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Autore: Sea    02/12/2015    1 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XXX




3 Gennaio 2015.
La luce del terzo giorno del nuovo anno filtrava attraverso i fori delle tapparelle, illuminando vagamente la stanza.
Non avevano impostato alcuna sveglia, infatti quando Ed aprì gli occhi vide il piccolo orologio poggiato sul comodino di Marina puntare sulle 11:10.
Respirò profondamente, sentendo il suo profumo e si guardò intorno. Erano completamente aggrovigliati nelle coperte, stesi in una posizione assurda, il viso di Marina che premeva sul suo petto e le sue braccia intorno al torace. Aveva ancora le mani su di lei.
Il sentore delle lenzuola ormai calde sul viso era piacevole e la sensazione di riposo lo invadeva del tutto, mentre cercava di muoversi senza svegliarla. Sfilò lentamente il braccio da sotto al cuscino e si allontanò. Si alzò per andare al bagno e la coprì meglio con la coperta prima di andare. Era così piccola in quel letto così grande. Non riuscì a trattenere un sorriso e il calore che lo avvolgeva e rise di se stesso. Lo specchio del bagno gli mostrò i suoi lividi, finalmente più chiari e guardandosi riuscì a vedere in sé un uomo migliore del giorno prima. Non aveva fatto niente, ma trascorrere una notte accanto a Marina lo aveva quasi purificato. Si sentiva quasi felice.
Cercando di non fare rumore, si avviò in cucina e cominciò a preparare il caffè con i piedi scalzi e la felpa troppo grande anche per lui.
Dio, era assurdo come si sentisse a casa. Era quasi inspiegabile. Anche l’aria che respirava sembrava essere più buona, mentre il sole entrava dalla finestra. Lentamente il profumo del caffè riempì la stanza e se ne servì una bella dose in una tazza a caso. Dopo il primo sorso, ne versò anche per lei e portò la tazza in camera da letto. Quando spinse la porta la vide ancora lì, appallottolata nelle coperte, così poggiò le tazze sul comodino e si sedette accanto a lei. Le spostò i capelli dal viso e cominciò a carezzarla, sussurrando il suo nome. Il flashback della prima notte che aveva passato lì lo fulminò.
  • Marina. – disse, passandole un dito sulla guancia.
Lei sembrò percepire il suo tocco, ma ancora non apriva gli occhi. La chiamò ancora e lentamente si svegliò, voltandosi subito verso di lui. Sorrise, quando lei incurvò le labbra. Stava per allontanare la mano dal suo viso, ma lei lo trattenne con la sua, ancora calda.
  • Buongiorno. – le disse, con una tranquillità innaturale.
  • Buongiorno. – ricambiò lei, con un filo di voce.
  • Ho preparato il caffè.
A quelle parole, il profumo le arrivò direttamente al naso e spostò gli occhi dal suo viso al comodino, scorgendo le tazze.
Anche se non voleva, abbandonò il calore delle sue mani e si mise a sedere, prendendo la tazza che le porgeva.
  • Ma che bravo. – lo prese in giro.
Lui sembrò cogliere l’ironia, ma abbassò comunque lo sguardo mentre sorrideva.
Il fatto che lui fosse stato la prima cosa che vedeva, quel giorno, la rese sicura che sarebbe stata una splendida giornata e che non avrebbe mai più dimenticato quell’esatto momento in cui lui la guardava e lei sentiva di amarlo. Impresse i suoi occhi azzurri nella mente.
Prese un sorso dalla tazza e lui fece lo stesso, poi ricordò il bacio che gli aveva dato quella notte e si sporse di nuovo verso di lui. Posò le labbra sulla sua barba incolta e chiuse gli occhi, sentendolo respirare.
Ed aveva desiderato quel bacio da quando aveva aperto gli occhi, ma era ancora troppo poco. La guardò bere il caffè, ma la sua testa cominciò a farfugliare cose strane e la realtà cominciò a pesargli nel petto: aveva dormito con Marina. L’aveva baciata al loro appuntamento.
Posò la tazza vuota sul comodino ed attese che lei facesse lo stesso. Non sapeva cosa dire e lei non parlava, si limitarono a guardarsi, seduti sul letto. Le sue labbra rosse non erano più sorridenti e il suo stesso viso si era disteso, perso nella sua contemplazione. Guardò i suoi capelli un po’ spettinati, il suo collo chiaro, i suoi zigomi coloriti e desiderò baciarla. Prese un impercettibile respiro e alzò la mano al suo viso. Non smise di guardarla mentre si avvicinava a lei, tentennando, ma Marina non mostrò cenni di incertezza ed attese che lui colmasse la distanza.
Ed chiuse gli occhi ad un passo da lei e prese le sue labbra tra le proprie, provando una sensazione forte abbastanza da fargli girare la testa. Sentì subito le mani di Marina correre al suo viso e ai suoi capelli, ma non lo sfiorarono con disinvoltura. Sentì anche su di lei lo stesso fremito incontrollabile che sentiva salire sempre più.
Non ci pensò due volte e le schiuse le labbra per sentirla meglio. Oh, era così devastante quella sensazione, riusciva ad annullare tutto il resto. Esisteva soltanto lei e le sue mani sul petto. Non riusciva nemmeno a capire se stesse ancora respirando. Lasciò che le mani corressero sulla schiena di lei, avvicinandola e si chiese quale misteriosa forza lo stesse facendo agire in quel modo. Sapeva solo di non poterla controllare, soprattutto se lei continuava a stringerlo e a mordergli il labbro.
Marina si lasciò avvicinare senza pensarci due volte e non si preoccupò di fermarlo mentre Edward infilava la mano sotto il suo pigiama. Sapeva di caffè e di eccitazione, quella bocca. L’intera stanza era satura della loro voglia di aversi e non avrebbe impedito che accadesse. Quella volta lui non sarebbe scappato, lo capiva dalla forza con cui le stringeva i fianchi, sempre più vicino.
Quando Marina inarcò la schiena e gli tirò la felpa per avvicinarlo ancora, Ed perse la ragione e si sporse su di lei, quasi sovrastandola. Le loro labbra non si erano ancora separate. Infilò una mano sotto la maglia e sentì la schiena liscia sotto le dita, mentre cominciava a salire meglio sul letto. Non poteva credere che stesse accadendo davvero. Si sistemò davanti a lei, inginocchiato sul materasso e la trascinò su di sé. Si godette la sensazione dei loro corpi che aderivano. Non sapeva più dove mettere le mani, un po’ impaurito, ma quella passione lo travolgeva a tal punto da fargli dimenticare anche la paura. Quando Marina si staccò da lui, la sentì posare le labbra sul suo collo. Dio, cos’era quella donna?
Portò una mano al suo bacino e dichiarò a se stesso di essere fottuto, incastrato tra le sue gambe, completamente andato. Sospirò pesantemente mentre lei gli sfilava la felpa, scoprendo il suo petto devastato, ma lei non si fermò, anzi. Quando le sue labbra arrivarono alle spalle, la sua carezza gli percorse il petto e la schiena senza sosta. Non poteva più fermarsi o trattenersi e cercò le sue labbra ancora, le stringeva le cosce, facendo scivolare troppe volte la mano fino al suo bacino.
La stava toccando. La sua migliore amica gli aveva appena sfilato la felpa ed ora era attaccata a lui. Non era possibile che stesse accadendo, ma il suo corpo che si muoveva su di lui era assolutamente reale e la sua biancheria intima ormai lo sapeva bene. Era sicuro che lei se ne fosse accorta, eppure non si fermava. D’un tratto, lei si distaccò dalle sue labbra facendogli aprire gli occhi e lo guardò. Era avvolta dalla penombra e respirava affannosamente sulla sua bocca. Senza che lui dicesse niente, si sfilò anche lei la maglia e la gettò in un punto indefinito della stanza. Ed abbassò gli occhi sul suo corpo e poi tornò a lei, che aveva la bocca chiusa e cominciava a sembrare agitata. Stava a lei decidere, nonostante lui stesso fosse spaventato. Gli occhi di lei finirono sulle sue mani. Gliele prese e se le portò al viso, per poi farle scivolare sulle spalle e sul seno.
Ed si inumidì le labbra con la lingua, sentendo il cuore uscirgli dal petto. Non sfiorava una donna da troppo e il timore di non essere abbastanza lo catturò, sostituendo temporaneamente quell’eccitazione, ma poi Marina – come sempre – gli aprì gli occhi in un istante. Si avvicinò al suo viso lentamente, tremando, e lo baciò ancora, più forte di prima, più di prima e allora scattò in lui la molla che lo lanciava a tutta velocità verso quel momento. Non poteva in alcun modo resistere.
La prese per le gambe e si alzò, finendo poi steso su di lei. Strinse il suo seno tra le mani e cercò di liberarla del reggiseno: ci riuscì più velocemente di quanto i film per adolescenti gli avevano fatto credere e glielo sfilò definitivamente. Scese con la bocca sul suo corpo e Marina inarcò la schiena. Lei sentiva le sue labbra sottili giocare sul suo collo e la sua tensione premerle tra le gambe, ogni suo tocco bruciava. Sotto il suo peso, sovrastata dalle sue spalle nude, si sentì più donna di quanto il suo specchio le avesse mai suggerito e lo desiderava tanto da credere di non poter più resistere. I loro respiri si intrecciarono ripetutamente mentre i pantaloni scivolavano via.
  • M-marina – disse, cercando di articolare bene le parole, troppo impegnato a cercare di respirare tra i suoi baci e le sue mani – sei sicura?
Lei non rispose a parole, ma le sue mani che scendevano sempre più giù furono un’ottima risposta. Gemette troppo rumorosamente al suo tocco, facendo rimbombare la voce nella stanza. La voleva, immediatamente. Bastò ben poco per privarsi della biancheria. Con la bocca sulla sua, gli occhi chiusi, la mano sulla sua coscia e l’intero corpo in subbuglio, la fece sua.
Ed era convinto che il suo posto, su quella terra, fosse sulla sua bocca e tra le sue gambe. Mentre Marina stringeva le gambe intorno al suo bacino e chiamava il suo nome, sentì il respiro corto, ma non soltanto per il piacere: era definitivamente felice.
 
Sconvolti, ecco cos’erano.
La passione era montata troppo velocemente, lasciandoli poi stremati, ancora accasciati l’uno sull’altro, Marina che stringeva ancora le sue spalle e i suoi capelli, devastata dal momento.
Cercava ancora di riprendere fiato, sentendo la fronte umida di Edward poggiarsi sul petto. Dio, era stato…assurdo. Aveva creduto che sarebbe stato molto più timido e impacciato e invece sembrava che facesse sesso come se fosse il suo sport preferito.
Restarono immobili a lungo, lasciando che gli avvenimenti prendessero sempre più forma nelle loro menti, ma nessuno dei due riusciva più a recuperare la lucidità che avevano mantenuto fino alla sera prima. Come se da quel momento tutto fosse cambiato. Certo, l’imbarazzo che Ed provò rialzandosi per lasciar andare Marina in bagno era quadruplicato rispetto al solito, lasciandolo preoccupato mentre lei spariva con la sua felpa addosso. Marina l’aveva stregato e vederla immersa nei suoi vestiti lo faceva accendere di nuovo. Si ricompose e la attese lì, riflettendo intensamente sulle sensazioni che aveva provato: si sentiva come se fosse appena sceso dalle montagne russe, ma voleva rifarlo. Anche subito.
Soltanto quando lei rientrò nella stanza rinvenne dai suoi pensieri, poiché lei risalì sul letto e si accoccolò accanto a lui senza dire niente. La guardò e le circondò le spalle, lasciandole un bacio sulla fronte mentre lei giocava con la catenina che gli aveva regalato.
  • Hai fame? – chiese lei. – Io sì.
La accompagnò in cucina e la aiutò a ripreparare quegli spaghetti che gli erano tanto piaciuti quella volta, ma non riuscì a scollarle gli occhi di dosso, mangiandosela ogni volta che lei lo guardava e spesso e volentieri si accostava a lei, abbracciandola mentre sminuzzava qualcosa. Infilava il naso tra i suoi capelli, cercando il suo collo, ma poi doveva lasciarla andare.
Pranzarono in silenzio, ma stavolta si sedettero vicini. Di tanto in tanto si scambiavano un bacio e lui cominciava a chiedersi cosa fossero. Se non erano migliori amici – e da quel giorno avevano smesso definitivamente di esserlo – cos’erano? Beh, di certo erano qualcosa e lui non poteva fare a meno di notare che stava tornando ad essere la persona che era prima della morte di sua madre. Cominciava a ricordarsi di quel ragazzo allegro che suonava la chitarra con gli amici.
Quando più tardi Marina gli chiese se volesse del the, mentre poggiava le labbra sulle sue, il tempo stava cominciando a scorrere di nuovo a velocità normale. Coccolarla lo faceva distrarre, ma ora ricordava cosa dovesse fare quel giorno: andare al rifugio, in banca e dall’avvocato.
  • Ti va di venire con me dall’avvocato?
  • Davvero? – chiese, voltandosi.
  • Sì, ho trovato qualcuno su internet. Dovrò pur cominciare da qualche parte.
  • Va bene, Edward. – disse, mentre lo raggiungeva con la tazza fumante al tavolino accanto alla finestra.
Continuarono a studiarsi mentre si preparavano entrambi per uscire. Marina sentiva ancora la testa girare, riuscendo a stento a convincersi di aver appena fatto l’amore con lui. In quel modo così…forse non c’erano parole, ma aveva sentito qualcosa di forte tra loro. Infondo, sapeva che lui ricambiasse, ma riusciva solo adesso a percepire quel sentimento nella sua piena potenza. Era stato come poter toccare l’amore.
Quando scesero in strada e montarono in bici, la città sembrava diversa, ma non era il mondo ad essere cambiato, erano loro. Che si scambiavano veloci baci mentre i pedoni passavano sulle strisce. Che ridevano strofinandosi i nasi.
Tutto era surreale, lontano da qualsiasi cosa fossero prima di quel giorno.
 
Stringendole la mano, entrò in un piccolo portone di una via non esattamente principale e salirono due piani a piedi di una vecchia palazzina un po’ trascurata. La porta dello studio dell’avvocato Kadmon era aperta, così entrarono senza bussare e si accomodarono nella sala d’attesa. Una vecchia signora, forse la segretaria, si risparmiò di salutarli continuando a riempire il suo cruciverba. La stanza quadrata aveva le pareti bianche, ma il muro era scrostato e avevano cercato di coprirlo con i quadri, ma non era servito a molto. Si guardarono, seduti sulle vecchie sedie rosse e probabilmente stavano pensando entrambi di essere finiti nello studio sbagliato, ma la targhetta sulla porta diceva proprio “Avv. Kadmon”. Ed constatò che il testamento fosse al suo posto insieme a qualche altro documento e sospirò, sperando che più tardi in banca gli arebbero concesso un prestito.
Marina lo richiamò carezzandogli il dorso della mano col pollice, ma ebbe giusto il tempo di incontrare il suo sguardo che la porta di un’altra stanza si aprì e si voltarono entrambi. Ne uscì un uomo anziano che sussurrò un “arrivederci” per poi sparire oltre la porta d’ingresso.
  • Prego, entrate pure.
La voce che li aveva richiamati apparteneva a un uomo di mezza età, capelli più lunghi della norma e occhi scuri. Nella sua giacca, li incitò ad entrare nel suo ufficio e Ed non se lo fece ripetere due volte. Si alzò senza lasciare Marina e le strinse la mano, superandolo. Era abbastanza vuoto per essere l’ufficio di un avvocato, sulla parete la laurea e un paio di mensole, una foto e una targhetta sulla scrivania, la finestra alle spalle della poltrona di pelle nera.
  • Voi siete? – chiese quello, sedendosi al suo posto.
  • Edward Sheeran e lei è Marina Bennet. – disse Ed, sedendosi insieme a Marina dall’altra parte della scrivania. La stanza era un po’ buia.
  • Adam Kadmon, piacere mio. In cosa posso esservi utile?
  • Ecco, è una storia lunga. Si tratta della mia casa…
Con l’aiuto occasionale di Marina, Ed raccontò la storia per filo e per segno, lasciando l’uomo di stucco quando gli aveva detto di essere entrato negli archivi di Foster&Martins.
  • Non fatelo mai più! – quasi li sgridò, indicandoli.
  • Ecco, questa è la situazione. – terminò Ed. – Vorrei chiederle alcune cose e sapere se può aiutarmi.
  • Finchè abbiamo qualcosa tra le mani, puoi stare tranquillo. – disse Kadmon, analizzando la situazione nella sua mente, mentre scriveva qualche appunto su un foglio. Ed vide la sua scrittura disordinata riempire il foglio, ma non ci capiva niente.
  • Perché il mio patrigno non ha denunciato la scomparsa del testamento?
  • Forse per non dare troppo nell’occhio e per evitare ricerche approfondite da parte delle istituzioni. Se vuole avere la casa, come dici tu-
  • È così, mi creda.
  • Come fai a dirlo? Hai delle prove?
Ed tirò fuori dallo zaino il testamento e i documenti che aveva raccolto. Scorse il documento di rinuncia con molta attenzione.
  • Io non ho mai firmato quel foglio. – gli disse.
  • Vediamo… - e cercò qualcosa di preciso sul foglio. – Non ricordi dove ti trovavi il 17 Febbraio del 2009?
Ed scattò, sentendo la data del suo compleanno e Marina fece lo stesso, guardandolo. Scavò nella sua mente ricordando perfettamente quei mesi. Sua madre era morta da poco e al suo compleanno sua nonna lo spedì…da suo padre. Alzò lo sguardo sull’avvocato e gli rispose.
  • Ero con mio padre. A Londra. – disse, quasi sorpreso da se stesso.
Si passò una mano tra i capelli rossi, osservandolo annuire e studiare il resto delle scartoffie che gli aveva dato.
  • C’è qualcos’altro che devi dirmi? – lo guardò, passando dai suoi lividi ai suoi occhi con sguardo eloquente, ma lui non rispose. – Non essere timido, il fatto che quest’uomo usi violenza è solo a tuo vantaggio. Una denuncia può farci solo bene, signor Sheeran. Posso di certo darle una mano, ma deve fare come le dico.
Parlava in modo professionale, senza scomporsi, ma Ed non riusciva a pensare di denunciare Ben e poi tornare in quella casa. Come avrebbe fatto? Non poteva barricarsi in camera e non uscire più. Gli occhi scuri di Kadmon studiarono l’espressione di Marina, pallida per i troppi pensieri, ma non le chiese niente, non essendo sua cliente.
  • Crede che sia proprio necessario? – chiese alla fine, ricevendo un ‘sì’ muto in risposta. – Per me significa non poter più mettere piede in quella casa.
  • Se la rivuoi, devi farlo: più elementi abbiamo, meglio è e questa non è certo una cosa da trascurare.
Marina guardò Edward, ripensando alla questione di Jef.
  • Diglielo Edward. – e quello si girò verso di lei, sorpreso. La guardò negli occhi, capendo immediatamente cosa intendesse dirgli. – Digli di Ben…e anche di Jef.
La guardò perplesso e spaventato, poi tornò agli occhi dell’uomo in giacca e cravatta dietro la scrivania, che lo fissava con le mani giunte sul foglio scarabocchiato.
  • C’è qualcosa di importante? Se c’è qualcosa che potrebbe andare a tuo sfavore devi dirmelo. – il suo sguardo era severo di fronte alla sua incertezza. – Altrimenti potrebbero usarla contro di te. Non mi importa se si tratta di qualcosa di sbagliato, il mio lavoro è aiutarti a riavere la casa.
Ed sospirò, quasi immobilizzato: aveva troppa vergogna di confessare, ma non aveva intenzione di rinunciare alla casa.
  • Facciamo così, ragazzo: io comincio a svolgere le mie indagini e a preparare una strategia, ma entro domani devi dirmi se sei disposto a collaborare o no.
  • Certo che lo è! – disse Marina al suo posto. – Edward, smettila di pensarci – lo strattonò, riscuotendolo. – o non sarà servito a niente.
Aveva il viso contratto in un’espressione di rabbia e sapeva perfettamente che avesse ragione.
  • Forza. – disse ancora lei.
Sospirò ancora e senza guardare esplicitamente nessuno dei due, aprì la bocca.
  • Il mio patrigno mi picchia da quando mia madre è venuta a mancare e mi ha costretto a lavorare da solo da allora. – tremava nel pronunciare quelle parole. – Un paio di volte ha praticamente tentato di uccidermi. È sempre ubriaco. – continuò, guardando Marina, i cui occhi divenivano sempre più languidi. – E il mio fratellastro mi ha costretto a fargli da corriere per la droga, mettendo in pericolo me e Marina. Le persone da cui si riforniva ci hanno minacciato ripetutamente e hanno smesso soltanto dopo che gli ho restituito certi documenti che Jef gli aveva preso. Inoltre, ha molestato Marina – e lì la sua presa si fece d’acciaio e il suo sguardo di fuoco, guardando l’avvocato negli occhi. – e ieri ha tentato di violentarla.
L’avvocato guardò quasi sconvolto prima lui e poi Marina, che ora guardava altrove col viso scuro.
L’uomo si passò una mano tra i capelli.
  • Perché non sei mai scappato?
  • Perché venivano a riprendermi e dovevo prendermi cura di mia nonna, che è venuta a mancare la notte di capodanno.
  • Mi dispiace, le mie condoglianze.
Aveva la bocca secca per la velocità e la rabbia con cui aveva detto ogni cosa, ma ora che quell’uomo sapeva, in qualche modo si sentiva libero. La vergogna si stava lentamente dissolvendo.
  • Allora – ricominciò Kadmon. – posso aiutarti, ma ho bisogno di una settimana per avviare le denunce e la causa. Dovrai essere reperibile e preparati a chiamare tuo padre, ci serve.
  • Per cosa?
  • Dovrà testimoniare. – gli disse, mostrandogli il documento falsificato.
Si accordarono per le spese e si scambiarono e-mail e numero di cellulare, dopodiché si strinsero la mano e sperò di essersi messo nelle mani giuste, ma proprio mentre lo pensava, Kadmon aggiunse qualcosa sull’uscio della porta.
  • Possiamo farcela.
Mentre loro tornavano in strada, dall’altra parte della città Ben pensava di avergliela fatta a quell’idiota di Ed, avendo consegnato i documenti quella mattina al comune insieme al suo avvocato, ma qualcosa prese a preoccuparlo.
Entrando in camera del suo figliastro, scorse un foglio spuntare da sotto al letto. Lo stemma del comune attirò la sua attenzione e lo prese. Lo riconobbe immediatamente e fu certo del fatto che il rosso avesse scoperto qualcosa. Forse anche troppo.
 
Marina aveva continuato a dirgli di aver fatto la cosa giusta e che se fosse stato necessario si sarebbe trasferito da lei, non importava per quanto tempo, le bastava che Ben non gli facesse del male. Sapeva di essere avventata, ma ne andava della vita di Edward e non le importava di nient’altro.
La banca aveva accettato la sua richiesta di un prestito, che avrebbe dovuto restituire in cinque anni, non di più, poi passarono al rifugio a riempire le ciotole.
Edward rimase per diversi minuti in silenzio accanto a Paw, sospirando di continuo.
Marina faceva finta di niente mentre carezzava i piccoli nell’angolo opposto della stanza e si chiese a cosa stesse pensando. Sapeva che sarebbero stati tempi duri per lui, dato che avrebbe scoperto tutte le carte, ma era necessario che lo facesse. Anche lei aveva paura, il solo pensiero di Jef o di Ben – l’uomo che aveva imparato a temere senza nemmeno averlo mai incontrato – le facevano gelare il sangue nelle vene. Avrebbe convinto Ed a trasferirsi da lei e lo avrebbe aiutato in tutti i modi possibili.
Le sue mani scivolavano sulla testa di Paw in modo meccanico e sorrise vedendo il gatto arancione chiudere gli occhi a quel tocco. Lo raggiunse, sedendosi accanto a lui e trovando ben presto i suoi occhi.
  • A cosa stai pensando?
  • A troppe cose.
  • Sono sicura che Kadmon se la saprà cavare, mi sembrava un tipo competente.
  • Anche a me, ma non è questo che mi preoccupa. – distolse lo sguardo da lei e grattò il gatto sulla pancia. – Ho paura che quando tutto sarà finito Ben mi tormenterà e prenderà di mira anche te.
  • Faremo in modo che non accada. – disse lei, portando un braccio sulle sue spalle.
Lo avrebbe incoraggiato fino alla fine.
Gli stampò un bacio sulla guancia, facendolo vagamente sorridere e lo invitò a tornare a casa. Durante il tragitto cominciò a parlargli della sua idea, spiegandogli anche cosa avrebbe dovuto portare via subito da casa.
  • Ovviamente prenderai prima i vestiti e le cose di valore, tutto il resto potrà aspettare.
  • Non lo so, Marina…
  • Lo so io, Edward. Non esiste che resti in quella casa dopo la denuncia. Fosse per me, ti spedirei a recuperare le tue cose immediatamente.
Rientrarono nel tepore della casa ad ora di cena, più stanchi di quanto si aspettassero. Cenarono davanti alla tv, guardando distrattamente un film.
Con le mani libere Ed potè abbracciarla senza problemi, facendo quel gesto con una nuova naturalezza, di cui anche Marina si sorprese, ma lui si sentiva bene quando lo faceva. Si voltò verso di lei, immaginando come sarebbe stato vivere con lei per un po’, forse molto meglio di quanto immaginasse. Le sfiorò il naso con il proprio, illuminati solo dalla tv, e la baciò. I ricordi ancora freschi e confusi di quella mattina annebbiavano la mente di entrambi: avevano superato quel limite con una leggerezza del tutto assurda rispetto a tutto ciò che c’era stato prima. Per arrivare al bacio avevano dovuto lottare tra loro e con se stessi, avevano dovuto accettare che l’altro varcasse definitivamente i cancelli della propria anima ed ora sembrava tutto più facile. Persino Edward era riuscito a lasciarsi andare e quella sua disinvoltura nell’accettare il momento e tutto ciò che fare l’amore con Marina significava, voleva dire che era stato totalmente inghiottito da lei. Accettare di amarla significava amare un po’ anche se stesso. Non c’era più bisogno nemmeno del coraggio: Marina gli dava una forza che non credeva di poter avere.
Così, il divano che li aveva visti conoscersi a poco a poco, adesso accoglieva i loro baci, ma era diventato così naturale far incontrare le loro labbra, come se fossero fatte per stare insieme. Eccolo il ragazzo normale, quello che sapeva ridere e che non aveva più paura degli esseri umani. Quello che non aveva paura di Marina. Non aveva più dubbi ed aveva ritrovato se stesso, percepiva di nuovo la sua anima e il suo peso, sapeva chi era. Edward era tornato a vivere, sulle sue labbra. Aveva scaricato per sempre quella maschera che aveva portato per troppo tempo ed ora era felice di mostrarsi a lei per ciò che era e sentirsi amato comunque.
Sentiva il suo profumo di lavanda, ma adesso riusciva a distinguere anche quello della sua pelle. Sentì le sue labbra divenire più impazienti e le sue mani posarsi sul suo petto. Bastò quello.
Marina salì su di lui, sfilandosi immediatamente il maglione e Ed non esitò un istante, aiutandola a sfilare la sua felpa e a sbottonare i jeans. Amava il modo in cui i suoi fianchi si allargassero a partire dall’altezza dell’ombelico e gli piacevano le sue gambe che gli stringevano i fianchi.
Si muoveva su di lui facendogli perdere del tutto il controllo e la lasciò guidare quel gioco, con le mani sulla sua schiena.
Marina passava dal suoi capelli alle sue spalle larghe, per poi spingersi oltre. Il modo in cui il calore lasciava il corpo di Edward la fece accendere ulteriormente. Le sue labbra erano di fuoco, sul suo collo ed era così bello sentire la sua presa priva di incertezze.
Finirono a fare l’amore sul divano, ma probabilmente avrebbero sperimentato ogni angolo della casa o, perlomeno, quella era l’idea di Edward mentre si portava sopra di lei.
Dio, l’amava. La amava ad ogni spinta e ad ogni bacio.
La amava ad ogni sospiro. L’amava quasi per istinto.
La amò ancora di più quando lei gli prese il viso tra le mani e disse:
  • Ti amo. Te lo giuro.
E lui rispose:
  • Non posso crederci, ma ti amo anch’io.







Angolo autrice:

Ecco, spero che le aspettative che avevo creato non siano state deluse.
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere: sentendo quasi distintamente lo stato d'animo dei personaggi, ero quasi troppo emozionata, quindi spero di non aver combinato un disastro.
Inoltre, devo ringraziare Huntress of Artemis, perchè è stata lei a darmi l'idea di Adam Kadmon come avvocato. Grazie Molly, questo personaggio l'hai creato tu! :)
Dunque, non so cos'altro dire, lascio a voi i commenti.
Posso solo ringraziarvi per le visite e le recensioni - grazie imcecy, grazie Lunastorta_Weasley - e sperare che la storia non vi stia deludendo.
Sappiate solo che non è finita qui.
Grazie a tutti voi e a presto!

S.



Bonus: Adam Kadmon, il volto e lo spirito del nostro avvocato e Ed in versione casalinga (quella tenera e quella sexy).



 
  
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