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Autore: Adeia Di Elferas    24/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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 Paolo Orsini era ripartito prima di Virginio e dei Conti Riario. Sisto IV gli aveva ordinato di dirigersi verso Marino e conquistarla, perchè era là, secondo le spie, che si era rintanato Fabrizio Colonna, assieme a Antonello Savelli.
 Così, mentre Paolo Orsini portava la sua cavalleria verso Marino, Virginio ebbe modo di aiutare gli aguzzini di Castel Sant'Angelo, ma le confessioni che ottenne non furono di suo gradimento.
 Lorenzo Colonna era ostinato e di certo si stava dimostrando un uomo pieno di risorse. Malgrado fosse stato sottoposto alle torture più umilianti e dolorose, non pareva intenzionato a tradire i propri parenti, né i propri alleati.
 Giugno si stava scaldando e Caterina sentiva il ventre sempre più gonfio e ingombrante. Secondo i suoi calcoli, il bambino sarebbe nato solo in ottobre, eppure questa gravidanza le sembrava più fastidiosa delle prime tre.
 Era sì e no al sesto mese, eppure si sentiva scoppiare. Iniziava a disdegnare certi cibi e a desiderarne ardentemente altri. Inoltre spesso si riscopriva più malinconica e pensierosa del solito.
 Soffriva di più lo stare in piedi a lungo e più di una volta arrivò a sera stremata. Aveva solo vent'un anni, quindi non era per via dell'età. Forse era solo perchè quello era già il quarto figlio...
 Tutte queste considerazioni la rendevano inquieta e temeva, più il caldo si faceva intenso, di non riuscire a gestire bene come le altre volte la gestazione.
 Quando fu necessario rimettersi in marcia, Sisto IV la pregò di prendersi cura di Girolamo e quindi Caterina non poté nemmeno cedere all'infantile desiderio di lasciare il marito al suo destino e passare gli ultimi mesi di gravidanza tranquilla.
 Aveva accettato con buonagrazia la richiesta del Santo Padre e si era raccomandata molto coi medici di palazzo, affinché avessero più a cuore la salute del ponteficie che non i propri interessi.
 Malgrado tutte le rassicurazioni che le fecero, Caterina non era convinta della loro buonafede. Vedeva nei vescovi e nei cardinali che vivevano a corte troppo desiderio e troppa cupidigia. Guardavano il papa come fosse già morto e si aggiravano famelici per i palazzi, quasi spartendosi silenziosamente ogni stanza e ogni altare...
 
 “Convinci tuo cugino Giuliano a tornare...” stava dicendo Caterina, mentre Girolamo fingeva di non ascoltarla.
 Stavano facendo gli ultimi preparativi per la partenza del giorno seguente e ormai non c'era più tempo per i messaggi velati.
 “Con Giuliano a palazzo, anche se dovesse accadere il peggio, nessuno si azzarderebbe a mettere in discussione i Della Rovere...” proseguì Caterina, buttando nell'ultimo bauletto un paio di calzabrache in più.
 Aveva deciso di portare con sé molti vestiti comodi, alcuni di foggia maschile e anche per il viaggio aveva preferito scegliere morbidi calzabrache, una larga tunica e appena un mantello leggero, con lo stemma dei Riario ricamato in oro, che avrebbe portato solo per farsi riconoscere, nei punti più pericolosi del tragitto.
 Non aveva fatto in tempo a farsi preparare un'armatura più adatta alla sua condizione, perciò aveva predisposto che venissero portate più piastre addominali, di larghezza crescente, in modo da poter scegliere di volta in volta la più adatta.
 “Non dite sciocchezze!” perse la pazienza Girolamo.
 Da quando Caterina si era presa gioco di lui davanti agli Orsini e a un prigioniero, Girolamo era stato con lei più freddo e acido che mai.
 Benché fosse sempre stato scostante, dal carattere incerto e altalenante, Caterina era abituata a vedere in lui anche un uomo perso e in cerca del suo amore. Mentre ora davanti a lei c'era solo il mostro.
 “E poi che diamine dovrebbe accadere, eh?!” sbaritò Girolamo, gettando la cotta di maglia di scorta nel bauletto: “Credete che solo perchè non ci sarete voi a corte, Roma sprofonderà negli abissi?!”
 Caterina strinse il morso, cercando di non rispondere a tono. Se avesse esasperato ulteriormente i toni, Girolamo non solo non l'avrebbe ascoltata, ma avrebbe anche potuto alzare le mani. E poiché sentiva il suo amato pugnale premere contro la gamba, sotto ai vestiti, sapeva che a un'azione dell'uomo, sarebbe seguita una sua reazione e non era proprio il momento di restare senza marito.
 “Tuo zio sta male e io stessa temo di star sottovalutando la sua situazione. Se dovesse morire mentre sei lontano...” cominciò a dire Caterina, lentamente, ma Girolamo la interruppe.
 “Sono stanco delle vostre inutili congetture! Vado a riposare!” fece, quasi con la schiuma alla bocca.
 Caterina lo lasciò uscire senza aggiungere altro e finì di preparare il bauletto continuando a pensare che ne sarebbe stato di lei, se davvero il papa fosse morto mentre lei e Girolamo erano lontani.

 Una volta uscito dalla camera della moglie, Girolamo sentì la rabbia sbollire. Caterina aveva ragione, probabilmente. L'aveva sempre...
 Ormai, però, non poteva più tornare sui suoi passi. E poi, a sentire Virginio Orsini, in pochi giorni avrebbero conquistato un bel pezzo di territorio e allora sarebbero tornati a Roma, vincitori, e tutto sarebbe stato a posto. Lui non sarebbe più stato considerato un codardo, perchè tutti avrebbero saputo che in battaglia c'era stato, eccome, e che aveva vinto.
 Preso da una frenesia che non provava da anni, Girolamo non andò subito nelle sue stanze. Preferì prima passare dagli appartamenti dove spesso si trovavano le giovani di cui il papa richiedeva la compagnia di quando in quando.
 Anche se era debole e la vecchiaia ormai lo costringeva a una vita più morigerata, Sisto IV non aveva scacciato nessuna delle sue amanti, anzi, aveva stipulato con tutte loro un contratto molto particolare. Permetteva loro di vivere nell'agio e nel lusso più sfrenato, ben nutrite e ben vestite, a patto che, su richiesta, concedessero la propria compagnia a porporati, potenti e possidenti di passaggio in Vaticano.
 Girolamo era ben conosciuto da tutte loro e, grazie al suo aspetto più che gradevole e ai suoi modi all'apparenza molto decisi e affascinanti, quella sera non ebbe che da scegliere chi preferiva portare nelle sue stanze.
 
 “Dobbiamo andare verso Vicovaro.” stava spiegando Virginio Orsini: “Una volta occupata quella cittadella, potremo arrivare fino a Tagliacozzo.”
 Caterina ascoltava attenta, gli occhi strizzati per proteggersi dal sole. Girolamo, al contrario, si distraeva di continuo, controllando ogni cinque minuti che attorno a sé ci fossero abbastanza guardie del corpo.
 Stavano attraversando una zona boscosa, senza sentiero e il rumore di ferraglia che faceva il piccolo esercito spaventava gli animali selvatici, che scappavano a destra e sinistra, come fossero braccati dai cacciatori.
 Virginio Orsini non indossava l'armatura, si era limitato a una sottile cotta di maglia sopra la tunica di cotone e, sopra, un altrettanto leggera sopratunica. Al fianco aveva una spada corta e portava a tracolla arco e faretra, perchè in fondo, anche nei punti più tranquilli, non si poteva mai stare sicuri di non incontrare dei nemici.
 Nemmeno Caterina indossava molto ferro. Come il comandante aveva infilato una cotta di magli leggerissima e, unica differenza, portava anche una cuffietta di cuoio bollito, una di quelle che si mettevano sotto all'elmo per ridurre le frizioni. La teneva in testa più per tener raccolti i capelli al suo interno, che non per vera paura di ferirsi il capo in qualche modo.
 Con sé aveva la spada da una mano e mezza, e appeso al fianco del cavallo aveva pure un piccolo scudo con disegnato sopra lo stemma degli Sforza, usato più a mo' di bandiera che altro.
 Girolamo, invece, oltre ad avere con sé una spada lunga e un pugnale, indossava l'armatura pressoché al completo. Aveva messo in capo anche l'elmo, salvo poi toglierlo per via del caldo troppo pressante. Il suo cavallo, uno stallone ben piazzato, era già un po' in affanno, per via del peso che doveva sopportare, ma l'uomo non aveva alcuna intenzione di esporsi a pericoli inutili.
 Le piante erano fitte e l'aria calda odorava di erba bagnata e selvaggina. A Caterina tornavano in mente le mattine passate a caccia con suo padre, quando era ancora una bambina.
 Si ricordava benissimo ogni cosa. Come si isolava dal gruppo dei cacciatori e come puntualmente suo padre l'andava a recuperare. Si ricordava come aveva imparato a tirare con l'arco e a usare il coltello. Ricordava la sensazione del sole dell'alba sulle guance e del calore che lasciava il corpo di un cervo appena ucciso...
 “Vi piace questa zona?” chiese a un certo punto Virginio, notando come sul volto di Caterina comparisse di quando in quando un mezzo sorriso.
 La giovane alzò appena una spalla, e accarezzò lentamente il collo del cavallo da guerra su cui montava: “Mi ricorda un po' la zona in cui sono cresciuta. Anche se il clima era diverso. E in parte anche la vegetazione...”
 Nela voce di Caterina c'era una nota malinconica e triste che intristì lo stesso Virginio. Per un attimo fu tentato di dire qualche parola di solidarietà, ma poi lasciò perdere. Non era nella sua natura parlare di questioni di cuori.
 Così egli sporse le labbra in fuori e commentò: “Da quello che ne so nel milanese c'è molta nebbia e molto fango.”
 Caterina fece una breve risata al tentativo maldestro dell'uomo di apparire burbero.
 Girolamo, risvegliato dai suoi pensieri proprio dalla risata della moglie, guardò i due che gli cavalcavano accanto: “Che succede?” chiese, pensando di essersi perso qualcosa di importante.
 “Nulla. Il nostro caro Orsini mi stava facendo delle domande sul mio passato. Si interessava a me.” disse Caterina, con un sorriso insinuante in volto.
 'Come tu, invece, non hai mai fatto.' era il sottinteso che pesava come un macigno sulle sue parole.
 Girolamo si indispettì: “Bene. Vi lascio chiacchierare in pace. Vado in coda, a controllare i bagagli.” e così dicendo voltò il cavallo, fece segno ad alcune guardie di seguirlo e raggiunse gli ultimi uomini dello schieramento.
 “Dovete perdonarlo.” fece Caterina, a Virginio: “È solo molto stanco.”
 Era ormai così abituata a chiedere scusa in vece del marito, che anche quella volta lo fece in automatico.
 Virginio, però, non accolse le scuse della donna: “Non credo sia solo un problema di stanchezza, il suo.” e sospirò a lungo, prima di concludere: “Vostro marito, con tutto il rispetto, io non lo volevo al mio seguito. Ma volevo voi, e quindi ho dovuto chiedere anche a lui di seguirmi.”
 Caterina fissò il volto ancora abbastanza giovane, seppur molto segnato, di Virginio Orsini e si chiese perchè mai un uomo di esperienza come lui la volesse al suo fianco in un'occasione come quella.
 “Insomma, se avessi chiesto solo a voi di seguirmi, di certo vostro marito si sarebbe opposto, come ogni altro uomo assennato.” fece notare Virginio Orsini, per avvalorare la sua dichiarazione precedente.
 Caterina trattenne uno sbuffo: era pressoché certa che se suo marito avesse anche solo lontanamente immaginato che fosse possibile spedire lei sul campo e restarsene in panciolle in Vaticano, di certo non avrebbe nemmeno preparato i bagagli per partire.
 “Sono convinto che mi sarete utile, mia signora. Inoltre, la vostra presenza esalta parcchio i  miei soldati.” aggiunse, mentre le labbra sottili si alzavano in un sorrisetto: “Anche se non indossate più il gonnellone che avevate alla fontana di Trevi, ormai vi riconoscono e vi stimano. La vostra presenza dà loro coraggio.”
 “Il coraggio è una cosa strana...” sussurrò Caterina, quasi tra sé.
 “Vero. È come la paura. Se uno ce l'ha, non può scacciarla, mentre se non ce l'ha, non può farsela venire.” concordò Virginio, annuendo con gravità.
 “Tornando a noi...” disse poi Virginio, per rompere il silenzio che era calato tra loro: “Vi manca davvero molto il milanese?”
 Caterina si prese un momento per rispondere, ma poi ammise: “Anche il pavese. Mi piaceva andare a caccia in quelle zone.”
 “Conosco la vostra passione per la caccia.” intervenì Virginio, felice di poter portare il discorso su un argomento che gli era noto: “Trovo che la caccia sia un buon esercizio, in vista di una guerra. Vi sarà utile, saper cacciare, quando dovrete affrontare un nemico vero su un campo di battaglia vero.”
 Caterina si accigliò un momento. Quella considerazione le aveva riportato alla mente le parole che suo padre le aveva rivolto molti anni addietro: 'Uccidilo – le aveva detto, mentre la incitava a porre fine alla vita di un povero animale ferito – e quando dovrai uccidere un uomo, farai meno fatica'.
 Così non poté fare a meno di dire: “Avete ragione, avete proprio ragione.”
 E mentre Virginio Orsini le chiedeva di raccontargli qualche aneddoto di caccia nel milanese, o nel pavese, che decidesse pure lei, a Caterina fu chiaro quanto suo padre Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, fosse stato bravo e attento nel prepararla alla vita che l'aspettava.

   
 
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