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Autore: PaleMagnolia    01/03/2009    1 recensioni
Una tragedia storica di proporzioni epiche, un uomo esile e scialbo, una bambina dagli occhi pallidi: due vite cambiate per sempre da un fatale istante - brusca virata e schianto, giubbotti bianchi sotto il cielo nero, freddo.
Una piccola, perfetta bellezza dodicenne, col viso serio di una bambola di porcellana; un uomo pallido e schivo.
Quando l'amore è a prima vista, a ultima vista, a eterna vista.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I, I wish you could swim
Like dolphins, like dolphins can swim
Though nothing, nothing will keep us together
We can beat them, for ever and ever
Oh, we can be heroes
Just for one day

David Bowie


Irwing andava e veniva dallo stato di coscienza; rannicchiato sulla chiglia rovesciata della scialuppa - i piedi puntati nell

Irwing andava e veniva dallo stato di coscienza; rannicchiato sulla chiglia rovesciata della scialuppa  - i piedi puntati nelle scanalature per non scivolare -, si  assopiva per poi svegliarsi d’improvviso, con uno scatto, con la sensazione di stare scivolando verso l’acqua ghiacciata. Ogni volta, si trovava davanti gli occhi spalancati di Annie, che, sdraiata accanto a lui, lo fissava inespressiva.

Appena si rendeva conto di essere, invece, ben ancorato e saldo, cadeva di nuovo in un angoscioso dormiveglia, per risvegliarsi entro pochi minuti, con la stessa, ingannevole impressione di stare per cadere.

Continuò così per tutta la notte: e il terrore, il freddo, la stanchezza, gli occhi della bambina fissi nei suoi, lo sciabordio delle onde, agirono sulla sua mente disancorata e vagante fin quasi a fargli perdere il senno.

Verso le quattro del mattino, si svegliò di soprassalto con la bocca arida, scosso da violenti brividi; gli occhi gli facevano male, il collo, quando provò a muoverlo, era rigido e dolorante: si rese vagamente conto che doveva avere la febbre alta.

(Era sempre stato cagionevole, ma quella notte – lui che, vestito degli abiti fradici e congelati, stava esposto, immobile e inerme, al vento impietoso - lasciò conseguenze sulla sua salute per tutti gli anni a venire: gli sarebbe rimasto per sempre l’orrore del freddo - che gli avrebbe procurato frequenti, spossanti stadi febbricitanti -, e ogni alito di vento gli avrebbe, da quel momento in poi, provocato accessi di tosse convulsa e dolorosa).

 

Nel sonno, Irwing ricordava cose cui non pensava da anni, o forse cose che non erano mai nemmeno successe – non era in grado di distinguere le une dalle altre: un gatto nero seduto al sole, al centro di una bianca, dritta strada polverosa; una scarpa in un fosso, un bambino che tirava sassi contro un rospo grigiastro (l’intensa sofferenza che, chissà perché, l’aveva preso nel vederlo); il buco per la boccetta dell’inchiostro nel suo banco di scuola.

Si rivide bambino, serio e timido, silenzioso: escluso dai giochi dei compagni perché gracile e introverso, appena tollerato dal maestro, che lo picchiava sul palmo delle mani perché non rispondeva alle domande abbastanza in fretta.

Fra un’immagine e l’altra, Irwing si svegliava per un momento, e ogni volta vedeva gli occhi della bambina fissi sul suo viso. Un attimo dopo, ricadeva nel suo torpore, ma il viso di Annie rimaneva impresso in negativo nella sua retina, e si sovrapponeva ai suoi sogni e ai suoi ricordi, così che non era mai sicuro di cosa fosse veramente successo, e cosa invece fosse solo una fantasia dettata dalla febbre e dalla stanchezza.

Rivide la gente che lo scostava, sui tram e negli scompartimenti del treno, scambiando la sua timidezza per superiorità: e i pochi amici che aveva avuto, esseri scialbi e privi di talento, come lui; troppo ordinari e incolori, troppo accomodanti. Intelligenti senza essere vivaci, arguti, ma troppo timidi per fare dello spirito, lui, e gli uomini come lui, vivevano per essere pietra di paragone per chi era più sveglio di loro.

Ricordò un episodio della sua giovinezza: la ragazza di cui era innamorato aveva incrociato il suo sguardo per caso – lui la fissava, di sottecchi, cercando di non farsi notare -, e l’aveva guardato, da sopra la spalla del suo interlocutore, per un attimo: Irwing rivisse la bruciante umiliazione di quello sguardo, che non esprimeva né simpatia né, se è per questo, avversione alcuna, ma solo una vaga sorpresa, come se la giovane donna – soffici capelli castani, bocca tinta di rosso - trovasse inverosimile il fatto stesso che lui fosse lì.

Senza antipatia, senza cattiveria, lei aveva sollevato appena un sopracciglio, inconsapevolmente, in un’espressione vaga, che poteva voler dire qualsiasi cosa: ma Irwing aveva interpretato come uno stupito, distaccato, indifferente “tutto qui?

Irwing ne era rimasto mortificato.

È questo che intendono, quando dicono che, in punto di morte, la vita passa davanti agli occhi?, pensò Irwing, in un raro momento di lucidità. Se è così, la mia vita è stata davvero patetica.

Nel suo delirante dormiveglia, perdeva e riacquistava il contatto con la realtà, finchè questa e i suoi sogni non si fusero in un’unica sequenza di immagini: il suo nonno morto ed Annie lo guardavano con gli stessi occhi inespressivi dal balcone della sua casa – o era il parapetto di una nave? -, il violino di Wallace Hartley1 e l’organo della chiesa di Cleverburg2 si fondevano nella stessa, straziante ninnananna. Nei suoi vaneggiamenti illogici e sconnessi, una sola cosa rimaneva costante: Annie, vera o immaginata, viva o morta, compariva in ogni immagine e su ogni sfondo – Irwing non avrebbe saputo dire quante volte aveva davvero visto il suo viso, poggiato accanto al suo, e quante volte invece l’avesse solo immaginato .

E, alla fine, l’uomo non si rendeva più conto di cosa fosse realmente successo: se l’immagine della bambina che, bianca e immota, scivolava nell’acqua bruna, fosse reale, o se invece lo fosse quella di lei sdraiata sulla chiglia, accanto a lui.

 

Quando ormai cominciava ad albeggiare – una tenue luminosità mauve che diffondeva in lontananza – Irwing sembrò recuperare una parvenza di raziocinio: aprì cautamente gli occhi, che ora non dolevano più; la febbre doveva essere scesa.

Si mosse appena, poi guardò, nella luminescenza indaco, il viso della sua compagna. Sbattè le palpebre per assicurarsi che fosse davvero lì, e, fissandola attentamente, si rese conto che i suoi occhi grigi erano arrossati e spalancati in modo innaturale: Irwing si rese conto che, al contrario di lui, la bambina non aveva riposato nemmeno un attimo, e aveva, anzi, tenuto gli occhi sbarrati per evitare ad ogni costo di addormentarsi.

Il suo sguardo era fisso e vitreo, ma quando Irwing si mosse e la chiamò con voce flebile, Annie parve capire che, ora, l’uomo era in sé.

Sbattè le palpebre anche lei, poi mosse le labbra.

Irwing si avvicinò per sentire la sua voce, poco più di un sospiro.

“Vi ho chiamato tanto”, disse la bambina, con un filo di voce. “Quando sembravate svegliarvi. Ma avevate la febbre, e non mi sentivate nemmeno”.

Irwing allungò un braccio verso di lei – spostandolo, sentì la porzione di pelle che era restata a contatto col legno, e che si era leggermente riscaldata, congelarsi nuovamente – ed, esitando, le poggiò la mano sul polso delicato.

“Ora sto meglio”, disse Irwing, e la sua voce suonò fioca, rauca e strana alle sue stesse orecchie. Si sentiva la testa leggera.

“Qual’è il vostro nome?”

Irwing ci mise un po’ ad afferrare la domanda.

“Perdonami?”, chiese, pensando di aver frainteso.

La bambina non rispose subito. Sembrò impiegare qualche secondo a raccogliere le forze per ripetere quel che aveva detto. Irwing capì che la sua mente doveva essere disorientata quanto la propria, e che il solo rimanere concentrata su un concetto, il formulare una frase di senso compiuto, dovevano costarle una notevole dose di impegno.

“Il nome”, bisbigliò infine la bambina, che sembrava tenere gli occhi aperti – fissi nei suoi - con un enorme sforzo di volontà.

“William Irwing”

“William Ir-wing”, ripetè la bambina, con voce sognante. Sospirò pesantemente, poi chiuse gli occhi, e si addormentò all’istante, di un sonno pesantissimo e, grazie a Dio, senza sogni.

“Annie?”, sussurrò Irwing. La bambina respirava lievemente, tranquilla.

Con una sensazione indefinibile, in cui si mischiavano stupore, tenerezza e angoscia, le scostò pian piano una ciocca di capelli dal viso, e gliela spinse dietro l’orecchio. Era così strano e nuovo, e dolce, essere importante per qualcuno, pensò.

“Annie”, disse piano, un nodo nella gola.

Era rimasta sveglia più di quattro ore, gli occhi fissi nel buio e nell’orrore di quella notte, solo per sapere il suo nome.

 


1 Wallace Henry Hartley (2 giugno 1878 – 15 aprile 1912), era un violinista e il capo orchestra a bordo del Titanic. Dopo che la nave colpì l'iceberg e cominciò ad affondare, Wallace Hartley ed i suoi colleghi iniziarono a suonare per far sì che i passeggeri affrontassero il tragico momento con calma e senza panico. Molti dei superstiti testimoniarono che l'orchestra continuò a suonare fino alla fine: nessuno dei membri dell'orchestra sopravvisse, e la storia del loro eroico comportamento si è trasformata in leggenda popolare.

2 Esiste *davvero*. Giuro. E' in Pennsylvania. Lo so che, specialmente rispetto ai prossimi sviluppi, potrà sembrare che io me lo sia inventato perchè suona bene, ma... Beh, per una volta, non è così. XD



Lady Of Lorien (cit.) "Mi rendo conto di non aver scritto recensioni molto significative".
Ehm.
Se lo dici tu.
Io le ho apprezzate - come dire? Tanto.
Ma tanto, eh! XD
Secondo me (e, checchè tu possa pensare, *non* lo dico solo perchè sono molto lusinghiere), sono molto acute: hai colto benissimo il significato del II° capitolo - non pensavo di averlo reso così bene (*si ringalluzzisce alquanto*).
E comunque, giusto come informazione didascalico/culturale, è stato scientificamente dimostrato da una èquipe di scienziati di fama mondiale, che l'influenza è assolutamente micidiale per i neuroni di chiunque (dimostrazione comprovata dall'esperienza personale! Io, come Irwing, devo aver preso freddo da piccola, e da allora becco tutte le influenze che passano un raggio di 10.000 km da me; alcune anche in modo virtuale, scambiando e-mail con gli amici malati)

FieryRedhead: (cit.) "Dici che Irwing potrebbe fare la parte di David A. Stewart?"
Ehm.
*Coff coff*.
*Coff*.
Non ci ho *cough cough* mai *cough* nemmeno *cough* pensato! No, no.
Che idea *coff* assurda!
  
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