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Autore: rosamond44    23/11/2015    1 recensioni
Al confine tra la nostra dimensione e un'altra di cui gli umani ignorano l'esistenza, vi è il Mondo Astrale. Un frammento di notte che ospita in un'accademia, la cui maestosità troneggia freddamente sulle limpide acque del Mirror Lake, creature del Giorno, della Notte e del Mondo di Mezzo.
E se una ragazza, per la quale il massimo di anormalità è una pioggia improvvisa in una giornata assolata, finisse catapultata tra le mura di quest'incredibile accademia? Nicole non sa cosa e come fare per tornare a casa, ma lo vuole ed è proprio ciò, che le da la forza necessaria per resistere alle assurde situazioni che continuamente le vengono incontro. Quella che dovrebbe rivelarsi un anormale vita scolastica potrebbe diventare qualcosa di più, e i piani e progetti iniziali di Nicole potrebbero cominciare a vacillare, sconvolgendo a più non posso la sua realtà e la sua visione del mondo, che si sa, non è mai ciò che sembra.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il verde mi circondava abbagliante. Languidi raggi di sole filtravano attraverso le folte corone degli alberi, andandosi ad intrecciare ed illuminando la cupola smeraldina formatasi sopra il mio capo. Era meraviglioso e mi dava un'incredibile senso di pace, mentre allo stesso tempo mi sentii incredibilmente piccola di fronte alla maestosità della natura. La quale, mi stringeva tra le sue braccia cullandomi beatamente a ritmo del dolce cinguettio degli uccelli. Il vento mi accarezzava delicatamente le guance e mi scompigliava i capelli. Chiusi gli occhi ed alzai il viso verso il cielo, assaporando lo stato di pace esternato dal mio animo. La luce mi mancava da molto, troppo tempo ed il vivo della natura mi riempiva i polmoni d'aria fresca e l'animo di gioia. Mi sarei dovuta preoccupare per quello che mi accadde appena, eppure non vi badai molto. Non inizialmente, almeno. Aprii gli occhi guardando di fronte a me, ammirando l'ambiente rurale presentatomisi davanti agli occhi. Un villaggio. Le poche e piccole casette rustiche erano sparpagliate sulla pigra distesa collinare. Era una giornata assolata, eppure sottili scie di fumo salivano dai camini, danzando nel cielo e andando pian piano ad intrecciarsi tra loro. Distava un poco da me, ma mi incamminai con la testa leggera ed il passo affrettato verso questo. Feci appena qualche passo, tenendo lo sguardo fisso sulla casetta più grande posta al centro del paesello, che in breve mi trovai di fronte ad essa. Ero ancora nella posizione con un piede posto in avanti, pronta a partire. Incredula mi ricomposi guardandomi intorno imbarazzata, sperando che nessuno mi avesse vista, ma nessuno sembrava avermi notata. Guardai alle mie spalle e riconobbi il tratto di foresta che poco fa ammiravo. Ma che...sta... succedendo?

Con espressione interrogativa mi guardai intorno. Forse è tutto un sogno. Pensai dandomi un pizzicotto sul braccio. Sentii il dolore. Era tutto vero.

«Attento! Dove corri?», gridò allegra la voce di un bambino.

La sentii alle mie spalle, così mi voltai per vedere meglio. Un ragazzino sui sette anni: una cascata di capelli castano lunghi fin sopra le spalle e un paio di occhi scuri, brillavano allegri ed innocenti mentre rincorreva una piccola pala di pelo, un cagnolino. Questo correva in mia direzione e con un salto agile ed un stridulo abbaio, mi saltò addosso. Non avrei mai fatto in tempo a muovermi da lì, così optai per coprirmi il viso con le braccia. E attesi. Attesi, attesi... e attesi ancora.

Non accadde nulla. Titubante sciolsi il mio scudo e lasciai cadere le braccia sui fianchi.

«Aspetta!», rise il bambino con gli occhi lucidi dal divertimento e dalla stremante corsa.

Anche lui correva in mia direzione ed in men che non si dica, mi attraversò come fossi aria, come se non mi avesse vista, come se... come se non esistessi. Non capisco, che sta succedendo?

Ancora sconvolta, chinai il viso e guardai il mio ventre, dove la testa del bambino era... entrata. Questo si stava rigenerando: il corpo di ectoplasma stava velocemente cicatrizzando lo spazio a macchia uniforme che si creò, andando a ritornare come prima. Alzai la mano e la guardai. Ebbi da sempre la pelle lattea, ma adesso, a guardarla era bianca, quasi trasparente. Che mi sta succedendo? Mi chiesi per l'ennesima volta guardandomi intorno allarmata. Sperai di intravedere la forza maligna che mi rese inconsistente, quando... ricordai. Era forse stato Remì?

Ancora non accennavo a muovermi da lì, stavo imbambolata a guardare per terra come se le crepe sul terreno battuto potessero formare chissà quali grovigli dall'arcano significato. Miriadi di domande mi investirono la testa, trattenendomi lì scioccata e immobile. Non riuscivo più a battere ciglio, non riuscivo nemmeno a torcere un filo di pensiero coerente, quasi non ero nemmeno certa di respirare. Mi sentivo intrappolata.

«Ora vado», sbuffò una voce maschile.

Alzai la testa di scatto con gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. La voce mi parve familiare, molto, ma il non aver ancora intravisto nessun conoscente, mi chiesi se non fosse solo frutto della mia immaginazione.

«Hai preso le mele, vero?», parlo dall'interno della casa una'anziana signora.

Sentii dei rumori. Qualcuno stava scendendo le scale a passo spedito.

«Certo che sì, nonna».

«Aspetta che ti accompagni», gridò.

Il ragazzo sbuffò. Sentii i suoi passi avvicinarsi alla porta d'ingresso. Non seppi il perché, ma trattenni il fiato e il cuore prese a galoppare dall'agitazione e dall'impazienza. Sentivo che c'era qualcosa, o meglio qualcuno che conoscevo.

«Remì, aspetta questa vecchia signora».

Remì?! Sgranai gli occhi e feci un passo in avanti all'apice dell'impazienza. Se non aprivano immediatamente la porta l'avrei sicuramente fatto io. Non ne potevo più.

«Va bene», rise.

«Ecco cosa significa crescere bambini», disse permalosa sua nonna.

Remì rise e aprì di scatto la porta, correndo fuori a qualche passo dall'ingresso. Lo guardai. Era come lo conoscevo: stesso taglio di capelli, stesso modo di vestire e la stessa aria da perenne quindicenne. Continuava a ridere mentre sua nonna uscì più lentamente, agitando il bastone in aria anche ella divertita. Era una donna piccola e dallo sguardo gentile, ma aveva l'energia di un giovane. Portava un vestito lungo, scuro e teneva i capelli bianchi raccolti dietro la testa.

«Vieni qui», gli disse più dolce con gli occhi lucidi dalla commozione.

«No, no non piangere», si avvicinò a lei stringendola in un abbraccio che lei ricambiò con affetto materno.

«Tieni», gli porse un sacchetto di tela.

Lui lo afferrò. «Che cosa è?». Lo aprì. «No nonna, no. Non prendo tutte queste mele, all'accademia ne abbiamo a volontà».

Sua nonna si accigliò. «Perché mangiare quelle mele quando hai le mie. Queste sono le più buoni, non ne troverai mai...».

«Sì, va bene», la interruppe «adesso vado», la strinse velocemente in un abbraccio, poi si diresse in mi direzione.

Mi aspettavo che anche lui non mi notasse, ed infatti successe. Mi passò affianco senza nemmeno percepire la mia presenza.

«Remì, aspetta!», gridai cercando di afferrarlo per la manica.

Ricevetti una scossa che mi fece subito allontanare. Perché? Mi chiesi guardando la mano fumante. Remì si bloccò e si voltò in mia direzione. Trattenni il fiato spaventata. Mi stava guardando. Il suo sguardo vagava indagatore alla ricerca di qualcuno, ma non mi vedeva. Scosse la testa come per risvegliarsi.

«Che strano», borbottò incamminandosi verso un vicolo.

Feci un passo per seguirlo, ma la mia vista cominciò ad appannarsi. Un turbine di vento avverso alla mia avanzata mi bloccò, impedendomi di proseguire nel mio pedinamento. Chiusi gli occhi, proteggendomi il viso con le mani dalla sabbia innalzatosi che mi pizzicava la pelle della pancia lasciata scoperta dall'alzarsi della camicia. Mi piegai in due, quello era decisamente il mio punto debole. Sentii un fischio assordante penetrarmi i timpani e il cervello, poi tutto intorno a me si ammutolì. Non ebbi nemmeno la forza per aprire gli occhi. Ero così stanca, che mi lasciai crollare.

***

Il mio fisico giaceva pesante su una morbida superficie. Sentivo il liscio tessuto solleticarmi la guancia, mentre vacillante tra il destarmi e il continuare a sonnecchiare, incordai i muscoli affinché reggessero il mio peso. Non avevo ancora la forza di aprire gli occhi così, goffamente, provai ad alzarmi. Ricaddi debolmente -e neanche troppo dispiaciuta- di nuovo sul morbidissimo materasso. Mi adagiai meglio, infilando le mani sotto il cuscino e affondando il viso in esso. Non era il solito odore di lavanda a riempirmi i polmoni con la sua freschezza, era qualcos'altro. Non mi piaceva. Sentii il fruscio del vento fischiare e un brivido di freddo mi fece venire la pelle d'oca. Tirai le ginocchia al petto, acchiocciolandomi stretta. I rumori erano ormai chiaramente percettibili, così come la consapevolezza di essere adagiata su un letto in una camera. Sentii lo scricchiolio delle lastre di legno, piegate sotto il peso di qualcosa, o qualcuno. Dei passi. Si avvicinarono leggiadri, il rimbombo lontano appena appena avvertibile. Si fermarono ed io mi misi in ascolto. Una porta venne aperta poi i passi proseguirono. Non era diretto nella mia stanza.

Un sospiro. «Svegliati per una buona volta», riconobbi la voce del mio tutor.

Luke?!

Aprii gli occhi di scatto e guardai di fronte a me con il viso ancora parzialmente immerso nel cuscino. Come punta da una vespa, mi rizzai velocemente a sedere, simulando un leggero mal di testa per non dover incontrare i suoi occhi. Ma fu inevitabile.

«Spiacente Cenerentola, ma la mezzanotte è scoccata da un pezzo e l'incanto è finito», continuò monocorde senza smettere di guardarmi inespressivo.

Era svogliatamente seduto su una sedia vecchia, che scricchiolava stridula ad ogni suo piccolo movimento. Posto sul palmo di una mano, reggeva il mento mentre teneva infilzato il gomito su un ginocchio. Quando lo guardai si mise a sedere composto, lasciando che i sottili raggi di luce lunare gli illuminassero il viso, mettendo in risalto il bellissimo blu dei suoi occhi.

«Ma di che stai parlando?», chiesi stropicciandomi gli occhi.

Mi guardai intorno. Eravamo in una piccola stanza spoglia e poco illuminata. Fungevano da mobili solo un letto, un armadio parzialmente coperto da una tenda bianca; un tavolo stracolmo di libri polverosi e qualche sedia, sparse qua e là.

«Dove sono?», aggiunsi allibita.

Luke scosse la testa e sospirò.

«Ripeto: sei davvero problematica».

«E adesso che ho fatto?», gli chiesi accigliandomi.

«Ti conosco da appena qualche giorno e già mi fai subire le pene dell'inferno».

«Non capisco».

«Certo che non capisci», parlò continuando a guardarmi inespressivo «dove sei stata?».

«Questo dovrei chiederlo io. E poi, parli chiaramente per una buona volta. Non ho proprio voglia di stare qui a cercare di decifrarti».

Luke sospirò di nuovo.

«E piantala di sospirare, altrimenti ti sfugge tutta la fortuna», gli dissi sorridendo scherzosa per smortire un po' la tensione, ma lui mi fulminò con lo sguardo.

«Ascolta attentamente perché non lo ripeterò più», incrociò le braccia e accavallò le gambe guardandomi severo «Remì ti spiegherà più dettagliatamente, ma in sostanza... non sarò più io il tuo tutor».

«Cosa?!», chiesi stupita facendolo aprire in un sorriso.

«Che c'è, già ti manco?».

«Non esagerare».

«Comunque», ritornò serio «non lo sarà più a tempo pieno...».

«Non mi sembra che tu lo sia poi tanto a tempo pieno», gli feci notare dispettosa.

«Sopportare tutto questo vale più di a tempo pieno», scimmiottò la mia voce, pronunciando le ultime tre parole.

Ridacchiai. «Dai, continua».

Sorrise anche lui.

«Sembra che Remì abbia qualche idea sulla tua possibile razza, perciò dopo le lezioni andrai da lui e ti dirà quel che c'è da sapere».

«Ma ci vuole tanto per capire la razza di qualcuno?», chiesi inarcando un sopracciglio «voglio dire: non è come distinguere un umano da un cane? Non è evidente?».

«Beh, se ti piace essere paragonata ad un cane», cominciò lui a ridere.

Mi accigliai. «Sono seria».

«Non non lo è», rispose continuando a ridere.

Ma che ha tanto a ridere?

«Siccome un tempo le Creature delle Tenebre erano solite a infiltrarsi tra gli umani, impararono ad assumerne le sembianze e tuttora le mantengono. Perché diciamocelo... l'unica qualità degli umani è l'aspetto».

«Mi stai dicendo che ho un bel aspetto?», scherzai.

Lui mi sorrise. «Tu non sei umana, quindi...», scrollò le spalle ed alzò le mani in segno di resa.

«Che cattivo! Ti bastava dire di sì».

«Spiacente, ma non mi piace illudere le persone», si giustificò con un mezzo sorriso.

Lo guardai torvo. «Va bene, chiudiamo il discorso...».

«Prima che qualcuno qui si imbestialisca», sorrise beffardo guadagnandosi l'ennesima mia occhiataccia.

«O prima che qualcuno qui dimostri il suo non essere gentiluomo», gli feci la linguaccia.

So essere anche immatura, a volte.

«Su, andiamo!», si alzò dalla sedia dirigendosi verso la porta «è tardi».

«Quanto tardi?», gli chiesi alzandomi e seguendolo forte.

«Troppo per le bambine, è già passata la mezzanotte».

«Ho dormito così tanto?», chiesi passandomi una mano sul viso.

«Non hai dormito...», rispose Luke cominciando a scendere le scale immerse nel buio.

Mi affrettai a seguirlo per non restare indietro, da sola nell'oscurità.

«...hai fatto un viaggio nei ricordi».

Piantai i piedi al suolo completamente stranita dalle parole che avevo appena sentito. Ripercorsi in breve l'intero accaduto che lui definì ricordo. Molto si spiegava: il fatto che non fossi sentita o vista da nessuno; che fossi stata attraversata come se fossi aria; la presenza di Remì, l'ultima persona che vidi prima dell'accaduto, e l'ultima che... toccai.

«Come ho fatto?», sussurrai sconvolta e confusa con lo sguardo basso, fisso nel nulla.

«A questo non posso risponderti, non lo so», si fermò.

«E allora come lo sai?».

«L'ha detto Remì», ricominciò a scendere.

«E tu gli credi?», gli chiesi fissando nel buio dove credetti che fosse lui.

Non rispose, ma il suono della suola delle scarpe a contatto con il pavimento, non riecheggiava più negli stretti corridoi. Sentii il leggero fruscio del tessuto della camicia, provocato dallo strisciare del braccio sul fianco, mentre si voltò velocemente in mia direzione.

«Ho forse altra scelta?» , chiese con voce seria, dura, quasi cupa.

Non potei rispondergli, non lo sapevo neppure io. Stetti lì a rimuginare sulle parole, sugli eventi, sulle emozioni che pensai di scorgere nell'ultimo tempo. Tutto intorno a me era solo una coltre di mistero, che diventava sempre più fitta con l'avanzare del tempo. Mi sentivo in trappola, costretta ad andare incontro ad una realtà che non avevo scelto. E questo mi faceva rabbia. L'impotenza. Riuscii a percepire le schegge blu di Luke fisse su di me, come se il velo delle tenebre non gli disturbasse affatto nel guardarmi. Non si mosse, non disse nulla, stette lì immobile e mi lasciò del tempo per schiarirmi le idee. Apprezzai molto il suo gesto e mentalmente, lo ringraziai.

 

 

   
 
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