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Autore: ArtemisiaSando    30/11/2015    5 recensioni
[Arkhamverse]
April, giovane medico di Boston, a soli ventinove anni capisce di aver messo in pausa la propria vita per perseguire una carriera che l'ha condotta ormai alla solitudine di un appartamento vuoto fra i mattoni cotti dal sole della capitale del Massachusetts.
Quel bisogno di amore e famiglia che per anni, dopo la morte di suo padre, ha allontanato come una malattia senza mai desiderarlo per se stessa, torna con insistenza alla porta del suo cuore imponendole un cambiamento di rotta.
Ingoiando la paura che per una vita intera ha guidato i suoi passi, decide di accettare un lavoro nella famigerata metropoli del crimine, lasciandosi alle spalle un passato logoro e le vecchie abitudini.
Si trasferisce così a Gotham City. Una città che, con le sue contraddizioni, i suoi miti e le sue tetre leggende, riuscirà a coinvolgerla in modi inaspettati cambiando il corso della sua esistenza per sempre.
[Questo racconto è ispirato all'opera videoludica Rocksteady "Batman: Arkham Knight" e fa riferimento agli avvenimenti accaduti nel gioco e nel relativo prequel comic.]
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alfred Pennyworth, Batman, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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~1~ The Giant and the Bat

Il Gotham Mercy si trovava solo a pochi isolati dall'appartamento, era una struttura tozza e slargata, di chiaro stampo moderno, distribuita in piano su diversi ettari di terreno edificato, districandosi fra i grattacieli in maniera violenta, sgraziata. Solo pochi edifici superavano i dieci piani e la medicina d'urgenza non si trovava fra questi. Non era stato il suo sogno lavorare come medico delle emergenze, eppure nonostante il suo lungo internato in cardiologia al Boston Memorial non era riuscita a strappare un contratto diverso.

Gotham non aveva bisogno di cardiologi, ma di medici pronti a gestire quelle urgenze che, a quanto si diceva, sembravano essere all'ordine del giorno. Quasi si perse fra i lunghi corridoi che connettevano il pronto soccorso ai vari reparti, dovendo spiegare a più riprese di non essere un visitatore, ma un medico con un regolare contratto d'impiego. Nonostante l'alto tasso di criminalità, il Gotham Mercy era davvero un ospedale d'eccellenza ed April poté facilmente intuirlo dalla grande organizzazione che regnava sia negli ambienti quanto fra il personale specializzato. A differenza del Boston Memorial non era un ospedale universitario, sapeva che sarebbe stata sola per la prima volta, che nessuno avrebbe avuto l'obbligo d'insegnarle nulla, ma se c'era una cosa di cui fosse davvero certa era ciò che aveva imparato in quei lunghi anni di sacrifici.

Suo padre le aveva lasciato una piccola rendita per il college, era vero, ma che pure non sarebbe mai bastata a coprire le spese per la facoltà di medicina, tantomeno April non avrebbe mai potuto chiedere a sua nonna di mettere in gioco una cifra del genere.

Aveva lavorato sodo per mantenersi, accettando piccoli lavori che le permettessero di ottenere una borsa di studio all'anno, non l'aveva fatto per suo padre, ma per se stessa. Il prezzo era stata la sua vita. Era diventata una donna diversa dalla bambina che era stata, più determinata, ma meno felice. Aveva lasciato andare tutto il superfluo, aveva guardato le proprie amiche uscire, divertirsi, innamorarsi senza mai davvero desiderarlo per se stessa. Forse per quello stesso motivo aveva deciso di lasciare Boston senza guardarsi indietro, di cominciare una nuova vita da qualche altra parte.

Ad accoglierla trovò il dottor Simon Heagen, primario, sorriso teso su denti affilati, le diede il benvenuto con la convinzione di uno squalo. Piuttosto giovane per aver assunto il controllo dell'intero dipartimento di emergenza, sembrava perfettamente a suo agio accompagnandola nel dedalo di corridoi di sua competenza, come un gatto che sa di trovarsi nel suo territorio.

Le parlò a lungo di quel reparto, di quello che aveva significato per Gotham in quegli ultimi anni, un orgoglio a malapena trattenuto dietro il tono composto, mentre mostrava l'assoluta efficienza di ogni anello della catena. Fu lui stesso a consegnarle il tesserino e, con un'ultima stretta di mano, la lasciò sulla doppia porta a soffietto del pronto soccorso, di nuovo quel sorriso teso sui denti di lupo.

Il lavoro al Gotham Mercy la assorbì completamente nei giorni che seguirono, così impegnata ad abituarsi ai ritmi dettati dalle emergenze che quasi dimenticò il senso di opprimente solitudine che l'aveva accompagnata al suo arrivo.

Per i primi tempi fu affiancata a due giovani colleghe, Nadine Johnson e Samantha Keller, come lei avevano lasciato le proprie città di origine per lavorare al Gotham Mercy e l'avrebbero assistita finché non avesse imparato a districarsi fra le nuove procedure e qualsiasi cosa concernesse il funzionamento interno dell'ospedale.

Non era mai stata sua abitudine intraprendere amicizie sul posto di lavoro, né si era mai trovata a suo agio nel fingere qualcosa che al di fuori di quelle mura bianche non aveva la stessa importanza. A sue spese aveva imparato che la competizione era più importante di qualsiasi altra cosa in quell'ambiente, così non aveva mai perso tempo ad inseguire rapporti che nessuno si sarebbe dato la pena di mantenere.

Eppure si stupì dell'intimità che, con una facilità insospettabile, si era creata fra loro, nonostante ricoprissero ruoli molto simili, e per una volta non sentì il bisogno di declinare qualunque invito le venisse proposto. Lasciò che la introducessero alla vita della città, oltre che alle responsabilità del nuovo lavoro ed April scoprì quanto potesse essere piacevole avere qualcuno che l'aspettasse alla fine del turno anche solo per poter mangiare qualcosa insieme.

Le prime settimane trascorsero come in uno strano sogno. Per quanto si sforzasse di sentirsi a suo agio nel contesto di quella nuova realtà, qualcosa nel suo cuore remava inevitabilmente contro. Quel sottile senso di repulsione, il brivido che l'aveva accompagnata il primo giorno stentava ad andarsene.

Gotham non era una metropoli qualunque. Sotto l'aspetto fiero, severo di un maciste della finanza e dell'industria, si celava un brusio di squallore e di criminalità sussurrata. Tutti sapevano, ma nessuno ne avrebbe mai parlato apertamente. Gotham stava marcendo e non c'era nessuno che sapesse come invertire quel disgraziato processo. I criminali si aggiravano a piede libero nella notte, dormivano nella pancia di una città dai funzionari corrotti o corruttibili.

La paura rendeva muti i suoi cittadini, sorridevano per le strade alla luce del sole, ma la notte interi quartieri morivano. Deserti, abbandonati. Non si facevano domande, neppure sussurrate, dove la mano di quel marcio senza fine si stendeva, si sgranchiva fra le case vuote.

Si parlava di un giustiziere, un uomo terrificante dietro la maschera di un gigantesco pipistrello. Sulle prime la ragazza sorrise alla notizia, ma il rispetto che l'inquietante vigilante aveva evocato sul volto delle nuove colleghe le provocò di nuovo quel vago senso di nausea che aveva avvertito sin dal primo giorno. Si diceva collaborasse con la polizia, che tenesse pulite e sicure le strade della città, eppure doveva essere soltanto un uomo. Un uomo solo contro il mondo, un destino a parer suo terribile. Chi mai avrebbe potuto auto infliggersi una tale punizione?


   
 
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