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Autore: FreWolfie5    03/12/2015    2 recensioni
Iris Luna era una di quelle ragazze che si ritrovano a metà strada fra l'oscurità e la luce. La sua vita era abbastanza strana e avvolta nel mistero, ma a lei piaceva così com'era...finché un giorno la sua intera esistenza venne sconvolta.
Iris si ritroverà ad affrontare una realtà del tutto nuova, piena di sfide mortali e lotte senza precedenti. In compagnia di alcuni fra i più valorosi eroi sulla terra, si getterà in un'impresa oltre ogni limite dando vita ad una amicizia che sovrasterà qualsiasi avversità.
TRATTO DALLA STORIA
-Ma guardali. A volte penso che sarebbe stato molto meglio essere come loro. Gli adulti continuano a ripeterti “mi raccomando, sii te stesso” come se fosse facile, ma non è affatto così. Io ho deciso di essere me stessa ed ecco che cos'è successo, mi sono ritrovata sola. Le persone hanno paura di restare sole, è una cosa del tutto naturale, non mi sorprende che il resto del mondo decida di indossare una maschera pur di essere accettato-.
Desideravo tirare fuori dalla mia mente quelle parole mai pronunciate da un sacco di anni, ma non ne avevo mai avuto l'occasione.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Le Cacciatrici, Mostri, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima, dopo o durante la lettura, si consiglia l'ascolto della seguente canzone: 

Slipped Away by Avril Lavigne 

 

Finita la partita di caccia alla bandiera ci fu una piccola festa per la vittoria della mia squadra. Gli avversari sembravano non essersela presa troppo per la sconfitta subita, anche se Soly per poco non uccise Yuya dopo l'ennesima provocazione del ragazzo, la casa di Ares restava ancora desiderosa di rivincita e, malgrado non ne fossi del tutto sicura, mi parve di vedere addirittura piagnucolare qualche figlio di Nike. Nonostante ciò, mi godetti il momento chiacchierando con Ginger e Sam e bevendo del buon tè al limone. Era strano poter stare finalmente tranquilla, ma temevo che quella quiete non sarebbe durata a lungo. Ridendo insieme ai miei amici, mi sentivo come se quella fosse l'ultima volta che li avrei visti. Per il momento tentai di accantonare questa impressione, dopotutto poteva anche essere semplice stanchezza dovuta alla battaglia e all'utilizzo dei miei poteri. Dopo qualche minuto, anche Leo si unì a noi. Si complimentò con me per aver battuto Percy, poi iniziò a tirare fuori alcune delle sue solite battute, facendomi quasi sputare il tè dal ridere. In quel momento pensai che adoravo averlo vicino, possedeva il magico potere di allontanare la tristezza e le preoccupazioni. Quando c'era lui, non potevo fare a meno di sorridere e divertirmi un sacco, inoltre, per qualche strano motivo, mi faceva sentire a casa. In fondo sapevo che derivava dal fatto che mi ricordava un po' mio padre. Avevano lo stesso modo di affrontare le difficoltà, lo stesso atteggiamento ottimista e la stessa capacità di rendermi felice. Mi stupii di quanto le cose fossero cambiate rispetto a qualche giorno fa, non riuscivo a credere che la mia vita avesse preso una svolta talmente inaspettata in così poco tempo. 

Ovviamente Nico non prese parte ai festeggiamenti, ma decise comunque di restare nei paraggi, cosa che mi fece molto piacere. Quando mi girai nella sua direzione, lo vidi appoggiato ad una colonna della casa grande. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma manteneva un atteggiamento serio e distaccato. Decisi di raggiungerlo, senza uno scopo ben preciso. Non appena si accorse di me, abbandonò i suoi pensieri e si concentrò sul mio viso. 

-Hey zombie, come mai qui nell'angolino in castigo? Troppo divertimento per i tuoi gusti?-

-Certo che uno non può mai stare da solo. Devi necessariamente continuare a ronzarmi attorno?-

-Mmh, fammi pensare...sì-

risposi bevendo un'altra sorsata di tè dal bicchiere ormai quasi vuoto.

-Te l'ho detto, dovrai farci l'abitudine-

aggiunsi in seguito, lui si limitò a roteare gli occhi sospirando rassegnato.

In quel momento mi venne un enorme dubbio, non riuscivo a decidermi. Avrei dovuto raccontargli del sogno? Avrebbe avuto senso, dato che in realtà era l'unico a conoscere mio padre di persona e forse, data la sua esperienza, avrebbe potuto consigliarmi cosa fare a riguardo. Tutti i semidei facevano sogni significativi, a volte premonitori, e questo non mi piaceva affatto. 

-Sono preoccupata per mio padre-

mi sentii dire prima ancora di aver preso una decisione definitiva

-Ormai dovrebbe essere già tornato e poi...ho paura che sia nei guai-

continuai fissando il pavimento. Temevo che se avessi alzato lo sguardo, mi sarei di nuovo messa a piangere. 

-Tuo padre è in gamba ed ha sicuramente partecipato a migliaia di spedizioni, scommetto che questa non è nemmeno la più pericolosa che abbia affrontato fin'ora-

-Spero che tu abbia ragione, ma non posso fare a meno di stare in pensiero. Ho un brutto presentimento-

-Io non mi tormenterei più di tanto. Oltre alle sue grandiose capacità, Oliverius può contare su un'altra cosa-

-E sarebbe?-

-Tu, Iris. Ho visto quanto ti vuole bene, ti ha protetta per tutti questi anni ed è stato lui a chiedere che ti fosse assegnato qualcuno in grado di sorvegliarti anche a scuola. Sa che lo stai aspettando, quindi non ho dubbi che farà qualsiasi cosa pur di tornare qui da te al più presto-.

Quelle parole mi colpirono profondamente. Prima di allora, non avevo mai pensato a come potesse sentirsi mio padre in quel momento, lontano da casa, nel bel mezzo di un importante incarico, pronto a compiere il suo dovere di eroe genealogico. Lui non aveva poteri, ai miei occhi era sempre stato speciale, ma da quando conoscevo l'esistenza del campo, dei semidei e tutto il resto, capivo che, discendenza eroica a parte, rimaneva pur sempre un umano. Non dubitavo della sua intelligenza, credevo nella sua determinazione e sapevo per certo che mi pensava tanto quanto io pensavo a lui. Forse stava davvero cercando di tornare da me, in quello stesso preciso instante.

-Hai ragione. Posso sempre contare sull'affetto di mio padre e so che è un eroe formidabile. Non mi abbandonerebbe mai-.

Lo pensavo davvero, ma una minuscola vocina nella mia testa mi stava avvisando che forse lo dicevo anche per cercare di convincere me stessa che fosse la verità. 

-Ora non dovresti tornare dai tuoi amici? La festa è praticamente in tuo onore-

-Veramente sei stato tu a prendere la bandiera, quindi sarebbe in tuo onore. E poi, guarda che anche tu sei mio amico-

-Ti prego, questa risparmiatela-

ribatté il figlio di Ade con aria innervosita 

-Dico davvero. Hai cercato di rassicurarmi e questo per me è molto importante. Fin da quando ci siamo incontrati, ho sempre pensato che fossi un eccellente ascoltatore, e credimi, non è una dote che possiede chiunque. Certo non sarebbe male se parlassi anche tu ogni tanto-

-Non amo parlare di me-

-Ci si può lavorare-

risposi con fare ottimista. 

Forse Nico avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma non ne ebbe l'occasione. Ad un tratto si creò un gran fermento e presto scoprii il perché. 

Leo corse verso di me e si fermò giusto un attimo prima di cadermi addosso, quel ragazzo era decisamente scalmanato e più iperattivo di quanto credessi. 

-Hey, Iris, hai sentito?-

-Sentito cosa?-

domandai confusa

-Sono tornati!-

-Chi è tornato?-

-Gli eroi genealogici! Hanno portato a termine la missione, magari fra di loro c'è anche...-

-Papà!-

gridai una volta appresa la notizia. Mi misi a correre fra la folla facendomi largo. Era tornato! Era davvero tornato! Non vedevo l'ora di riabbracciarlo. Dopo pochi passi riuscii a posizionarmi fra le prime file e scorsi in lontananza un eroe che parlava con Chirone. Aveva più o meno l'età di mio padre e portava i capelli scuri, che gli arrivavano quasi fino alle spalle, leggermente all'indietro. Aveva un'aria seria, stanca e sconsolata. Pregai che fosse solo la spossatezza post-viaggio.

Quando li vidi arrivare verso il piccolo gruppetto che si era creato davanti alla casa grande, mi precipitai da lui per chiedere di papà, pronta ad abbandonare ogni preoccupazione. Non appena lo fermai, lui mi guardò con un sorriso sincero, che mi fece ritrovare il fegato di aprire bocca. Di solito non ero molto incline a parlare con gli sconosciuti, a maggior ragione se adulti. Avevo sempre paura di dire qualcosa di stupido, ma quella era un'emergenza. Inoltre, il modo in cui mi guardava quell'uomo era strano, come se si fosse preparato alla possibilità di dover intrattenere un discorso con me.

-Salve-

salutai educatamente 

-Ma guarda, buongiorno signorina-

disse, mantenendo il suo sorriso amichevole

-Ecco, vede, signore-

-Oh, ti prego, non chiamarmi signore, mi fa sentire vecchio. Chiamami Sean-

-Va bene, Sean. Senta...io volevo, beh in realtà mi piacerebbe sapere...sì, insomma...-

ero così emozionata all'idea di rivedere il mio vecchio, che non riuscivo a trovare le parole, poi tutto d'un fiato, presa dall'eccitazione e la gioia del momento sputai fuori un 

-Dov'è mio padre?-.

Cominciai a guardarmi attorno e ad analizzare le verdeggianti colline alle spalle di Sean, sperando di vederlo arrivare. 

-Oliverius Ryx, lo conosce, vero?-

aggiunsi continuando a tenere d'occhio l'orizzonte. Ad un tratto il sorriso dell'eroe si spense di colpo.

-Capisco, tu sei Iris-

-Esatto, sono proprio io-

confermai distrattamente

-Avrei dovuto capirlo, Oliverius parlava sempre di te-

-Mi fa piace...aspetti, che significa parlava?-

mi bastò guardare negli occhi il signor Sean e, senza dire una parola, capii cosa voleva dirmi. Rivolsi uno sguardo a Chirone, che non osava guardarmi in faccia, poi tornai a concentrarmi sull'uomo dai capelli scuri. Gli erano bastate due o tre parole per mandare in fumo tutto quanto. 

La vista mi si annebbiò a causa delle lacrime che di lì a poco mi avrebbero pervasa, non riuscivo a smettere di tremare, ero come immobilizzata e non capivo più niente. Nella mia testa mille voci urlavano dal dolore all'unisono, sentii il cuore uscirmi letteralmente dal petto, come se avesse smesso di funzionare e non mi servisse più a niente. Non riuscivo a respirare e tanto meno a parlare. L'unica cosa che riuscivo a ripetere era un mormorato e disperato

-No...no, no, no-.

Il signor Sean chinò il capo e sussurrò addolorato

-Sono molto dispiaciuto, Iris. Tuo padre era davvero incredibile, il miglior guerriero che abbia mai avuto il piacere di avere al mio fianco. Non lo dimenticheremo mai, non hai idea di quante vite abbia salvato-

cercò di consolarmi. Trattenermi non servì a niente, piansi, singhiozzai, mi coprii il viso con le mani tentando invano di essere forte e smettere. 

Dietro di me sentii Soly dire flebilmente con voce tremolante 

-Oh, povera Iris-

e la vidi imitare i miei gesti, mettendosi anche lei le mani davanti alla bocca. Aveva addirittura gli occhi lucidi. Il resto dei ragazzi, compresi i miei amici, teneva la testa bassa e manteneva un'aria triste. Persino Nico era visibilmente scosso. 

Stavo per esplodere, dovevo stare da sola, avevo bisogno di riflettere e sfogarmi. Mi sembrava di vivere in un autentico incubo dal quale era impossibile svegliarsi. Tutto taceva, il silenzio che si venne a creare era a dir poco inquietante e veniva interrotto unicamente dall'ulurare sinistro del vento.

Leo si fece avanti e mi chiamò con incertezza

-Iris?-

io non risposi, non ci riuscivo. Ogni mia singola funzione vitale sembrava essersi spenta, il mio corpo non rispondeva ai comandi, faceva di testa sua. Forse, proprio per quel motivo, quando il figlio di Efesto cercò di mettermi una mano sulla spalla per consolarmi, mi ritrovai a scappare ancora una volta, com'era già successo in precedenza. Sentii Leo gridare il mio nome, ma questo non mi fermò. Non mi importava più di niente, volevo solamente andarmene il più lontano possibile da tutto e da tutti. 

Fenrir, vedendomi filare via, si mise a correre al mio fianco. Il mio cucciolo si trasformò, assumendo la sua vera forma. Si abbassò leggermente per permettermi di salirgli in groppa, così mi arrampicai e, tenendomi stretta al suo morbido e caldo pelo, mi lasciai trasportare. Mentre Fenrir sfrecciava attraverso gli alberi con velocità supersonica, io non riuscivo a fare altro che piangere e urlare. Bagnai il collo del mio peloso amico di lacrime, ma a lui sembrava non importare. Continuava ad allontanarsi sempre di più dal campo ed ogni tanto lanciava uno sguardo visibilmente malinconico nella mia direzione, mugolando. Doveva aver capito che era accaduto qualcosa di terribile. Dopo qualche minuto, decise di fermarsi per riprendere fiato. L'animale si girò verso di me e mi strofinò il muso sulla guancia per consolarmi, poi mi leccò la faccia. Con la sua lingua enorme mi ricoprì di bava, ma apprezzai comunque il gesto di affetto e lo accarezzai dietro alle orecchie, era il suo punto preferito per le coccole. Scesi dalla sua groppa, ancora scossa e tremante e mi sedetti a terra. Fenrir si accucciò dietro di me, facendomi appoggiare al suo fianco e utilizzando la sua coda come una coperta. Per un'ora intera non proferii parola e non udii alcun rumore, perfino il leggero venticello, che di solito provocava un continuo fruscio fra gli alberi, era svanito. Avevo mille domande nella mia testa, miliardi di pensieri mi assalivano. Guardavo il cielo, non più di un brillante azzurro come quella mattina, ma di un vuoto bianco, che mi dava l'impressione di essere nel bel mezzo del nulla più assoluto. Non poteva essere vero, non doveva esserlo. Papà non si sarebbe mai dato per vinto in quel modo, lui era la persona migliore del mondo! Doveva aver per forza trovato una via d'uscita, doveva per forza essersi salvato in qualche modo! Sembrava tremendamente ingiusto, non ero nemmeno riuscita a salutarlo un'ultima volta prima che...

Ad un tratto mi ricordai della collana con dentro la foto di noi due che Nico mi aveva consegnato da parte sua. Me la sfilai al collo velocemente e aprii il ciondolo, ritrovandomi davanti una piccola me in groppa a mio padre. Mi tenevo stretta a lui mentre il mio eroe mi sosteneva per non farmi cadere. Entrambi stavamo ridendo come matti. Dietro di noi vi era come sfondo un bellissimo giardino fiorito, il giorno in cui era stata scattata, papà mi aveva portato al giardino botanico per mostrarmi i vari tipi di fiori e raccontarmi qualche curiosità sull'argomento. Per l'occasione, mi ero fatta una piccola treccina sul lato sinistro dei capelli, allora lunghi solo fino alle spalle e a caschetto. Mi ero perfino costretta ad indossare un vestitino bianco e verde a pois e delle scarpette eleganti in vernice nera. Il formidabile scienziato Oliver aveva fatto sfoggio della sua conoscenza delle piante, descrivendomi le loro caratteristiche, i loro nomi ed il loro significato simbolico. Mi vennero in mente le sue parole quando mi mostrò quello che lui definiva "il mio fiore". 

-Lo sai, questo fiore così bello porta il tuo nome, tesoro-

-Davvero, papà? Si chiama Iris?-

-Sì, guarda quanti bei colori possiede. Tra tutti i fiori, l'Iris trasmette i sentimenti più positivi e profondi, come per esempio l'assoluta fiducia, l'affetto dell'amicizia, il trionfo della verità, la saggezza, la speranza...-

-Quella del mito del vaso di Pandora!-

-Proprio quella, piccola. Questa rarità è anche un'icona di fede, coraggio, purezza, ammirazione e conforto. Rappresenta l'incoraggiamento ad affrontare la vita e l'attesa del futuro dopo le difficoltà. In Asia orientale veniva utilizzato come talismano contro i malefici e i soldati se lo dipingevano sull'armatura per essere protetti dai nemici. I cinesi lo denominano anche "farfalla porpora"-

-Wow, non sapevo che fosse così importante come fiore-

-Lo è. Tua madre lo ha scelto appositamente per te. Era convinta che un giorno saresti diventata una ragazza forte, allegra, determinata e gentile. Anche io ne sono convinto, sicuramente rispecchierai a pieno le caratteristiche di questa bellezza e ci renderai molto orgogliosi-

-Ma come fai a sapere che il nome me lo ha dato mamma?-

-Te lo dirò quando sarai cresciuta-

-Papà?-

-Sì, tesoro?-

-Posso essere il tuo Iris?-

-Certo che puoi, fiorellino. Vieni qui-

aveva esclamato ridendo per poi afferrarmi. Mi aveva fatto il solletico fino a farmi piangere dalle risate e infine mi aveva fatto salire sulla sua schiena.

Al ricordo di quella giornata magica passata insieme, ricominciai a piangere silenziosamente fissando la foto e tenendola stretta, come se avessi avuto paura che scomparisse da un momento all'altro. Quell'immagine cominciò a sembrarmi quasi un'illusione e temetti di accorgermi di essermela semplicemente sognata, invece sapevo che era reale e avvicinandomela al cuore, capii che quella fotografia era il più grande tesoro che potessi mai possedere. 

-Papà...-

singhiozzai 

-Torna da me papà! Non puoi abbandonarmi, ti prego! Non voglio stare da sola, ho bisogno di te! Per favore, ti scongiuro. Ti rivoglio qui vicino a me!-

urlai, ritrovandomi nel bel mezzo di una vera e propria crisi di pianto isterico. 

Alla fine mi disperai talmente tanto, che mi addormentai esausta, senza nemmeno rendermene conto.

Nonostante la mia sofferenza, sognai di nuovo del mio passato.

Ciò che mi compariva davanti era confuso e sfocato, ma mi sembrava di essere in una specie di cameretta. Sentivo una voce dolce e melodiosa che chiamava il mio nome. All'improvviso comparve una donna, non riuscivo a vederla bene in volto, ma riuscii a distinguere dei lunghi capelli rossi e dei grandi occhi verdi e scintillanti. Per un attimo, mi sentii nuovamente calma, poi la scena cambiò. 

Mi ritrovai ancora nell'orfanotrofio, all'età di tre anni stavolta. Nel corso dell'anno trascorso in quel postaccio avevo passato i giorni peggiori della mia vita. La diavolessa non faceva altro che farci pulire gabinetti con lo spazzolino, spolverare argenteria, riordinare libri ammuffiti e catalogare in ordine di altezza la sua assurda collezione di gattini di porcellana. Io e Mindy eravamo diventate molto amiche e trascorrevamo notti intere alzate di nascosto dopo il coprifuoco per andare in cucina a rubare cibo extra per noi e le altre, fare scherzi alla Calligan e pianificare fughe. Tentammo un sacco di volte di fuggire da lì, ma senza successo. Quando venivamo beccate, ci sbattevano entrambe in isolamento, ognuna nella propria stanzetta.  Quelle quattro pareti opprimenti ricordavano le celle per i malati di mente. Erano completamente bianche e prive di finestre, inoltre la porta era blindata e chiusa a doppia mandata con una serratura impossibile da scassinare. L'isolamento ti faceva sentire come un criminale in prigione che attende impotente l'ora della sua esecuzione. Ormai mi ero abituata a quella situazione, avevo persino avuto il tempo di nascondere sotto ad una mattonella rimovibile una pallina da lanciare contro il muro come intrattenimento e avevo scoperto un minuscolo foro nel muro che collegava la mia stanza da prigioniera a quella di Mindy e ci permetteva di comunicare. 

Nel mio sogno stavo appunto facendo rimbalzare la pallina contro le pareti della cella con aria annoiata e innervosita. La maggior parte delle volte immaginavo di avere in mano la brutta faccia della diavolessa, in modo da rendere i lanci più divertenti. La piccola me si voltò a guardare la parete alla sua sinistra e lesse i segni che vi erano incisi sopra. A giudicare dal numero di linee disegnate, ero finita in isolamento come minimo altre ventisei volte prima di quel momento. Sentii dei passi avvicinarsi a gran velocità, era l'inconfondibile rumore dei tacchi alti della Calligan. Nascosi la pallina sotto la mattonella e incrociai le braccia, fingendomi disinvolta. La porta della stanza fu sbloccata e si spalancò, permettendo alla malefica donna di entrare. La vecchia strega si avvicinò a me e mi guardò con disapprovazione dicendo

-Allora? Una settimana in isolamento ti è bastata per metter la testa a posto? Quando lo capirai? Non riuscirai mai ad andartene di qui! L'unico modo per uscire è l'adozione, ma nel tuo caso la escluderei immediatamente. Chi vorrebbe mai una piccola ladruncola indisciplinata e selvaggia come te? Di questo passo marcirai qui dentro per il resto della tua insulsa vita- 

-Posso andare adesso?-

chiesi, impaziente di tornare in libertà e riabbracciare le mie compagne

-Prima ritengo di dover scambiare due parole con te in salotto, quindi ti prego di seguirmi senza troppe storie-

rispose la direttrice, avviandosi verso l'uscita. Io mi limitai ad obbedire, essendo troppo stanca per oppormi. Quando arrivammo nel salotto, Miss Calligan si diresse verso il tavolo e prese in mano qualcosa che non riuscii a riconoscere al primo sguardo, coperto dalla figura della donna. 

-Devo ammetterlo, ragazzina, pensavo che avessi molto più sale in zucca, invece non fai altro che causare problemi e organizzare sciocchi sotterfugi-

-Guardi che la colpa è sua! Se solo ci trattasse meglio, forse mi potrebbe anche piacere stare qui. Non fa altro che sgridarci e farci fare lavori ingrati, ci nutre praticamente di solo pane e acqua e ci fa dormire in letti rotti e scomodi, senza nemmeno una coperta per ripararsi dal freddo-

-Il denaro scarseggia, quello è tutto ciò che ci possiamo permettere al momento-

-Lei è una bugiarda! Spende tutti i soldi dell'orfanotrofio per comprare completi orrendi e stupide scarpe con i tacchi. E poi organizza banchetti per gente snob come lei solo per farsi invidiare ed ingraziarsi i ricconi-

-Ciò che faccio io non ti riguarda affatto! Senti un po' che lingua lunga che ti ritrovi. Tu di certo non puoi capire il complicato mondo degli adulti, non sei altro che una mocciosa petulante-

-Non mi importa di cosa pensa di me, io me andrò di qua e anche le altre bambine verranno con me! Poi io e Mindy ce ne andremo a vivere in una casetta nel bosco e diventeremo paladine della giustizia!-

esclamai pestando un piede a terra con forza. Non ero più timida, spaventata ed insicura come il primo giorno, ero diventata più intraprendente e combattiva. 

-Oh, ma davvero? Facciamo così, te lo chiederò un'ultima volta: diventerai una brava bambina ubbidiente? Niente più furti, scherzi di cattivo gusto o tentativi di fuga. Cosa ne dici?-

disse, voltandosi a guardarmi con aria di sfida e tenendo le mai dietro alla schiena

-Io rispondo: prometto di mandarle una cartolina quando sarò fuori di qui. Non rinuncerò mai alla mia libertà-

Ci fu un minuto di silenzio, io e la diavolessa ci scambiavamo sguardi assassini, senza che nessuna delle due cedesse. 

-Molto bene allora, l'hai voluto tu-

ghignò, facendo comparire da dietro la sua schiena il mio amato Yubi, l'orsacchiotto che mia madre mi aveva lasciato. Quando lo vidi, fui colta da un panico improvviso e sbiancai di colpo. Non era permesso possedere giocattoli all'interno dell'orfanotrofio.

-La tua cara amichetta Mindy, dopo una lunga e persuasiva chiacchierata, mi ha raccontato del tuo peloso compagno. Possedere un orsetto di peluche è contro il regolamento! Mi assicurerò personalmente che d'ora in avanti tu segua le mie regole, sono stata chiara?!-

sbraitò, poi, non mostrando la benché minima esitazione, gettò Yubi nel camino ardente. Non appena lo vidi bruciare fra le fiamme, mi misi a piangere e le urlai contro

-Lei è un mostro!-

-Che ti serva da lezione, ragazzina. Qui sono io che comando-

disse con il suo solito tono aspro, scandendo ogni singola lettera.

Mi svegliai di soprassalto, scossa e stordita. Perché tutto ciò a cui tenevo mi veniva portato via? 

"Gli eroi non hanno mai avuto vita facile, ognuno di loro ha dovuto affrontare sfide pericolose e talvolta mortali, molto spesso in solitudine. Compiere il proprio dovere e fare la cosa più giusta per il bene dell'umanità non è semplice, per riuscirci a volte bisogna essere disposti a tutto, anche a costo della vita stessa. La giustizia e la libertà hanno un caro prezzo da pagare."

Non ricordavo da dove fosse uscita quella frase, ma la mia banca dati interiore pensò bene di stamparmela in testa come una sorta di risposta implicita. 

Sono una semidea. Combatto contro i mostri, salvo bulletti con capelli a spazzola da Viverne poliziotte, vengo aggredita da gufi cartomanti, sfido a duello maestre di katana e mi ritrovo a lanciare scariche elettriche per sfuggire ad una rissa. Niente di questo è normale, io non sono normale, la mia intera vita non è mai stata, non è e non sarà mai e poi mai normale. Dovevo imparare a conviverci.

Avrei tanto voluto restare a vivere nella foresta e scappare quando ne avevo avuto l'occasione la prima volta. Non riuscivo ad immaginare un futuro senza mio padre accanto e tanto meno lo desideravo. Mi chiesi se ci fosse un modo per sparire dalla faccia della Terra. Il piccolo fiore Iris era appassito e nemmeno il fertilizzante più potente al mondo o il miglior giardiniere avrebbero potuto salvarlo. La ragazza che vedeva sempre e comunque, anche nelle situazioni peggiori, il bicchiere mezzo pieno, quella che non stava mai ferma un secondo, quella che adorava aver finalmente trovato degli amici, quella che non si lasciava abbattere da professori malvagi e presuntuosi prepotenti, quella che sognava in grande e che desiderava soltanto passare il resto dei suoi giorni in compagnia di suo padre, aveva perso la voglia di vivere. Avevo perso tutto ciò che avevo da perdere. 

Non mi era rimasto più niente. 

 

ANGOLO AUTRICE

E...che dire...salve! Questo capitolo è molto triste, ma serviva, mi dispiace. Probabilmente ora mi maledirete per avervi attaccato la depressione o cose del genere. Lo capisco. Anyway, vi ringrazio per aver letto e spero che non mi abbandonerete proprio ora che il tutto si farà sempre più interessante. A proposito! Vi informo che ci sarà una piccola novità da questo capitolo in poi. L'avete notato anche voi? Sì? No? Vi darò un indizio. Cos'è quella cosa scritta lassù, appena prima della narrazione? Sembra quasi...ma sì! Altro non è che un piccolo consiglio dato personalmente dalla sottoscritta. Dato che amo la musica e non c'è un solo attimo nella mia vita che sia privo di quest'ultima, per lasciarvi calare meglio nell'atmosfera ho deciso che d'ora in poi vi consiglierò una canzone da ascoltare che, a parer mio, riassume al meglio il capitolo esprimendone i sentimenti centrali. Quindi vi invito ad ascoltare le canzoni che vi consiglierò, spero che vi piacciano. Ora la smetto di parlare, promesso! 

STAY TUNED!

Baci,

 

Fre<3 

   
 
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