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Autore: Iryael    01/12/2015    2 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 09 ]
Conosco Chaos
(un nome che è tutto un programma)
 
Presente. Il giorno dopo, 15 febbraio 5408-PF
Metropolis, 93esimo settore, attico del Khelith Building
 
Ho cambiato serratura al portone (poi ti spiego perché). L’ho già calibrato, quando torni basta che t’interfacci. E ricordami di scrivere all'Ordine degli Avvocati.
 
Ratchet inviò il messaggio a Clank e cacciò un’occhiataccia a Riklis. Per colpa sua aveva passato l’intera mattina in compagnia di un fabbro che puzzava d’acqua di colonia, ma almeno aveva eliminato un punto debole della casa. La nuova serratura bio-meccatronica era il meglio offerto dal mercato, tutto un altro genere rispetto a quella vinta dall’avvocato. Non sarebbe accaduto mai più un episodio come quello del giorno precedente.
Lo xarthar, ignaro dei pensieri del suo cliente, frugava nella cartella alla ricerca dei cavi dell’estrattore mnemonico. Aveva un’aria profondamente concentrata, ma ad assorbire la sua attenzione era un furioso brainstorming sui suoi assistiti.
D’un tratto si fermò e alzò la testa di scatto. «Signor Ratchet, lei mi fa sorgere un dubbio.»
Il lombax si sentì cogliere a tradimento. «E quale?» domandò, cauto.
«Nel testo narra che la signorina Kinomiya dapprima parlasse tramite proiezione di testi e, in seguito, tramite un collare artigianale. Ma dal vero a me non pare avesse né l’uno né l’altro.»
Oh, è solo questo! – si disse, sollevato. Per un istante aveva temuto che sarebbe ritornato sul discorso del giuramento.
«Ha smesso di usare anche quello.» rispose «Nel 5403, mi pare.»
Fece rapidamente i conti: erano sfuggiti a Vox nell’aprile 5402, erano passati mesi di ricerche varie, e nei primi periodi dell’anno seguente avevano raggiunto la Guardiana della Terra. La voce era tornata poco dopo. Sì, era il 5403.
L’avvocato riprese a frugare nella borsa. «Le avete fatto un impianto artificiale?»
Ratchet scosse la testa. «Ha ripreso a parlare di suo.»
A dire il vero aveva il sospetto che la Guardiana della Terra ci avesse messo lo zampino. Però non aveva mai avuto uno straccio di prova.
Riklis si decise a mettere la cartella in piedi sulle ginocchia, in modo da guardarci dentro. Vide i cavi e li arraffò senza cerimonie. «Piuttosto: è proprio sicuro di voler lavorare qui?» domandò tendendoli all’altro.
«Qui va benissimo.» rispose, secco. Poi, come concordato con Clank, aggiunse con aria innocente: «Mi fa sentire più tranquillo.»
La verdesca odorò la bugia e capì che il motivo era un altro.
«È per il giuramento?» tirò a indovinare. Ratchet fece una smorfia insofferente. Grave errore, ma se ne rese conto in ritardo. Anche l’altro si era reso conto dell’affermazione insita nella sua smorfia.
«Tanto ci dovrà arrivare a quel punto. Perché non me lo anticipa?»
Il lombax fece spallucce. «Perché c’è poco da anticipare. È un insieme di patti dare/avere che ho stretto nel corso del tempo. Adesso è un enorme groviglio di clausole da aggirare con attenzione. Una scocciatura e basta.»
Riklis sfoderò il suo sorriso più entusiasta. «Me ne parli, la prego. Sono un avvocato, questo è pane per i miei denti.»
Ratchet sentì i peli alzarsi sulla coda. Era certo che, in futuro, lo xarthar avrebbe usato quelle parole contro di lui. E voleva tenersene alla larga. Per questo si affrettò a posizionare i sensori dell’estrattore mnemonico.
«Prima conosca il soggetto con cui li ho stretti. Poi vedremo se le interessa ancora.»
E cominciò a raccontare.
* * * * * *
I muri esterni della mia casa di Kyzil Plateau erano perfetti per giocare a squash. Un rimbalzo, un altro, un altro ancora. Io e Clank prendevamo in giro Qwark.
Dietro di noi una piscina era piena d’acqua cristallina. Col caldo che faceva, la massa liquida era una tentazione, e in quel momento era resa ancor più attraente dalla fatica del gioco.
All’improvviso Clank smise di rispondere ai colpi. La pallina gli rimbalzò addosso e lui rimase in piedi, inerte, a guardare il muro. Pensai che si fosse surriscaldato, così mi ci inginocchiai davanti e lo presi per una spalla.
«Clank?» chiamai, scuotendolo appena. Ero pronto ad aprire lo sportellino e rufolare al suo interno, se fosse stato necessario.
Lui lasciò cadere la racchetta e mosse a malapena la testa. Se fosse stato un organico, di sicuro, avrebbe avuto una faccia allucinata.
«Non ricordo la 286esima cifra del pi greco.» disse, atono. «Ho un problema al circuito di raffreddamento.»
Scostò con noncuranza la mia mano e io rimasi a guardarlo, sbigottito, mentre andava a gettarsi in piscina. Da quando problemi del genere si risolvevano con un tuffo???
Passarono diversi secondi, in cui tenni gli occhi incollati alla vasca. Attendevo di vederlo riemergere coi circuiti di nuovo a posto, ma non successe. Allora raggiunsi la piscina e mi sporsi oltre il bordo.
Era calma e vuota. Stragalassia, dov’era finito?
 
«Perché non ti tuffi?»
Mi voltai di scatto. Takami era in piedi, a qualche metro dalla piscina, e guardava l’acqua con desiderio.
«Dico davvero. Sembra fresca.» disse ancora con quella faccia da cucciolo. «E tu hai caldo.» fece notare, spostando i suoi occhi grandi su di me. Fu come se mi avesse indicato a tutto braccio.
«Quando sei arrivata?» le chiesi, sulla difensiva. Lei abbassò lo sguardo e arrossì.
«Sono stata sempre qui.» disse a voce bassa. «Mi hai detto di guardare che la piscina non si riempiva troppo e sei andato a giocare.»
...Ah. Me l’ero completamente scordato.
«Quindi sei stata sotto il sole finora?» domandai, un po’ meno caustico.
Annuì.
«Senza cappello?»
Annuì di nuovo.
«Stragalassia, fila a coprirti! Ti beccherai un’insolazione!» sbottai, indicando perentoriamente casa mia. La piccola s’irrigidì e presentò il saluto.
«Sissignore! Corro!»
E scappò verso l’abitazione.
La seguii con lo sguardo finché non fu entrata nel grande loft. A quel punto mi grattai la testa, sinceramente perplesso. Non ricordavo proprio quando mai l’avessi portata su Veldin.
Poi, alle mie spalle, la voce cavernosa di Qwark mi fece sobbalzare.
«Allievo, tu mi deludi!»
Mi girai di scatto, di nuovo, e mi trovai di fronte al presunto eroe. Emergeva per metà dalla piscina e scuoteva un dito con aria di disapprovazione.
«Non ti ho insegnato ad avere un cuore di pietra con i cuccioli! Devi essere carino con loro! Devi dimostrargli il tuo affetto!»
A dimostrazione di ciò mi chiuse in un abbraccio spaccaossa e mi sbatacchiò neanche fossi una bambola di pezza. In qualche modo, prima che mi venisse un attacco di nausea, trovai la maniera di puntellarmi con le braccia, così da aprire la sua morsa.
«E tu da dove sbuchi??!» sbottai.
Qwark smise di agitarmi. Si fermò di colpo e mi riservò un’occhiata incredula, prima di rinforzare il cosiddetto abbraccio.
«Oh, povero mio allievo! Ti sei dimenticato del tuo eroe!» piagnucolò «È evidente che sei tu che hai preso un’insolazione!»
«No Qwark, sen-mpf!»
A peggiorare la situazione, mi ritrovai con la testa schiacciata contro il suo deltoide.
«Tappati il naso: adesso ci facciamo un bel bagno per cacciare l’insolazione cattiva!»
Si lasciò cadere all’indietro e un attimo dopo eravamo sotto il pelo dell’acqua.
 
Un battito di ciglia dopo fui sputato fuori da qualcosa bianco e filaccioso e mi ritrovai in caduta libera, giù da una nuvola. Di Qwark non c’era più traccia.
L’istante dopo ancora una corrente d’aria frenò la mia discesa. Mi avvolse, mi fece ruotare a mezz’aria e si trasformò in uno scivolo invisibile, che mi guidò fino a una macchia d’erba.
Mi guardai intorno e scoprii di essere nel mezzo di un grosso parco cittadino. Storsi la bocca. Era Metropolis, forse? Avevo la sensazione di conoscere il posto.
E poi lo vidi. Qwark mi fissava da sotto un gazebo di tela bianca. Aveva un sorrisetto strano, molto più astuto di quelli infantili che mostrava di solito. Però una cosa era tutta made in Qwark: la soddisfazione di essere riuscito a farmi un dispetto.
«Si può sapere che è ‘sta storia?» domandai, secco. «Che posto è? E da dove sei uscito?»
Quel sorrisetto assunse sfumature di pietà. Mi salì il crimine.
«Non sono “uscita” da nessuna parte, mortale. Sono sempre stata lì.»
Il gigante verde si sciolse in una nuvola di fumo, e un istante dopo assunse le sembianze di Clank. Poi lo rifece e diventò Takami, e poi di nuovo se stesso.
«Sono sempre stata in contatto con te. Dovevo solo farti varcare la soglia – e onestamente cominciavo a credere di dover usare i mezzi pesanti.»
Okay – pensai – quello non era Qwark. Dovevo alzare la guardia.
«Che soglia?» domandai. «Chi sei in realtà?»
Lo vidi darsi un’occhiata alle mani, ai piedi, alla schiena. Alla fine alzò gli occhi al cielo e sbuffò una frase che suonava come “tutte le volte, maledizione”.
Piantò i suoi occhi nei miei e, per qualche ragione, mi sentii minuscolo. E non perché lui occupasse quattro volte il mio volume. Era diverso. Era come essere al cospetto di una montagna ed essere consapevoli che avrebbe potuto scatenarmi qualcosa di terribile addosso.
Quella persona, chiunque fosse, era pericolosa.
 
«Oh, mortale. Kâcfe ë zê-kse pîffo nîmki ï dîpe[1]
I miei occhi. Sentii spingere, come se qualcuno me li premesse da dentro la testa. Me li coprii con le mani, forte, pensando che se fossero stati spinti ancora un po’ sarebbero usciti dalle orbite. Fu disgustoso.
Per alcuni istanti i miei sensi si concentrarono tutti sul tremendo fastidio che mi procurava, poi, com’era arrivata, la sensazione svanì. Tolsi le mani, riaprii piano le palpebre e... rimasi a bocca aperta.
 
Al posto di Qwark c’era una donna. Umana. Topa.
Fatta completamente di fumo.
 
Il mio cervello andò in loop su tre parole: porca – miseria – ladra. Quella non era una macchina sputanebbia sagomata. Tutto era fumo: la pelle, i capelli, il vestito... tutto. Scuro e denso, avrei detto che fosse solido, se non ci fossero state quelle sottili colonne che salivano al cielo dai suoi avambracci e dalle spalle.
Rimasi lì, a bocca aperta come un cretino. Ma del resto, cosa si può pensare di una gnoccolona che si presenta così?
«Chaos. Il mio nome è Chaos.» rispose a una domanda nemmeno concepita. «Però credo che “la tua migliore alleata” sia la risposta più adatta al momento.»
La guardai, incuriosito. «Alleata per cosa?»
«Per la DreadZone, mi sembra ovvio.»
DreadZone. Il nome agì come un cartone in pieno volto. Mi schiaffai una mano in faccia, mentre i pezzi andavano tutti al loro posto.
«Non me lo dire. Sei un telepate, sei anche tu dentro il circo di Vox e questo è il tuo modo di contattarmi.»
Il suo sorriso si smorzò. Credendolo un buon segno incalzai: «Non puoi tornare domattina? In carne e ossa, magari? Qwark non è proprio sinonimo di “riposo sereno” per me.»
«È questo il momento giusto, che ti piaccia o meno.»
«No, il momento giusto è domattina. Possiamo fare a mensa, se ti va, oppure nel Padiglione Due. Ma la mia testa è off-limits.»
 
Seguì un secondo di puro silenzio. Credei di averla impressionata, invece la linea delle sue labbra s’incrinò verso l’alto e si ruppe in una risata divertita.
«Mortale, sono secoli che non odo una tale barzelletta!» Poi ruotò il busto e accennò un invito al tavolino che, fino a quel momento, era rimasto nascosto dalla sua gonna. «Avanti, siedi.»
E io, per pronta risposta, voltai le spalle e mi allontanai.
Feci due passi, il terzo non lo finii. Qualcosa mi avvolse la caviglia e, dopo uno strattone, mi ritrovai a penzolare a testa in giù.
Era una liana? Una corda? Un fascio di particelle? Guardai, ma intorno alla mia caviglia non c’era assolutamente nulla. Nada. Niente. Solo aria. Mi lasciai di nuovo cadere a penzoloni, sbalestrato, mentre la stessa forza invisibile che mi aveva capovolto mi trascinava dalla donna di fumo. Lei mi guardava con quel ghigno divertito.
«Mi permetto di insistere.» disse, amabile. «Però ti offro una scelta: o sosteniamo la discussione a tavolino, oppure la portiamo avanti così.»
Piegai il collo e mi guardai la caviglia intrappolata. Era pazzesco: non c’era proprio niente a tenermi a mezz’aria! Manco un filo di fumo!
Lasciai che le braccia penzolassero liberamente e mi rivolsi di nuovo a lei con un sorriso tirato. «Vada per il tavolino. Il mondo sottosopra non è affascinante come credevo.»
 
Una volta seduti, col gazebo che ci riparava da un sole che non c’era, Chaos mi scrutò con occhi senza pupille.
«L’idea di parlarmi ti mette così a disagio?»
Non era proprio così: quella tipa mi dava l’impressione di pattinare su nitroglicerina; mi intimoriva e mi eccitava allo stesso tempo. Decisi di evitare la domanda.
«Vuoi discutere di una strategia per l’arena?»
«Non subito. Sono più interessata alla tua salute, attualmente.»
Aveva senso: nessuno avrebbe mai stretto un’alleanza svantaggiosa. Ma perché con me, che ero l’ultimo arrivato? La scelta di Basher potevo capirla perché era legato per vie traverse a Takami, ma la sua...
«Perché?»
«Sono parzialmente responsabile di quanto ti è accaduto. Voglio accertarmi che certi incidenti non succedano più.»
Incidenti? «Di quali incidenti stai parlando?»
Mi beccai un’occhiata sospettosa. «Francamente: qual è l’ultima cosa che ricordi dell’arena?»
Heh, bella domanda. Ci dovetti pensare con attenzione.
«I nemici che ci hanno sorpreso alle spalle. La loro carica.»
Chaos affinò lo sguardo. «Nient’altro?»
Ci pensai ancora un po’, poi scossi la testa. Lei mi fissò ancora per un istante, poi passò gli occhi sul paesaggio.
«Una negazione coercitiva, dunque. Adesso capisco perché l’âdyton è così integro.» borbottò. Poi, a voce più bassa: «Se da solo ha la forza per fare ciò, mi domando dove arriverebbe se lo addestrassi.»
«Che cosa è successo dopo?» domandai. Ricevetti un’altra occhiata di squadratura, poi Chaos schioccò la lingua e accavallò le gambe.
«In breve: sei morto.»
Strabuzzai gli occhi. «Morto!?»
Lei annuì. «Folgorato, per la precisione.»
«Ma...» ma se ero lì a chiacchierare con lei! Come faceva a dire certe cose? «Non è possibile!»
«Oh, invece sì. Hai invocato la tecnica che hai richiesto a Basher di Bantouin, ignorandone l’effetto collaterale.»
Mi tornò alla mente la scheda di memoria. Ricordai le istruzioni del rilgarien. «“Ruggisci” aveva un effetto collaterale?»
Chaos annuì di nuovo. «Quella tecnica non è a lungo raggio. In realtà scarica una tempesta di fulmini all’interno di una certa area, e purtroppo per te lo fa senza distinguere fra amici e nemici.»
Mi ero suicidato per un errore di valutazione, quindi. Anzi, no: le mie informazioni erano sbagliate fin dal principio.
«La prima scarica l’ha assorbita l’armatura, che è andata in corto.» proseguì. «La seconda ha fermato il tuo cuore e il tuo diaframma. La terza, però, ti ha rianimato quasi subito.»
Istante di silenzio.
Che significava “quasi”?
«Oh, non guardarmi in quel modo, mortale! Ho dovuto aspettare che il cosiddetto “ruggito” fosse quasi al termine. E comunque, in questo preciso istante il tuo corpo giace nella cella 6-538, perfettamente funzionante.»
Altro istante di silenzio.
Quindi ero lì con lei ma ero anche nella 6-538. Ero in due posti diversi nello stesso momento. La mia fronte prese a pulsare: stavo andando in panne.
«Perché sei sgomento? In realtà sei in entrambi i luoghi. Non c’è nulla di complicato.»
La mia faccia stralunata parlava da sola. A peggiorare la situazione c’era che lei parlava come se leggesse i miei pensieri. Dovetti sembrare proprio sperduto, perché Chaos mi parlò come ad uno scolaretto. «Vedila così: ciò che riconosci come “te” è la somma di due entità. Ed essendoci due entità, è possibile che esse esistano contemporaneamente in due luoghi diversi.»
Due entità. Immaginai che parlasse di corpo e mente. Ma se era davvero così... «Sei telepate, quindi. È questa la grande spiegazione: il corpo è in un posto e la mente qui. E io che ci andavo in confusione...»
«No, mortale, sei in errore. Quello che chiami “mente” non è che l’anello di congiunzione di due dimensioni distinte. Da una parte il corpo, simulacro materiale che opera nel Teoma Linivé; dall’altra l’âdyton, che nella sostanza è una tasca dimensionale col beneficio di essere unica e differente per ogni creatura mortale. Noi adesso siamo nel tuo âdyton.»
He he, certo, come no. La tipa si era fatta troppi Final Fantasy.
Ci scambiammo un’occhiata ed entrambi capimmo che nessuno sarebbe sceso dalle sue convinzioni. Chaos allungò un sorriso da “lo immaginavo”.
«Non importa se ora non mi credi.» asserì facendo spallucce. «Se starai al fianco della mia protetta capirai.»
«Ah, beh, allora...»
 
«Che mi dici della tua prima giornata da gladiatore?»
Il cambio di discorso mi fece immaginare che le succedesse spesso di non essere creduta. E la sua tranquillità era indice che la cosa non l’avesse smossa nemmeno un po’. Però tornare su binari più realistici mi fece piacere.
«Che dire... come voto di media ci darei un sette. Dieci per il bordello combinato e quattro per la legnosità della squadra. Takami ha rischiato un collasso nervoso già all’inizio, io mi sono tirato addosso un colpo di zodiac. Dobbiamo aggiustare un po’ di cose.»
«Hm. Capisco.» Invertì l’accavallatura delle gambe nel tempo in cui si appoggiò con aria confidenziale al tavolino. «E avresti mai usato la cupola se Basher di Bantouin ti avesse descritto con precisione cosa sarebbe successo?»
«Ora che l’ho vista ti dico “forse sì”. Ma magari mi sarei fatto prestare una tuta w.a.v.e, prima.»
La donna di fumo mi scrutò per qualche secondo, con le labbra piegate in un’espressione poco convinta. Non avevo idea di cosa pensasse. Poi allungò la mano libera verso l’esterno e fece un gesto svogliato. A lato del gazebo una montagnola spuntò dal pavimento. Chaos continuò a muovere la mano come un direttore d’orchestra e la montagnola si allungò, si fece ovoidale, si modellò. Alla fine si colorò anche: era un manichino con una tuta w.a.v.e addosso.
«Uhm...»
Non contenta, rimodellò ancora il fantoccio. Lo abbassò, ne ricavò due lunghe orecchie triangolari e una coda, lo rivestì di un’armatura DreadZone. Al termine dell’intervento il manichino era la mia copia sputata. Era fatto così bene che credetti di vederlo muoversi.
«Sì, in effetti è un simulacro identico a te.» disse, il tono lontano e svogliato. «Adesso verifico una cosa...»
Puntò la mia copia con un dito e impartì un ordine nel suo dialetto sconosciuto. Ci furono due flash in rapida successione, poi il simulacro si accasciò a terra. Un terzo flash illuminò l’area, ma avendo gli occhi semichiusi per via dei primi due riuscii a vedere qualcosa di più: una linea di collegamento fra il fantoccio e la mano della donna di fumo.
«...no, non sarebbe cambiato nulla.» decretò alla fine, prima di tornare a guardarmi. Io avevo gli occhi incollati al mio sosia, ancora immobile a terra. «È morto e resuscitato, proprio come te nell’arena.»
Istante di silenzio.
«Questa era..-»
«La riproduzione di quanto accaduto negli ultimi istanti del Tuesday’s Hiring Show.» disse. «Solo che ho applicato una tuta w.a.v.e al tuo simulacro per vedere se, davvero, saresti rimasto vivo.»
«Mi sa che sbagliavo.» risposi, distante.
Quello a terra ero...ero io. Ed ero...immobile. Fulminato. Morto. Resuscitato.
 
Avrei mai usato la cupola se Basher mi avesse descritto con precisione cosa sarebbe successo?
* * * * * *
«Lei cos’avrebbe risposto?» domandò Ratchet, rivolgendo all’avvocato un’occhiata incuriosita.
«Francamente?» il tono di Riklis tradì che non si aspettava l’interruzione. «Credo che le chiederò il numero del pusher. Se questo è il trip, certa roba va assolutamente provata.»
Niente di sorprendente, eppure Ratchet non riuscì a trattenersi dal ridacchiare. «Si aspettava davvero una verità comoda da falsificare?»
«Mi aspetto una verità, tanto per cominciare.»
«Ah, ma io non le ho mentito.»
«Oh, andiamo... Già il fatto che richiami con tanta precisione un sogno è sintomo di menzogna.»
Il lombax si appoggiò più comodamente al divano e fece spallucce. «Che ci vuole fare, è un regalino di quella pazza scatenata. E poi può sempre inventare che Chaos sia una gladiatrice molto abile.» propose. «Un’esper, magari. Con almeno venti abilità diverse.»
Lo xarthar scosse la testa. Venti abilità, come no. Però l’idea della gladiatrice suonava buona.
«In ogni caso non mi ha risposto.» incalzò Ratchet. «Finga di aver appena visto se stesso che muore. Cos’avrebbe risposto a Chaos, se dopo lo spettacolo le avesse detto “avresti usato lo stesso il Ruggito, sapendo a cosa andavi incontro?”»
La verdesca, seppur controvoglia, si prese il mento e ci rifletté seriamente per qualche istante.
«Suppongo che... beh, oddio, che scelta antipatica: morire folgorati o morire crivellati di phaser.» borbottò. «Però credo che avrei risposto di sì. Data la sproporzione numerica tra amici e nemici era l’alternativa preferibile. Quanto meno sarebbe stata un’uscita di scena epica.»
Ratchet affondò il gomito sul bracciolo della poltrona e poggiò la guancia sul pugno chiuso.
«È stato il mio stesso ragionamento.» confermò. «Solo che, quando lo dissi a Chaos, scoppiò a ridere.»
Riklis aggrottò le sopracciglia. «Come sarebbe a dire?»
«Mi rise in faccia, né più né meno.»
* * * * * *
La sua risata cristallina rimbombava nell’âdyton. La guardai storto, non capendo cosa ci fosse di divertente nelle mie parole.
«Oh, Antichi! Millenni che i mortali sguazzano nel degrado morale e io incappo in un eroe puro!»
«Ma quale eroe!» la ripresi, piccato da quella risata totalmente ingiusta. «Se uso il ruggito crepo e se non lo uso crepo lo stesso, dimmi te dov’è l’eroismo...»
«È collaterale, Ratchet di Veldin.» sogghignò. Poi allungò una mano. «Mi daresti la tua mano sinistra, per favore?»
Alzai un sopracciglio, dubbioso. Lo sguardo rimbalzò tra la sua mano, aperta sul tavolino, e la sua faccia caliginosa.
«Voglio farti un piccolo dono, in nome di una collaborazione onorevole e proficua.»
«Se è come quello di Basher ne faccio a meno, grazie.»
«Non paragonarmi a lui, mortale, io sono di un’altra grandezza. E poi sono certa che ne apprezzerai l’utilità.»
Valutai rapidamente le alternative. La sua mano non sarebbe rimasta aperta in eterno sul tavolino, per cui non mi soffermai sui dettagli. Alla fine mi dissi: ehi, al massimo è un qualcosa che rimane qui nel sogno, per cui...perché no? – e tesi la mano, aspettandomi che la stringesse. Invece lei mi prese per il polso e mi costrinse a mostrarle il palmo.
«Sai perché la sinistra?» domandò, poggiando un dito davanti al pollice.
«Perché sei mancina?» tirai a indovinare. Scosse la testa.
«Perché tu sei destrimano.» replicò, prima di tracciare una spirale mormorando qualcosa a fior di labbra. Dopo quel bizzarro rituale lasciò andare la mia mano. La pelle ora pizzicava, mentre sopra c’era un piccolo gorgo bianco.
«Che roba è?»
«Un incantesimo di protezione – i glifi saranno leggibili quando uscirai da qui. Ora non avrai più da temere le scariche elettriche, non importa quanto siano forti. Così non ti troverai più al bivio che ti ho posto prima.»
«Ah, beh, sembra davvero utile...» finsi.
«Puoi scommetterci l’anima, che lo è. Però ha una restrizione.»
«E sarebbe?»
«Se ne parlerai con qualcuno, il suo effetto cesserà e tu tornerai ad essere un qualunque mortale suscettibile di folgorazione.»
Certo. Ovvio, lo sapevano tutti i giocatori di Final Fantasy 10k: se il protagonista parla di un incantesimo con qualunque PNG, dopo non può usarlo mai più. La tipa probabilmente era impazzita giocando non-stop alla VG...
 
L’incontro, per fortuna, finì dopo pochi convenevoli. La donna di fumo si guardò intorno, poi indicò il portone di un palazzo e mi consigliò di attraversarlo per tornare nel Teoma Linivé. Io, comunque, aspettai che se ne fosse andata prima di attraversarlo. E prima di attraversarlo a mia volta mi svaccai sotto il gazebo a riflettere un po’.
Il mio mondo si stava riempiendo di matti a un ritmo troppo elevato.
* * * * * *
«...e così me ne tornai in questa dimensione, convinto che Chaos fosse una gladiatrice telepate un po’ tocca che mi aveva preso in simpatia. Ovviamente sbagliavo di grosso, ma non ero assolutamente in grado di intuire le conseguenze di quello ch’era appena accaduto.»
Riklis osservò il suo assistito con aria vagamente smarrita. Si era aspettato uno scambio di termini, clausole ferree, una stretta di mano. La mancanza di tutto ciò lo faceva sentire truffato.
«Mi perdoni, ma non ho scorto nulla di lontanamente paragonabile ad un patto.» fece notare, secco nel tono.
Ratchet ridacchiò. «Perché quella volta non ci fu. In teoria mi fece un “regalo”» e mimò le virgolette con le dita. «Però la invito a tenere a mente tre particolari: Chaos guidò la conversazione in modo da mettermi una grossa pulce nell’orecchio, mi impose il silenzio su questo suo regalo e marchiò la mano sinistra perché sono destro.»
Riklis sentì la ruota dei pensieri incespicare. Nonostante il racconto avesse sfiorato l’assurdo in diversi momenti, la sua logica era stabile. E due dei tre punti appena elencati gli erano già saltati all’occhio durante il racconto stesso. Solo l’ultimo era rimasto fuori dai suoi radar interiori, e gli suonava tanto strano da far letteralmente inciampare il percorso logico.
«Che c’entra la mano?»
«Vede, un patto ha valore se è marchiato su un arto dominante. Non importa quale, ma dev’essere dominante.»
«Quindi, se l’ha impresso sulla sua mano non dominante...» intuì l’avvocato.
«Già, è più labile del coraggio di Qwark quando arriva la battaglia.» confermò Ratchet.
«Gran bel regalo.»
«Una vera chicca, avrei scoperto. E non sarebbe passato nemmeno tanto tempo!»

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