre esultavano per la vittoria, il loro leader camminava tra i rottami, valutando la situazione.

« Un’altra vittoria per la Resistenza! » commentò un soldato soddisfatto. « Ormai abbiamo messo le macchine con le spalle al muro, Connor... non resisteranno ancora a lungo! »

« Bene » commentò il leader con tono piatto. Per qualche motivo, non appariva entusiasta come gli altri. Jake si avvicinò con cautela; ormai stava valutando la possibilità di fidarsi di loro... dopotutto, lo avevano appena tirato fuori dai guai.

Il nemico del mio nemico... è mio amico.

Fu allora che vide un robot rialzarsi improvvisamente da terra: anche se danneggiato, aveva ancora la forza per sollevare il fucile, dritto contro l’uomo chiamato Connor. Egli si era appena voltato, consapevole del pericolo... non avrebbe fatto in tempo a difendersi.

« Raaah!!! »

Jake saltò addosso al robot, schiacciandolo a terra con il suo peso. Gli strappò il fucile e gli sferrò un pugno alla testa, ma servì solo a farsi un gran male alla mano; il metallo di cui era fatto quella macchina era davvero duro. Il robot cercò di opporre resistenza, ma Jake era troppo grosso per lui: le sue mani trovarono il collo della macchina e tirò con tutta la sua forza... con tutta la sua rabbia... finché la testa non fu strappata via di netto.

Un attimo dopo, era tutto finito. Jake era in ginocchio sopra un altro rottame, circondato da un gruppo di uomini esterrefatti. Guardò l’uomo chiamato Connor, che gli restituì ben più dello sguardo incredulo dei suoi soldati; costui era un uomo di mezz’età, l’aria indurita, il volto sfregiato da profonde cicatrici sul lato sinistro. Indossava una specie di uniforme militare improvvisata, come il resto della sua truppa. Quando fissò lo sguardo di Jake, sembrava molto più incredulo degli altri, quasi come se avesse visto un fantasma.

« Marcus? » sussurrò.

Jake non sembrò capire, e si rialzò in piedi.

« Heh... prego, non c’è di che » gli rispose, deluso per non aver sentito nemmeno un “grazie”.

« Fermo dove sei! »

« Getta l’arma, subito! »

Accadde quello che si aspettava fin dall’inizio. In un attimo si trovò sotto tiro da una decina di fucili, imbracciati da quegli stessi uomini che poco prima lo avevano salvato. Jake restò al suo posto, ma si rifiutò di gettare le armi; gli umani non meritavano la sua obbedienza, né la sua sottomissione... mai più.

« Mi hai sentito? Getta l’arma! »

« Ma cos’è? Non sembra una macchina... »

« No, il bioscanner risulta positivo. »

« ...ha distrutto quel T-800 a mani nude... »

« Ma allora chi diavolo è? »

« FERMI! »

Era stato Connor a gridare, facendo tacere quel flusso ininterrotto di voci da parte dei suoi uomini.

« Giù le armi » ordinò, mentre si avvicinava a Jake senza alcun timore. Il Na’vi lo guardò dall’alto come al solito, ma all’improvviso si sentì a disagio: c’era qualcosa di strano in quell’uomo, ma non sapeva spiegarsi cosa. Perciò rimase in silenzio, aspettando di sapere cosa avrebbe fatto Connor.

« Sei una macchina? » domandò l’uomo.

« No. »

« Come ti chiami? »

« Jake Sully. »

« Uhm... »

Connor tornò a guardare i suoi uomini, in attesa di ordini.

« Voglio una nuova scansione. »

Un soldato si fece avanti, estraendo un congegno dalla tasca. Jake fu illuminato per qualche secondo da un fascio di luce verde, ma poi cessò.

« Bioscanner positivo, signore » confermò il soldato. « Non c’è neanche un grammo di metallo nel suo corpo... è completamente organico. »

« Bene » affermò Connor. « Signori, costui ha appena salvato il vostro comandante da una macchina... direi che merita il nostro rispetto, non trovate? Dopotutto... il nemico del mio nemico è mio amico. »

Si levò un mormorio d’assenso tra la truppa, divenuti improvvisamente d’accordo sulla faccenda.

Jake emise un gemito di dolore. La ferita alla spalla bruciava e continuava a sanguinare. Connor se ne accorse.

« Ti portiamo con noi » dichiarò. « Al campo base potrai essere curato. »

Il Na’vi acconsentì, senza obiettare in alcun modo. Ancora non ne comprendeva il motivo, ma sentiva di potersi fidare di quegli uomini... del loro comandante in particolare.

Poco dopo, Jake e i soldati erano nel loro accampamento, in uno spiazzo ai margini dell’area urbana in rovina. Esso era composto da una serie di tende, veicoli e attrezzature varie, recintato con lamiere e filo spinato: sembravano aver ricavato ogni cosa con mezzi di fortuna. Di certo quella gente stava attraversando un periodo difficile. Jake seguì Connor all’interno dell’accampamento, dal quale fu invitato ad accomodarsi nella sua tenda; anche se era ampia, era così grosso che fu costretto ad accovacciarsi per entrare.

« Voglio parlargli da solo » ordinò Connor ai suoi uomini, prima di entrare. « E mandatemi Arnie. »

« Sì, signore. »

Jake sedette a terra, posando le armi accanto a sé, mentre l’uomo si avvicinava a lui con un kit di pronto soccorso. Il Na’vi si lasciò esaminare e medicare senza fiatare, tanto era pervaso da una strana sensazione: la stessa che aveva provato a bordo del Titanic... un senso di familiarità e di sicurezza che non sapeva spiegarsi.

« Sorprendente » commentava Connor nel frattempo, mentre gli fasciava la spalla. « Sei stato colpito da un fucile fasato plasma e hai poco più che un graffio... qualsiasi uomo al tuo posto sarebbe stato ridotto a un colabrodo. »

« Io non sono un uomo » ribatté Jake, raggelando il suo tono di voce.

« Certo, scusa... non volevo mica offendere. A proposito, non ci siamo ancora presentati come si deve. Il mio nome è John Connor, sono il leader della resistenza contro le macchine... l’ultima speranza per il genere umano, come dicono in tanti. Non so se riesci a capire tutto questo... non sembri di queste parti. »

« In effetti no. Vengo da un altro mondo. »

Connor fece una smorfia simile a un sorriso, e dopo aver finito di medicarlo prese posto su una sedia davanti a Jake.

« Lo sospettavo. Non ho mai creduto che tu appartenessi alle macchine, come temevano i miei uomini... ma dovevo rassicurarli. »

Jake assunse un’aria curiosa. Connor sapeva cosa stava succedendo, proprio come gli abitanti di Burton Castle: sapeva di trovarsi in un altro mondo, di essere stato strappato dal suo per volontà di Nul. Dunque era anche lui un eroe, scelto per combattere in questa assurda guerra...

« E tu da dove vieni, Connor? »

« Da un altro mondo, proprio come te » gli rispose. « Non è molto diverso da quello in cui ci troviamo adesso, in verità: un mondo buio, spezzato... consumato dal fuoco di una guerra nucleare.

« Tutto è cominciato con Skynet, una rete di supercomputer progettata alla fine del ventesimo secolo. Quando il sistema venne messo in funzione, disponendo di una volontà propria ed utilizzando tutte le armi atomiche statunitensi, Skynet diede il via a un attacco nucleare contro l'umanità. Tre miliardi di vite umane si spensero il giorno 29 agosto del 1997. I sopravvissuti dell'olocausto nucleare, me compreso, chiamarono quella guerra "il giorno del giudizio". E sopravvivemmo solo per affrontare un nuovo incubo... la guerra contro le macchine. »

Connor tacque un attimo per riprendere fiato. Nel frattempo Jake appariva sconvolto, dopo aver sentito una storia del genere: aveva intuito che la distruzione in quel luogo fosse stata causata da un’esplosione atomica, ma non avrebbe mai immaginato la realtà appena ascoltata.

« Skynet vedeva tutti gli uomini come una minaccia, nonostante avesse già distrutto la nostra società » riprese Connor, « e decise il nostro fato in un microsecondo: sterminio. Così diede inizio alla creazione e alla produzione di un esercito di robot, programmati per ucciderci senza pietà... i Terminator. Li hai visti anche tu, là fuori... sebbene fossero solo una piccola truppa d’assalto. Il vero problema sono i cyborg: unità d’infiltrazione, parte uomo, parte macchina. Sotto hanno un telaio da combattimento in superlega controllato da un microprocessore, ma al di fuori è un normale tessuto umano vivo. Carne, pelle, sangue, capelli, elaborati per i cyborg allo scopo di infiltrarsi tra noi... e ucciderci. »

Jake si voltò, verso l’ingresso della tenda. Sentì il rumore dei suoi passi prima che attraversasse la soglia, cosa che avvenne pochi secondi dopo: un uomo molto alto e corpulento, tipo un culturista, con corti capelli bruni, la fronte ampia e la mascella pronunciata. Indossava un’uniforme come Connor ma il suo sguardo era gelido, come se non provasse alcun genere di emozioni.

« Ah, eccoti qua » disse Connor tranquillo. « Giusto in tempo, stavo per parlare appunto di te. »

L’uomo non disse una parola, e rivolse lo sguardo su Jake.

« Non riesco a identificare la natura del suo organismo » dichiarò con tono piatto. « Appartiene a una specie sconosciuta. Questo manda in confusione il mio sistema di rilevamento. »

« Grazie, Arnie. Comunque non c’è pericolo, Jake Sully è ora un nostro alleato. »

« Arnie? » ripeté Jake, confuso.

Lo aveva capito subito, naturalmente: quel tipo non era umano, almeno non del tutto. Il suo odore era strano, come se all’interno fosse pieno di metallo. Poi Jake ricordò l’ultima parte del racconto di Connor, quella riguardante i cyborg... dunque “Arnie” doveva essere uno di loro.

« Tranquillo, Arnie è un amico » spiegò Connor a Jake, « ...se così si può definire. È un Terminator, la mia personale guardia del corpo: lo abbiamo catturato e riprogrammato, così ora combatte al nostro fianco. »

« Dunque è un robot? »

« Organismo cibernetico » lo corresse Arnie. « Cyberdyne Systems modello 101. Tessuto vivente su endoscheletro metallico. »

« Sì, ormai lo sappiamo » disse Connor. « Arnie mi è stato molto utile negli ultimi tempi. Inoltre doveva servire a uno scopo diverso, prima che io, lui e i miei uomini finissimo in questo mondo. »

« Che genere di scopo? » chiese Jake.

« Nel mio mondo, la guerra contro le macchine dura da anni. Dopo il giorno del giudizio, io sono riuscito a radunare molti uomini e a formare la Resistenza contro Skynet, e a guidarla in una sanguinosa guerra decennale. Se non fosse stato per me, non saremmo arrivati così vicini alla vittoria finale sulle macchine... ormai stavamo avendo la meglio su quei luridi bastardi. Skynet, messo alle strette, aveva deciso di ricorrere a una risorsa estrema pur di togliermi di mezzo: inviare un cyborg nel passato attraverso un viaggio temporale, con lo scopo di scongiurare la minaccia che avrei causato durante la guerra. Un Terminator cercò di uccidere mia madre, prima che potesse mettermi al mondo... e un altro fu inviato per uccidere me quando ero un bambino; mi stavo preparando a scongiurare quest’ultimo pericolo, inviando Arnie nel passato a proteggermi, quando è accaduto tutto questo. »

Connor tacque di nuovo.

« Cosa è successo, esattamente? » domandò Jake.

« Difficile dirlo. Ho solo un vago ricordo di quegli ultimi istanti: vidi un’ombra gigantesca levarsi dall’orizzonte e diventare sempre più grande, avvolgendo il mondo intero nell’oscurità. Persi conoscenza, e quando rinvenni mi ritrovai in un luogo completamente diverso: una specie di enorme discarica ricolma di rovine. In breve tempo mi ricongiunsi con Arnie e un pugno dei miei soldati, ma non trovai nessun altro proveniente dal mio mondo... a parte le macchine. E da allora la battaglia è ricominciata, senza un attimo di tregua. »

Jake, non avendo nulla da dire, si limitò ad annuire. Dunque Connor e i suoi uomini avevano subito la sua stessa sorte... strappati dal loro mondo di origine, proprio come lui e gli altri Valorosi. Lo stesso si poteva dire per il luogo in cui si trovavano adesso: chiaramente doveva trattarsi di un “frammento” del mondo di Connor, come nel caso di Burton Castle o della scuola di Harry Potter.

Un mondo che Jake non aveva mai immaginato prima d’ora. Aveva sempre dato per scontato che non potesse esistere un mondo peggiore della sua Terra d’origine: una Terra inquinata, malata, devastata dall’inarrestabile invadenza dell’umanità; ma il mondo di Connor e delle macchine, al suo confronto, era un vero inferno... una Terra bruciata dal fuoco della guerra. Inoltre, l’uomo non sembrava dare molto peso all’idea di essere stato portato in un nuovo mondo... dopotutto, perché avrebbe dovuto sentire la mancanza di un mondo devastato da una guerra nucleare?

Un solo nuovo elemento risvegliò la sua curiosità, un piccolo dettaglio nel racconto di Connor: l’ombra che disse di aver visto prima di arrivare nel Cimitero dei Mondi; non aveva idea di cosa fosse, ma cercò di tenerlo a mente... poteva servire per far luce su questo enorme mistero.

Ma Connor sembrava non conoscere ciò che Jake definiva “le regole del gioco”. Non sapeva di Nul, né del suo folle passatempo, perciò il Na’vi prese la parola per spiegare tutto ciò che aveva appreso sulla faccenda. Parlò anche dei suoi compagni Valorosi, ora dispersi, e del suo tentativo di ritrovarli.

« Tu cosa ne pensi, Arnie? » disse infine, rivolgendosi al cyborg. « Tu, Connor e gli altri siete giunti su questo mondo, costretti a continuare la vostra battaglia contro le macchine... questa è la volontà di Nul, l’essere che comanda qui. Lui vi sta solo usando come pedine di un gioco... sei disposto a fare il suo gioco e vedere come va a finire? »

Arnie, che era rimasto immobile per tutto il tempo, rigido come una roccia, rispose meccanicamente alla domanda.

« La mia missione è assicurare la sopravvivenza di John Connor. Tutto il resto è irrilevante, per me. John Connor è l’ultima speranza del genere umano, deve sopravvivere ad ogni costo. Per questo, ovunque lui vada, io continuerò a seguire la mia direttiva. »

Jake tornò a guardare Connor. L’uomo aveva l’aria cupa, ma non sconfitta. Era evidente che ad uno come lui non bastava trovarsi in un altro mondo per gettare la spugna... non dopo tutto quello che aveva passato nella sua vita. Era un vero guerriero, che combatteva per la libertà del suo popolo: ecco perché Jake aveva sentito quasi subito di potersi fidare di lui, proprio come se fosse un fratello o un altro dei Valorosi.

« Credevi che io fossi qualcun altro, prima » disse Jake infine. « Mi hai chiamato Marcus, ma evidentemente hai sbagliato persona. Chi sarebbe questo Marcus? »

« Uno che conoscevo » rispose Connor. « Un uomo usato da Skynet per infiltrarsi e uccidermi, dopo che lo avevano trasformato in cyborg. Anche se sei un alieno ho notato subito l’incredibile somiglianza sul tuo volto... avete persino la stessa voce; per questo ho pensato innanzitutto che tu fossi un altro esperimento di Skynet e ho richiesto una scansione del tuo organismo. »

« Costui è morto, dunque? »

« Da dieci anni, dal mio punto di vista. Devo la vita a Marcus, perché ha sacrificato la sua per permettermi di sopravvivere. »

Connor concluse portandosi la mano sul cuore, come se il gesto facesse parte del ricordo.

« Beh, credo di averti detto tutto » aggiunse poco dopo. « Ora non resta che decidere cosa fare con te, Sully. Purtroppo non so nulla dei tuoi amici: ti aiuterei volentieri a cercarli, ma attualmente non ho idea di come potremmo localizzarli, e avventurarsi là fuori senza una meta precisa – con tutti quei Terminator in giro – sarebbe una follia. Io devo pensare ai miei uomini, per il momento. »

Jake annuì, perfettamente d’accordo, e nel frattempo si alzò in piedi. La sua testa sfiorò il soffitto della tenda, ma non ci badò.

« Ti capisco » disse. « Al tuo posto prenderei le stesse decisioni. Questi uomini sono tuoi compagni, la tua famiglia... i tuoi fratelli: sono tutto ciò che ti resta del tuo mondo. Io stesso mi stupisco di quanto possa capirlo... ma anche se non ti ho mai visto prima in vita mia, ho avvertito fin da subito una sensazione di familiarità in te. È come se anche noi due avessimo un legame profondo, come quello tra i fratelli... come se... »

« Come se fossimo nati dallo stesso padre » completò Connor, improvvisamente sorpreso. « Hai ragione, ho avuto la stessa sensazione anch’io. Mi hai ispirato subito fiducia, dopo aver capito che non eri mio nemico. Per questo intendo aiutarti come posso... e sarò onorato di combattere al tuo fianco. »

Tese la mano a Jake; questi la strinse quasi subito, facendo un sorrisetto. Dal suo punto di vista era come stringere la mano a un bambino, ma il valore di quel gesto superava di gran lunga le apparenze.

Arnie, rimasto ad osservare tutta la scena in silenzio, prese improvvisamente la parola.

« Arriva qualcuno » dichiarò.

Jake e Connor si voltarono verso l’ingresso: pochi attimi dopo entrò un soldato nella tenda, in evidente stato di allarme.

« Connor... siamo nei guai » esclamò. « Le macchine ci hanno trovato... stanno arrivando! »

« Cosa? »

« Dice la verità » osservò Arnie. « I miei sensori hanno appena rilevato la presenza di una grande concentrazione di macchine a sud, in avvicinamento. »

« Maledizione » brontolò Connor. « Quanti sono? »

« Non lo sappiamo con certezza, signore... almeno un centinaio di T-800, e diversi HK aerei e terrestri. Inoltre... hanno un nuovo modello di Terminator, sembra: uno solo, gigantesco... mai visto nulla del genere. »

« Diosanto... »

Connor era sconvolto. Non si aspettava di ricevere una notizia così grave: un esercito di macchine stava per piombare addosso al suo gruppo... e non poteva impedirlo in alcun modo. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo... il suo futuro era stato già scritto, nonostante avesse tentato in tutti i modi di cancellarlo. Ma i giorni della fuga erano terminati ormai da un pezzo: restavano i giorni della guerra, anche se quello non era più il suo mondo. Il suo sguardo si spostò da Jake ad Arnie, entrambi determinati a restare al suo fianco; sapeva anche questo, perciò la decisione era una sola.

« Molto bene » dichiarò Connor, ricomponendosi. « Andiamo là fuori e distruggiamo quei maledetti. »

L’uomo afferrò il suo fucile e uscì dalla tenda, seguito dai suoi compagni. In pochi minuti radunò ogni membro della Resistenza, ordinando loro di prendere tutto il necessario per una battaglia all’ultimo sangue; i soldati obbedirono, già all’opera per prepararsi a ciò che stava arrivando. Arnie andò in avanscoperta, armato di una gigantesca mitragliatrice, per tenere d’occhio la situazione; Jake lo seguì per dargli una mano, poiché i suoi sensi animaleschi potevano tornare utili. Connor si occupò invece di motivare la sua squadra con quello che poteva essere l’ultimo discorso.

« Ci siamo, ragazzi. Ancora una volta, ci siamo... siamo dove siamo sempre stati negli ultimi dieci anni, davanti a eserciti di macchine con un’arma carica. Siamo dove resteremo in futuro... finché i nostri stivali non spazzeranno via a calci le briciole in cui avremo ridotto Skynet! Perciò ricordate, ragazzi: noi non stiamo andando incontro alla morte, ma solo a un altro manipolo di fottute macchine! E presto si renderanno conto a loro spese... che noi siamo la Resistenza! »

« SIIII!!! »

Gli uomini alzarono le loro armi al cielo, seguendo Connor. Jake riuscì quasi a sorridere nel vederli così determinati: quella scena, quelle parole, gli ricordavano molto il giorno in cui aveva spronato il suo clan a muovere guerra contro gli umani, dopo che questi avevano distrutto l’Alberocasa. Perciò promise a se stesso, mentre si univa a Connor nella marcia contro il nemico, che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarlo a vincere questa battaglia.

Lo scontro ebbe inizio poco dopo, appena usciti dall’accampamento. Tra le strade in rovina di quella città senza nome erano comparsi i Terminator, molto più numerosi di quelli abbattuti in precedenza. Un’enorme formazione di androidi, freddi e spietati, in marcia contro il nemico che avevano l’ordine di annientare: Jake vide centinaia di occhi rossi brillare tra la nebbia e il buio, e l’argenteo metallo scintillare alla poca luce offerta dall’ambiente. La Resistenza avvistò inoltre vari HK: una coppia di velivoli che solcavano il cielo sopra i Terminator, e tre Tank che macinavano il terreno con i loro pesanti cingoli.

Dietro tutto questo, Jake scorse ciò che aveva allarmato il soldato nella tenda: la macchina che non erano stati in grado di identificare aveva un aspetto molto diverso dalle altre. Alta tredici metri, sembrava una specie di mezzo corazzato che si muoveva su due gambe, la cui forma ricordava vagamente quella di un dinosauro senza coda; era dotato di un lungo cannone sul lato destro, mentre sul sinistro recava una piastra metallica circolare. Camminava lento, facendo tremare il terreno ad ogni passo.

« Uhm, è grosso... ma ho visto di peggio » commentò il Na’vi mentre stringeva la presa sulla sua nuova arma, il cannone laser più grosso che la Resistenza potesse prestargli. « Che ne pensi, Connor? Se sai come abbattere quell’affare, sono pronto ad ascoltare i tuoi consigli. »

« Spiacente, non ho mai visto nulla del genere » gli rispose l’uomo. « Arnie, analizzalo... dammi dettagli sulle sue capacità offensive! »

Mentre la Resistenza manteneva la posizione, il cyborg rivolse lo sguardo su quel robot gigantesco.

« Identificazione fallita » dichiarò dopo qualche secondo. « Modello sconosciuto. Lo stile di progettazione non corrisponde a quello Cyberdyne Systems. I miei sensori non riescono a localizzare alcun microprocessore. Mitragliatrici XGAU-8R installate sulla testa; lanciamissili terra-aria AGM-114P sulle ginocchia; cannone a rotaia; laser a fusione liquida sotto l'abitacolo. »

Connor e Jake si scambiarono un’occhiata. Entrambi ne sapevano abbastanza di armamenti da capire che quella macchina era dotata di mezzi estremamente letali: avrebbe potuto annientare un intero esercito da sola, senza l’aiuto dei Terminator. Apparentemente Skynet aveva tirato fuori un nuovo giocattolo contro gli umani.

E nel frattempo, le macchine procedevano la loro lenta marcia...

« Ok, ho un piano » disse Connor poco dopo. « Sully, il tuo aiuto sarà fondamentale... innanzitutto ripetimi cos’è successo quando hai affrontato quel Terminator. »

Jake rimase incerto per un attimo, poi obbedì, raccontando brevemente ciò che gli fu chiesto.

« Molto bene » riprese Connor alla fine. « Questo, insieme a ciò che ha detto Arnie nella tenda, conferma la mia ipotesi: i Terminator sono programmati per attaccare e uccidere gli umani, nient’altro. Il Terminator non ti ha attaccato subito a causa della tua fisionomia aliena, quindi le macchine non possono identificarti subito come una minaccia... ma quando le attacchi, allora reagiranno per difendersi. »

« Mi fa piacere... e allora? »

« Il piano è questo. Sully, tu andrai in avanscoperta senza attaccare. Le macchine resteranno in attesa dopo averti avvistato, non sapendo se sarai una minaccia. Avvicinati più che puoi, affinché tutti quei maledetti abbiano gli occhi puntati su di te... e quel punto noi sfrutteremo la loro apertura e li colpiremo! »

Jake era senza parole. Il piano di Connor non lo convinceva nemmeno un po’, visto che doveva praticamente buttarsi a capofitto contro l’esercito nemico. Eppure doveva fidarsi... come se quell’ordine provenisse da suo fratello; perciò, riponendo le armi dietro la schiena, sfoggiò il suo solito sorrisetto e guardò in avanti.

« E andiamo! »

Il Na’vi uscì con cautela dal suo riparo. Connor, Arnie e gli altri soldati restarono dov’erano, pronti a fornire fuoco di copertura al minimo accenno di pericolo. Jake continuò a camminare, avvicinandosi ai Terminator che ormai erano a meno di cento metri di distanza; le macchine lo individuarono subito e si fermarono, osservandolo. I T-800 e gli HK, anche i velivoli, puntarono tutti i sensori ottici su di lui, incapaci di identificarlo. Il cuore di Jake batteva forte nel suo petto, ma solo per la tensione: non aveva paura di loro... non di un ammasso di ferraglie ambulanti.

Ormai era di fronte a loro quando sentì un urlo in lontananza.

« SUUUULLLY!!! »

Jake alzò lo sguardo. Fece appena in tempo a scansarsi, prima che una feroce scarica di proiettili si abbattesse sul terreno su cui stava poggiando i piedi un attimo prima. I Terminator rimasero fermi, ancora incerti sulla situazione. Jake alzò lo sguardo e vide la gigantesca macchina simile a un dinosauro: i colpi, ma soprattutto l’urlo, provenivano da essa...

Una nuova serie di colpi esplosero alle sue spalle. La Resistenza aveva deciso di attaccare, dopo aver capito che Jake era in pericolo; i Terminator lo ignorarono e risposero al fuoco, e tutt’intorno scoppiò un nuovo inferno. Una pioggia di colpi laser ed esplosioni, da cui presto sarebbe sgorgato molto sangue.

Nel frattempo, la macchina che aveva aggredito Jake si era fatta avanti, illuminando la sua preda con un fascio di luce.

« Sully! » il nuovo urlo sovrastò il rumore degli spari, amplificato da un altoparlante. Quella voce...

« Quaritch? » fece Jake, incredulo.

« Risposta esatta, ragazzo! » rispose. « Ti piace il mio nuovo giocattolo? L’ho trovato al Cimitero dei Mondi dopo il nostro ultimo incontro. È davvero un’arma fenomenale... un carro armato bipede con capacità di attacco nucleare. Gli uomini che lo hanno inventato lo hanno chiamato Metal Gear REX... è abbastanza per schiacciarti come l’insetto che ora sei! »

Non appena smise di parlare, la macchina sollevò uno dei suoi enormi piedi, dritto contro Jake. Il Na’vi si scansò un’altra volta, visibilmente stordito da quella nuova, inquietante rivelazione: il colonnello Quaritch era ai comandi del Metal Gear!

Ora capisco perché Arnie non lo identificava... non è un robot di Skynet. Quel figlio di puttana lo sta pilotando dall’interno...

Jake non perse tempo a rifletterci sopra. Recuperò il mitra dalla sua schiena e cominciò a sparare: il Metal Gear era così grosso che non poteva sbagliare mira, ma i proiettili non penetrarono in profondità; era lento, ma anche pesantemente corazzato. Cercò allora di mettersi al riparo, perché Quaritch sparò una nuova raffica di proiettili; si fece largo tra i robot, e alcuni di essi furono abbattuti dal fuoco amico. Quaritch non si faceva alcuno scrupolo nell’abbattere quegli alleati occasionali... gli importava solo di raggiungere e uccidere la sua nemesi.

« Non mi sfuggirai stavolta, lurido codardo! »

Le ginocchia del REX si aprirono, e da esse fuoriuscirono una decina di missili che puntarono subito su Jake. Il Na’vi affrettò il passo: un gruppo di missili esplose alle sue spalle, e l’onda d’urto lo gettò a terra; cercò di rimettersi subito in piedi, ma l’altro gruppo di missili stava per raggiungerlo...

I missili esplosero improvvisamente a mezz’aria, colpiti da una raffica di laser. Jake si voltò e vide Arnie, giunto in suo soccorso con un cannone tra le mani; accanto a lui c’era Connor, l’aria dura come al solito.

« Stai bene, Sully? » chiese l’uomo.

« Sì, sì... abbiamo un problema enorme, però! Quella macchina » e indicò il Metal Gear « mi vuole morto! È pilotata dal mio nemico, il colonnello Quaritch... sta sfruttando questa battaglia solo per uccidere me! »

« Deve essere stato lui ad attirare le macchine in questo settore, allora » osservò Connor.

« Ormai non ha importanza » tagliò corto Jake. « Non ho altra scelta, chiuderò i conti con quel rompipalle una volta per tutte. Devo solo tirarlo fuori da quella macchina e infilzarlo con una freccia... ma le sue armi sono micidiali, non riesco ad avvicinarmi. »

« La priorità è disabilitare il suo sistema di mira » disse Arnie. « Il radome situato sulla spalla sinistra ospita molteplici sensori elettronici collegati ad una interfaccia di realtà virtuale all'interno della cabina di pilotaggio. La distruzione del radome interromperà l’alimentazione, disabilitando l’interfaccia. »

Jake rivolse lo sguardo sul Metal Gear, indirizzandolo sul punto indicato da Arnie: la piastra metallica circolare sulla spalla sinistra.

« Colpire il radar » disse per semplificare. « Ricevuto! »

I rumori della battaglia parvero aumentare di colpo intorno a loro, come se fosse ripartita l’azione. Un tank HK era stato appena distrutto dall’artiglieria pesante, e l’esplosione aveva coinvolto i Terminator più vicini. Connor guardò i suoi uomini, visibilmente preoccupato.

« Non posso lasciarli indietro » dichiarò. « Dovrai cavartela da solo, Sully. Aiutalo, Arnie » aggiunse, rivolgendosi al cyborg.

« Affermativo » rispose Arnie.

E Jake e Arnie s’incamminarono verso il nemico. Erano proprio una coppia insolita, un alieno e un cyborg, entrambi rinnegati dai popoli in cui avevano avuto origine... pronti a combattere per proteggere gli innocenti. Jake pensò a questo mentre caricava il suo cannone laser, e sorrise orgoglioso ad Arnie... un gesto che tuttavia non fu ricambiato. Era come parlare ad una statua.

Quaritch aveva fermato il Metal Gear, come per decidere con calma la prossima mossa. I due avversari si fermarono al suo cospetto, armi in pugno, in un’area ormai resa sgombra a causa dello stesso REX. Quella era una battaglia privata, lontana da quella meno importante tra macchine e umani.

« Lui vuole solo me » spiegò Jake ad Arnie. « Perciò sarò il suo obiettivo principale. Tu pensa ad attirare la sua attenzione, mentre io abbatto quel radar. »

Arnie annuì, e un secondo dopo aveva già aperto il fuoco contro il Metal Gear. La sua mitragliatrice laser scagliò una raffica di colpi contro il muso della macchina, che tuttavia rimase al suo posto: il REX contrattaccò con i suoi mitra; Arnie avanzò lentamente, incurante dei proiettili che trapassavano il suo corpo di cyborg. Jake ne approfittò per scattare di lato, sparando con la sua arma alla spalla sinistra del REX.

« Dove credi di andare, tu?? »

Quaritch non aveva bisogno di concentrarsi su un avversario alla volta. Dalla schiena del REX partì infatti una nuova raffica di missili, ancora una volta dritti contro Jake. Questi interruppe l’attacco e iniziò a correre, saltando sopra alcune rocce; i missili si schiantarono uno dopo l’altro alle sue spalle, mancandolo per un soffio. Sentì il fuoco delle esplosioni scottargli la schiena, ma non ci badò: doveva porre fine a quello scontro al più presto, o non avrebbe avuto scampo. Salì il più in alto possibile, fino ad avere l’obiettivo di fronte a sé: la spalla sinistra del Metal Gear, sulla quale era situato il sistema radar. Arnie era ancora impegnato a far fuoco su di lui, benché ormai apparisse malconcio... non poteva resistere ancora a lungo.

Jake mise da parte il cannone e afferrò l’arco; prese una granata e la legò alla punta di una freccia. Era così che doveva finire. Il bersaglio era lontano, ma ben più facile da centrare della narice di un Taolioang di Pandora... fece un respiro profondo, tese la corda e lasciò andare.

La freccia con la granata prese in pieno la piastra, ed esplose al suo tocco con un botto fragoroso. Il Metal Gear subì una spinta all’indietro, ma non cadde: con i suoi arti posteriori fu in grado di resistere all’urto, e in breve tempo riprese l’equilibrio.

« Argh! » fece Quaritch dall’interno dell’abitacolo. « Maledetto... aspetta che ti prendo, Sully, e dopo non resterà più niente di te! »

Jake rimase sulla roccia, osservando il Metal Gear mentre si muoveva freneticamente a destra e a sinistra e sparava a vuoto, come se fosse disorientato. Arnie fu colpito da una pedata e fece un volo di parecchi metri. La vista del radar che cadeva a pezzi dalla spalla del REX parlava chiaro: aveva distrutto il suo sistema di mira.

« Dove sei, maledetto? Dove seiii?? »

« Sono qui, imbecille! » urlò Jake. « Mi vuoi? Scendi giù dal tuo trabiccolo e affrontami da uomo! »

Il Metal Gear si fermò. Jake vide il “muso” della macchina aprirsi, come se fosse una bocca: ora lo vedeva chiaramente, il colonnello Quaritch, ai comandi di quel mostro metallico.

« Come vuoi, Sully » dichiarò il militare, guardandolo. « Non ho bisogno di un radar per guardarti in faccia... né per ridurti a un colabrodo! »

Una nuova raffica di colpi esplose dalle mitragliatrici, frantumando la roccia ai piedi di Jake. Questi si scansò un’altra volta, ma non trovò appiglio e scivolò giù, rovinando pesantemente al suolo. Cercò subito di rimettersi in piedi, quando un’ombra apparve sopra di lui: il Metal Gear lo aveva agganciato, e un enorme raggio laser lo colpì sulla schiena.

Un dolore immenso invase la mente e il corpo di Jake, annebbiando i suoi sensi. Non vedeva più nulla, non sentiva più nulla... e non riusciva a muoversi. Gli parve di essere tornato in Venezuela, pochi attimi dopo che una pallottola aveva forato la sua spina dorsale, costringendolo a dire addio alle sue gambe.

Stava precipitando nel buio, ancora una volta... e questa volta non sarebbe più tornato.

« Io sono con te, Jake... siamo uniti per sempre. »

Jake aprì gli occhi. Lei era davanti ai suoi occhi, sopra di lui, radiosa e splendente come l’alba su Pandora. La sua mano gentile era tesa verso di lui, come per invitarlo ad afferrarla... a seguirla. No, per dargli la forza di cui aveva bisogno per andare avanti...

La forza per combattere, vincere... per tornare a casa!

« Sì, Neytiri... per sempre! »

Lei sorrise, e svanì nella luce.

Jake era di nuovo in piedi, tra le tenebre e il fuoco della battaglia contro le macchine. Sentiva male dappertutto, ma era vivo... pronto a finirla una volta per tutte.

« CREPA! »

Il Metal Gear stava per schiacciarlo con una pedata, ma riuscì a scansarsi. Jake si allontanò il più possibile per avere la giusta distanza di tiro: ora che l’abitacolo era scoperto, gli sarebbe bastato finire quel bastardo con una freccia. Si voltò dopo una breve corsa; Quaritch avanzò, ma il suo cammino fu fermato improvvisamente da un colpo laser.

« Cosa...? »

Jake alzò lo sguardo. Un HK aereo aveva iniziato ad attaccare il Metal Gear, tempestandolo con una raffica di colpi laser. Anche alcuni Terminator avevano aperto il fuoco contro di lui, mirando con precisione all’abitacolo. Jake sentì Quaritch urlare, incapace di mettersi in salvo da un simile attacco: il fumo e le esplosioni coprirono ben presto la sua visuale, impedendogli di vedere.

« Ma che succede? »

« Le macchine hanno identificato l’umano all’interno della macchina » disse una voce accanto a lui. Arnie era tornato, malconcio e danneggiato, ma ancora in piedi. « Dopo che ha aperto l’abitacolo, si è reso visibile ai nostri sensori... e ai loro. »

Jake non disse nulla. Come poteva dargli torto? Ora Quaritch stava pagando caro per il suo errore: i Terminator sparavano a volontà contro di lui, danneggiando pesantemente il Metal Gear. Il colonnello riuscì tuttavia a reagire, perché una nuova raffica di missili partì da un ginocchio ed esplosero sull’HK, abbattendolo: il velivolo si schiantò a terra, schiacciando i robot.

All’improvviso era calato il silenzio. Jake si avvicinò con cautela al Metal Gear, ridotto ormai a un rottame fumante ma ancora in piedi. L’abitacolo, staccatosi da esso, era ora riverso a terra, rovesciato da un lato. Il Na’vi trovò Quaritch tra quei resti, immobile e ricoperto di sangue. Fissò quel corpo in un mix di soddisfazione e disgusto, pur mantenendo salda la presa sul suo arco; ormai aveva imparato a non abbassare mai la guardia, con individui del genere.

E infatti...

« Urgh... »

Quaritch aveva aperto gli occhi; vide Jake e cominciò a venir fuori dall’abitacolo, strisciando al suolo con le sue poche forze. Aveva una pistola, e la forza per impugnarla insieme a uno sguardo omicida.

« Ma cosa credi di fare? » mormorò Jake, guardandolo dall’alto come un falco sulla preda. « È finita, vecchio... hai perso. »

« Non... non è finita » biascicò Quaritch, sempre più vicino. « Non è finito niente... finché respiro... Sully! Ti uccido, dannato scimmione blu... userò la tua pellaccia come pigiama... con la tua coda farò uno scopettone… e userò le tue palle come portachiavi! »

Sotto lo sguardo sempre più incredulo di Jake, l’uomo si alzò in piedi. Il braccio sinistro penzolava inerte lungo il fianco, ma con il destro riuscì a sollevare la pistola. Poteva quasi ammirare la sua forza di volontà, se non fosse stato così pazzo.

« Tornerò indietro, Sully... e ti giuro che finirò quello che... avevamo cominciato. Il tuo “popolo”... i tuoi amichetti... la tua ragazza... moriranno tutti! »

Bang!

Quaritch crollò subito a terra, dopo che si era aperto un buco sulla sua fronte. Jake rimase esterrefatto per un attimo, visto che non era stato lui a sparare, poi si voltò: Arnie era in piedi alle sue spalle, la pistola ancora in mano.

« Hasta la vista, baby » dichiarò, freddo come al solito. Jake non sembrò capire, ma decise di lasciar perdere.

« Grazie. »

Molte voci echeggiavano ora tutt’intorno. Sotto lo sguardo indeciso del Na’vi, Connor e gli uomini della Resistenza si stavano avvicinando ai resti del Metal Gear: malconci ma ancora in piedi, erano in gran numero, ma comunque inferiore a prima che iniziasse la battaglia. Molti uomini erano stati uccisi per mano delle macchine... un tributo di morti inevitabile, da qualsiasi mondo si provenisse.

« State bene? » domandò Connor, mentre osservava lo sfacelo nei dintorni. Jake annuì e spiegò rapidamente ciò che era successo; non servirono molte parole per dimostrare una realtà già palese... la battaglia era stata vinta. Le macchine erano state distrutte, e gli uomini erano sopravvissuti.

Jake sembrava comunque non badarci molto. La sua mente navigava in acque più lontane: mentre tornava a fissare il cadavere di Quaritch ai suoi piedi, pensò a quante ne aveva passate solo per arrivare a questo momento. La sfida organizzata da Nul, eroe contro nemesi, dalla quale solo uno sarebbe sopravvissuto. Ora il nemico era morto, e nemmeno per mano sua: era dunque finita? Gli sarebbe stato concesso di tornare a casa?

« Qui abbiamo finito, a quanto pare » dichiarò Connor, riprendendo la parola. « Skynet ha perso ancora una volta, contro di noi... le macchine non vinceranno mai. Non ci distruggeranno mai! »

Gli altri uomini esultarono, levando le armi al cielo. Arnie rimase indifferente come al solito, anche se Jake giurò di vederlo fare un sorrisetto: anche se era un Terminator – una macchina – era in grado di provare qualcosa, in fondo... proprio come Wall-E.

Allora il Na’vi si trovò a sorridere a sua volta, come se fosse di nuovo in compagnia del suo clan. La sensazione di familiarità con quelle persone era ancora forte nel suo cuore, e non sapeva ancora spiegarselo... ma per il momento non aveva importanza. Il trionfo e la pace erano tutto ciò che contava, in quel momento.

Una forte raffica di vento si alzò all’improvviso. Jake, allarmato, tornò in guardia, ma non vide altre macchine o nemici nelle vicinanze; il vento cessò dopo una manciata di secondi, senza che nulla fosse cambiato nell’ambiente.

« Ma che diavolo è stato? Connor? »

Si voltò verso il compagno, dato che non gli aveva risposto. Connor era a terra, privo di conoscenza; lo stesso era accaduto ai suoi uomini, tutt’intorno... erano crollati tutti al suolo nello stesso istante. Arnie era l’unico rimasto in piedi, ma era immobile come una statua di pietra; era come se qualcuno lo avesse disattivato.

Jake non ebbe il tempo per capire cosa fosse successo, perché un nuovo rumore attirò la sua attenzione... sembrava un applauso. Si voltò e vide un nuovo individuo, apparso come dal nulla accanto al cadavere di Quaritch: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.

« Complimenti, Jake Sully » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuto. »

« Ehm... grazie » fece il Na’vi con aria incerta. « Ma tu chi sei? »

« Sono quello che ti ha portato qui. Io sono Nul. »

Jake sgranò gli occhi per lo stupore, e per un lungo, interminabile minuto non riuscì a parlare. Poi afferrò il pugnale, carico di collera.

« Bene, ora so che aspetto hai, stronzo » disse a denti stretti. « Dove sono i miei amici? Che cosa gli hai fatto? »

« Oooh, i tuoi amici » ripeté Nul, incrociando le braccia. « Non temere, stanno... un momento, perché vuoi saperlo? Ti preoccupi davvero per loro? »

« Certo! Ora rispondimi, prima che t’infili questo giù per la tua gola! »

Nul ridacchiò.

« Hehe... sei sempre stato un gran simpaticone, Jake. Tu non ti rendi nemmeno conto della tua importanza in questo mondo... né di quanto sia profondo il legame che ti unisce con questa gente » e indicò Connor e i suoi uomini. « La tua sfida si è conclusa con successo, dunque meriti di tornare a casa, tra le braccia della tua amata. Ciononostante, non puoi voltare le spalle ai tuoi nuovi amici, non è così? Gli eroi come te abbracciano forte questo aspetto della loro natura.

« Va bene, ti porterò da loro » concluse, e nel frattempo tese una mano a Jake. Il Na’vi esitò per un attimo: non si fidava di quel tipo, eppure sentiva che dargli la mano era la cosa giusta da fare. Così si abbassò e strinse la mano a Nul...

Poi tutto il mondo divenne buio, e Jake Sully perse conoscenza.

   
 
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