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Autore: Kokky    02/03/2009    10 recensioni
SakuSasu, HinaNeji, ShikaIno, ItaSaku, NaruSaku, SasuNaru, SasuIta, Naruto, KibaHanabi, TsuDan.
ShinoShiho: Shiho non era consapevole di ciò, perché non poteva scorgere attraverso quelle lenti scure, così continuò a guardarlo, spaziando a volte sul cielo azzurro e le nuvole placide.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: Kokky
Giorno/Tema: 27 febbraio, The world is tiny; the heart's enormous. la fic è stata terminata quel giorno esattamente, ma la Green Fortnight è stata rimandata perciò...
Serie: Naruto
Carattere/Coppia: ShinoShiho
Rating: Verde (decisamente! XD)



Green Fortnight ~ ShinoShiho

(oh sì, inizio io!)

 

 

The world is tiny; the heart’s enormous

{’Cause glasses rule!}

 

 

E una fretta di mani sorprese
a toccare le mani
che devesserci un modo di vivere
senza dolore
una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece
è soltanto un riposo del vento
un odiare a metà

Disamistade; Fabrizio de Andrè

 

 

Shiho piegò le labbra in una smorfia di vuota insofferenza. Come se poi, trovando la forza e la volontà che non aveva, quella bastasse a ribellarsi a quei risolini che le ronzavano intorno come fastidiose zanzare. A punzecchiare con crudeltà, fino a veder uscire il sangue.

«Guarda, non sa neanche vestirsi... e poi, quegli occhiali orrendi!, nemmeno fosse mia nonna.» diceva una delle sue tante adorabili compagne al grup branco.

«Già, ed è sempre sulle sue, e fa quel sorriso, come se bastasse a scusarsi di tutto. Non è mai con noi, lei. Non è della classe.»

Lei. Non. Esiste.                         

«Chissà chi si crede, poi! Solo perché ha i voti più alti della classe, dopo il mio Shikamaru, ovviamente.» puntualizzò Ino Yamanaka, storcendo il nasino e guardandola storto. Aveva detto quelle parole ad alta voce, per farsi sentire da tutti, persino da Shiho.

Parlavano di lei come se non fosse lì, senza alcun ritegno né rispetto.

«Ino, smettila di avere sensi di inferiorità.» si lamentò Shikamaru, azzittendola.

Shiho gli fu riconoscente, ma le voci su di lei non si placarono, e crebbero, e crebbero, diventarono marea, oceano in tempesta, onde che sbattevano sugli scogli, infrangendosi, rompendo il suo cuore in piccole schegge, che diventavano polvere e cenere, cenere e polvere, rimescolata in quell’acqua.

Fino a che non ce la fece più a sopportare quelle malignità, che non avevano senso, perché lei non aveva davvero mai fatto nulla di male, se non vivere nel suo piccolo mondo sicuro, con le matite appuntite e in ordine, i quaderni sistemati, il computer sempre acceso, la musica come sottofondo; e dizionari, libri, codici segreti nel suo cuore. E questo non bastava, a quanto pare, poiché essere diversi in quel mondo di cacciatori era una pecca, un qualcosa da additare e di cui avere paura, se non odio.

Scappò da quel luogo fatto Inferno, correndo più forte che poteva senza nemmeno accorgersi di dove andava. Salì le scala di fretta, con il fiatone, e si ritrovò di fronte alla porta della terrazza.

Con gli occhi lucidi e le labbra ancora più serrate in quella smorfia di acciaio, abbassò la maniglia ed uscì all’aria aperta.

C’era un po’ di vento, una brezza leggera e carezzevole, che riusciva a rincuorare Shiho nella sua solitudine; c’era l’azzurro infinito del cielo, che correva, balzava da nuvola a nuvola, giocondo, ed era molto più acceso di quanto ricordasse; c’erano le mattonelle pulite del pavimento su cui sedersi, giallastre e rettangolari.

Shiho si accucciò accanto al muro, stringendo le gambe fra le braccia e osservando, attraverso le sue lenti spesse, la rete verde, che fungeva da ringhiera, e il cielo cittadino che essa filtrava.

Rimase quieta, con una sensazione dolorosa nel petto che non sembrava voler scemare, finché non sentì un tonfo vicino a lei, lateralmente.

Dal tetto dell’edificio, tramite cui si poteva salire con una scaletta a pioli dalla terrazza, era atterrato un ragazzo con una felpa grigia, dei pantaloni neri e stretti e un paio di occhiali tondi, con le lenti più scure che Shiho avesse mai visto.

Lei lo fissò attentamente, incuriosita, e lui ricambiò lo sguardo – o almeno le parve così, ma non ne era certa.

Il ragazzo si grattò il mento e si mise di fronte alla rete verde, adocchiando sotto di sé il cortile della scuola con gli alberi, le tre palestre, il campo da calcio e quello da tennis, il campo di atletica leggera e la biblioteca.

Shiho non sapeva cosa fare, però non voleva mostrarsi né triste né indifesa davanti a un estraneo, perciò si forzò ad alzarsi e, una volta fatto, pulì la gonna a pieghe, sistemò per bene gli occhiali tondi e... e,beh, non voleva tornare in classe, ma l’alternativa era girovagare per i corridoi: davvero molto allettante.

Si guardò le dita, impacciata, poi si assestò le pieghe della gonna; e camminava, avanti e indietro, mentre  – senza farsi notare – lanciava delle occhiate al ragazzo che, fregandosene di tutto e di tutti (e di lei), fissava il cielo, annoiato.

Dio!, pensò Shiho. Poi si rese conto di essere stupidamente frivola, a sentirsi così solamente perché era sempre indecisa e imbarazzata, e oltretutto scoprì di non pensare più a quel groppo alla gola. Che c’era, sì, ma si era affievolito e, concentrandosi sui gesti del ragazzo, poteva dimenticarsene del tutto.

Quasi fosse un’anestesia.

Così si appoggiò al muro con la schiena e lo squadrò, nel suo silenzio infinito e tangibile, percettibile sulla pelle, eppure piacevole, perché non c’era bisogno di parole per distrarsi, ma solo di quel corpo muto e di quei piccoli cambiamenti di posizione che il ragazzo faceva, di tanto in tanto.

Shiho si concentrò su di lui, sentendosi sempre più calma. Dimentica di quello che era successo poco prima in classe.

Il ragazzo, intanto, estrasse dalla sua tasca il suo Ipod, infilò gli auricolari alle orecchie e si sedette, con la schiena poggiata alla rete verde; e la fissava, da dietro quegli occhiali che lo riparavano da tutto, dagli sguardi indiscreti, dai suoi genitori, dai suoi compagni; la fissava e rimuginava.

Shiho non era consapevole di ciò, perché non poteva scorgere attraverso quelle lenti scure, così continuò a guardarlo, spaziando a volte sul cielo azzurro e le nuvole placide.

Era come essere in cima del mondo, lì: vedevi solamente il cielo e non c’era nessun palazzo a disturbarne la visuale; potevi tendere un mano verso di esso e toccarlo, quasi.

«Di che classe sei?», domandò il ragazzo, dopo un po’.

Le sue parole furono così inaspettate che Shiho non si rese subito conto del fatto che fossero rivolte a lei, e rimase in silenzio per un minuto. Poi, balbettando leggermente per l’imbarazzo, rispose: «Oh... oh, sì, certo, so-sono in terza E.»

E così la conversazione finì.

Dopo un altro po’, lui si alzò, spazzò i pantaloni dalla polvere ed andò via, veloce così come era arrivato.

Qualche istante più tardi, come una condanna, suonò la campanella, e Shiho decise che era stata abbastanza fuori, per la sua prima volta di “bigiamo le lezioni appassionatamente”, così si fece coraggio e tornò in classe.

Il professore, appena la vide, le chiese dov’era stata, con una vena d’isteria. Nemmeno un accenno su cos’era successo o sulle sue motivazioni.

Shiho, deglutendo, rispose con il silenzio assoluto e, rossa in viso, si sedette al suo posto, aprendo il libro di francese e lisciandone le pagine, con un leggero nervosismo.

Ma nessuno, nessuno fiatò.

 

«Ti rendi conto, è pure tornata!»

«Non è che sta alzando troppo la testa, Ino? Non credi? Bah... »

«No, no, non è questo. Ma guardala, però, guardala come se ne frega. Rimane in silenzio, non ci guarda, non fa nulla. Pensa che siamo stupide, eh? Delle oche.»

«Perché non la boicottiamo, eh?, Ino-chan, boicottiamola. Siamo state troppo gentili con lei!»

«Mi sembra una buona idea, Ino-chan, una buona idea.»

«Perché non sputate veleno da altre parti e su altre persone?»

«Shika, non vorrai dirmi che ti piace quella...!»

«Non ho detto questo, seccatura. Ho solo det–»

«Zitto allora, non abbiamo bisogno di te e dei tuoi stupidi consigli.»

«Ma perché tutte a me, queste ottuse seccature? Lasciamole scannare fra di loro, che è meglio.»

«Che hai detto, Shikamaru Nara?!»

«Niente, parlavo fra me e me, continuate pure, dolcezze

«Bene. Allora è deciso, boicottiamola!»

E la questione finì lì.

 

 

«Non starmi così appiccicato!»

«Ti devo marcare, Sas’ke-kun, ti devo marcare.»

«Ma non starmi così appiccicato, dobe.»

«Vuoi che ti spieghi cosa significa “marcare un giocatore”? Vuoi che ti faccia un disegnino?»

«So meglio di te cosa vuol dire.»

«E allora non ti lamentare, teme...»

«Sì che lo faccio, invece. Non posso nemmeno respirare, mi bracchi, quasi.»

«Oh, ma smettila.»

«Cazzo, baka!»

«Che, ti brucia non avere una zuccherina risposta pronta?»

«...»

Allora Sasuke afferrò per la collottola Naruto, infuriato, e lo spinse sulla rete del campetto di calcio.

«Voglio diventare un professionista, capisci? Non puoi farmi perdere tempo in cazz–»

«Sasuke e Naruto, INSOMMA!» urlò l’arbitro Sakura, correndo verso di loro e fischiando per interrompere la partita.

Li divise, spingendoli uno da un lato e uno dall’altro.

«Ora...» incominciò lei «Capisco che vi amate alla follia e non riuscite a stare separati nemmeno un istante – Sasuke potevi anche dirmelo prima, sai, così mi mettevo l’anima in pace – ma potreste smetterla di pomiciare davanti a tutti almeno durante la partita di calcio?! Vedo le ragazze ponpon già con la bava alla bocca!»

I due, rossi in viso, riuscirono a controbattere solo con un: «Ma Sakura!»

«Silenzio.» Le vene delle tempie di Sakura stavano incominciando a pulsare pericolosamente, segno di una vera arrabbiatura in arrivo.

Sasuke e Naruto deglutirono, si squadrarono un secondo incrociando lo sguardo, e poi sbraitarono difensivi: «Ma a me lui non piace!»

E Sakura, con un risolino frivolo e sincero, ribatté: «Certo. E io, miei cari, sono la fata turchina dai capelli rosa cicca.»

Il silenzio, pieno di consapevolezza, scese fra di loro.

 

Poco più in là, superato il campo di calcio, quello di atletica leggera e quello di tennis, dentro alla palestra numero tre, c’erano due classi che si esercitavano facendo palleggi.

Shiho non stava combinando propriamente qualcosa, anzi.

Le sue compagne di classe non le passavano mai la palla, ed era un bene, perché la ragazza non era affatto portata per lo sport, ma allo stesso tempo un male. Significava che la ignoravano, ed ignorarla era peggio di deriderla.

Lei. Non. Esisteva. Davvero.

Shiho così si ritrovava a deglutire e respirare, con la testa nel pallone e la concentrazione pari allo 0,1%; annaspava in quella sensazione di invisibilità totale.

Non sentiva quasi più i rumori attorno a lei: il rimbalzo della palla gialla e blu, il vociare dei compagni, le urla e gli insulti, il tonfo dei passi pesanti; nelle sue orecchie c’era uno strato di ovatta, morbido.

Non si accorse quasi del pallone che virava, balzando in modo sbagliato verso di lei. Se lo vide davanti, chiuse gli occhi e si parò con le mani alzate, uno scudo per tutto.

La palla rimbalzò all’indietro, rotolando via.

Le ragazze sbuffarono e inveirono contro Shikamaru che, sbadatamente, aveva lanciato la palla a Shiho.

«Avevamo detto: boicottiamola! Non è che ti piace davvero?»

«Che seccature con i fiocchi. Mi da solo fastidio tutto questo, perché è semplicemente stupido, non sto urlando a lettere cubitali che la amo e che la sposerò quando saremo maggiorenni! Sto solo boicottando voi che boicottate.» disse con ironia sprezzante.

Choji, lì vicino, assentì per la saggezza del suo migliore amico.

Intanto, Shiho era stata costretta ad andare a recuperare la palla perduta, rotolata oltre la loro parte di palestra. Il pallone si era fermato proprio vicino al gruppo dell’altra classe, la terza B, che palleggiava con il solito vociare.

Corse fino a lì con il viso color pomodoro, mentre gli occhiali le ballavano dentro la tasca dei pantaloni, e si fermò paralizzata accanto a quei ragazzi in movimento. La palla era lì, a pochi metri.

Fece un passo, poi un altro, senza dire nulla a nessuno e rischiando di essere investita da un giocatore esaltato. Si scostò un poco, non vedendo bene ciò che aveva intorno... senza occhiali, era quasi cieca. Da vicino era una talpa.

«Ehi.» le disse qualcuno, lanciandole la palla, che lei non riuscì ad afferrare in tempo. Ci si mettevano anche i riflessi lenti, adesso. Divenne ancora più rossa, quasi allo stremo. Sembrava una parodia o qualcosa di comico da mandare alla tivù.

«Tieni.»

Il secondo ragazzo che le aveva parlato aveva una massa di capelli ricci e scuri (alla Jimi Hendrix, pensò Shiho, ma non lo disse), gli occhi dal taglio sottile e qualcosa di familiare che Shiho non riuscì a collegare. Chi le ricordava?

«Gr-grazie.» borbottò allora, prendendo la palla e correndo via, verso i suoi compagni di classe.

 

 

Shiho, come ogni ricreazione, non sapeva che fare. Si guardava spaesata intorno, cercando qualcuno con cui stare, come aveva fatto fino ad allora. Non si era nemmeno portata un libro o qualche sudoku da fare.

E ora tutti la ignoravano e si allontanavano da lei. Anche se solo avesse tentato di avvicinarsi, le avrebbero voltato le spalle.

Perciò, per ben venticinque minuti (quando mai in una scuola normale una ricreazione durava così tanto?!) non avrebbe saputo cosa fare e avrebbe girovagato senza meta. Meglio che stare in classe, sicuramente, sotto la mira delle sue belle compagn arpie (senza offesa, poi).

Uscì dall’aula, percorrendo i corridoi della scuola con fare svogliato.

C’erano i ragazzi che pomiciavano con le ragazze, tutti bellimbusti dai capelli col taglio giusto e le scarpe firmate; c’erano dei ragazzi con un groviglio al posto dei capelli e gli auricolari alle orecchie, indossando delle magliette di famosi gruppi hard rock; c’erano alcune ragazzine che parlavano fra di loro; poi c’era Billie che vendeva gli spinelli agli amici del “Green Day” (a quanto pare, in americano voleva dire «Giorni passati a fare canne...»), sempre sorridenti e gentili.

Shiho si poggiò al muro, sospirando, e adocchiò un piccolo pezzo di cielo dalla finestra. Le venne l’illuminazione.

C’era un posto dove il cielo poteva quasi essere toccato, e dove avrebbe potuto trascorrere la ricreazione!

Corse con una nuova luce negli occhi, accesa dalla speranza di poter passare il tempo osservando quell’infinito azzurro o... beh, di trovare quello strano ragazzo. Aveva un qualcosa che la incuriosiva.

Arrivò alla terrazza, spalancò la porta e la sua aspettativa non fu delusa: c’era lui, con in mano una PSP, la solita felpa e gli occhiali scuri calcati sul naso. L’anestesia.

Shiho sorrise impercettibilmente, arrossì un po’ e si mise al suo posto, appoggiata nuovamente al muro. Il ragazzo alzò lo sguardo, la fissò un istante e poi tornò al suo gioco.

Il tempo passò facilmente, seguendo gli impercettibili movimenti di lui, così come la prima volta; era una piccola pace perfetta, un limbo dove Shiho non provava nulla, se non la sensazione di essere in capo al mondo, a vivere la vita in quei gesti che la distraevano dai troppi pensieri. Non c’era la sua classe, non c’era il gruppo delle arpie, non c’erano i professori che si fingevano ciechi; nulla di nulla, e basta.

Poi lui spense la PSP, mettendola in tasca, e la guardò – sembrava così, ma Shiho era insicura – dai suoi occhialetti tondi e scuri, due fondi di bottiglia. E chiese: «Come ti chiami?»

Il ragazzo non era di molte parole, anzi; parlava solo se interpellato, se era spinto da un forte motivo o da una forte curiosità. E ora ne provava molta, di quest’ultima.

Shiho incespicò nelle sue parole: «Ah... i-io, sì, io sono Shiho.»

Ritornò il silenzio, placido, tranquillo, pacificante.

No, davvero, lui non era di molte parole, ma nemmeno Shiho. Amava la quiete, quella che trovi nelle città se ti svegli prima dell’alba, in quella forma di paradiso fatto di buio e chiazzato leggermente di luce solare; dove c’è ancora la pace e l’assenza della cacofonia provocata da macchine, da uomini in movimento; proprio quella.

Lui era uno che parlava, con il suo silenzio, e lei era una che capiva le sue parole, senza sforzarsi di ascoltare sussurri mai detti.

La campanella suonò, rompendo la magica anestesia azzurra in cui si erano immersi fino al collo.

«Shino.» disse allora lui, come a salutarla. Se ne andò.

Shiho, con il viso rosso e gli occhiali un po’ appannati, si passò una mano fra i capelli, sentendo la vita – quella vera – tornare nelle sue vene; sospirò e si allontanò da lì, da quella terrazza dove il cielo lo potevi toccare con un dito, quasi.

 

 

“Come un’anestesia
come un’abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità”

Smisurata preghiera; Fabrizio de Andrè

 

 

Shiho si era dimenticata il libro di Matematica (quell’odioso malloppo bianco pieno di possibili ‘2’, per gli altri, ma per lei solo un tesoro prezioso da decifrare) e non sapeva bene come comportarsi. Normalmente, avrebbe dovuto chiedere il volume in prestito a un suo compagno, ma non era il caso. Solo che la professoressa stava per arrivare e lei non poteva rimanere senza!

«Emh, senti... Temari-san, io –» mormorò verso la compagna più vicina.

In classe c’era rumore: i ragazzi e le ragazze parlavano, ridevano, urlavano, fregandosene del casino che facevano. Temari-san non la sentì.

«Ecco... a me servirebbe il libro di matematica, l’ho dimenticato a casa e mi chiedevo –» continuò Shiho.

Ma nemmeno stavolta Temari-san la sentì.

«Davvero, ne ho bisogno. Cosa dico se no alla prof?» domandò Shiho, imperterrita.

La classe urlava, troppo, troppo forte; attorno a lei c’erano solo gli altri, e Shiho era invisibile, una macchietta piegata sotto le prepotenti personalità che la circondavano, la soffocavano: non era nulla; una piccola foglia leggera in balia del vento fischiante del nord, che spirava nel gelo mattutino, fra le fronde ghiacciate e cristalline.

«Oh, oh! Mi sembra di sentire una zanzara che infastidisce con il suo ronzio, o è la mia immaginazione? la zanzara vuole forse un libro di matematica? Ma non dovrebbe essere schiacciata da un pezzo di giornale, piuttosto?!» celiò Temari(-san) alla classe, con una voce imponente ma sarcastica.

Shiho alzò gli occhi verso di lei, fece una piccola smorfia di dolore con le labbra e rimase a guardarla camminare spavalda per i banchi, a chiedere un giornale per colpire la zanzara.

«Ehi tu!» le disse Choji Akimichi, facendole un segno d’intesa «Aspetta, te lo presto io il libro. Fammelo solo trovare, è qui nello zaino, sotto i pacchi di patatine, i tre panini al prosciutto, il pacco di liquirizia...»

«Certo, le zanzare sai, sono così fastidiose. In estate poi, una tortura! Non dovrebbero esistere.»

Tu. Non. Esisti.

No, no. Non aveva alcun senso, quell’accanirsi coi denti, a mordere fino in fondo, per arrivare alle ossa e spezzarle. Non c’erano motivi reali: era un gioco, un passatempo. Un divertimento crudele che era ottimo per non annoiarsi, durante le ore di scuola.

E Shiho ne era la vittima.

Si alzò dal suo banco, stringendo i pugni in una morsa stretta, davanti a sé; il viso era ancora più rosso del solito, non di imbarazzo ma di rabbia, gli occhiali le erano scivolati sulla punta del naso e gli occhi erano stretti in una morsa indistruttibile.

Purtroppo, i carnefici sanno scegliere le loro vittime alla perfezione.

Shiho si era alzata, eppure non aveva la forza di parlare, lì davanti a tutti; non era abbastanza, non si sapeva difendere così; non lottava, non graffiava con i suoi artigli nascosti, dimenticati oramai. Stava lì a sopportare. L’unica cosa per lei era fuggire, l’unica alternativa possibile alla tortura in piazza.

E così fece. Scappò nuovamente da quelle arpie.

I suoi piedi, naturalmente, la condussero lassù: in terrazza, dove la pace sostituiva l’impotenza e la rabbia di Shiho.

 

Shiho sbuffò, si accoccolò al suo – ormai solito – posto, incrociando le gambe snelle, e cercò di non pensare. Cosa alquanto difficile, poiché sentiva la testa scoppiarle: vedeva a rallentatore tutta la scena di Temari, il suo girare per la classe, le sue parole, e il sorriso che aveva fatto quando era fuggita: di soddisfazione, sulle labbra carnose.

Non erano cattive; Shiho ne era sicura. Forse solo un po’, sì, ma non erano consapevoli davvero di ciò che causavano. Erano annoiate, ecco tutto.

Nonostante questo, Shiho non riusciva a togliersi dalla mente la faccia di Temari, e le parole di Ino nei giorni precedenti, e le altre che la incitavano, le risate, gli sghignazzi.

Si premette le mani sulle tempie, borbottando una canzoncina stupida che era stata il tormentone dell’estate precedente (com’era!, parlava di qualcosa di sciocco...). Inspira, espira, inspira, espira.

La campanella suonò, a scandire come sempre il tempo di ogni studente. Ecco, ora Shiho aveva inglese (una delle sue materie preferite, adorava conoscere qualcosa di nuovo e superficialmente impossibile; voleva memorizzare più vocaboli, saper decifrare tutte quelle parole, quelle frasi astruse), con la professoressa Anko, una donna capace di darti due ceffoni al minimo tentennamento.

Tutti, tutti quanti, obbedivano a quella campanella piccola posta in alto, nei corridoi, che suonava ogni ora determinando la tua quotidianità. Ma lei, Shiho, no. Era lì sulla terrazza, a godersi una bella giornata primaverile e a cercare di scordare le sue compagne.

La porta si spalancò, facendola sobbalzare tanto era immersa nei suoi pensieri. E lì, c’era lui.

Aveva una felpa verde, questa volta, di un verde particolare, molto accesso, quasi fosforescente, e soprattutto molto vistoso. Gli occhiali da sole erano sempre calcati sugli occhi, un para-tutto, e teneva in mano un cellulare (fissato con la tecnologia... umh, Nerd?) ultimo modello, dal profilo elegante.

Shiho non sapeva se salutarlo, ma ci pensò Shino dicendole: «Ciao.»

«...C-ciao.», mormorò lei, scrutandolo attentamente. Shino le si sedette accanto, distante solo un metro e mezzo. Il cuore di Shiho, inspiegabilmente, cominciò ad accelerare.

Il ragazzo si mise a giocherellare con il cellulare, impegnandosi in un demo di avventura. «Bigi anche tu?», chiese.

Shiho scosse la testa, negando. «Tu... tu?»

«Bigio letteratura.»

«Oh... oh, bene.», borbottò Shiho, affondando poi nel suo silenzio. Alle volte, lanciava un’occhiata al suo vicino, seguendo i gesti veloci dei pollici sulla tastiera del cellulare.

Il silenzio era assoluto.

Non si sentivano le macchine correre follemente lì sotto, in strada, e suonare il clacson con isteria; non si sentiva nemmeno l’urlo sgolato di un professore di fisica arrabbiato, al secondo piano; non si sentiva neanche il fischiettare del bidello, poco distante. C’era Shiho e c’era Shino, punto.

«Mh... e allora, perché sei qui?», domandò Shino, chiudendo il gioco e posando il cellulare in tasca. Era curioso, quella ragazza aveva qualcosa di particolare... era come lui, forse.

«Beh... beh, ecco... io-», biascicò Shiho.

Lui la fissò in silenzio, quello tipico pieno di parole e comprensione. Lei capì che la sua curiosità era sincera e che Shino, probabilmente, l’avrebbe compresa.

«Beh. Non. Non sopportavo l- la, la mia...», proferì lentamente Shiho, con le guance arrossate.

E Shino non disse: «La tua classe.»

«E-esatto, le... le mie belle compagne.», sbottò Shiho.

E Shiho non disse: «Arpie.»

Lei assaporò quella parola sulla lingua, gustandola per bene con tutte le sue consonanti e le sue vocali, con le sue due sillabe e il suo accento, con la sua brevità perfetta. «A... Arpie.», chiocciò con timidezza.

Shino annuì gravemente, sbirciando poi dagli occhiali scuri il cielo vicinissimo, a un soffio.

Shiho invece sorrise, con un qualcosa nel petto, una piccola fiammella. Non avrebbe mai saputo lottare contro le sue compagne, ma quel leggero sfogarsi con lui era già abbastanza. Liberatorio e adatto. Si sentiva bene, così.

Prese un po’ di coraggio e, cercando di sdrammatizzare (perché lui aveva capito molto, molto di più, dalle parche parole che aveva pronunciato) «H-hai... hai gli occhiali alla John Lennon, sai?»

Le guance che erano adatte ad arrostire la carne, dalla temperatura della pelle che percepiva.

Shino si voltò verso di lei, la squadrò un istante e ribatté: «Parli tu che hai comprato i tuoi occhiali, sicuramente, in un negozio di scherzi specializzato!». Poi, fievolmente, sorrise alla ragazza.

Sì, Shiho si sentiva davvero bene, così.

 

 

~

 

La campanella suonò, annunciando la tanto attesa ricreazione. Shiho corse fuori dalla classe in fretta, con in mano due bento.

«Certo... certo che sta meglio, con le lenti a contatto.», borbottò Ino Yamanaka, squadrandola. Temari annuì.

«Beh, mi ha aiutato con i compiti di matematica, sai? E’ meglio di Shikamaru, che si lamenta ogni istante se tu vuoi un consiglio, dicendo che dovremmo studiare invece di copiare.»

«Già. poi ha... l’aria felice, adesso, e sorride in un modo più – come dire – più allegro.»

«Siamo state dure con lei.», disse allora Temari.

Shikamaru Nara, seduto lì vicino, sghignazzò, facendo voltare le due belle bionde Regine della classe. Ino e Temari lo fissarono in cagnesco, chiedendo all’unisono: «Che c’è?!»

Choji, accanto al suo migliore amico, mordicchiò una patatina saggiamente (come facesse, lo sapeva solo lui). Shikamaru le guardò ironicamente. «Ahh... le donne sono davvero delle seccature. Si infiammano e si spengono per così poco!», disse con l’aria da grand’uomo.

«Ma come, non sei felice che abbiamo smesso di boicottarla?», chiese maliziosa Temari.

«Sì, certo. Era ingiusto, stupide.», rispose Shikamaru.

«E?», domandò Ino.

«E alla fine, erano solo fuochi di paglia.», concluse lui.

Fuochi di paglia spenti, dalla fiamma vivace ma non duratura. Meglio così, in fondo. Si era rischiato un incendio, forse, però era morto languendo.

 

Intanto, Shiho aveva percorso il corridoio del piano terra, sbattendo quasi con una coppia che si baciava (probabilmente aveva gli occhiali appannati, le era parso di vedere il famoso Uchiha baciare l’altrettanto famoso Uzumaki), aveva salito le scale a due a due, aveva aperto la porta della terrazza e aveva sorriso a Shino, già seduto al suo posto.

L’aveva salutato con un flebile «Ciao» e gli si era accomodata accanto, porgendogli un bento che lui aveva afferrato.

Con le guance peperone, Shiho aveva ostentato sicurezza e aveva fissato per bene il ragazzo. Poi, aveva scostato lo sguardo.

«Va meglio.» aveva non detto Shino. E lei aveva annuito.

«Beh... anche una sfigata come te, o come me, può essere sexy e affascinante e conquistare audience.», aveva non celiato Shino, stranamente loquace.

«Ecco! O-ora te ne esci anche con frasi da film.», aveva chiocciato Shiho.

«Che ci vuoi fare, le donne vogliono sentirsi questo.» aveva non ribattuto lui.

E Shiho, inspiegabilmente, si era messa a ridere, gli occhi socchiusi e le guance calde.

 

 

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista, come unanomalia
come una distrazione, come un dovere

Smisurata Preghiera; Fabrizio de Andrè

 

 

 

 

 

 

Fine














 

A rapporto, miei cari Coleotteri Verdi! Qui parla il sergente Kokky, impegnato in un'ardua missione di guerra: spiegare alcuni elementi della fic! (ehh già xD)

In verità non c'è niente da spiegare ò_ò ma perdonate la mia Ino e la mia Temari, due micce infiammate (L). E poi, per il Green Day inserito nella fic, col significato di giorni passati a farsi canne... beh, l'ho letto su un numero di XL e mi è rimasto molto impresso xD, perciò le mie fonti si basano su quella rivista.

Oltre a questo, boh... i caratteri dei due pg non si conoscono bene, mi sono basata su quello che mi ha detto Tya per quanto riguarda Shiho e sul primo databook per quanto riguarda Shino.
Il non dire di Shino, il suo non parlare mi è venuto pensando al muto di City di Baricco. Quel'uomo non diceva, come Shino ^^

Comunque, credo che sia venuta una fic di buon livello, ya :) Me soddisfatta!

 

Ringrazio Tya per averla letta in anticipo e per il suo dolcissimo parere, saluto con affetto le mie commilitoni e superiori Verdi e ciao, ommini e donne! (XD)

Recensite numerosi,



(Leti grazie grazie grazie <3, Tsunade è proprio come dici tu e sono felice di essere riuscita a farla!)

Coming Soon-> Ancora la coppia della volta precendente XDD

   
 
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