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Autore: Deline    03/12/2015    1 recensioni
LoneWolf è un’infiltrata del Dipartimento all’interno della recinzione. La sua missione è semplice: trovare i Divergenti e proteggerli fino all’ordine di trasferimento. Per questa sua missione può contare sulla copertura di due fazioni: Pacifici e Abneganti. Tuttavia chiede di essere assegnata alla fazione degli Intrepidi con la mansione di sorvegliante degli Esclusi per aver una maggiore libertà di movimento all’interno della recinzione.
Dopo non essere riuscita a fermare l’attacco agli Abneganti, LoneWolf è certa che verrà sollevata dall’incarico ma, il generale Walter Crowe, capo della sicurezza del Dipartimento decide di concederle una seconda possibilità e un nuovo incarico: liberare Tris e portarla al Dipartimento.
LoneWolf riuscirà a liberare Tris, tenuta prigioniera nella fazione che tanto teme e che per lei rappresenta un grande pericolo a causa del suo doloroso passato?
“DESCENDANT” è una mia rivisitazione della saga di Divergent. Sebbene il racconto sia ambientato immediatamente dopo l’attacco al quartier generale dei Candidi (Insurgent) consiglio vivamente di leggere prima tutta la saga.
Mi scuso da subito per la lentezza che ci metterò ad aggiornarla ma ho dato più priorità alle due versioni de "Lo specchio Vuoto"
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“L’oscurità mi conforta, l’oscurità mi protegge, se resto qui, sospesa in questo nulla, nessuno mi troverà e io sarò in pace.”
Ripeté, come una preghiera, la giovane Intrepida mentre, intorno a lei, sentiva deboli rumori e misteriosi sussurri. Non sapeva dire se fossero reali oppure solo frutto della sua mente logorata dalla paura e dalla sofferenza che le sembravano sue amanti da tempi immemorabili.
Nella sua mente si susseguivano idee e immagini raccapriccianti e senza senso, ricordi che non avevano né un luogo e né un tempo. Vita e morte. Lei sapeva di essere morta e si domandava perché in fondo, oltre la paura e la sofferenza, oltre i ricordi e la loro assenza, lei si sentiva ancora così viva. Tutto le sembrava reale, anche quelle creature pallide e senza volto, ma lei sapeva che non poteva essere così, quelle cose non potevano esistere nella realtà.
Persa negli infiniti labirinti della sua mente sentì una goccia calda scivolare sulla sua guancia e posarsi sulle sue labbra. La sfiorò con la sua lingua e assaporò qualcosa che sembrava appartenere a ricordi lontani e che credeva ormai perduti: il sapore di una lacrima.
Sentì la sua lingua pizzicare come trafitta da tanti piccoli spilli, come se quella minuscola goccia contenesse infiniti cristalli di sale.
Un’altra lacrima solcò il suo viso e di questa la catturò il calore e il brivido che le provocava scivolando lungo il suo collo.
In quel tempo infinito di incubi, aveva affrontato i becchi aguzzi dei corvi, muri di fuoco e tombe d’acqua, ma nessuno di questi le era sembrato doloroso e reale come le lacrime che continuavano a scendere velocemente sul suo viso.
Tris raccolse tutte le sue forze e si ordinò di aprire gli occhi ma, per quanto si sforzasse, sembrava che tutto il suo impegno non fosse sufficiente, le sue palpebre tremavano ma non si muovevano di un millimetro.
Esausta e disperata si lasciò scappare un grido, lo sentì salire dal suo diaframma e percorrerle la gola ma dalle sue labbra non uscì nulla. Scoraggiata decise di abbandonare la stupida illusione di essere davvero ancora viva e prigioniera in una oscura e ingestibile simulazione.
Si rilassò facendosi avvolgere dall’oscurità che ormai era diventata fedele come una compagna e dolce come una madre. Mentre si lasciava scivolare in quel rassicurante oblio sentì un debole suono uscire dalle sue labbra, come se il grido d’aiuto che aveva cercato di lanciare non si fosse dissolto nella sua bocca, ma vi si fosse solo fermato per riposare e trovare il vigore necessario per scivolare sulla sua lingua e uscire dalle sue labbra.
Era solo un rantolo, debole e quasi impercettibile, ma lei lo aveva seguito con attenzione da quando era nato nel suo petto e ricordava ogni sensazione che le aveva dato il suo viaggio verso la libertà.
Capì finalmente di che tipo di forza aveva bisogno per aprire i suoi occhi.
Ripercorse mentalmente più volte quello che le era sembrato uno sforzo immenso e decise che era il momento di riprovare.
Spingere con forza dalla mente e poi farlo con il corpo…dalla mente al corpo, dalla mente agli occhi, dalla mente alle palpebre”.
Tris finalmente aprì gli occhi. Le tenebre svanirono lasciando il posto a una luce accecante e sentì un insopportabile dolore agli occhi, ma non voleva chiuderli di nuovo, quel dolore era la prima cosa reale che sentiva da tanto tempo e non voleva abbandonarlo, non voleva tornare in quel limbo oscuro perché finalmente sentiva di essere davvero viva.
Socchiuse leggermente gli occhi in modo da proteggerli sperando di abituarsi presto a quella luce.
Sentiva nella sua bocca un sapore metallico e salato, si passò la lingua sulle labbra ma era come strofinare due pezzi di carta vetrata: aveva la bocca completamente secca.
Era sdraiata su qualcosa che subito riconobbe come la poltrona sulla quale fece il test attitudinale, le sembrò che fossero passate vite intere da quel giorno che cambiò per sempre la sua vita. Provò a muoversi ma polsi, vita e caviglie erano bloccate da qualcosa di rigido ma morbido: era stata legata.
Tris lo trovò paradossale e si lasciò scappare un debole sorriso che subito si spense quando sentì le sue labbra secche tendersi fino a spaccarsi, creando piccoli ma dolorosi tagli. Cercò di inumidirle con la poca saliva che stava ricominciando a formarsi nella sua bocca, ma l’unico risultato che ottenne fu stendere sulle sue labbra un macabro rossetto di sangue.
La sua testa era leggera e la sua mente stanca, non se ne stupì, aveva vissuto in una simulazione per chissà quanto tempo.
Ricordò le visioni che le aveva scatenato quella donna diafana che fluttuava nel nulla come un fantasma. Terminavano tutte con l’attacco allo Spietato Generale. La donna le disse che gli artefici sapevano già chi prendere. Eruditi, non potevano essere che loro e probabilmente ora lei si trovava in uno degli asettici laboratori del loro quartier generale.
Lei non era altro che una delle loro cavie. Stavano sicuramente conducendo degli esperimenti sui Divergenti e probabilmente quella serie infinita di simulazioni faceva parte dei loro test.
Anche se la sua mente era ancora annebbiata riusciva a vedere le cose più chiaramente, tutto iniziava ad avere un senso, tutto tranne la donna che le aveva parlato. Era di certo una visione generata dal computer ma a che scopo? Quello che le aveva detto e il modo in cui l’aveva fatto le avevano dato la forza per ribellarsi alla simulazione e svegliarsi. Gli Eruditi non avrebbero mai fermato un test, a meno che non lo avessero trovato inconcludente e quindi lei si era risvegliata da un incubo solo per essere ammazzata.
Il siero della morte, perché non avevano usato direttamente quello invece di svegliarla? Tris pensò che probabilmente anche quella donna era parte del test e che quindi per lei i test non erano ancora finiti, l’aspettava qualcos’altro di terribile, ne era certa.
La testa iniziava a farle male, un dolore acuto e pulsante ma che lei sentiva di amare, perché il dolore era la differenza tra la simulazione e la realtà.
I suoi occhi si stavano abituando alla luce e si guardò introno.
Era in una stanza bianca piena di armadietti e carrelli con su un’infinità di oggetti, da provette a strani macchinari.
Davanti a lei c’era una piccola telecamera montata su un treppiede.
Si bloccò immediatamente e socchiuse gli occhi sperando che nessuno si fosse accorto che non era più persa in una simulazione. Realizzò che quello che stava facendo non aveva senso, loro guardavano nella sua mente e ora la sua mente aveva terminato di trasmettere lo spettacolo delle simulazioni, presto sarebbero arrivati chissà quanti Eruditi nei loro abiti azzurri.
Continuò a guardarsi attorno cercando di acquisire più informazioni possibili.
Non era sola, c’erano altre persone su poltrone identiche alla sua, Divergenti come lei. Quando voltò la testa alla sua sinistra le si gelò il sangue e sentì un sentimento più profondo e violento della rabbia esplodere dentro di lei. Sulla poltrona a fianco alla sua c’era un bambino, indossava abiti da Candido e non poteva avere più di undici anni. Il suo volto era contratto in una smorfia di terrore e le sue piccole mani continuavano a stringersi a pugno e aprirsi come in cerca della sicurezza che solo la mano della madre avrebbe potuto dargli.
La sete di conoscenza degli Eruditi li stava spingendo a commettere crudeltà inimmaginabili. Si chiese con che cuore un essere umano potesse causare tanta sofferenza a un suo simile e soprattutto a una creatura innocente come quel bambino che tremava a pochi passi da lei.
Il fievole rumore di una porta scorrevole che si apriva la fece sobbalzare. Istintivamente si bloccò e chiuse di nuovo gli occhi, si morsicò l’interno della guancia per avere il controllo del dolore che le garantiva di non tornare in quel maledetto incubo dal quale si era appena svegliata.
Sentì un rumore di passi avvicinarsi a lei. Sapeva che ormai era stata scoperta ma non voleva dover affrontare quella massa di cervelloni e per un attimo desiderò di tornare nell’inferno dal quale era riuscita a scappare.
«Buongiorno Rigida, dormito bene?» sentì dire da una fastidiosa voce maschile.
La conosceva fin troppo bene e la odiava come non aveva mai odiato niente in vita sua.
Aprì di scatto gli occhi e fissò Eric con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Cercò di scattare verso di lui ma era legata.
Eric scoppiò a ridere.
Maledetto bastardo!” ringhiò nella sua mente.
«Siamo nervosette, fatto brutti sogni?» le domandò con voce fredda mentre la osservava con quel sorriso malvagio che lei aveva conosciuto fin troppo bene durante il periodo dell’iniziazione.
Di tutte le mostruosità che era stata costretta a vedere durante l’infernale simulazione, nessuna era disgustosa quanto l’uomo che ora la stava fissando come se lei fosse un’invitante torta di carne che lui desiderava minuziosamente sezionare per poi godere leccandosi via il suo sangue dalle dita. Era un deviato, in Eric non c’erano altro che brutalità e violenza, uniti purtroppo a un’intelligenza fuori dal comune e questo lo rendeva un predatore perfetto.
Tris non rispose alla domanda dell’uomo, mosse solo le labbra come se parlare le richiedesse uno sforzo enorme.
Lo guardò negli occhi, cercando di nascondere il disgusto che le provocava quel suo sguardo mellifluo e cercò di nuovo di dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì solo un debole sussurro.
Guardò Eric con più insistenza, come se lo stesse implorando di avvicinarsi di più a lei.
«Cosa c’è, vuoi il bacio del buongiorno?» disse in tono lascivo chinandosi su di lei.
Tris gli sorrise come se fosse davvero ciò che desiderava da quell’uomo viscido e arrogante.
Lo guardò dritto negli occhi e gli sputò in faccia.
Vide l’espressione divertita di Eric trasformarsi in rabbia cieca. Lui la colpì al volto con uno schiaffo e Tris scoppiò a ridere. Questo fece infuriare di più Eric che la colpì di nuovo e con più forza, ma Tris non aveva la minima intenzione di cedere, avrebbe preferito farsi massacrare che smettere si ridere. Voleva fargli capire che per quanto fosse forte e potente non sarebbe mai riuscito a piegarla.
«Eric, smettila immediatamente!» sentì dire da una voce familiare, troppo familiare per non riconoscerla all’istante.
Jeanine Matthews stava richiamando il suo fido cagnolino.
Eric si fermò all’istante.
“Bravo, vai a scodinzolare dalla tua padrona” pensò Tris compiaciuta.
«Non sai quanto mi farà godere ammazzarti come la cagna che sei» le ringhiò Eric prima di indietreggiare e prendere il suo posto al fianco di Jeanine.
Tris sapeva di essere spacciata, presto o tardi Jeanine l’avrebbe fatta eliminare se non avesse trovato soddisfacenti i risultati dei test. L’unica cosa che l’avrebbe mantenuta in vita sarebbe stata la sua innata capacità di superare i test con estrema facilità, ma dopo quello che aveva passato iniziava a dubitare del suo potere. Doveva provarci comunque, le serviva tempo per trovare un modo per scappare da quella roccaforte di cervelloni ed energumeni. Doveva solo recuperare le forze ed escogitare un piano di fuga.
Fissò la telecamera davanti a lei come se in qualche modo potesse riuscire a comunicare al mondo che lei era viva e che aveva bisogno di aiuto. Si sentì stupida, dovunque arrivassero le immagini trasmesse da quella telecamera non c’erano altro che Eruditi.
 
 
   
 
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