Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: xX__Eli_Sev__Xx    01/12/2015    2 recensioni
«Sei sicura di volerci andare?» chiese Mycroft. Aveva tentato di farle cambiare idea, ma lei non aveva sentito ragioni. D’altronde, come gli aveva ricordato lei stessa, era stato lui a prometterglielo tanto tempo prima. L’uomo ricordava ancora quel giorno e adesso se ne rammaricava perché il tempo era passato troppo velocemente.
«Mycroft, me lo avevi promesso.» gli ricordò puntandogli l’indice contro anche se non suonava per niente come una minaccia.
«Lo so, ma-»
«Perché non dovrei andarci?» chiese perplessa poggiando la schiena alla sedia e sprofondando nel morbido cuscino che rivestiva la poltrona.
Lui sospirò. «Sherlock non è la persona adatta ad avere rapporti con-»
Lei lo interruppe «Nemmeno tu.»
«È diverso.»
Fu il turno di lei di sollevare le sopracciglia. «Non è vero.» affermò «Siete simili. Più di quanto credi.» fece notare.
Mycroft scosse il capo. «No. Non ci somigliamo per niente.»
«Come vuoi. Ma questo non mi farà cambiare idea.» sorrise ancora. «Comunque ero solo passata per dirti che se avessi voluto cercarmi mi avresti trovata là.»
Mycroft annuì. «Se è quello che vuoi.»
«Sì, è quello che voglio.»
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Here without you


Le cascate di Reichenbach


 Shireen si svegliò alle otto del mattino, più stanca che mai. Erano passati due mesi dal caso a Baskerville e sembrava che Sherlock Holmes fosse diventato il più famoso detective di Londra. Risolveva casi ogni settimana e ogni giorno i giornali parlavano di lui come l’investigatore più intelligente e dotato del mondo.
 Shireen ringraziò il cielo che i riflettori non fossero puntati anche su lei e John – se non per qualche commento veloce o pettegolezzo – così avrebbero potuto rimanere tranquilli e la loro privacy non sarebbe stata violata, almeno per il momento.
 
 Quel giorno, nessuno disturbò gli inquilini del 221B, almeno fino all’ora del tè. John era appena uscito dalla doccia e Shireen stava leggendo seduta comodamente sul divano, quando il cellulare di Sherlock squillò.
 «Controllo chi è.» disse John, alzandosi dalla poltrona e afferrando il telefono dell’amico dalla scrivania.
 Holmes, intento ad analizzare qualcosa al microscopio, non diede segno di aver sentito.
Watson aprì il messaggio e si irrigidì.
 «John?» lo chiamò la ragazza, vedendo che era impallidito. «Stai bene?» si alzò e si avvicinò a lui. Senza attendere che lo facesse lui, prese il telefono e lesse il messaggio. Per un momento le mancò l’aria. Incontrò lo sguardo spaventato di John e quando gli porse nuovamente il cellulare, il medico si mosse verso la cucina e porse il telefono all’amico.
 «Sherlock» lo chiamò, con urgenza.
 «Non ora, sono impegnato.» replicò l’altro, senza staccare gli occhi dal microscopio.
 John inspirò profondamente. «Sherlock, è importante.»
 «Non…»
 «È tornato.» concluse.
 Quelle parole sembrarono destare il consulente investigativo, che si mosse e prese il cellulare. Quando ebbe letto il messaggio sospirò e si diresse verso la sua stanza.
 
 Moriarty era stato arrestato dopo essere stato travato nella Torre di Londra, seduto sul trono della regina, indossando la corona e tenendo lo scettro tra le mani. Dopo aver analizzato attentamente i video della sorveglianza, era emerso che prima di rompere il vetro della teca in cui erano chiusi gli oggetti, Moriarty aveva lasciato un messaggio. E quel messaggio riguardava Sherlock.
 Il che aveva portato inevitabilmente l’investigatore ad essere convocato al processo, qualche settimana dopo. Durante il quale, nonostante John si fosse raccomandato con l’amico di non comportarsi da saputello, Sherlock aveva esagerato ed era stato rinchiuso per oltraggio alla corte.
 Alla fine, i due Holmes e Watson erano tornati a casa e lì, Sherlock aveva esposto loro la teoria secondo cui Moriarty desiderava rimanere in prigione, perché avrebbe potuto tranquillamente rubare i gioielli della corona e liberare i prigionieri senza farsi catturare, invece aveva fatto in modo che lo cogliessero sul fatto. Ovviamente stava tramando qualcosa e questo era stato suggerito dal fatto che, nonostante fosse stato colto in flagranza di reato, fosse stato assolto dalla giuria.
 
 In un freddo pomeriggio di febbraio, Shireen stava ripulendo la cucina in attesa del ritorno di John con la spesa, mentre Sherlock era impegnato a fare qualcosa di misterioso nella sua stanza.
 La porta d’ingresso si aprì e si sentirono dei passi su per le scale. La ragazza entrò in salotto per scendere ad aiutare il medico con le buste, ma si bloccò prima di raggiungere le scale. Di fronte a lei, nel completo color nocciola che gli aveva visto indossare al processo, c’era Jim Moriarty.
 La ragazza si irrigidì.
 «Ciao.» la salutò sfoggiando il suo miglior sorriso beffardo.
 Shireen rimase immobile, senza parlare, troppo spaventata per fare qualsiasi cosa. Quando ritrovò la voce, deglutì e parlò. «Cosa fai qui?»
 «Vengo in pace.» disse l’altro avvicinandosi a lei.
 Le più giovane degli Holmes trattenne il fiato. Era troppo vicino, decisamente troppo vicino. Indietreggiò e la sua schiena cozzò contro la parete.
 L’uomo avanzò fino a che i loro corpi non furono a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. Sorrise ancora e sollevò una mano facendola scorrere sulla guancia della ragazza – provocandole un brivido quasi doloroso lungo la spina dorsale – poi percorrendole un braccio e infine sfiorandole la mano.
 «Vattene.» sibilò lei, tentando di mantenere la calma e di liberarsi dalla sua presa, che pur non essendo dolorosa era forte e ferma.
 «Perché?» chiese Jim avvicinando il suo volto a quello di lei «Non ti fa piacere che io sia qui, Shir?» le sussurrò all’orecchio.
 Sherlock entrò nella stanza. «Jim.» disse a mo’ di saluto, poggiandogli una mano sulla spalla e allontanandolo dalla sorella. «Il tè è pronto. Siediti.»
 Moriarty si allontanò da Shireen e sorrise, poi si avviò verso la poltrona di Sherlock e si sedette cominciando ad osservare la stanza con interesse.
 Sherlock si volse verso la sorella e le strinse il braccio per portare la sua attenzione su di sé. «Stai bene?» sussurrò.
 Lei annuì, ma non poté nascondere le lacrime che le avevano appannato la vista.
 «Vai.» le disse stringendole le braccia. «Esci di qui.»
 «Sherlock…» tentò di opporsi lanciando un’occhiata al criminale.
 «Vai.» ripeté il fratello.
 Lei, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza e scese le scale quasi di corsa. Doveva andare via di lì, prendere un po’ d’aria e schiarirsi le idee. Un solo pensiero le martellava nella mente: Moriarty è tornato.
 Si sedette sui gradini davanti a casa dato che non sapeva dove andare e soprattutto se ce l’avesse fatta ad arrivarci. E poi doveva ammettere che dopo il rapimento era restia ad andare in giro da sola.
 Rimase seduta per un tempo che le sembrò eterno. Di John non c’era traccia, sembrava essere scomparso e lei avrebbe tanto voluto che fosse lì, che fosse in casa con Sherlock, che lo tenesse d’occhio, che controllasse Moriarty e che gli impedisse di fare del male a suo fratello.
 
 Venti minuti dopo, la porta alle sue spalle si aprì. La ragazza scattò in piedi appena in tempo per vedere Jim Moriarty avvicinarsi e sorriderle beffardo.
 Shireen indietreggiò e deglutì a fatica. Perché hai tanta paura di lui? si chiese. È solo un uomo. Un criminale come gli altri. Ma subito si corresse. No. Non è come gli altri. È molto più pericoloso.
 «Ciao, Shir.» la salutò con voce suadente e cantilenante «Ci rivedremo presto.» le promise.
 Lei avrebbe voluto imprecare, insultarlo, ma un groppo le si era formato in gola impedendole quasi di respirare, perciò si limitò a scostarsi per lasciarlo passare.
 Lui le si avvicinò e le sorrise. «Dovresti essere felice di vedermi nuovamente al lavoro.» fece notare. «Almeno tuo fratello avrà di nuovo qualcosa da fare.»
 «Lavoro?» chiese lei «Quello che fai lo consideri un lavoro
 «È un lavoro come gli altri!» esclamò ridendo «Se non ci fossero quelli come me, non servirebbero persone come tuo fratello.»
 Shireen a quel punto lo fulminò con lo sguardo.
 Lui le si avvicinò e le prese la mano. «Quindi dovresti ringraziarmi, Shir.» sussurrò spingendola contro lo stipite della porta in legno scuro e facendole scorrere le mani sui fianchi, per poi far aderire i loro corpi con un gesto fluido e rapidissimo. «È grazie a me se il tuo amato Sherlock è diventato famoso.» sussurrò con le labbra premute contro la sua guancia, lasciandole una scia di baci leggeri fino ad arrivare all’angolo della sua bocca, dove si fermò.
 «Lasciami.» sibilò lei tra i denti, tentando di scostarsi premendo le mani sul suo petto.
 Moriarty rise.
 La porta si spalancò nuovamente e questa volta a uscire fu l’investigatore. «Mi sembrava che te ne fossi andato, Jim.» disse rivolgendogli uno sguardo furioso.
 Il consulente criminale sorrise. «Infatti.» confermò lasciando andare la ragazza. «Ciao.» e si allontanò senza aggiungere altro.
 Shireen rimase immobile – il respiro irregolare, la vista appannata dalle lacrime, il cuore che batteva a mille – e quasi non si accorse che il criminale se n’era andato. Com’era possibile che ancora adesso, dopo mesi, ogni volta che quell’uomo le si avvicinava la facesse sentire così? Provava un fremito di paura tremendo ogni volta che la sfiorava e una fitta allo stomaco quando le sorrideva con quel ghigno perverso sul volto.
 «Shir» la chiamò il fratello accarezzandole le braccia. «Stai bene?»
 Le sfuggì un singhiozzo strozzato e scosse il capo.
 «Ti ha fatto del male?» le disse poggiandole le mani sulle guance.
 La ragazza scosse nuovamente il capo. «Sherlock…» singhiozzò e sentì le gambe farsi troppo instabili per reggerla ulteriormente.
 «Va tutto bene.» la rassicurò Sherlock tenendola per i fianchi perché non cadesse. «Va tutto bene, calmati.»
 Shireen si strinse contro il suo petto, nascondendo il viso nella sua giacca e lasciandosi pervadere dal suo profumo. Sono con Sherlock. Sono al sicuro, continuò a ripetersi.
 Lui la abbracciò, in modo da sorreggerla, e sfiorandole i capelli con le labbra. «Vieni, rientriamo.» e tenendola stretta la riportò nel loro appartamento.
 Quando entrarono, la fece sedere sul divano e dopo averle preparato un tè, si sedette accanto a lei. Le poggiò una mano sul ginocchio e la osservò mentre teneva in mano la tazza di tè senza berne nemmeno un sorso, tremando ancora per lo spavento.
 Avrebbe voluto uccidere Moriarty, torturarlo e farlo soffrire come lui aveva fatto con sua sorella. Non poteva prendersela con lei spaventandola a morte, quando era con lui che ce l’aveva. Gliel’avrebbe pagata.
 «Tu stai bene?» chiese Shireen, rompendo il silenzio.
 Lui annuì. «Sì.»
 «Cosa voleva da te?»
 «Non ne sono certo.» rispose «Il messaggio era confuso, ma lo scoprirò.» accennò un sorriso e le sfiorò una guancia con la mano.
 Lei trasalì al suo tocco, per poi rendersi conto che non era Moriarty e che non le avrebbe fatto del male. Avrebbe voluto chiedergli scusa, ma non ci riuscì.
 «Shireen…» sussurrò Sherlock prendendole il viso tra le mani e facendola voltare verso di lui. «Ascoltami, lui non ti farà del male.»
 «Sherlock…» tentò di bloccarlo.
 Lui riprese «Mi dispiace che ti abbia spaventato tanto.» si scusò. «Ma credimi: non gli permetterò mai di farti del male. Ok? Farò tutto il necessario per impedirlo.»
 Shireen sentì le lacrime bagnarle le guance e annuì, nonostante fosse poco convinta. «Sherlock, ti prego, fai attenzione.» si raccomandò «È pericoloso e non voglio che ti faccia del male.»
 Il fratello accennò un sorriso. «Non preoccuparti. Starò attento.»
 Lei abbassò lo sguardo, poggiò la tazza ancora colma di tè ormai tiepido sul tavolino da caffè e abbracciò nuovamente suo fratello. Gli circondò il collo con le braccia e si strinse a lui. «Sherlock, promettimelo.» sussurrò «Promettimi che starai attento.»
 Holmes gli accarezzò la schiena con le mani, ricambiando la stretta. «Te lo prometto, Shir.»
 
 Per due mesi, la vita al 221B sembrò essere tornata quella di una volta. Vi furono un paio di nuovi casi, che Sherlock risolse in meno di qualche ora, poi la calma tornò a regnare su Londra.
 Ma un altro caso non tardò ad arrivare.
 Una sera, Lestrade e Donovan bussarono alla porta dell’appartamento. Watson era appena uscito per andare a fare la spesa e in casa c’erano solo Sherlock e sua sorella.
 «Lestrade.» salutò il consulente detective.
 «Sherlock, abbiamo bisogno di te.» affermò, poi si voltò verso Shireen e le rivolse un caldo sorriso. L’ispettore raccontò che erano stati rapiti due bambini e che avrebbero avuto bisogno del suo aiuto per trovarli.
 Quando John tornò a casa, il gruppo partì alla volta della scuola in cui erano rimasti per tutto l’inverno. Perlustrarono ogni angolo e trovarono delle impronte che portavano all’esterno. I due erano stati minacciati e trascinati fuori per essere portati chissà dove.
 Dopo aver analizzato le sostanze e le prove trovate sulla scena del crimine, Sherlock arrivò alla conclusione che chiunque li avesse rapiti stava tentando di spingerlo alla soluzione dal caso con degli indizi mirati: una copia del libro di favole dei fratelli Grimm, una busta recapitata a Baker Street con all’interno delle briciole di pane e resti di sostanze utilizzate per preparare i dolci. Tutto sembrava ricondurre alla fiaba di Hansel e Gretel.
 Quando Holmes riuscì a localizzare i bambini e questi vennero ritrovati dalla polizia, vennero portati immediatamente in ospedale per poter essere disintossicati dal mercurio che avevano ingerito. I medici assicurarono che si sarebbero ripresi e permisero alla polizia di vederli per fare loro qualche domanda.
 Il problema sorse quando Sherlock tentò di parlare con loro. Appena i bambini lo videro, gridarono spaventati e la polizia fu costretta ad allontanarlo. Nessuno seppe spiegare quella reazione, forse erano sotto shock, ma in ogni caso, Sherlock non poté interrogarli.
 
 Qualche giorno dopo, Lestrade bussò alla porta del 221B. La signora Hudson lo fece entrare e lo accompagnò da Sherlock. L’uomo entrò nell’appartamento e dopo aver salutato gli inquilini, tentò di parlare, ma venne interrotto da Sherlock.
 «No, Ispettore.» disse.
 «Come?»
 «Ho detto no.»
 «Ma se non sai la domanda!» esclamò Lestrade.
 «Vuoi portarmi in centrale.» spiegò Sherlock «Ti risparmio di chiedermelo.»
 «Sherlock…» tentò di replicare Greg.
 «Fammi indovinare, l’urlo?» chiese riferendosi alla reazione dei bambini alla sua vista.
 Greg annuì.
 «Chi è stato? Donovan?»
 Lestrade non ebbe tempo di annuire che Sherlock aveva già ripreso.
 «Ma certo.» dichiarò «Sono in qualche modo responsabile del rapimento? Oh, Moriarty è molto astuto.» affermò «Ti ha messo questo dubbio in testa, un piccolo tarlo. E non puoi uccidere un’idea, non quando ha preso posto qui.» con il dito gli sfiorò la fronte.
 Greg sospirò, rivolse un’occhiata a John e a Shireen e poi si avviò verso le scale.
 «Lo accompagno.» affermò la ragazza seguendolo. Quando lo raggiunse, sulla prima rampa di scale, lo prese per un braccio per fermarlo prima che si allontanasse. Era da parecchio tempo che non vedeva Lestrade, i casi erano molti e il suo tempo libero era limitato. Sembrava stare meglio dopo la separazione dalla moglie, anche se John le aveva detto che non usciva con nessuno. Avrebbe tanto voluto chiedergli di prendere un caffè insieme, di fare due chiacchiere come a Baskerville – dato che era stata davvero bene con lui – ma sapeva che con il lavoro sarebbe stato impossibile.
 «Scusalo.» disse riferendosi al comportamento del fratello. «È solo stressato per tutta la faccenda di Moriarty.»
 Greg accennò un sorriso. «Non preoccuparti.» poteva ancora sentire la sua mano sul suo braccio.
 «Ti procurerà dei guai?» chiese lei, riferendosi al fatto che Sherlock avesse deciso di non seguirlo in centrale.
 L’Ispettore scosse il capo e si voltò, pronto a ricominciare a scendere le scale quando lei lo lasciò andare. «No, ma credo che torneremo con un mandato.» spiegò. «Questa cosa si sta ingigantendo parecchio.»
 La ragazza abbassò lo sguardo e parlò ancora. «Greg, non crederai davvero che Sherlock…» più che una domanda era un’affermazione. Come poteva credere che Sherlock Holmes fosse in combutta con Jim Moriarty? Non poteva essere così. Perché avrebbe significato che il suo rapimento e quello di John erano stati orditi dal suo stesso fratello. L’idea le attraversò la mente così velocemente da provocarle un brivido lungo la schiena.
 «No.» disse Greg, risalendo alcuni gradini e prendendole la mano. «No, Shireen. Io conosco Sherlock. Mi fido di lui.» affermò.
 I loro occhi si incontrarono e Shireen vide un lampo in quelli dell’Ispettore.
 Aggrottò le sopracciglia. «Stai bene, Greg?» domandò aumentando la presa sulla sua mano.
 «Sì.» rispose.
 «Sei sicuro? Sembri-»
 Lui la interruppe. «Sto bene, non preoccuparti.» le sfiorò una guancia con la mano e accennò un sorriso.
 «Greg, se qualcosa non va-»
 «Sto bene.» ripeté. «Davvero.»
 Shireen incatenò i suoi occhi a quelli di lui. Era ovvio che stesse mentendo, ma non poteva certo insistere fino a che non avesse deciso di confessare. «È solo che sono preoccupata per te.»
 «Non voglio che ti preoccupi.» le disse. «Ma grazie.»
 La ragazza sorrise.
 Donovan, ferma sulla porta, si schiarì la voce.
 «Ehm… adesso devo andare.» riprese Lestrade lanciando uno sguardo alla collega per poi tornare a guardare la più giovane degli Holmes. «Ci vediamo.» la salutò.
 «A presto.» replicò lei.
 Greg fece per voltarsi, ma dopo aver sceso un gradino tornò sui suoi passi. Si avvicinò a lei, le fiorò il volto con una mano in modo da avvicinarlo al suo e poggiò un delicato bacio sulla sua guancia.
 Shireen chiuse gli occhi sentendosi accarezzare le guance dalle labbra dell’Ispettore – rese ruvide dalla barba che le incorniciava – e quando li riaprì, lui era già sparito.
 
 La previsione di Lestrade si rivelò esatta. Qualche sera dopo le sirene della polizia fecero trasalire gli inquilini del 221B. Shireen rivolse uno sguardo preoccupato a John, che si alzò in piedi muovendosi verso la porta.
 Quando sentirono il campanello suonare e la signora Hudson aprire la porta, Shireen scese la prima rampa di scale. Donovan e altri due poliziotti la sorpassarono. Dietro di loro, comparve Greg che captò lo sguardo preoccupato della ragazza e le strinse la mano prima di oltrepassarla a sua volta, diretto al piano superiore.
 John li raggiunse prima che entrassero nell’appartamento. «Avete un mandato?» chiese bloccando loro la strada.
 «John, lascia stare-» tentò di bloccarlo Lestrade.
 «No, avete un mandato?» insistette.
 «Si sposti, dottor Watson.» ordinò Donovan e si fece strada nell’appartamento dove Sherlock si era già vestito. La donna si fermò sulla soglia e fece un cenno ai due poliziotti.
Uno dei due prese le manette e disse a Holmes di alzare le mani.
 «Sherlock Holmes» cominciò Lestrade con voce flebile «La dichiaro in arresto per sospetto doppio sequestro di persona…»
 «Non sta facendo resistenza.» intervenne John, mentre osservava la scena impotente.
 Shireen era immobile accanto a lui. «Greg…» mormorò implorante.
 L’Ispettore si volse verso di lei e la ragazza poté vedere il dolore nei suoi occhi.
 «Va tutto bene.» li bloccò Sherlock.
 «È ridicolo, non sta facendo resistenza.» continuò John.
 «Portatelo di sotto.» ordinò Lestrade e i due poliziotti lo scortarono giù per le scale.
 «Sapete che non potete farlo.» continuò John.
 «John, per favore, o sarò costretto ad arrestare anche te.» lo implorò Greg. Rivolse un ultimo sguardo addolorato a Shireen e poi lasciò l’appartamento.
 La ragazza, furiosa, si voltò verso Donovan, che era ancora in piedi sulla soglia.
 Anche John le rivolse uno sguardo carico d’odio. «Finito?» chiese.
 «Oh, io te l’avevo detto.» squittì l’altra con l’aria di qualcuno che la sa lunga. «Ti avevo detto che non si sarebbe accontentato di risolvere crimini. Prima o poi si supera il limite. Chiediti quale razza di uomo rapirebbe dei bambini per mettersi in mostra dopo averli ritrovati.»
 «Oh, smettila!» sbottò Shireen e tutti gli sguardi si posarono su di lei «Sei tu che dovresti chiederti dove sareste adesso senza Sherlock!»
 «Prego?»
 «Se non ci fossero stati lui e John, voi non avreste risolto nemmeno uno dei vostri casi.» ringhiò avanzando e affiancandosi a John.
 La donna sollevò un sopracciglio. «Ce l’avremmo fatta anche da soli.»
 «Oh, ma per favore.» riprese Shireen «L’unico poliziotto che valga qualcosa a Scotland Yard è Lestrade. Se avessero dovuto contare su te o Anderson sareste ancora alle prese con il caso del tassista.» fece notare, ricordando il resoconto de Lo studio in rosa sul blog di Watson, tempo prima.
 «Donovan» una voce li interruppe.
 «Signore?» scattò la donna.
 Un uomo robusto con un paio di enormi occhiali rotondi fece il suo ingresso nella stanza. Era il commissario capo. «Abbiamo il nostro uomo?» chiese.
 «Ehm… Sì, signore.» rispose lei.
 «Bene.» concluse e si voltò per osservare i due inquilini e la stanza «Se volete saperlo, sembrava un po’ strambo. Lo sono spesso questa specie di vigilanti.» concluse.
 Shireen dovette reprimere l’istinto di prenderlo a pugni. Cosa che John non fece.
 Prima che qualcuno potesse bloccarlo, si mosse e sferrò un pugno dritto al volto dell’uomo, che si piegò in due e gridò dal dolore.
 Due poliziotti si materializzarono dal nulla e presero il dottore per le braccia trascinandolo fuori dalla stanza. Lui non oppose resistenza, ma continuò a fissare furioso il commissario capo che tentava di tamponare il naso grondante di sangue.
 Shireen fece per seguire John e quando vide che Donovan la stava osservando, le rivolse un sorriso soddisfatto. Corse giù per le scale seguendo gli agenti che stavano portando via Watson e uscì dal 221B.
 Le auto della polizia erano parcheggiate in strada con i lampeggianti accessi, che si proiettavano sui muri delle case vicine.
 I poliziotti portarono John accanto a Sherlock e presero ad ammanettarli.
 «Greg!» Shireen si avvicinò a Lestrade, fermo accanto ad una volante.
 L’uomo si voltò, ma proprio mentre stava per parlare, la voce di Sherlock lo interruppe.
 «Signore e signori, potreste cortesemente inginocchiarvi?» disse puntando loro contro una pistola. Aveva la mano sinistra ammanettata a quella destra di John – che sembrava alquanto perplesso – e si stava allontanando dagli agenti che prima lo stavano ammanettando.
 Che stai facendo, Sherlock? pensò Shireen, pietrificata dallo stupore.
 Dato che nessuno sembrò dare ascolto al consulente detective, lui sparò un colpo in aria. «Avanti! Avete sentito?»
 Greg prese Shireen per le spalle e la fece abbassare. «Fate come dice!» ordinò ai colleghi e tutti si abbassarono lentamente.
 «Tanto per farvelo sapere, la pistola è una sua idea.» disse John «Io sono… ehm…»
 «Un mio ostaggio!» concluse Sherlock puntandogli l’arma alla testa.
 «Ostaggio, sì. Giusto.» confermò il medico «Adesso che facciamo?» chiese.
 Shireen non poté sentire ciò che il fratello rispose al coinquilino, ma poté vederli correre via, svoltando l’angolo.
 No, Sherlock… pensò disperata. Ma cosa gli era saltato in mente? Avrebbe solo peggiorato le cose.
 Lestrade, accanto a lei, si portò le mani al volto. «No…» sussurrò.
 Tutti si rimisero in piedi perplessi e il commissario capo gridò: «Inseguiteli, forza!»
 Gli agenti salirono sulle loro auto e misero in moto. Lo stridere delle ruote sull’asfalto annunciò l’inizio dell’inseguimento. Le sirene partirono e il loro rumore rimbombò per le vie di Londra mentre le auto si allontanavano prendendo vie diverse.
 Shireen prima che Lestrade salisse in macchina con Donovan lo prese per un braccio. «Greg…» lo chiamò in un sussurro.
 Lui si voltò.
 «Non fate loro del male.» lo implorò e lui sospirò non sapendo cosa dire. «Sono Sherlock e John… Greg, ti prego…»
 L’uomo la osservò per qualche secondo e alla fine annuì; poi salì in macchina con Donovan e anche loro partirono all’inseguimento.
 
 Qualche ora dopo, il telefono di Shireen squillò. La ragazza, ancora seduta sul divano del suo appartamento, lo prese dalla tasca. Sullo schermo lampeggiava un numero sconosciuto. Chi poteva essere?
 «Pronto?» disse incerta, ma comunque pronta a tutto.
 «Shireen?» disse la voce di John dall’altro capo.
 «John!» esclamò mettendosi in piedi. «Dove siete? State bene?» non poté fare a meno di sospirare di sollievo. Non li avevano presi, quindi.
 «Sì, stiamo bene.» affermò «Ehm… è successa una cosa… la storia si sta complicando.»
 Lei aggrottò le sopracciglia. «Cosa? Che vuoi dire?» chiese perplessa passandosi una mano tra i capelli corti. Come poteva complicarsi più di così?
 «Abbiamo scoperto che i giornali vogliono pubblicare la notizia che Jim Moriarty è tutta un’invenzione di Sherlock.» spiegò.
 La giovane Holmes sentì un tuffo al cuore. «Cosa?! Ma è ridicolo! Come posso pensare che…?»
 «Jim Moriarty in realtà dice di essere Richard Brook, di essere stato pagato e ingaggiato da Sherlock per mettere su questo spettacolino in modo che tuo fratello potesse diventare famoso e…»
 «Cosa?!» chiese ancora, non potendo credere a ciò che stava sentendo. «Ma… Moriarty ha tentato di ucciderci, è stato processato…»
 Sentì John sospirare. «Diranno che è tutta una recita. Che Richard Brook è un attore. Lavora in un canale per bambini come cantastorie… i suoi documenti falsi… tutto lo conferma.» concluse amareggiato.
 «Non crederai anche tu che Sherlock…?» ansimò la ragazza, sull’orlo di una crisi d’ansia.
 «No.» si affrettò a rispondere John «Ma le persone lo faranno. È una storia troppo ben costruita. La signorina Riley, che si occupa di pubblicare questa storia, sa così tante cose su Sherlock…» si bloccò, non sapendo cos’altro dire «Non lo so… sa troppo
 «Dov’è mio fratello?» domandò dopo alcuni istanti di silenzio. Adesso era importante che Sherlock non si cacciasse in ulteriori guai. E Shireen sapeva che quando Sherlock era sotto stress era più incline a fare cavolate.
 «Ha detto che doveva fare una cosa.» disse il medico.
 «Non sai dov’è andato?»
 «No.» replicò «Ma non possiamo stare con le mani in mano. Ascolta, dobbiamo scoprire perché la signorina Riley sapesse ogni cosa sulla vita di tuo fratello.»
 «Qualcuno deve aver spifferato ogni cosa.» ipotizzò Shireen. Era abbastanza ovvio. Ma chi?
 «Sì, ma gli unici a sapere siamo io, te e Mycroft.» fece notare Watson «E io e te non abbiamo mai…» si interruppe, realizzando ciò che era successo. L’idea si fece lentamente strada in lui e man mano che si diffondeva in ogni sua cellula, l’uomo poté sentire l’odio per Mycroft crescere.
 Shireen sospirò e sentì il cuore farsi pesante. «Oh, mio Dio…» le sfuggì e si portò una mano al volto. «Mycroft…» come poteva averlo fatto? Eppure tutto aveva senso. Lei e John tenevano troppo a Sherlock, non l’avrebbero mai tradito. Ma Mycroft… lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenere ciò che voleva, forse anche vendere suo fratello.
 «Credi che sia stato lui?» domandò Watson con voce flebile, quasi avesse paura che un’insinuazione del genere, detta ad alta voce, potesse tramutarsi in realtà.
 Lei tentò di mantenere la voce ferma «Era l’unico a sapere, oltre a noi.» disse lasciandosi cadere sulla poltrona di Sherlock «Non posso crederci.» le sfuggì dalle labbra.
 «Vado a parlarci.» annunciò John cominciando a camminare.
 «No.» lo fermò la ragazza «Vado io.» voleva essere lei a chiedere a suo fratello se li aveva traditi. Voleva sentirlo dalle sue labbra, altrimenti non ci avrebbe creduto.
 «Shireen…»
 «Vado io.» insistette. «Ci sentiamo più tardi.» e chiuse la chiamata.
 
 Quando Shireen raggiunse l’ufficio di Mycroft, la sua segretaria le disse di attendere il ritorno del fratello che era uscito per una riunione urgente. La ragazza annuì, la informò che avrebbe atteso nel suo ufficio e si sedette sulla sedia di fronte alla sua scrivania.
 Calmati, Shireen, si disse. Continuava a ripeterselo da un’ora, con scarsi risultati. L’idea che Mycroft potesse aver rivelato informazioni su Sherlock a Moriarty e ad una giornalista era tremenda, quasi impensabile. Shireen aveva sempre creduto che nonostante fosse restio a dimostrare affetto, tenesse alla famiglia più di qualsiasi altra cosa. Che per lui fosse sacra e, oltre al suo lavoro, la cosa più importante.
 Forse era tutta una montatura, forse le informazioni su Sherlock erano reperibili un po’ ovunque adesso che era conosciuto da tutti. Nulla era vero e lui l’avrebbe confermato. Sarebbe bastato chiedergli spiegazioni e dopo aver chiarito ogni cosa lui avrebbe saputo come aiutarli.
 La porta si aprì e Mycroft entrò poggiando l’ombrello accanto alla porta e avviandosi verso la scrivania. «Shireen» disse stupito. «Cosa ci fai qui?»
 La ragazza si voltò, tentando di nascondere la paura che la attanagliava da quando aveva messo piede nell’ufficio. «Devo parlarti.»
 «Questo è ovvio.» replicò l’altro, sedendosi.
 «Allora perché me lo hai chiesto?»
 Mycroft sospirò e scosse il capo. «Di cosa devi parlarmi?»
 La ragazza prese un bel respiro e raccontò ciò che le aveva comunicato John. Della storia che Kitty Riley avrebbe pubblicato, delle bugie inventate da Moriarty, del fatto che sapessero tutto su Sherlock…
 «Dimmi che ha trovato le informazioni da sola e che non le ha avute da te.» era un ipotesi assurda e Shireen se ne rese conto nel momento in cui pronunciò quelle parole ad alta voce.
 Il fratello abbassò lo sguardo.
 «Mycroft» disse la sorella per incalzarlo a parlare.
 Lui sospirò ancora. «Shireen…»
 «No.» scosse il capo e la consapevolezza si fece strada in lei «Non è possibile… sei stato tu?» chiese in un sussurro.
 «Shireen, io…»
 La ragazza scattò in piedi. «È nostro fratello!» gridò. «È nostro fratello e tu hai raccontato tutto a quel pazzo! Ma come ti è venuto in mente?!» l’aveva sempre creduto dalla loro parte.
 «Non volevo.» si giustificò.
 «Non volevi?» chiese. «E allora perché l’hai fatto?»
 «Moriarty ha accettato di darci informazioni in cambio di…» Mycroft si interruppe «A patto che io gli parlassi di Sherlock.»
 Shireen scosse il capo. Era senza fiato, senza parole. Tutto ciò che le stava dicendo non aveva senso. Come aveva potuto farlo? «E tu gliene hai parlato.» disse con voce rotta.
 Mycroft abbassò il capo e annuì impercettibilmente. «Era per la sicurezza del governo e della-»
 «E alla vita di Sherlock non pensi?» sbottò sbattendo un pugno sulla scrivania. «È nostro fratello.» sillabò. Questo bastava, non importava che fosse o meno un sociopatico iperattivo, che avesse strane manie o altro, era loro fratello. E in una famiglia ci si proteggeva a vicenda.
 «Mi dispiace.» aggiunse il politico.
 Quelle parole la fecero infuriare ancora di più. «E secondo te può bastare?» chiese, trattenendo a stento quelle lacrime cariche di rabbia.
 «Io-»
 «Spero che tu ti renda conto di quello che hai fatto, Mycroft.» ringhiò, interrompendolo. «Spero che tu capisca che hai rovinato la vita di Sherlock. Tutti lo credono un criminale, adesso. Hai dato a Moriarty l’arma che stava cercano. Stava aspettando che qualcuno lo facesse e tu gli hai fornito su un piatto d’argento le informazioni per distruggere Sherlock.» spiegò «Ti credevo migliore. Credevo che tenessi a noi. Ti ho sempre difeso di fronte a tutti, invece non te lo meriti. Anche se ci odi e se la nostra presenza ti infastidisce… questo non ti dà il diritto di rovinarci la vita!»
 «Io…» sussurrò «Io tengo alla mia famiglia.»
 «Davvero?» chiese. «Ed è così che lo dimostri? Spiattellando tutto ad un criminale che ha tentato di ucciderci? Bel modo per farcelo capire.»
 «Shireen…» la implorò alzandosi e tentando di avvicinarsi.
 «Basta.» lo bloccò sollevando una mano. «Non…» tentò di trattenere le lacrime, ma queste le bagnarono le guance. «Smettila. Non voglio rimanere ad ascoltare le tue scuse un secondo di più.» così dicendo si asciugò le guance e uscì dall’ufficio sbattendo la porta. «Vai all’inferno, Mycroft.»
 
 Shireen uscì di corsa dall’edificio. Non sapeva dove andare. Non sapeva cosa fare. Era confusa, distrutta, delusa. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, fermare Mycroft, impedirgli di combinare quel disastro facendo credere a tutti che Sherlock fosse il criminale.
 Perché, Mycroft? Perché? le lacrime continuavano a bagnarle le guance, inarrestabili, dolorose.
 Si bloccò in mezzo alla strada, il fiato corto, il cuore che batteva a mille.
 Oh, mio Dio… Mycroft era l’unica cosa che le martellava nella mente in quel momento. Ci ha traditi… credevo che tenesse a noi…
 Prese il cellulare e inviò un messaggio a John.
 
È stato Mycroft.
                     Shireen
 
 Qualche secondo dopo arrivò la risposta del medico.
 
Mi dispiace tanto.
                       John
 
 La giovane Holmes sperò che Watson fosse con Sherlock e che gli stesse spiegando tutto. Che gli stesse dicendo che loro gli credevano, che non dubitavano di lui, come gli altri.
 Anche lei avrebbe tanto voluto qualcuno che la confortasse. Qualcuno che le dicesse che nonostante tutto Mycroft teneva a loro, anche se non era così. Qualcuno che le ricordasse che anche Mycroft Holmes può sbagliare, anche se questo sarebbe costato caro a Sherlock.
Ma nessuno era lì per lei.
 
 Shireen continuò a camminare per più di due ore. Non aveva una meta precisa, voleva solo sgranchirsi le gambe, pensare e dimenticare ciò che Mycroft aveva fatto. Faceva avanti e indietro per lo stesso quartiere da un tempo che sembrava eterno. Sembrava non volersi allontanare da Mycroft, perché era consapevole che se l’avesse fatto, sarebbe stato per molto tempo.
 Dimenticalo, Shireen, si disse. È l’unico modo per superarlo.
 Il telefono squillò, facendola sobbalzare.
 Per un momento pensò potesse essere Mycroft, pronto a farle la predica per averlo maltrattato, pronto a fornirle le sue stupide scuse, ma quando prese il cellulare tra le mani, vide il numero di John.
 Si schiarì la voce. «Pronto?»
 «Shireen?» chiese l’altro con voce flebile.
 «Sì, John.» replicò «Che succede?»
 Silenzio.
 «John?» lo incalzò.
 «Shireen…» lo sentì inspirare come se gli mancasse l’aria.
 «Stai bene?» chiese immediatamente pensando che si fosse sentito male.
 «S-sì… No, io sto…» ansimò.
 «John, mi fai preoccupare.»
 «Io…» stava piangendo. John Watson stava piangendo. «Sherlock… lui…»
 «Cos’è successo?» scattò «L’hanno arrestato?» se l’aveva arrestato, oltre alle fase accuse, adesso c’erano anche quelle per fuga e per rapimento, dato che aveva finto che John fosse un suo ostaggio.
 «No.» replicò l’uomo e poi trasse un profondo respiro.
 «Allora cos’è successo, John?» ripeté sentendo l’ansia crescere in lei ogni secondo «Ti prego…»
 «Si è buttato.» fu la sua risposta. Un’apparentemente insensata risposta.
 «Come?» domandò incredula e confusa «Che stai dicendo?»
 «Era sul tetto del St. Bart…» singhiozzò «Lui era là, io sono arrivato e lui mi ha chiamato… mi ha detto di non muovermi, di rimanere dov’ero… ha detto che voleva lasciare un biglietto perché è così che fanno le persone… e che era tutto vero. Che ha fatto finta. Che era tutta una bugia, una sua invenzione. Che Moriarty aveva detto la verità.» concluse senza fiato scoppiando in singhiozzi incontrollati.
 «John, cosa stai dicendo?» ansimò la ragazza portandosi una mano alla fronte «Ti prego, smettila…» suo fratello si era…? No, era impossibile. Sherlock non l’avrebbe mai fatto.
 «Mi dispiace, Shireen…» ripeté, la voce aveva quasi ritrovato la sua compostezza «Lui si è buttato… io non ho potuto fare nulla… si è… ucciso. Io… oh, Dio…»
 «No!» esclamò la giovane Holmes. «No! Non è vero! John, smettila.» sentiva gli occhi bruciare.
 «Shireen, mi dispiace.» replicò lui.
 «No!» strillò ancora. Non poteva essere vero. Sherlock non poteva essere morto. «No, non è vero…» ripeté ancora con voce stridula.
 «Scusami, Shireen.» replicò la voce del medico dall’altro capo «Vorrei che non fosse vero.»
 «No…» concluse in un suono strozzato. «No, Sherlock…» le lacrime le rigarono le guance. «Sherlock…» un dolore lacerante la trafisse alla bocca dello stomaco. Sentì un conato di vomito salire lungo la gola, ma lo trattenne.
 Moriarty. Era tutta colpa sua. L’aveva costretto, l’aveva sicuramente costretto a farlo. L’aveva obbligato a dire quelle cose a mentire… Non poteva aver finto per tutto quel tempo. Lei se ne sarebbe accorta, giusto? Oppure no. Forse non se ne sarebbe accorta, perché non era mai stata sveglia come lui o Mycroft e il maggiore degli Holmes glielo ricordava spesso.
 «Sherlock…» il suo nome le rimbombava nelle orecchie, nella mente, in ogni cellula del corpo. Il suo pensiero fisso era l’immagine di Sherlock che si lanciava dal tetto dell’ospedale, che si suicidava. Perché era quello che aveva fatto. Si era ucciso.
 Poggiò la schiena contro la cancellata di una villetta, appena in tempo prima che le gambe cedessero sotto il suo peso, incapaci di reggere ulteriormente il resto del suo corpo. Rimase seduta a terra, con il vento freddo che la feriva gli zigomi e gli occhi annebbiati dalle lacrime. Poggiò le braccia sulle ginocchia e seppellì il volto nella giacca, continuando a singhiozzare.
 Sherlock… Perché? Perché? Non puoi averlo fatto…
 
 Non seppe per quanto rimase immobile, singhiozzando, seduta sul marciapiede, ma le sembrarono anni, secoli. Ogni minuto si dilatava man mano che la consapevolezza che Sherlock non sarebbe più stato con loro si faceva strada in lei.
 Un’auto si fermò accanto al marciapiede.
 La ragazza sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e sollevò lo sguardo, pronta a dire al buon samaritano di passaggio di lasciarla in pace ad annegare nel suo dolore. I suoi occhi, però, incontrarono un volto famigliare.
 «Greg?» singhiozzò «Cosa…? Come facevi a…?» balbettò.
 «John.» rispose l’altro.
 La ragazza avrebbe dovuto immaginare che il dottor Watson si sarebbe preoccupato, ma in quel momento, con il cervello annebbiato e tutti gli ingranaggi sconnessi e incastrati tra loro, non riusciva nemmeno a formulare un pensiero di senso compiuto.
 «Oh, Greg…» mormorò.
 Lui non le permise di concludere. La tirò a sé e la strinse forte. «Mi dispiace.» le sussurrò all’orecchio con voce rotta. Anche lui era amico di Sherlock. Anche lui gli aveva voluto e gli voleva bene.
 «Non posso credere che l’abbia fatto.» singhiozzò «Non può essersi ucciso…»
 «Shireen, calmati.» le disse accarezzandole i capelli.
 Lei scosse il capo. «Non posso, non ci riesco…» gemette «Sono sola… Sherlock si è ucciso, Mycroft ci ha traditi…» aveva perso tutto. Non aveva più la sua famiglia. Aveva desiderato così tanto riunirsi a loro e adesso tutto era andato in frantumi.
 «Shh…» l’Ispettore la cullò dolcemente tra le braccia «Adesso calmati. Non sei sola. Ci sono i tuoi genitori, c’è John...» la allontanò dal suo petto. «E ci sono io, Shireen. Sono qui.»
 Shireen singhiozzò ancora, incapace di fermarsi. «Greg…» mormorò con voce impastata dalle lacrime; pronunciare il suo nome la faceva sentire meglio in un certo senso, perché in quel momento Lestrade era una certezza, qualcosa di saldo a cui aggrapparsi per non sprofondare nel baratro.
 «Sono qui.» le disse ancora.
 La ragazza gli circondò il collo con le braccia e si strinse a lui.
 Greg sospirò. «Andiamo. Non possiamo rimanere qui. Fa freddo, ti congelerai.» le disse sollevandole il mento con una mano. «Ce la fai a camminare?»
 Lei si asciugò le guance e annuì flebilmente.
 L’uomo l’aiuto a mettersi in piedi e dopo aver chiamato un taxi la aiutò a salire, posizionandosi al suo fianco. Diede indicazioni all’autista e poi le prese la mano.
 Shireen poggiò il capo sulla spalla dell’Ispettore e lasciò che l’uomo le circondasse le spalle con un braccio. Continuò a sussurrarle parole dolci, ma lei non ne udì nemmeno una. Il suo cervello era caduto in uno stato di black-out totale, come quello che l’aveva colpita quando Moriarty l’aveva rapita e minacciata. Quella volta aveva udito John dire che era sotto shock, che sarebbe passato… ma in quel momento, con l’immagine di Sherlock che si buttava dal tetto del St. Bart impressa nella mente – anche se in realtà non vi aveva assistito – non era certa che ne sarebbe più uscita.
 
 Quando il taxi si fermò davanti al 221B, Greg pagò l’autista e poi trascinò Shireen fuori dall’abitacolo. La ragazza non parlava e nemmeno singhiozza più. Lacrime silenziose le bagnavano le guance e le avevano arrossato gli occhi e le guance, ma non aveva più emesso un suono da quando erano saliti sull’auto. Lestrade pensò che fosse sotto shock, come lo erano tutti, d’altronde.
 L’auto partì e lui prendendole la mano avanzò fino alla porta in legno scuro.
 Bussò, anche se la ragazza molto probabilmente aveva e chiavi.
 Ad aprire venne la signora Hudson, anche lei, come la giovane Holmes aveva gli occhi arrossati dal pianto.
 «Oh, Ispettore… Shireen…» li salutò con voce flebile e addolorata.
 «Signora Hudson, accompagno Shireen di sopra. Posso entrare?» chiese l’uomo.
 «Certo, prego.» la donna si scostò e quando Shireen le passò accanto la strinse forte a sé. «Mi dispiace, cara. Mi dispiace così tanto…»
 «Grazie, signora Hudson.» riuscì a bofonchiare la giovane, per poi salire le scale, seguita da Lestrade che le aveva poggiato una mano sulla schiena per sorreggerla.
 Quando varcò la soglia dell’appartamento, Shireen sentì una nuova fitta di dolore colpirla al cuore. Chiuse gli occhi e Greg, intuendo ciò che sarebbe successo, le si avvicinò afferrandola prima che cadesse a terra.
 Shireen poggiò la schiena contro il petto dell’uomo e si portò le mani al viso, singhiozzando sommessamente.
 «Vieni.» le disse dolcemente Lestrade «Ti porto nella tua stanza.» la guidò fino alla camera da letto, la fece sdraiare sul materasso, la coprì con una coperta e poi si sedette al suo fianco. Era molto pallida e stava tremando, non sapeva se per il freddo o per i singhiozzi.
 «Greg» mormorò lei «Non lasciarmi…» lo implorò. Non ce l’avrebbe mai fatta a rimare sola. Non in quel momento.
 «No.» le assicurò accarezzandole i capelli e poi prendendole la mano, notando che era gelata anche quella «No, rimango.»
 Poco dopo la ragazza si addormentò.
 
 «John» fu la prima cosa che disse Shireen al suo risveglio.
 Greg era ancora accanto a lei, con le dita intrecciate alle sue e quando la vide aprire gli occhi accennò un sorriso, che in realtà fu molto più simile ad una smorfia.
 «È in salotto.» disse.
 Lei annuì, si mise a sedere e quando fu certa che le gambe potessero reggerla si mise in piedi. Senza farsi aiutare da Greg, uscì dalla stanza, percorse il corridoio e raggiunse il salotto, dove trovò John seduto sulla sua poltrona, in silenzio.
 «John» disse avvicinandosi. Le lacrime avevano ricominciato a bagnarle le guance.
 «Shireen…» singhiozzò lui e quando si alzò in piedi, lei gli gettò le braccia al collo.
 Piansero insieme, stringendosi l’uno all’altra, sapendo bene che il dolore che provavano era esclusivo. Non che gli altri non stessero soffrendo, ma per loro Sherlock era stato e sarebbe sempre stato speciale. Era un fratello, un amico, un confidente, una persona un po’ strana, ma capace di gesti buoni ed eroici. Loro due lo sapevano e a dispetto di tutto, sapevano che ciò che aveva detto riguardo alle bugie, non era vero. Sapevano che non avrebbe mai potuto inventarsi tutto e fingere così bene per un tempo così lungo. Per loro sarebbe sempre rimasto lo stesso Sherlock, il sociopatico iperattivo, geniale meraviglioso Sherlock di sempre.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti :)♥♥
Credo che non ci sia molto da spiegare in questo capitolo ;) È tutto dedicato a “The Reichenbach Falls”. Ho tagliato su molte scene presenti nel telefilm e ne ho modificate altre, aggiungendo alcuni Missing Moments.
Fatemi sapere :) A giovedì.
Bacioni, Eli♥

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: xX__Eli_Sev__Xx