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Autore: remsaverem    02/03/2009    3 recensioni
Il padre di Reid torna misteriosamente nella vita del figlio.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jason Gideon, Spencer Reid
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“Voglio sapere tutto di quel tizio, dove mangiava, cosa beveva, cos’ha fatto negli ultimi 15 anni avete capito

“Voglio sapere tutto di quel tizio, dove mangiava, cosa beveva, cos’ha fatto negli ultimi 15 anni avete capito?” esclamò Hotch guardandoli in volto uno per uno

“Ma non siamo noi ad vere il caso” obiettò J.J.

“ Non mi importa” rispose Hotch tagliente” non importa quanto ci metteremo, ma voglio sapere cosa ci faceva William Reid con gli scagnozzi di…”.

Qualcuno si schiarì la voce e nella stanza calò il gelo.

J.j. lasciò cadere i fogli che teneva in mano, Garcia, senza sapere perché chiuse immediatamente il pc e adottò una posa neutra.

Morgan si rannuvolò in viso e Prentiss assunse un’aria decisa, quasi di sfida.

Era entrata la Strauss.

Non credevano di vederla comparire così presto.

Pensavano di avere più tempo.

Catherine Strauss non perse tempo con le presentazioni, avanzò fino al centro della stanza, guardandosi intorno guardinga, poi incrociò le mani sui fianchi e parlò rivolta a Hotch, ma indirizzandosi chiaramente a tutti.

“So che cosa avete intenzione di fare”.

Morgan fece per parlare, ma un’occhiata di Hotch lo zittì. Diceva non peggiorare le cose.

Morgan tacque.

La Strauss continuò.

“Sono consapevole che si tratta di un vostro collega e che siete disposti a fare qualsiasi cosa per lui”.

J.J. si mosse a disagio sulla sedia “ma non tollererò alcuna intrusione nelle indagini degli Affari interni. Per inciso verrete tutti interrogati dall’agente Benson che aspetta qui fuori. La documentazione di cui vi siete occupati finora verrà sequestrata, così pure tutti i materiali sul caso”

“Ma…”obiettò Prentiss.

“Nessun ma agente Prentiss, se vi sorprenderò a perseguire con un atteggiamento che reputo ostile e irrispettoso di questa istituzione vi farò sospendere”. Detto ciò Catheryne Strauss si voltò per avviarsi all’uscita, poi si fermò e nuovamente rivolta a Hotch esclamò “L’agente Gideon e il dottor Reid non si sono presentati davanti alla Commissione degli Affari Interni, se avete occasione di sentirli comunicate che sono stati sospesi con effetto immediato fino a nuovo ordine”.

Hotch si passò una mano tra i capelli, avevano le mani legate.

Almeno apparentemente.

Prentiss guardò il cielo plumbeo fuori dalla finestra, dov’erano finiti Reid e Gideon?

 

 

 

Reid aveva lasciato la madre alle cure dell’ospedale. Come al solito era duro da accettare, ma non c’era niente che potesse fare per lei, se non…

Forse le ho già fatto abbastanza male, pensò mentre a lunghi passi si avviava alla biblioteca principale.

Era sempre lì che si rifugiava quando aveva bisogno di pensare, di stare tranquillo. Funzionava un po’ come lo chalet di Gideon.

In realtà era arrabbiato. Molto arrabbiato, con se stesso, con William, sì anche con lui.

A ripensarci gli sembrava quasi di impazzire.

Doveva sapere. Tutto.

Tutto quello che aveva fatto suo padre in quegli anni, ciò di cui si era occupato, il suo lavoro, le conoscenze, le amicizie, la vita privato oh sì anche quella e perché aveva scelto quel giorno per tornare a farsi sentire.

L’avrebbe scoperto. A ogni costo.

 

 

“Pronto Jason?”

Hotch si spostò in un angolo della stanza, guardandosi intorno “sì ho immaginato che…senti non ho molto tempo, no non dirmi dove sei, preferisco non saperlo, solo…” Hotch si prese qualche secondo per esporgli  quanto doveva dirgli molto in fretta “…Catheryne Strauss, sì lei hai indovinato…cercheremo di esserti d’aiuto, ma…va bene farò attenzione, non preoccuparti per noi…” Il tempo stava per scadere, di lì a poco la porta si sarebbe aperta e sarebbe stato il suo turno di testimoniare “…e Gideon, so che non c’è bisogno di dirtelo…” una lieve pausa “ prenditi cura di Reid!”.

 

 

Dall’altro capo del telefono Gideon chiuse piano cellulare.

In realtà non si sentiva molto vicino né alla prima né alla seconda delle raccomandazioni di Hotch.

Come al solito, in queste situazioni, gli accadeva di sentirsi responsabile.

Per tutto quello che era successo e ciò che ancora poteva accadere.

Anche se tutti gli dicevano che non c’entrava nulla, anche se sostenevano che non avrebbe potuto fare niente per evitare l’inevitabile….lui si sentiva responsabile.

Era sempre stato così.

E, a maggior ragione, in questo caso, che li aveva visti coinvolti tutti, compreso il ragazzo a cui aveva preso a voler bene come a un figlio.

In quella storia, in tutta quella storia, fin dall’inizio c’era qualcosa che non quadrava. Dalla comparsa quantomeno improvvisa di William Reid fino alla sua rocambolesca fine in quella casa.

Aveva alcune teorie, ma non poteva dirsi certo di nulla finché non avesse fatto delle ricerche.

Per prima cosa chiamò il suo amico Arthur Crane all’anagrafe.

 

 

“Qui non risulta, no Morgan..no, ti ho detto di non toccare, attento a…” Garcia si protese per acchiappare al volo una cartella contenente una serie di documenti.

“Stavo solo cercando di aiutare!” rispose Morgan

“Sì, ma facendomi pressione non…HOTCH!!” lo esclamò così ad alta voce che Morgan trasalì suo malgrado.

Con un veloce movimento del braccio Garcia nascose dietro la sua schiena l’incartamento e rivolse al supervisore il suo migliore sorriso.

“Noi…noi stavamo…” accennò Garcia.

“So benissimo cosa stavate facendo qui nascosti” fece Hotch incrociando le braccia sul petto con espressione severa.

“Hotch senti…” attaccò Morgan.

“Fatemi vedere cosa avete scoperto, prima che la Strauss decida di controllare anche qui!”.

 

 

Giunto davanti all’ospedale St.Paul Gideon si chiese un’ultima volta se quella fosse davvero la mossa giusta.

Si diceva che lo faceva per avere una conferma definitiva, in realtà sapeva bene di aver già deciso cosa fare.

Allora perché andare fin lì? Perché parlare col primario e ancora, perché far valere, per una volta, l’unica peraltro, la sua influenza per scopi personali?

Che si trattasse solo una mera curiosità? O era davvero l’ultimo tassello che gli mancava per completare un puzzle sapientemente costruito.

Ancora se lo stava domandando mentre un’infermiera gli apriva la porta della stanza di Diana Reid.

 

 

 

La donna sedeva alla finestra, di spalle. Indossava una vestaglia beige e sembrava completamente assorta nella sua attività di contemplazione.

Gideon rimase ad osservarla per alcuni minuti pensando a quante volte il membro più giovane della loro squadra doveva aver assistito a una scena simile.

Se si concentrava bene poteva quasi vederla.

Una cosa apparentemente normale, i passi di un bambino di ritorno da scuola, le risate e una donna alla finestra, le voci in lontananza, un quadretto quasi perfetto se solo…

Poi l’immagine sfumò e Gideon tornò al presente.

“Lei è un uomo tenace” fece la donna voltandosi verso di lui.

Gideon trasalì.

Diana Reid sorrise “avanti, so perché è venuto qui, mi faccia quella domanda”.

Non si era aspettato una reazione così repentina e ne fu sorpreso.

“Saprà meglio di me che noi schizzati abbiamo dei brevi periodi di lucidità, è stato fortunato agente Gideon”.

“Come…” di nuovo quella donna lo sorprese, poi capì e sorrise “…le lettere”.

“Ho indovinato subito chi era, Spencer l’ha descritta molto bene” osservò vivacemente Diana “lei è una delle poche persone capace di batterlo a scacchi”.

Gideon annuì e in quel momento si dimenticò del motivo che l’aveva condotto lì.

 

“Come non risulta nessun William Reid residente a …guarda meglio!!” insistè Morgan alle spalle di Garcia.

“Forse aveva un buon motivo per nascondersi” riflettè Hotch andando avanti e indietro per la stanza.

“Già i fratelli Genco, ma perché? Come ha fatto a entrare in contatto con quei criminali?”

 

 

 

Il sole stava calando.

Gideon si alzò dal letto dove si era seduto “è ora” mormorò e si avviò all’uscita.

Giunto sulla soglia udì la voce perfettamente limpida di Diana Reid “e quella domanda agente Gideon?”

“Io…”mormorò Gideon. Ora si vergognava del motivo che l’aveva spinto lì “non…”.

“Lei voleva chiedermi perché ho deciso di avere Spencer nonostante la mia malattia, nonostante sapessi che avrebbe potuto ereditarla e che avrebbe dovuto convivere con un genitore…come me” esclamò la donna guardandolo dritto negli occhi.

Gideon annuì piano “...ma non deve rispondere, mi scusi, ho sbagliato a venire qui”.

“Aspetti” fece di nuovo Diana.

Quella donna non gli dava tregua.

“Mia madre…” cominciò Diana, la sua voce tremò, ma dopo qualche istante riprese “io…volevo…volevo solo stringere anch’io un bambino tra le braccia”.

Poi tacque.

Gideon annuì piano.

 

 

Il 224 di Parker Street ospitava un edificio molto dimesso.

C’era la portineria, ma sembrava deserta. Era tutto aperto.

Ora avrebbe ottenuto delle risposte, la verità forse o solo un pallido residuo di essa.

Entrò senza esitazioni e si fermò al secondo piano.

Quella porta, piuttosto anonima non gli diceva niente.

E forse era un bene, d’altra parte tutta la vita di suo padre ora gli sembrava come evanescente, una sorta di miraggio rivolto al pubblico pagante e, soprattutto, a suo figlio.

Non gli importava più.

Girò la maniglia e avanzò di qualche passo all’interno della stanza.

Gli sembrava di stare sospeso, come se fosse imprigionato in una bolla di sapone, senza poter respirare.

All’improvviso avvertì l’impellente bisogno di uscire, di respirare un po’ d’aria.

Fece per voltarsi, ma una voce lo raggiunse da dietro.

“Ti stavo aspettando”.

Si girò di scatto.

 

  
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