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Autore: Adeia Di Elferas    01/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Virginio Orsini estrasse la punta dello spadone dal corpo esangue di un nemico e alzò lo sguardo verso le mura di Vicovaro.
 Non ebbe il tempo di fare altro, perchè dovette ripararsi dai colpi di un cavaliere nemico, che lo incalzava con una spada lorda di sangue e uno scudo scheggiato.
 L'uomo dei Colonna gli diede un forte colpo in viso usando lo scudo di taglio. Virginio Orsini fece del suo meglio per tenersi alle redini e a non cadere in terra. Stava quasi per perdere l'equilibrio, quando notò un punto scoperto nella difesa del suo sfidante.
 Con una mossa azzardata, ma resa sicura dai suoi trentanove anni, gran parte dei quali passati ad addestrarsi e a combattere, riuscì a respingere l'avversario e addirittura a disarcionarlo e così ebbe un momento per prendere fiato.
 Strinse gli occhi contro il sole rovente che osservava la scena dal suo cielo blu e sputò in terra un misto di sangue e saliva. Il colpo ricevuto poco prima doveva avergli quanto meno spaccato un dente, dannazione...
 Attorno a sé vedeva una grande confusione, ma la situazione non era del tutto disperata. Cercò tra la ressa la Contessa Riario, ma non riusciva a vederla da nessuna parte.
 Di certo la controffensiva inattesa li aveva spossati e messi in una posizione scomoda, ma i cavalieri che aveva portato con sé parevano all'altezza della situazione... Se solo fosse riuscito a trovare la Contessa...

 Caterina era stata disarcionata quasi subito, appena dopo il primo impatto con la colonna di cavalieri nemici, ma era riuscita a rialzarsi abbastanza velocemente.
 Era caduta sulla schiena, riuscendo a evitare all'ultimo momento di battere il ventre contro il suolo secco e caldo, ma non si era comunque trattato di un tocco di salute.
 Alle prime aveva usato la spada soprattutto per uccidere i cavalli dei nemici, che finivano per rovinare al suolo, oppure per respingere i colpi che arrivavano da ogni lato. Non stava mettendo in pratica nulla di quello che aveva imparato nel cortile d'addestramento del palazzo di Porta Giovia.
 La sua mente era come annebbiata e tutto quello che riusciva a percepire era la paura. Non sentiva nulla, né le grida, né i rumori assordanti delle armi che cozzavano... Non vedeva nulla, non percepiva nulla se non il pericolo. La morte era una presenza reale, più viva della vita stessa. Era come se il suo alito gelido riuscisse a congelare anche l'aria torrida di quel giugno.
 Poi, improvvisamente, si era trovata quasi sotto al naso una lama nemica. Tanto vicina da poterne sentire l'odore ferroso, reso ancora più acre dal sangue che l'impregnava.
 Era stata una vera e propria epifania. Di punto in bianco tornarono gli odori, i colori e i rumori. Sentiva il tanfo degli uomini che le morivano attorno, vedeva il marrone del terreno tingersi di rosso e sentiva le urla di dolore e quelle di rabbia...
 La sua mente divenne d'un tratto lucida come non la era da anni, i suoi sensi più fini e precisi che mai.
 Con una solerzia e un puntiglio che avrebbero reso fiero il suo primo maestro d'armi, Caterina cominciò a usare tutte le tecniche che aveva appreso nel corso della sua infanzia.
 Parata alta, affondo laterale, parata bassa, affondo alto...
 E univa a quei gesti, così semplici e automatici perchè ripetuti allo sfinimento in giovane età, altre mosse, che non sapeva di poter fare. Eludeva l'attacco del nemico, sfruttava i guanti di ferro per dare pugni che lasciavano il volto dell'avversario sanguinante e faceva del suo meglio per rendere inoffensivo chiunque le si fosse parato davanti anche con le tecniche più rozze. Uno sgambetto, in fondo, getta a terra come una spinta dallo stile perfetto.
 
 “Contessa!” chiamò la voce di Virginio Orsini, ancora a cavallo malgrado tutto, quando finalmente riconobbe la figura di Caterina.
 La donna non lo aveva sentito. Stava respingendo due nemici contemporaneamente. Virginio, sorpreso nel vederla ancora viva, sapeva di essere troppo lontano per esserle d'aiuto in tempo utile. Tuttavia spronò la sua cavalcatura e fece del suo meglio per raggiungerla.
 Fece appena in tempo a vederla buttare in terra il primo avversario con uno sgambetto degno del più scaltro attaccabrighe da taverna, e gettare il secondo a fargli compagnia con uno spintone e un colpo del piatto della spada.
 “Contessa!” chiamò ancora, ma ancora non ebbe risposta.
 Ormai era a pochi metri da lei, perciò provò nuovamente, mentre la vedeva disfarsi di un terzo nemico con un solido pugno in pieno viso: “Caterina!” esclamò, con tutta la voce che aveva in corpo, sputacchiando ancora qualche goccia di sangue.
 Solo a quel nome, la giovane si voltò.
 “Stanno ordinando la ritirata!” spiegò Virginio, porgendole la mano affinché salisse con lui sul cavallo: “Li inseguiamo alle porte della città, prima che riescano a trincerarsi dentro!”
 Caterina non se lo fece ripetere. Tenendo lontano un ultimo – malmesso – nemico con un colpo di taglio sulla spalla, si issò sul cavallo di Virginio Orsini e si preparò alla seconda fase della battaglia.
 “I nostri stanno facendo avanzare l'artiglieria – la informò l'uomo, che intanto spronava il cavallo a correre ancora di più – appena saranno pronti, voglio che prendiate il comando delle bombarde e delle bocche da fuoco!”
 “Farò come desiderate!” rispose Caterina, gridando per sovrastare il fracasso che li circondava.
 
 In pochissimo tempo si trovarono alle porte della città e quei pochi soldati dei Colonna che ancora facevano resistenze non riuscirono comunque a resistere agli utlimi attacchi.
 Caterina, che non ebbe più bisogno di alzare la spada per quella battaglia, decise di non infierire troppo sulle mura della città, che sarebbero servite a loro, una volta preso il paese.
 Si limitò a far sparare un paio di colpi, quasi a festa, per sottolineare la facile vittoria che avevano messo a segno.
 Una volta messi al sicuro i prigionieri e aver avuto la certezza dell'esito della battaglia, Caterina e Virginio Orsini entrarono trionfanti in città, per andare a occupare seduta stante i palazzi del potere e scongiurare una qualsiasi ritorsione da parte di chicchessia.
 Mentre attraversavano Vicovaro, Caterina si rese conto che non c'era nessuno per le strade. Tutti erano stipati nelle case, qualcuno – pochissimi – aveva il coraggio di sbirciare dalle imposte, ma per il resto la popolazione era solo terrorizzata.
 “Fate in modo che ai cittadini non venga fatto del male.” disse Caterina, guardando Virginio: “Non hanno colpe, non hanno nemmeno provato a difendere i Colonna. Sono solo persone che si sono trovate dalla parte sbagliata del conflitto.”
 Virginio sorrise, la bocca ancora dolorante e ormai la certezza di aver perso un dente sul campo: “Come desiderate, mia signora.”
 
 “Cosa significa 'non vuole venire'?!” chiese Virginio Orsini, visibilmente alterato.
 Il messo era visibilmente imbarazzato, ma era costretto dalla realtà dei fatti a rispondere: “Il Conte Riario non vuole venire in città. Sostiene che si tratti di una trappola.”
 “Ma che...? Ma cosa...! Che diavolo ha nella testa?!” sbottò Virginio, reso irritabile dalle ammaccature della battaglia e dal caldo.
 Caterina stava discutendo con il comandante d'artiglieria il modo migliore di piazzare le bocche da fuoco in città, per la difesa, ma non poté fare a meno di sentire quello che Virginio Orsini stava dicendo al messaggero.
 Nessuno di loro aveva ancora fatto in tempo a togliersi l'armatura o almeno a lavarsi dalla faccia i segni dello scontro e tutti quanti non vedevano l'ora di sistemare tutto per potersi rimettere in sesto.
 Virginio Orsini aveva mandato qualcuno a chiamare Girolamo, che, con ogni probabilità, si trovava ancora nel suo padiglione, ma ora il messo gli stava dicendo che il Conte non solo non voleva eseguire l'ordine, ma che non si fidava.
 “Quella testa di legno! Quel maledetto codardo! Quell'asino d'un...!” Virginio Orsini stava trascendendo sempre di più e, visto come il collo gli si stava gonfiando, Caterina volle evitargli un colpo apoplettico, così prese in mano la situazione.
 Mise una mano sul braccio coperto di ferro di Virginio e disse: “Vado io a recuperare mio marito. A me dovrà credere.”
 Virginio sbollì all'istante. Osservò un momento il viso della Contessa. Era terribilmente imbratta di polvere, sangue e sporco, ma i suoi occhi verdi, ramati di castano, erano più vivi che mai.
 Perciò, prima di acconsentire, si sentì in dovere di dirle: “Va bene. Ma ricordatevi quello che avete appena fatto. Ricordatevi il vostro battesimo del sangue e di come lo avete superato, senza neanche un graffio, battendovi valorosamente. Vostro padre, vostro nonno e anche vostra nonna sarebbero fieri di voi come lo sono io adesso.”
 Caterina ricambiò lo sguardo di Virginio Orsini e negli occhi penetranti e severi del suo alleato lesse un implicito messaggio. Non le stava solo dicendo che approvava il modo in cui era sopravvissuta a quella sua prima vera battaglia. Le stava anche ricordando che suo marito Girolamo, al suo confronto, valeva meno di zero.
 Virginio capì che Caterina aveva compreso e che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quel pusillanime di Girolamo Riario.
 Nel viaggio che aveva fatto con loro, aveva notato quanto il loro rapporto fosse teso, quanto rancore e quanti malintesi corressero tra loro. Tuttavia, il fatto che avessero tre figli e che Caterina aspettasse il quarto, gli faceva credere che in più di un'occasione la Contesse subisse le prepotenze del Conte, soccombendo come la più docile delle mogli.
 Sperava che dopo quella prova a cui la donna si era sottoposta con grande valore, la Contessa non avrebbe mai più ceduto di fronte alla prepotenza del marito.
 
 Caterina cavalcò a spron battuto fino ai padiglioni ancora montati lontano dalla città. Solo poche guardie erano rimaste all'accampamento e stavano quasi tutte provvedendo a smantellare ogni cosa.
 Solo due soldati erano ancora sull'attenti, ai lati dell'ingresso del padiglione di Girolamo.
 Caterina lasciò a loro il cavallo e si tolse l'elmo, prima di entrare.
 Il padiglione sembrava deserto. Solo un vago gemito tradiva la presenza di qualcuno. Caterina guardò in ogni angolo, fino a vedere una massa informe rannicchiata sotto al tavolo.
 “Esci da lì.” intimò, con voce ferma, ma calma.
 Girolamo non accennava a lasciare il suo sicuro nascondiglio. Anzi, strinse ancora di più le ginocchia contro il petto, come a proteggersi meglio.
 “Siamo soli. Esci da lì.” riprovò Caterina, un po' meno paziente.
 Ancora nulla. Solo una borbottio informe, un piagnucolare infantile e quelle dannate braccia – così muscolose e snelle, ma così inutili – che si stringevano sempre più alle ginocchia.
 Caterina avvertì una fitta all'addome e fu quello a farle perdere le staffe una volta per tutte.
 “Esci da lì!” ringhiò, gettando in terra l'elmo.
 Il rumore del ferro contro il suolo battuto fece sobbalzare Girolamo che, nella fretta di spostarsi, picchiò la testa contro il tavolo.
 “Non renderti più ridicolo di quanto tu non sia già.” gli intimò Caterina, andandogli incontro, mentre lui strisciava via dal tavolo tenendosi la testa con le mani: “Vuoi che proprio tutti ti ridano dietro? Che i nostri figli si sentano dire quanto il loro signor padre è vigliacco?”
 Girolamo stava riuscendo lentamente ad alzarsi, la testa che pulsava per il colpo ricevuto e la voce ridotta a un rantolo terrorizzato.
 Aveva passato ore d'inferno, paralizzato, letteralmente paralizzato dal panico. L'idea che sua moglie fosse in mezzo alla battaglia lo aveva terrorizzato, era stato come essere tra le fiamme dell'inferno e bruciare dalla paura.
 E ora lei era lì, era viva, eppure la paura non se ne andava... Ma che c'era di sbagliato in lui? Cosa?
 “Mi...” cominciò a dire Girolamo, finalmente in piedi, anche se curvo, davanti alla moglie: “Mi avevano... Ho sentito che eravate... Che vi avevano attaccato, che c'era stato un imprevisto...”
 Senza riuscire a frenarsi, Girolamo sentì delle lacrime di stanchezza e sollievo bagnargli le guance: “Credevo foste morta... Caterina, mia amata Caterina... Siete viva...”
 Girolamo allungò una mano per sfiorare la moglie, ma Caterina si tirò indietro e così le dita di Girolamo strinsero solo l'aria.
 “Datti una sistemata. Conciato così sei imbarazzante.” disse la donna, stringendo il morso.
 Girolamo annuì, mentre la rabbia tornava a montargli, assieme alla paura, perchè era stato ancora una volta allontanato, respinto e criticato.
 Si sistemò i vestiti, si asciugò il volto e solo quando fu abbastanza certo del suo aspetto, disse, lentamente: “Andiamo.”
 Caterina sospirò a fondo, riprese l'elmo che aveva gettato in terra e lo precedette fuori dal padiglione.
 Mentre montava a cavallo, Girolamo guardò la moglie con lucidità per la prima volta da quando era tornata dalla battaglia.
 Gli parve un'erinni. Il viso rosso di sangue, lo sguardo acceso e implacabile. L'armatura schizzata e scheggiata. I capelli – raccolti all'inizio della giornata – erano in parte scomposti e resi stopposi dallo sporco. I vestiti erano macchiati e il profilo ancora più fiero di prima.
 Sì, un'erinni, ecco cos'aveva per moglie.
 Caterina, invece, faceva del suo meglio per non guardare il marito. Se ne vergognava come non mai e se non fosse stato per il figlio che aveva nel ventre, non avrebbe esistato a ucciderlo lì, su quel campo dove molti uomini più validi e valorosi di lui avevano in quel giorno perso la vita al suo posto.

   
 
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