CAPITOLO 7
Mi svegliai di soprassalto. Avevo fatto un sogno
stranissimo. Cercai di ricordarne i particolari. Mi trovavo in un palazzo, un
grande palazzo. Centinaia di persone erano con me. Molte parlavano, molte
sostavano semplicemente vicino a dei divanetti, che sembravano troppo vecchi
per essere ancora in piedi. Insomma, erano divanetti vittoriani. Ricordai la
mia faccia confusa alla vista di una donna che si avvicinava a me. Era bionda,
con gli occhi uguali ai miei. Aveva un vestito incantevole da certi punti di vista,
orrendo da altri. Non l’avrei indossato neanche al mio matrimonio, troppo
pomposo.
‘Josie si può sapere cosa ci fai ancora qui?’ mi chiese
quella donna. Non mi diede tempo di rispondere ‘Mio Dio, figliola, devi unirti
alla società! Non puoi rimanere a casa per sempre come fa tuo padre! Oh,
fortuna che ci sono io per te!’ mi aveva preso per mano e trascinato all’angolo
opposto della stanza.
Quando aveva iniziato ad avere un passo più moderato,
trascinandomi con sé, avevo scoperto che avevo un vestito simile al suo
(inciampavo in continuazione in quel maledetto vestito). Quando arrivammo, vidi
il motivo per cui quella che doveva essere mia madre mi aveva trascinata: uno
stuolo di ragazze della mia età guardava un pianoforte, o meglio chi lo
suonava: Edward. Ripensando a quella dolce melodia che mi dava ancora i
brividi, mi resi conto che era la stessa: la canzone che Edward aveva suonato
al pianoforte di Helena nel salone. Le mani volavano sui tasti, e attiravano
sciami di donne, compresa quella che nel sogno doveva essere mia madre. Quando
finì la canzone lui alzò lo sguardo, mi vide e rimase scioccato, con la stessa espressione
con cui mi aveva guardato per la prima volta. Ero pazza, a fare sogni del
genere. L’ultima cosa che ricordo è che, dopo aver incrociato i nostri sguardi,
si era avvicinato un ragazzo, che identificai subito come Robert, e un uomo,
biondo e con gli occhi dorati, come i suoi, pallido che, secondo quello che
blaterava la donna accanto a me era il medico di corte, gli diede anche un
nome, ma non lo ricordo. Subito dopo avevo sentito qualcosa bruciare dentro di
me e il mio cuore che batteva forte e tutto si oscurava. E mi ero svegliata
così, con il cuore che batteva forte. Era stata una fortuna non avere una
stanza comune con mia sorella.
Mi stesi su un fianco. Avevo sognato Edward, per di più non
un sogno tanto normale. Era la prima volta.
Per tutti i giorni successivi, sognai Edward. Sempre lo
stesso identico sogno. In quei giorni, come se fosse una premonizione, Edward
non venne a scuola. Tutta la sua famiglia non venne. Forse il mio cervello lo
immaginava perché non poteva vederlo realmente.
Helena sembrava così tranquilla. I suoi occhi mi dicevano
che mi nascondeva qualcosa, ma non ci facevo caso. In fondo, ognuno ha i suoi
segreti. Io non le raccontavo dei miei sogni, lei non mi diceva la cosa che
nascondeva.
Una settimana dopo la prima volta, mi svegliai di soprassalto
dopo lo stesso sogno di una settimana. Questa volta sembrava così vivido, le
guance erano rosse e gli occhi lucidi. Quel giorno la luna era alta nel cielo.
Pallida, splendida, piena. Illuminava il cielo come un grande faro. E fu
proprio la luce della luna a farmi vedere un’ombra che scendeva dalla stanza di
mia sorella, con un’agilità sorprendente, sembrava volare. Saltò dalla
finestra, si appese ad un ramo e con una grande velocità scese giù come un
gatto. Aguzzai la vista. L’ombra aveva una felpa, una felpa rossa. La felpa di
mia sorella.
Quell’ombra era mia sorella. E adesso, ad una velocità
supersonica, si era inoltrata nel bosco.
Oddio! Mia sorella era Wonder Woman e io non lo sapevo? Come
era possibile una cosa del genere, e cosa faceva di notte nel bosco? Spalancai
la finestra. Non riuscivo a vedere più nulla. Neanche un’ombra. E se fosse
stato semplicemente un sogno? Ma certo, solo un sogno! E se non fosse così?
Ora, per sicurezza, vado in camera e sono sicura che mia sorella sarà lì,a
dormire come un angioletto, e la felpa rossa sarà al suo posto nel cassetto. Mi
avvicinai lentamente alla porta e uscì nel corridoio, per la fretta urtai con
l’alluce lo stipite della porta. Un dolore immenso. Cercai di non urlare per
non svegliare Charlie.
Aprii lentamente la porta di mia sorella, e vidi nel suo
letto un rigonfiamento. Mi calmai, che stupida! Era stato tutto uno stupido
sogno! Mi avvicinai lentamente al letto, e feci una scoperta che mi lasciò
basita. Il rigonfiamento era solo un cuscino messo in verticale!
Iniziai a farmi prendere dal panico, mi avvicinai al
cassetto e lo aprii. Sapevo che Helena metteva tutti i suoi vestiti secondo la
scala cromatica, perciò sapevo dove erano gli indumenti rossi. La felpa rossa
non c’era. Ma quella era solo una conferma. L’ombra era davvero lei. Mi sedetti
sulla poltrona accanto al letto. Respiravo a fatica. Cosa era mia sorella? Come
aveva fatto a fare una cosa del genere?
Dopo un lasso di tempo abbastanza lungo mi alzai dalla
poltrona e mi diressi in camera, sotto shock. Potevo rimanere nella sua camera
ed aspettarla, e poi cosa le avrei detto? Si può sapere che ne hai fatto di mia
sorella? Sei la figlia di Spider-Man? Il giorno dopo le avrei parlato, con
calma e avrei chiarito questa situazione.
Era solo uno stupido equivoco! Tornai nella mia camera e mi
affacciai alla finestra, e vidi solo il buio della notte. Così, presa dallo
sconforto mi coricai di nuovo, allarmata da quello che poteva esserci intorno.
La mattina dopo mi svegliai assonnata e agitata per quello
che era successo. Guardai dalla finestra il panorama, disgustata. Il cortile
era ricoperto da un sottile strato di neve, di cui era anche spolverato il
tetto del pick-up e imbiancata la strada. Ma c'era di peggio. La pioggia del
giorno prima si era ghiacciata, disegnava ghirigori fantasiosi e splendenti tra
gli aghi dei pini e aveva trasformato il vialetto in un lastrone mortale. Avevo
già i miei problemi di stabilità sull'asciutto: forse, per la mia incolumità,
sarebbe stato meglio tornare subito a letto. Ma dovevo andare: non volevo che
proprio quel giorno tornasse Edward a scuola. I suoi capelli mi mancavano,
molto di più dei suoi misteri. Ma che mi scuso a fare con me stesso, era proprio
lui che mi mancava, non i suoi capelli!
Mi vestii e scesi giù.
<< tutto bene Bella? >> Helena mi aveva preso
alla sprovvista, probabilmente aveva notato qualcosa di diverso nei miei occhi.
Mi ricordai tutto un tratto di quello che era successo la notte prima ed ebbi
un conato. Mi feci forza ed ingoiai un altro boccone.
<< Tutto apposto >> e continuai a mangiare.
Arrivate a scuola, lei disse che doveva prendere dei moduli
per l’iscrizione che Charlie aveva scordato e si diresse alla segreteria senza
di me, con la promessa di rivederci in aula. Mi avvicinai alla fiancata per
seguirla nel suo tragitto, aspettando che entrasse nella segreteria, forse per
la stupida convinzione che avrebbe iniziato a sfrecciare fulminea.
Fu in quel momento, concentrata sull’andatura di mia
sorella, che sentii qualcosa di strano.
Era un fischio acuto, una frenata, sempre più vicina e
inquietante. Alzai gli occhi, sbigottita.
Vidi parecchie cose contemporaneamente. Non era un film,
perciò niente rallentatore. Anzi, la vampata di adrenalina accelerò l'attività
del mio cervello e mi trovai a recepire con chiarezza molti dettagli in un
colpo solo.
Edward Cullen, a quattro auto di distanza da me, mi fissava
terrorizzato. Avevo avuto ragione, oggi era venuto. Il suo viso emergeva da un
mare di altri volti, immobilizzati nella stessa maschera di terrore. Ma
l'elemento più importante era il furgoncino blu scuro che sbandava, le ruote
bloccate e stridenti, una trottola impazzita nel parcheggio ghiacciato. Stava
per schiantarsi contro il retro del mio pick-up, di fronte al quale c'ero io.
Non ebbi nemmeno il tempo di chiudere gli occhi.
Un istante prima che potessi sentire il fragore del
furgoncino che si accartocciava sul cassone del pick-up, qualcosa mi colpì,
forte, ma il colpo non giunse da dove me lo aspettavo. Sbattei la testa contro
il fondo stradale ghiacciato e sentii qualcosa di duro e freddo che mi teneva
giù. Ero sdraiata sull'asfalto, dietro l'auto scura accanto alla quale avevo
parcheggiato. Non potevo scorgere altro, perché la corsa del furgoncino non era
ancora finita. Aveva strusciato girandosi contro la coda del mio mezzo con una
derapata, continuando a slittare in testacoda, e stava per investirmi di nuovo.
Sentii mormorare un'imprecazione e mi accorsi che accanto a
me c'era qualcuno, una voce inconfondibile. Due mani affusolate e bianche mi si
pararono di fronte per proteggermi, e il furgone si arrestò di colpo a una
spanna dal mio volto. Le grandi mani erano affondate nella carrozzeria, dentro
una provvidenziale, profonda ammaccatura del furgone.
Poi agirono così velocemente da diventare invisibili. Una
fece presa in un istante sotto il furgoncino, e qualcosa mi trascinò, inerme
come una bambola, girandomi per le gambe e facendomele sbattere contro una
ruota dell'auto scura. Fui assordata da un lancinante rumore metallico, e il
furgoncino, con il vetro sbriciolato, si piantò sull'asfalto, esattamente nel
punto in cui, fino a un secondo prima, si trovavano le mie gambe.
Per un interminabile istante il silenzio fu assoluto, poi iniziarono le urla.
NOTE DELL'AUTRICE
Non mi dilungo molto, sto morendo di sonno! Spero che questo capitolo vi piaccia!
Per favore recensite, recensite, recensite!
ese96