Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TheSlavicShadow    28/11/2015    1 recensioni
Quando la tua vita ti sembra perfetta e credi che nulla possa andare storto, sai che il destino ci metterà lo zampino.
In tre giorni la tua vita verrà messa sottosopra e dovrai prendere una decisione. Una di quelle da cui non si può più tornare indietro.
{Prompt trovato su "All of the prompts" e ho dovuto scriverlo. Sto fisicamente male per ciò che è stato scritto, ma in qualche modo ho dovuto farlo.}
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
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Marzo 2015, giovedì.

 

Marco Bodt era un uomo soddisfatto.

O per lo meno questo era ciò che lasciava intendere il suo sorriso quando al mattino si preparava per andare al lavoro. Quella mattina non era stata per nulla diversa dalle altre. Si era fatto una doccia. Si era fatto la barba. Aveva scelto il completo da indossare in ufficio e poi era entrato in cucina, dove la sua fidanzata stava preparando la colazione.

Le si era avvicinato, abbassandosi per darle un bacio sulla guancia.

“Buongiorno.” Aveva sussurrato al suo orecchio, mentre lei spostava i capelli biondi e accennava un sorriso.

“Buongiorno. Il caffè è già pronto.” Con un gesto del capo gli aveva indicato la moka piena di liquido scuro e lui non se lo era fatto ripetere due volte prima di prendere una tazza e riempirla.

Se c'era una cosa che amava, quello era indubbiamente il caffè al mattino. Aveva imparato ad apprezzarlo quando era all'università e doveva passare notti intere a studiare da manuali di diritto civile o penale, o qualsiasi altra cosa dovesse studiare per arrivare dov'era arrivato.

Aveva 32 anni. Era diventato un avvocato. Possedeva uno splendido appartamento a Londra ed aveva una relazione più che stabile da 4 anni. E tutto ciò era molto di più di quanto si era aspettato quando aveva lasciato la Francia, appena conclusi gli studi, per iniziare una nuova avventura oltremanica.

Si era sempre sentito ripetere che la fortuna aiutava gli audaci, e nel suo caso era stato premiato. Aveva un ottimo posto di lavoro in uno studio legale. Non era il più famoso avvocato di Londra, ma iniziava a farsi una buona fama. E questo aveva ingrossato notevolmente le sue finanze, permettendogli un tenore di vita a cui non era mai stato abituato prima.

Anche se lui non badava molto a queste cose, nonostante ora potesse permettersi di tutto. Non era nel suo carattere, e quell'attico era stato il suo unico vero capriccio.

“Riesci a passare a ritirare gli anelli?”

A quella domanda aveva sorriso, mentre la donna portava la colazione in tavola e subito dopo gli sedeva accanto.

Aveva conosciuto Annie Leonhart ad una delle feste organizzate dal suo ufficio. Eventi mondani a cui non era mai riuscito a sottrarsi anche se non erano il suo forte. Come lui, la giovane donna non sembrava molto interessata alle futili conversazioni che si portavano avanti nella sala e se ne stava in un angolo. Così le aveva rivolto la parola. E poco tempo dopo avevano iniziato ad uscire assieme.

Ora stavano per sposarsi.

“Certo. Appena esco dall'ufficio faccio un salto. Ti serve altro?”

La bionda aveva scosso la testa, sorseggiando il caffè. Marco sapeva che era amaro, e non era riuscito a nascondere una smorfia. Non avrebbe mai capito come facesse la donna a bere il caffè senza neppure un granello di zucchero in esso.

“No, devo vedermi con le ragazze più tardi così mi occupo di tutto io. Solo che la gioielleria è dalla parte opposta rispetto alla sartoria.”

Aveva annuito di nuovo, prima di sorriderle. “Prendi anche il mio completo allora. Così non devo passarci domani.”

Non appena ebbe finito di fare colazione si era alzato, aveva posato un bacio sui capelli della fidanzata e aveva guardato l'orologio. Se non si fosse sbrigato sarebbe arrivato in ritardo e questo voleva evitarlo. Soprattutto visto che da lunedì sarebbe stato in vacanza. Mancavano solo pochi giorni, e poi si sarebbe sposato. E sarebbe partito per il viaggio di nozze. E per due settimane si sarebbe goduto il sole di un'isola tropicale.

 

✵✵✵

 

Era arrivato al lavoro puntuale come sempre. Aveva salutato i propri colleghi e subito si era diretto verso il proprio ufficio. Non aveva casi urgenti. Avrebbe anche potuto restarsene a casa e lavorare comodamente seduto sul proprio divano, ma sapeva anche che era meglio non essere tra i piedi di Annie mentre questa era impegnata con i preparativi del matrimonio.

Sedendosi alla propria scrivania aveva appoggiato la tazza di caffè, che aveva preso al bar prima di entrare, e aveva sospirato.

Non aveva mai pensato che Annie sarebbe stata così esaltata per le proprie nozze. Non sembrava mai troppo entusiasta di nulla e lui era sempre stato abituato a vederla così. Non si era stupita quando le aveva chiesto di uscire la prima volta. Non si era stupita quando le aveva proposto di andare a vivere con lui. Non aveva battuto ciglio neppure quando le aveva chiesto di sposarlo. Si era solo portata i capelli dietro all'orecchio e aveva risposto un semplice “sì”. Mentre ora la vedeva completamente immersa nei preparativi.

Con la wedding planner. Con la sarta. Col fioraio. Il gioielliere. Il pasticcere. Il catering. Prima che lui se ne rendesse conto, si era occupata di tutto lei.

Un leggero bussare alla porta lo aveva distratto e sapeva subito chi lo stava cercando.

Un uomo biondo, più o meno della sua stessa età anche se sembrava molto più giovane, era entrato nel suo ufficio sorridendo.

“Come sta il futuro sposo?”

“Armin, non cambierà nulla.” Aveva ridacchiato. “Già viviamo insieme da un paio d'anni. E' come essere sposati senza avere le fedi al dito.”

“Marco, un po' di romanticismo ci vuole! Stai per sposarti!”

Il biondo si era seduto di fronte a lui e lo aveva guardato. Armin Arlert era stato il suo primo amico non appena era arrivato a Londra e grazie a lui, che aveva lavorato come stagista presso quello studio, aveva ottenuto il lavoro. A vederlo sembrava sempre così tranquillo e pacifico, ma in aula era un mostro e vinceva tutte le cause di cui si occupava.

“Sarò romantico in viaggio di nozze.” Aveva sorriso, appoggiandosi più comodamente allo schienale della propria poltrona.

Armin aveva scosso la testa, imitando la sua posizione. “Sei impossibile. Dov'è finito il Marco Bodt che ho conosciuto? Quello che aveva il cuore spezzato e credeva nell'amore sopra ogni cosa?”

“E' cresciuto assieme all'avvocato divorzista che hai di fronte. Vedo così tanti matrimoni andati a monte ogni giorno che davvero non credo più nell'esistenza di quell'amore di cui ti parlavo anni fa.” Aveva scosso la testa come per scacciare un pensiero che si era fatto vivo nella sua mente. “Ormai non ci si sposa più per amore, ma solo per avere qualche sicurezza.”

“Non è una cosa bella da dire. Non di fronte al tuo testimone di nozze.”

“Lo dico proprio perché sei tu.”

“E Annie sa che la pensi così?”

“Annie la pensa come me. Da parte sua ci sono anche le pressioni dei suoi; che ormai ha una certa età e dovrebbe pensare a mettere su famiglia, sennò saremmo rimasti semplici conviventi per tutta la vita.”

Armin aveva sospirato nuovamente, giocando con una ciocca di capelli che era uscita dal corto codino che portava sempre. “Cosa fai stasera?”

“Passo a prendere gli anelli e poi presumo passerò la serata mangiando cinese per asporto davanti alla televisione.” Il moro aveva sorseggiato il caffè, prima di guardare l'amico. “Vuoi unirti?”

“E Annie?” Il biondo aveva inarcato il sopracciglio, scrutandolo.

“Ha anticipato la partenza per la spa a stasera. Dice che vuole rilassarsi da sola con Mikasa e Mina almeno per una sera, e Judith la raggiunge domani con mia madre e le mie sorelle, non appena queste metteranno piede su suolo anglosassone.” Marco aveva alzato gli occhi al cielo, pregando qualsiasi divinità fosse disponibile in quel momento di salvarlo dall'attacco della famiglia Bodt. Suo padre fortunatamente – o sfortunatamente, dipendeva dai punti di vista – avrebbe passato del tempo in compagnia di George Leonhart, mentre i suoi due fratelli minori aveva già detto che avrebbero visitato la città da soli. E lui non si era assolutamente arrabbiato per le loro decisioni.

“Se non fosse giovedì, potremmo avere anche tre addii al celibato.” Armin aveva sospirato in modo drammatico e Marco aveva soltanto riso. Per decisione dei suoi amici avrebbero festeggiato sia venerdì che sabato sera, e lui aveva seriamente paura di come sarebbe arrivato domenica mattina all'altare.

“Perché non posso avere degli amici normali?” Il suo tono di voce voleva sembrare il più scontento possibile, ma non era riuscito a nascondere una punta di allegria mentre pronunciava quelle parole.

“Perché hai lasciato tutto in mano a Eren, Connie e Reiner. Cosa ti aspettavi?”

“Non di certo “Una notte da leoni”. E sto ancora sperando di arrivare tutto intero all'altare. Voi compresi.”

“Per me non ti devi preoccupare. E neppure per te. Ti terrò sotto stretta sorveglianza in questi giorni, chiaro?” Il biondo aveva cercato di fare la sua espressione più seria, mentre si alzava dalla poltrona. “Ci vediamo più tardi a casa tua. Porto la birra.”

 

✵✵✵

 

Solo che la birra non era mai arrivata. Come non era mai arrivata la cena che aveva ordinato.

Prima di uscire dall'ufficio aveva ricevuto la visita del proprio capo che gli comunicava che il giorno dopo poteva passarlo a casa a rilassarsi. Aveva cercato di protestare, di dirgli che poteva tranquillamente venire in ufficio, ma Erwin Smith gli aveva sorriso, mettendogli una mano sulla spalla, e gli aveva detto di non preoccuparsi di nulla. Marco aveva sospirato, ma aveva smesso di protestare. Sapeva di non avere casi urgenti. Sapeva di potersi permettere di rimanere a casa. Solo che non voleva restarsene a poltrire tutto il giorno sul divano. Perché sapeva cosa sarebbe successo se fosse rimasto da solo troppo a lungo. Sapeva quali pensieri sarebbero venuti a fargli visita mentre guardava il completo da cerimonia appeso su un'anta dell'armadio. Sapeva bene cosa doveva evitare, almeno in quei giorni.

E mentre si dirigeva dal gioielliere per recuperare le fedi, aveva ricevuto una telefonata da parte di Connie.

“Marco, so che stasera sei libero come un uccellino visto che la padroncina non c'è.”

Il moro aveva alzato gli occhi al cielo. Connie Springer era sempre così, da quando lo aveva conosciuto. E non aspettava mai prima di iniziare a parlare al telefono.

“Si, è già partita.”

“Lo so, me lo ha detto Sasha.”

Aveva sentito parlare e ridacchiare dall'altra parte del ricevitore, e aveva riconosciuto la voce di Sasha Brauss, fidanzata storica dell'uomo con cui era al telefono.

“Sash dice che stasera verrai rapito da noi. E si, sapiamo che domani non lavori. E sempre si, ce lo ha detto Armin.”

Marco si era portato una mano al viso, massaggiandosi la fronte. Sapeva che in nessun caso lo avrebbero lasciato in pace. Aveva avuto la malaugurata idea di rifiutare i loro inviti un paio di volte, e i due si erano presentati a casa sua, torturandolo finché non aveva deciso di uscire. Anche se doveva ammettere che da quando aveva iniziato a convivere con Annie si erano fatti meno insistenti, a causa dello sguardo glaciale che la donna spesso gli riservava quando erano troppo rumorosi o fastidiosi.

“Solito posto solita ora?”

Aveva chiesto, ma questa volta era stata Sasha a rispondergli.

“Marco, ti prego e ti scongiuro. Vestiti casual. Niente cravatta. Ti prego. Sei super sexy quando sei in giacca e cravatta, ma questa sera te lo vieto.”

Il moro aveva ridacchiato, soprattutto per le proteste di Connie.

“Ci vediamo più tardi.”

 

✵✵✵

 

Si era vestito più casual possibile per venire incontro alle richieste di Sasha e poco prima delle nove era già sul taxi che lo avrebbe portato al solito pub dove passavano fin troppi sabato sera. Era il pub in cui li aveva conosciuti appena si era trasferito. Mentre se ne stava tutto solo, a scollarsi una pinta di birra seduto al bancone, Connie Springer, visibilmente alticcio, gli si era avvicinato. Lo aveva invitato al tavolo a cui stava bevendo con altre persone e lui stranamente aveva accettato. Si era seduto al tavolo di legno massiccio e fare amicizia non era mai stato così semplice.

Da allora non si erano più separati.

Entrando aveva salutato il barista e proprietario del locale, che tante volte aveva dovuto chiamargli dei taxi affinché arrivassero a casa sani e salvi, e l'uomo gli aveva risposto con un enorme sorriso.

“Pronto per il gran giorno?”

“Pieno di ansia, visto che tutti continuate a chiedermelo. Sono sicuro che farò qualche figuraccia in chiesa.”

L'uomo aveva riso e poi aveva indicato un tavolo. “I tuoi amici sono già arrivati. Ti porto il solito?”

“Si, grazie.” Gli aveva sorriso e si stava incamminando al solito tavolo. Cercavano di occupare sempre lo stesso posto, perché Connie e Sasha insistevano nel dire che quel posto era speciale. Che quello era il posto in cui si erano conosciuti. Che avrebbero dovuto mettere una targa con i loro nomi, e sciocchezze del genere.

Poteva già sentire la voce di Eren Jaeger che sembrava avercela con qualcuno, ma questa non era una cosa nuova. Il tedesco trovava sempre qualcuno con cui avercela, per poi passare la serata a protestare. Di solito si lamentava del proprio capo.

Solo che qualcuno gli aveva risposto con una voce altrettanto irritata, mentre gli altri ridevano e Armin cercava di calmare i due presunti litiganti.

Sasha era stata la prima a notarlo, sbracciandosi per farsi notare – anche se non sarebbe mai stato impossibile non notarla – e chiamandolo a voce alta.

“Marco! Sei in ritardo!”

“Si, lo so. E non ho intenzione di scusarmi.” Aveva sorriso una volta vicino al tavolo, ma il sorriso gli era morto sulle labbra subito dopo.

Due occhi ambrati si erano posati su di lui.

Due occhi che aveva conosciuto bene e che avrebbe riconosciuto ovunque.

Due occhi spalancati che lo osservavano.

Aveva deglutito, non riuscendo a spostare lo sguardo dal suo.

“Jean...?”
   
 
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