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Autore: Thiliol    28/11/2015    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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Reminds me of childhood memories





Atalariel si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi tanto in fretta da farsi quasi male. La luce della luna l'accecò.

Si mise a sedere, avvolgendosi maggiormente nella coperta di lana che la proteggeva dall'aria fredda della notte.

Aeglos dormiva accanto a lei, il respiro regolare e sereno così tipico di lui. Era nudo e la curva delle sue natiche la ipnotizzava, le sue spalle la invogliavano a toccarlo, ad accarezzarlo, ma non lo fece. Dopo il loro litigio, dopo quella promessa di morte che si erano scambiati, avevano fatto l'amore come mai era capitato prima.

Era stato disperato, era stato violento e sterile, per la prima volta in migliaia di anni tra loro vi era stata solo nuda passione. Non aveva sentito lo spirito di Aeglos unirsi al suo, non aveva sentito la sua mente, ma solo il suo corpo, caldo e sudato.

Si era addormentata, stanca e triste, senza che quel rapporto le avesse portato alcun giovamento.

E aveva sognato.

Ricordava ancora la pelle incredibilmente bianca di Uinen, i capelli che si diramavano in ogni direzione, la voce eterea che le parlava. Non riusciva a ricordare cosa si fossero dette, ma il senso di vuoto che provava si era leggermente attenuato, come se il solo sognare la Maia le avesse per un attimo fatto dimenticare che Silevril non c'era più, che lo spirito di suo figlio era scomparso da Arda.

Allungò una mano e infilò le dita tra i capelli biondi di Aeglos, per poi scendere sulla schiena, seguirne il contorno. Quando arrivò alle natiche si accorse che lui era sveglio e la stava guardando di sottecchi, con la testa girata verso di lei. I suoi occhi brillavano nella notte ma erano colmi di amore.

Che essere meraviglioso era! Sembrava che non fosse accaduto nulla tra loro, sembrava solo un'altra notte passata nella loro casa sulla scogliera, o sotto le fronde dell'Ossiriand, tanti anni prima.

< Non ti fermare > le disse, quando lei ritrasse la mano.

Si sdraiò contro di lui, coprendo entrambi con la coperta. Lo circondò col braccio e con la gamba, mentre Aeglos le afferrava gentilmente una ciocca di capelli e ci giocherellava.

Si sentiva rilassata e al sicuro, così stretta contro di lui, pelle contro pelle.

< Devi avere fede, Alatariel > disse Aeglos a bassa voce, in tono intimo.

< Ci provo, ma nella mia mente lui non c'è più e questo mi terrorizza. >

< Lo so, credimi. Ma non posso pensare a una tale eventualità e nel profondo sai che ho ragione. >

La guardò per un secondo con un sorriso negli occhi.

< Ma non lo ammetterai mai. >

Le scappò una risata, che ben presto sfociò nelle lacrime.

Aeglos gli si fece più vicino e la baciò.

< Ti amo, per questo. >

Rimasero così per un po'.

Alatariel riusciva a sentire il respiro di suo marito su di sé, lo vide chiudere gli occhi e rilassarsi.

< Ho sognato Uinen, > disse infine, a bassa voce, quasi avesse paura che qualcun altro potesse sentirla.

< Mi ha parlato di Silevril > continuò, < ma non riesco a ricordare cosa mi ha detto. >

Ora Aeglos era sveglio, all'erta.

< Come sai che era Uinen? >

< Perché la vidi, molti anni fa, nella mia giovinezza in Tìrion. I suoi capelli erano come i fiumi e la sua pelle candida come la sabbia di Alqualonde. >

< Credo di averla sognata anch'io... ma non l'ho riconosciuta. La Signora di ogni Mare mi ha parlato ma io non l'ho ascoltata. >

Aeglos pianse, silenziosamente e con compostezza, trasmettendole un dolore enorme, in un modo che lei gli aveva sempre invidiato.

Questa volta fu lei a baciarlo.

< Sai cosa vuol dire questo, mio amato? Che forse avevi ragione e una speranza c'è ancora. Forse Uinen tornerà da noi e ci parlerà. Andiamo a Dol Amroth. >

< So che non ci credi davvero, Alatariel, ma ti ringrazio lo stesso. >

Si abbracciarono e Aeglos affondò il viso tra i suoi capelli, perdendocisi.

La luna era ancora alta, ma l'alba non era lontana e già si sentiva qualche allodola cantare in lontananza.

Ma avevano qualche ora, ancora, per rimanere in quel limbo di sollievo che l'aveva avvolta, prima di scostare la coperta e tornare al cupo terrore che no, non c'era alcuna speranza ed il vuoto era totale.

Lì, stretta nell'abbraccio di Aeglos, riusciva quasi a credere di poter conservare la sua vita... la vita di entrambi.




Nascosto dietro un angolo, Galmoth si sentiva talmente impaziente che avrebbe preso a calci la porta.

Non era stato difficile trovare quella casa, dato che praticamente chiunque in città la conosceva, persino gli ubriachi e i mendicanti che infestavano le stradine della cerchia esterna. Si era aspettato un grande palazzo, uno di quelli che i generali del Principe si facevano costruire appena a ridosso del porto, dove il sole riverberava sull'acqua e rendeva il panorama mozzafiato. Anche lui aveva avuto una casa come quella, pensò con una nota di rammarico.

Invece il grande Finrod Felagund abitava in una piccola casa modesta, appartata, con un portoncino rosso e una quantità spropositata di vasi e fiori. Un gatto nero era seduto lì sul lato e sembrava fissare proprio Galmoth con aria attenta, muovendo a scatti la coda.

L'intero quadro gli metteva voglia di ridere.

Proprio quando aveva deciso di raccogliere il coraggio e bussare, la porta si aprì e l'elfo uscì di casa. Era molto diverso rispetto agli elfi che aveva visto a Dol Amroth ed era molto diverso da Silevril: sprigionava un potere latente, ma irresistibile. Era antico e Galmoth poteva sentirlo come tangibile, una sorta di aura che si irradiava da lui, dalla sua figura slanciata e dalle sue movenze eleganti.

Aveva lunghi capelli biondo cenere, sciolti sulle spalle, con solo una sottile treccia nel mezzo. Indossava la divisa delle Guardie della Cittadella e l'Albero Bianco sembrava risplendere di luce propria.

Guardò il gatto e quello fuggì via, spaventato.

Galmoth fece per avvicinarsi di soppiatto, allungando un braccio per poter attirare la sua attenzione con discrezione, ma non fece in tempo.

Con uno scatto fulmineo, l'elfo gli afferrò il polso e gli torse il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo contro il muro.

< Non ti conosco > disse in tono perentorio, < ed io conosco tutti in Minas Tirith. Chi sei? >

< Mi chiamo Galmoth, > rispose, cercando di ignorare il dolore alla spalla, < ho qualcosa da discutere con te, Sire >

Lo fece voltare, ma gli impedì qualsiasi movimento bloccandolo ancora contro il muro.

< Sto ascoltando > sibilò.

< Sono sicuro che tu ti stia chiedendo cosa sta succedendo in Città. Beh, potrei saperne qualcosa. >

Finrod lo fissò in silenzio per qualche secondo, finché Galmoth non dovette abbassare lo sguardo.

< Perché vieni da me a dirmi questo? >

< Silevril. >

L'elfo sembrò sbiancare di colpo, tanto che Galmoth si chiese se non sarebbe svenuto lì sul posto, ma si riprese abbastanza in fretta.

< Come lo conosci? >

< Siamo amici. So che vi siete incontrati sulle mura qualche giorno fa e lui ne è rimasto turbato. Cercava di nasconderlo, naturalmente, ma era piuttosto palese che non riuscisse a pensare ad altro che al vostro incontro. >

< Non capisco. >

< Silevril è... beh, non so cosa gli sia successo, ma credo che sia in guai seri. Sta succedendo qualcosa di molto sinistro in questa città e Silevril ci è dentro fino al collo. Devi aiutarmi! >

Rimasero in silenzio entrambi, solo i suoni della città che lentamente tornava alla vita dopo il riposo notturno. Una campana suonò l'inizio del primo turno di guardia della nuova giornata.

Finrod si allontanò leggermente da lui, lasciandolo andare, per poi passarsi le mani sul viso con costernazione.

Disse qualcosa in elfico a mezzavoce che Gamoth non capì, ma aveva l'impressione che l'elfo stesse parlando più con se stesso che con lui. Improvvisamente era sembrato vecchio come un uomo, ma fu solo un'ombra passeggera, prima che tornasse a essere quello di prima, in tutta la sua possanza.

< Non parliamone qui, > disse infine, rivolgendosi direttamente a Galmoth, < vieni in casa. >

Lo introdusse in quello che era un piccolo ingresso con un appendiabiti su cui posò il mantello, poi lo precedette in un'ampia stanza con un tavolo in legno e semplici sedie in vimini.

< Siedi pure, e attendimi qui. Devo mandare a dire che non sarò presente questa mattina sulle mura. >

Con un cenno della mano gli indicò di accomodarsi, poi uscì velocemente.

Rimasto solo, seduto nella sala da pranzo dell'elfo più antico della Terra di Mezzo, Galmoth si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo, come se Finrod lo avesse tenuto sotto una specie di incantesimo.

Poi un rumore di passi. Non poteva essere lui, era appena uscito, inoltre i passi non provenivano dall'ingresso ma dalla parte più interna della casa.

Che Finrod Felagund avesse una moglie? Dei figli? Non sapeva nulla di lui.

I passi si avvicinavano e una voce femminile chiamava il nome dell'elfo.

Galmoth agghiacciò e si alzò bruscamente, mentre la ragazza entrava nella stanza.

< Sire Felagund? Non eravate usc- >

Si bloccò a metà frase, immobile sul ciglio della porta.

Galmoth dovette trattenersi dal correre verso di lei, dal prenderla tra le braccia e stringerla.

< Laer... > sussurrò.

Non gli era mai sembrata così bella, con la treccia che le scendeva morbidamente sulla spalla destra, i capelli un po' più simili a fili di rame di come li ricordava, il semplice vestito a maniche lunghe e collo alto che faceva risaltare le lentiggini sul suo viso.

Non vedeva Laer indossare un vestito da anni, da quando era una ragazzina che sognava di essere la principessa degli Elfi e se ne andava in giro spensierata per la casa di quell'amico di suo padre che la cresceva come fosse figlia sua. Era stata così allegra in quei giorni e ora appariva triste e sola.

< Cosa ci fai qui, Galmoth? > gli domandò in modo secco, quasi duro.

< Io? Cosa ci fai tu qui, piuttosto. Non dovevi andartene chissà dove? >

Laer scostò la treccia con un gesto stizzito della mano e incrociò le braccia al petto.

< Non devo certo dare conto a te di quello che faccio e di dove vado. >

Galmoth sorrise senza volerlo: eccola, quella nota di infantile capriccio che aveva sempre sfoggiato quando qualcosa la contrariava. Era sempre stata viziata, ma come avrebbe mai potuto negarle nulla? Anche adesso, se gli avesse chiesto di andarsene, probabilmente lo avrebbe fatto.

< Vedo che vi conoscete. >

La voce di Finrod li fece sobbalzare entrambi.

< Per favore, lasciate da parte le vostre divergenze. Galmoth, raccontami cosa è accaduto a Silevril. >

< Silevril? > interruppe Laer, ansiosa.

Finrod la guardò, chiedendole gentilmente ma con fermezza di lasciare le domande a dopo.

< Laer mi ha raccontato del tesoro di Ulmo e del vostro incontro con un uomo chiamato Baran. >

< Dovevamo recuperare la gemma per consegnarla al capo della Corporazione dei mercanti. Baran ci aveva detto che i mercanti sono scontenti perché a causa della legge che impedisce agli uomini di entrare nella Contea, il commercio di Erbapipa è in forte crisi. Vogliono il Tesoro per usare il suo potere sull'acqua, per scatenare l'Anduin contro la città, rovesciare il Re e prendere loro il potere. Questo ci ha detto Baran ed io non ho fatto domande, anche se nulla di quanto mi stava dicendo mi convinceva. >

< Lui ti ha promesso qualcosa. >

Non era una domanda, ma un'affermazione. Gli occhi dell'elfo si piantarono nei suoi.

< Mi ha detto che una volta sul trono di Gondor, io avrei potuto riprendere ciò che mi era stato ingiustamente tolto: il mio grado di Ammiraglio della Flotta del Principe, le mie navi ed il mio nome. >

Si voltò verso Laer, rivolgendosi direttamente a lei.

< Ho perso tutto per proteggere un uomo che si è rivelato indegno di fiducia e amicizia, volevo tornare indietro non per me, ma per te, Laer, volevo che tu tornassi a vivere in una casa, volevo che la tua unica preoccupazione fosse quale vestito indossare, con quale dei giovani di Dol Amroth danzare ad una festa. Volevo solo bellezza e gioia per te. >

< Preferivi che io ti credessi un criminale, piuttosto che uno sciocco? > chiese lei, la voce rotta. < Mi hai mentito per tutti questi anni e poi ti sei fidato di nuovo di lui e ora... ora... >

< Cosa centra Silevril in tutto questo? > li interruppe Finrod, riportando l'attenzione su di sé.

< Il capo della Corporazione è una donna di nome Ruth. Lei ha... diciamo una certa influenza sugli uomini. >

Galmoth si mosse, a disagio nel ricordare l'effetto che la bellezza conturbante di Ruth aveva avuto su di lui.

< Quando lei è nella stanza, è come se ogni altra cosa perdesse importanza. Desideri solo lei, poterla toccare, poterla baciare... >

< Descrivimela, > ordinò brusco Finrod.

< Ha gli occhi verdi e lunghi capelli rossi. Sono molto ricci, ma non credo che il colore rosso sia naturale perché è incredibilmente acceso, come una fiamma viva. Ed è bellissima. Non ho mai posato gli occhi su una donna più bella e la sua voce è come un incantesimo. Volevo averla a tutti i costi, ma lei ha scelto Silevril e nel momento esatto in cui lo ha fatto io sono stato libero.

Ma Silevril ne era totalmente soggiogato. Ha preso il Tesoro di Ulmo, lo ha portato da lei e poi sono rimasti soli per un po' di tempo. Quando è uscito lui era... diverso. >

< Diverso come? >

Galmoth rifletté un attimo, prima di rispondere.

< Non posso dire di conoscerlo bene, in fondo non è molto che ci siamo incontrati, ma ho capito qualcosa di lui: è arrogante, sprezzante, forse crudele, ma non è senz'anima, questo mai. C'è qualcosa in lui, uno spirito forte, credo, anche se non sono un esperto di queste cose. Quando è tornato dal suo incontro con Ruth, quello spirito era sparito e di Silevril non era rimasto che l'involucro. >

Rimasero in silenzio.

Laer sembrava offesa da tutta quella situazione ed evitava lo sguardo di Galmoth.

Cosa stava pensando?

Anche in tutta quella faccenda, con la preoccupazione per Silevril e la soggezione che Finrod Felagund gli incuteva, non riusciva a non pensare a Laer. Le era mancata così tanto che vederla ora era come riprendersi dopo una malattia, quando si esce di casa per la prima volta e ogni cosa sembra nuova e l'aria più pulita e fresca. Aveva sentito la mancanza dei suoi capelli, del suo naso, della sua voce, di quando lo sgridava e di quando ridevano insieme. Era la sua bambina e l'amore che provava in quel momento rischiava di farlo scoppiare a piangere come un idiota. Voleva rimanere solo con lei e parlarle, voleva che lo perdonasse.

< Ecco cosa faremo > disse d'un tratto Finrod, riportandolo bruscamente alla realtà.

Silevril, sì, prima dovevano salvare Silevril e poi avrebbe potuto chiarirsi con Laer.

< Devo trovare Silevril, perciò tu, Galmoth, mi indicherai dove si trova questa Ruth. Devo parlare con lui, ma non posso farmi vedere da lei, non ancora, non prima di scoprirne di più. La Guardia della Città sta già indagando, su mio ordine, perciò li manderò lì a sorvegliarla. Non posso combatterla, chiunque ella sia, se Silevril è con lei, non ho abbastanza potere e potrei ferirlo. No, non posso farlo. >

L'elfo sospirò, poggiando i gomiti al tavolo e passandosi le mani sugli occhi.

< Cosa farò io? > chiese Laer.

Aveva un'aria di sfida, dietro alla timidezza con cui si rivolgeva a Finrod.

< Nulla. Non puoi fare nulla, mia dolce Laer. >

L'elfo le sorrise e, incredibilmente, lei annuì. Le si leggeva in faccia la delusione e la rabbia, ma non osò controbattere.

Con una certa punta di rammarico, Galmoth pensò alla lunga lotta verbale che avrebbe dovuto sostenere se nella stessa situazione ci fosse stato lui a dare gli ordini.

< Lo porteremo qui, > aggiunse Finrod, < allora potrai esserci più utile di ciò che credi. >

Si voltò verso Galmoth che, nel frattempo, si era alzato.

< Andiamo. >

Si avviò verso l'ingresso e Galmoth, dopo aver scambiato un'ultima occhiata con Laer, lo seguì.




Il sole riverberava sull'acqua chiara e tranquilla del porto di Dol Amroth, dove le navi dal grande cigno bianco se ne stavano alla fonda come grosse ninfee.

Non veniva lì da molti anni, ma nulla era cambiato, continuava a essere pervaso da bellezza e serenità, simile più di qualsiasi altro luogo su Arda alla sua perduta Alqualonde.

Alatariel al suo fianco si abbassò il cappuccio , lasciando che la brezza le scompigliasse leggermente i capelli.

Le dita di lei intrecciate alle sue tremavano leggermente, ma il suo viso appariva come al solito impassibile.

< Ci saranno decine di navi, > gli disse, < non troveremo mai qualcuno che ha notizie di Silevril. >

< Un elfo qui non deve essere passato inosservato, inoltre sono assolutamente certo che Silevril non abbia nemmeno preso in considerazione queste navi. >

< No, dobbiamo trovare quelle più piccole. >

< Una nave da poter sentire sotto le mani, con cui poter parlare. >

< Una nave che assomiglia al Giuramento. >

Aeglos si voltò verso di lei, per darle un leggero bacio a fior di labbra.

< Andiamo, > disse.

Lei si rimise il cappuccio e insieme si avviarono verso la parte più isolata del porto, dove non più di cinque imbarcazioni a un solo albero ondeggiavano placide nel mattino soleggiato.





Allora, che ne dite, sto migliorano? Non è passato così tanto tempo dall'ultimo capitolo e questo è pure più lungo della mia media, oltre a presentare un raro esemplare di Aeglos nudo. Quello era per Hareth, a proposito, glie lo avevo promesso perché ha fatto di me una bambina felice per l'eternità. Devo ammettere che mi sono divertita a scrivere questo capitolo, sia perché ogni tanto Alatariel ed Aeglos riescono a condividere momenti di intimità senza psico drammi, sia perché adoro il pov di Galmoth, che è una mente semplice e schietta e non si fa troppe pippe mentali. Galmoth, ti vogliamo bene. Beh, che vi devo dire, lasciatemi una recensione, o voi numerini silenziosi sulla mia pagina di gestione storie. Palesatevi, che vi voglio conoscere e alla fine sono pure una personcina simpatica.

Lunga vita è prosperità.

Thiliol



*il titolo è un verso di “Sweet child o' mine” dei Guns 'N Roses

   
 
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