Titolo: Miscalculation – you make (almost)
everything okay
Nickname forum: Shichan
Nickname EFP: Shichan
Pairing e relativi Prompt scelti: Midorima x Takao – Ammettere la sconfitta – future!fic (almeno 5 anni dopo)
Rating: giallo
Genere: sentimentale, introspettivo, romantico
Avvertimenti: canon divergence, what if?
Lunghezza/tipologia: oneshot
Note autore (facoltativo): per il beta-reading
si ringrazia Stars Trail. Per
i pair secondari (ma non dei prompt)
segnalo Kise/Kasamatsu, AkashiMidorima (precedente
alla vicenda narrata).
Rispetto all’ambientazione originale gli ex membri della Teikou non hanno
frequentato le stesse scuole medie, ma lo stesso liceo; non hanno fatto parte
dello stesso club.
Ai fini della lettura: i goukon
sono appuntamenti di gruppo organizzati spesso con un pari numero di ragazzi e
ragazze, talvolta di università o scuole diverse, allo scopo di trovare
qualcuno con cui uscire. La maggiore età – nonché quella per poter bere
legalmente – è di ventuno anni, in Giappone.
Miscalculation – you make (almost)
everything okay
Shintarou
si considera una persona rispettosa. Pur riconoscendosi molti difetti, è sempre
stato in grado di vedere anche i lati positivi del proprio carattere e, per
questo, sa bene quali possono essere considerati i propri punti di forza e
quali no. La capacità di avere rispetto per chi lo merita e, in generale, di
saper mantenere un comportamento educato verso chi non conosce o i propri
superiori – anche in occasioni in cui non lo meritano –è qualcosa di cui va
fiero. Conta sulle dita di una mano le volte in cui la rabbia lo ha reso
schiavo al punto da fargli perdere il controllo e renderlo molto meno cortese
di quanto ci si aspetterebbe da lui conoscendolo; ancora meno sono le persone che hanno scatenato il suo lato
peggiore perché, pur peccando forse di superbia, Shintarou ha saputo
distinguere negli anni gli sciocchi che non meritano una considerazione tanto
alta da doversi arrabbiare con loro.
Si reputa una persona intelligente e questo avrebbe dovuto bilanciare
l’educazione e il rispetto per Akashi che non gli hanno mai permesso, in virtù
del ruolo altrui nella propria vita scolastica e privata, di imporsi e dire
“no” quando gli ha presentato Hayama Koutarou.
Invece ora si ritrova con un’e-mail che sembra farsi beffe di lui dallo schermo
del proprio cellulare, la voce di Hayama che gli risuona fastidiosamente nelle
orecchie mentre gli occhi scorrono il suo messaggio breve e pieno di stupidi
emoticon, augurandogli buon Natale anticipato e facendogli presente che quello
è il suo regalo. Midorima – no, il messaggio purtroppo recita “Midochan” – deve
accettarlo non solo in quanto dono di un suo senpai, ma anche perché “così
magari per una sera ti rilassi”.
Shintarou non ha mai imprecato, ma pensa che questo potrebbe essere un buon
momento per iniziare.
Davanti a lui c’è un ragazzo mai visto prima, a colpo d’occhio suo coetaneo
o giù di lì. Midorima vorrebbe davvero essere colpito dagli occhi particolari della
persona che ha di fronte, ma il punto è cosa il mal capitato rappresenta: il
momento più imbarazzante della sua vita. Persino più della prima volta in cui
Kise Ryouta lo ha chiamato “Midorimacchi” davanti a un discreto numero di
persone.
Mentre osserva il modo in cui l’altro sposta il peso da un piede all’altro, il
sorriso sulle labbra e le mani in tasca per ripararle dal freddo, ripercorre in
silenzio le parole che gli sono state rivolte – mai nella vita Shintaro ha pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui
qualcuno gli si sarebbe presentato come “fidanzato in affitto”. Ma non aveva
nemmeno mai contemplato nella propria vita la presenza di Hayama, in fondo. Di
cose andate storte ce ne sono diverse, e sì che l’oggetto fortunato del giorno
giace nella sua borsa a tracolla.
Non si piegherà al volere di chicchessia, poco importa se Hayama si sentirà un
senpai offeso e ferito nel profondo.
«Dunque» prende la parola, la mano destra che sale a sistemare gli occhiali sul
naso in un gesto abitudinario «le nostre strade si dividono qui, immagino.»
decreta laconico, ricevendo in risposta uno sguardo stupito che non riesce a
spiegarsi. Dà per scontato che l’altro sia stato tratto in inganno, si aspetta
dunque una sorpresa – la cui assenza avrebbe dovuto suggerirgli già qualcosa,
forse – e un’accettazione del suo congedo; invece ciò che vede è la perplessità
di chi non comprende le dinamiche di ciò che sta accadendo. Si dice che non
dovrebbe cedere alla tentazione di indagare sull’espressione davanti ai suoi
occhi, ma non è saggio abbastanza da seguire il proprio stesso consiglio.
«…Cosa c’è?»
«Eh? Oh.» è il modo in cui il ragazzo di fronte a lui sembra uscire dal proprio
flusso di pensieri, qualunque esso fosse: «Beh, io ho ricevuto il pagamento in
anticipo, e non offrire il servizio non sarebbe molto professionale da parte
mia.» osserva quasi fosse un’ovvietà e Midorima, se solo non fosse una persona
educata, probabilmente si abbasserebbe al livello toccato da molti altri
“clienti”; non ha difficoltà a figurarsi molte persone chiedere a quel ragazzo
cosa ci sia di professionale nel fare l’accompagnatore con un altro nome, ossia
“fidanzato in affitto”. Non lo fa perché l’operato altrui non lede alla sua
persona in alcun modo, per quanto non riesca assolutamente a considerare il
tutto un lavoro degno di questo nome o qualcosa di moralmente corretto, in un
certo senso.
«E non posso restituirti il denaro, che non viene comunque dato a me
personalmente.» riprende l’altro, il tono di voce spensierato che cozza in
maniera fastidiosa con tutta la faccenda, ai suoi occhi «Perciò ecco la mia
proposta.» prosegue, un indice portato all’altezza del proprio viso per
richiamare l’attenzione di Midorima e un sorriso furbo sulle labbra «Andiamo in
un ristorante per famiglie e ceniamo insieme. Un paio di ore del tuo tempo così
io avrò guadagnato onestamente e tu avrai il resto della serata libera per fare
qualsiasi cosa tu voglia… Midorima-san,
giusto?» azzarda. Shintarou si acciglia, riconoscendo in quel “giusto?” la
spavalderia di chi sa bene di non aver sbagliato, di ricordare alla perfezione;
non è nemmeno cortesia o umiltà ciò che lo porta a pronunciare quel falso
“giusto?”, ed è una cosa che lo infastidisce.
Ma, purtroppo per lui, non è il tipo di persona così irresponsabile da lavarsi
le mani dei casini altrui – o forse sa che Hayama è il tipo che potrebbe
chiamare l’agenzia o qualunque cosa amministri gli appuntamenti di quel ragazzo
per chiedere i dettagli della serata minuto per minuto, cosa che gli
impedirebbe di scamparla se ora piantasse lì l’altro.
Non c’è scampo: tra due ore a cena con uno sconosciuto, con la possibilità di
mantenere un distacco di un certo tipo, e la prospettiva delle lamentele di
Hayama non deve nemmeno sprecare tempo a valutare i pro e i contro dell’una o
dell’altra cosa.
Ciò che Midorima ha sottovalutato è la curiosità di Hayama e sul momento non ha
pensato a come, pur risparmiandosi le sue lamentele accettando l’invito a cena del
ragazzo che gli si è presentato con il nome di Takao, Koutarou lo avrebbe
sottoposto a un terzo grado vero e proprio. La realtà diviene tristemente ovvia
il lunedì mattina non appena Shintarou mette piede sul suolo universitario.
Per sua immensa fortuna Hayama non è un senpai della sua stessa facoltà, ma
questo non gli impedisce di incrociarlo comunque nei corridoi; in questo caso,
la presenza dell’altro lì in attesa rende così ovvio l’agguato nei suoi confronti
che Midorima non ha nemmeno la forza di fingere di non averlo capito. Sospira,
in testa la voce del conduttore dell’Oha-asa a ricordargli che oggi è una pessima giornata per i
nati sotto il segno del Cancro, e prosegue con tutto l’intento di ignorarlo.
Sa già che non ha scampo.
«Mido-chan!» canticchia Hayama affiancandolo, per
nulla scoraggiato dalla totale mancanza di attenzioni da parte del proprio kouhai «Allora? Com’è andata? Il regalo anticipato ti è
piaciuto? Sono o non sono un senpai premuroso?» lo tempesta con una domanda
dietro l’altra, metà delle quali suonano retoriche alle orecchie di Shintarou,
causandogli un principio di irritazione non indifferente. Lo cerca con la coda
dell’occhio, trovando il fastidioso ghigno di chi la sa lunga sulle labbra
altrui e sbuffa, tornando a guardare di fronte a sé senza arrestare il proprio
passo. Potrebbe lamentarsi di così tante cose, ma non inizia nemmeno un
approccio da paternale perché si rende conto che sarebbe del tutto inutile:
Hayama non è il tipo da sentirsi davvero
in colpa solo perché gli si fa notare come ciò che ha fatto sia stato
assolutamente fuori luogo e rasenti l’invasione della privacy, nonché il
cattivo gusto. Shintarou non saprebbe nemmeno da cosa cominciare – chi ti ha
mai detto di cercarmi un compagno in affitto? Chi ti ha dato il permesso di
farlo a mia insaputa? Chi ha mai detto che mi piacciono gli uomini? Chi ti ha mai chiesto di entrare nella mia
vita? – per questo tace, sistema meglio la cinghia della tracolla sulla
spalla, e lo ignora.
O almeno ci prova.
«Mido-chan, non puoi tenermi all’oscuro dei dettagli!»
«Non c’è alcun dettaglio da rendere
noto.» taglia corto, il tono seccato, mentre il suo buon proposito di ignorarlo
fino a raggiungere il laboratorio dove lo aspettano tre ore di analisi di dati
se ne va per altri lidi. Hayama ridacchia e porta un indice a punzecchiargli il
fianco; vorrebbe tranciarglielo di netto, quel dito.
«Andiamo, non vi sarete certo guardati negli occhi tutta la sera!» lo incalza
con fare complice e in quel momento Shintarou si dice che via il dente, via il
dolore.
«Non ci sarebbe stata alcuna serata se tu, senpai, avessi evitato un’azione
tanto sciocca come richiedere i suoi… servizi e pagarli in anticipo.» fa
presente, un’occhiata glaciale che si posa sul più basso «Perciò ho onorato il
tuo impegno con due ore di cena in un ristorante per famiglie.» conclude senza
giri di parole o dettagli succulenti, cosa che si riflette facilmente
nell’espressione delusa che Hayama palesa quando capisce che non gli verrà detto
altro perché non è successo niente.
«Oh, Mido-chan, andiamo!» esclama come se fosse un
ragazzino di nemmeno dieci anni a cui è stato tolto tutto il divertimento,
mentre continua a seguire Midorima nel momento in cui questi cambia direzione
voltando in un altro corridoio: «Avresti dovuto approfittarne, già che c’eri.
Poteva sempre fare curriculum.» fa presente, e purtroppo non sta scherzando
come Shintarou vorrebbe, «Il curriculum della vita, sai quella cosa che tu non
hai, Mido-chan? Ecco, prima o poi ti servirà.»
Non merita una risposta, lo decide senza nemmeno doverci pensare. In compenso
Hayama è convinto che Midorima non meriti una tregua, a giudicare da come non
sembri intenzionato a tacere fin quando non saranno arrivati al laboratorio nel
quale non potrà entrare non essendo della facoltà addetta – il percorso che li
divide da suddetto laboratorio a Shintarou non è mai sembrato così lungo.
«Lasciami dire, Mido-chan, che hai perso
un’occasione. Takao-kun mi è sembrato simpatico quando l’ho incontrato per
parlargli di te!» obietta, come se quello bastasse a far sentire in colpa
Midorima per non aver accettato di fare il fidanzatino per una notte; la porta
del laboratorio è finalmente a pochi passi quando Shintarou sta per voltarsi a
dire al più grande qualcosa di molto poco cortese, a discapito di tutti i buoni
propositi di cui si anima quando parla con persone che lo seccano.
A interromperlo è un inaspettato «Grazie?» dalla sfumatura divertita. Se
Shintarou avesse preso in considerazione di leggere gli shoujo manga consigliati da sua sorella minore, probabilmente avrebbe una
spiegazione romantica e piena di giochi di luci e fiori sullo sfondo, quando i
suoi occhi si fermano su un Takao perfettamente a suo agio di fianco a quello
che suppone sia un suo amico, le mani in tasca, abiti normali e una borsa a
tracolla da tipico universitario.
Ma Midorima non legge shoujo manga, perciò si sente come se il
Destino avesse deciso di combattere la noia rifilandogli davanti l’unica
persona al mondo che vuole vedere meno di Hayama, la cui risata sguaiata mette
a dura prova i suoi nervi; decide di ignorare ognuno dei presenti e tirare
dritto.
Esistono almeno dieci modi di peggiorare la giornata, e nessuno di questi
comprende un laboratorio perciò Shintarou decide che quella sarà la sua oasi
felice, dovesse pure restarci fino a notte fonda.
È una convinzione che viene spazzata via con la forza di un uragano dalla voce
del suo supervisore che saluta Takao e lo studente accanto a lui – Miyagi? Miyaji? Non ha afferrato bene – accennando a un “grazie per aver accettato di aiutarci con i
programmi”.
Se non altro, poco dopo può chiudere la porta e lasciare Hayama, il suo sguardo
eloquente e la risata divertita fuori.
Due ore
e un caffè dopo, Shintarou deve ammettere che se non altro Takao è serio quando
ha a che fare con i computer, e piuttosto utile: sono giorni che la loro
raccolta dei dati è a un punto morto quasi quanto è deceduto il programma di
cui si avvalgono per elaborarli una volta che vengono raccolti. Se metterli insieme
è un processo che, seppur molto più lungo e non dei più divertenti, può essere
fatto anche manualmente, lo stesso non può dirsi dell’elaborazione,
considerando la grande precisione con cui questa deve essere fatta e che
sarebbe impensabile affibbiare a una persona. Quelle due ore in cui Midorima si
convince di aver piantato lo sguardo sulle cartelle delle analisi portate
avanti per tutto il mese e sulle tabelle con i dati elaborati in quello
precedente, con la coda dell’occhio ogni tanto scorge Takao lavorare senza
battere ciglio e parlare solo di cose inerenti al lavoro che sta portando
avanti. Ammette con se stesso di stupirsene, come fa anche quando la voce
dell’altro dichiara – non senza un certo sollievo nel tono – di aver finito il
proprio lavoro e che il computer è ora a posto e in grado di alleggerire di
molto il loro carico.
Il giovane che è con lui, che nel frattempo grazie a un paio di richiami ha
appurato chiamarsi Miyaji, dà una rapida occhiata al suo operato prima di
decretare che sì, è tutto in regola ora. Lo fa con parole poco lusinghiere di
chi non ci ha creduto davvero fino a lavoro concluso e con una pacca che fa
tossire Takao, forse preso di sorpresa, ma l’addetto al laboratorio è così
felice della buona notizia che probabilmente non noterebbe nemmeno se, per
festeggiare, Miyaji lanciasse Takao giù dal terrazzo della loro università.
Quest’ultimo lamenta un dolore che non è davvero così forte e condanna con uno
sguardo da cucciolo per nulla credibile Miyaji, dandogli del senpai crudele, e
poi ride piano e si stiracchia portando le braccia verso l’alto; è in quel
frangente che i suoi occhi inquadrano la figura di Midorima e lo colgono in
flagrante, per quanto Shintarou abbassi repentinamente il proprio sguardo
temendo che l’altro possa prendere quel breve contatto visivo come un incentivo
a interagire.
Capisce che è proprio ciò che sta per succedere quando sente il cigolio leggero
della sedia accanto alla propria postazione, quel lieve rumore di quando
qualcuno vi si siede nel silenzio del laboratorio; voltandosi di lato, la
figura di Takao diviene impossibile da ignorare. L’altro gli sorride –
Shintarou non se ne stupisce davvero, l’altro gli ha sorriso anche la prima
volta senza farla sembrare un’espressione di circostanza – e accenna con il
capo alla pila di cartelline piene di documenti che l’altro ha sistemato con
fin troppa cura. Midorima segue il suo sguardo, vedendolo passare da quelle al
monitor, soffermandosi su una matrioska.
Lo vede aggrottare appena le sopracciglia, e già si aspetta la solita domanda
che fanno tutti quando notano il suo oggetto fortunato del giorno (e quando
questo è particolarmente strano, a loro dire); Takao, tuttavia, non vi accenna.
«Non avrei mai detto che tu facessi Medicina.» pronuncia una sorta di ammissione
velata di un impaccio vago che Midorima fatica ad accostare al ragazzo tanto a
suo agio di qualche sera prima «Voglio dire, Hayama-san
non me lo aveva detto. E io non te l’ho chiesto.» aggiunge, quasi a scusarsene.
Shintarou non lo dice, ma non lo ritiene necessario; avrebbe trovato fuori
luogo il tentativo altrui di intavolare una conversazione decente a cena. Non
ne comprende il motivo nemmeno ora, ma almeno ha addosso due ore di
laboratorio, una cosa che lo rilassa, e non lo stress di quando subisce le
conseguenze delle stupidaggini altrui. A quanto pare Takao interpreta il suo
silenzio come possibilità di proseguire il discorso, più che come un tentativo
di lasciarlo morire privandolo di una risposta.
«Takao Kazunari,» pronuncia contro ogni aspettativa di Midorima, sebbene in
effetti quella presentazione gli faccia considerare il fatto di non aver
nemmeno tentato di ricordare il nome completo dell’altro quando gli è stato
detto la prima volta «dipartimento di Informatica, penultimo anno.» aggiunge
con un sorriso affabile. Shintarou guarda la mano che l’altro ha allungato
verso di lui e che rimane in attesa di essere stretta, ottimista; prima di
concederglielo, si chiede per quale motivo la prima cosa pronunciata non sia
stata una richiesta di tacere in merito al modo in cui si sono incontrati.
Non riesce a definire se la scelta altrui sia dettata dalla mancanza di pudore
di fronte all’eventualità che Midorima possa dirlo in giro, o se dall’assoluta
certezza – e non a torto – che lui si guarderà bene dall’andare a rendere noto
al suo prossimo di aver cenato con un fidanzato in affitto.
Decide che non vale la pena analizzare troppo quelli che sono dettagli di poco
interesse; gli stringe la mano, per educazione, e replica con un «Midorima
Shintarou.» senza inflessioni particolari e senza aggiungere altro.
In fondo, dopo la stretta di mano è lo stesso Takao ad alzarsi, mettendo fine
al loro scambio.
L’appartenenza a due diversi dipartimenti avrebbe dovuto già parlare per
entrambi, in merito alla possibilità di incrociarsi, ma come se quello non
fosse sufficiente nelle ultime due settimane il lavoro in laboratorio è
aumentato abbastanza da non permettere a Midorima questa grande vita sociale o
da concedergli numerose occasioni per rendere la stessa meno piatta. A lui sta
bene così, mentre si destreggia tra un tirocinio che gli fa assaggiare la
realtà di orari impossibili nei corridoi di un ospedale e la raccolta dati con
cui dovrà dare forma alla sua tesi di laurea. Se le sue uniche frequentazioni
nel mese che segue quel loro casuale e breve scambio di parole non sono
unicamente la sua famiglia e i suoi colleghi, è perché Kise Ryouta ogni tanto
ha abbastanza tempo libero da sentire il bisogno psicofisico di fare una sorta
di vaga rimpatriata e lo costringe a partecipare; alla fine non è mai così
male, eppure Midorima si impegna a farlo sembrare tale, benché sia abbastanza
sicuro che nessuno dei vecchi amici che vi partecipa lo prenda più sul serio
dalla prima liceo, a occhio e croce.
È così che una sera si ritrovano in un locale discreto e dal buon cibo, a
parlare di cosa fanno nelle loro vite e di quali grandi sconvolgimenti ci sono
stati dall’ultima rimpatriata un mese e mezzo prima. Quasi nessuno di loro ha
molto da dire – si avvicinano ormai quasi tutti alla laurea, chi prima e chi
dopo, chi in piena crisi per la tesi chi con la leggerezza dello stare appena
iniziando a darle forma – ma le chiacchiere riempiono l’aria tanto da non
obbligare Shintarou a parlare per ore ma dandogli l’opportunità di ascoltare e
basta; d’altronde nemmeno Kuroko è mai stato l’anima della festa, ogni volta
che Kise ha organizzato quelle rimpatriate. Ogni tanto, come quella sera,
persino Akashi riesce a presenziare nonostante i suoi numerosi impegni e la
lontananza, e Shintarou si sente più a suo agio perché Seijuurou è senza alcun
dubbio la persona più simile a lui in quella combriccola che è e sempre sarà
male assortita ai suoi occhi. È un essere a proprio agio molto complesso,
considerando i loro trascorsi privati fatti addirittura di una sorta di
relazione per la quale non c’è però mai stata una vera e propria dichiarazione,
il che forse la dice lunga su quanto contorti e al tempo stesso semplici siano
stati i loro rapporti.
Per fortuna la cosa non ha mai creato alcun tipo di problema, per incredibile
che possa sembrare; così c’è un’intera serata, come altre prima di essa, fatta
più di piccoli aneddoti che non di vere e proprie notizie importanti da
condividere, e il tempo scivola via piacevolmente finché non è proprio Akashi a
congedarsi per primo: lo aspetta una sveglia all’alba o quasi, l’indomani, e
come se l’assenza di uno rendesse inutile proseguire con la serata quello
diviene il momento in cui tutti si alzano, pagano la loro parte, e con qualche
ultima battuta se ne vanno ognuno per la propria strada.
A volte, come questa sera, Midorima si ritrova a percorrere una parte del
tragitto con Kise – sa bene che l’appartamento in cui l’altro ha vissuto fino a
poco tempo prima non è in quella direzione, eppure nonostante le ultime tre
volte che si sono visti la compagnia di Ryouta al ritorno sia stata una
costante, Midorima non gli ha chiesto nulla. Hanno passato l’adolescenza
insieme, eppure non sono mai stati così vicini da essere l’uno il confidente
dell’altro; anche per questo Midorima si convince di non aver sentito bene
quando, senza alcun preavviso, Kise pronuncia un: «Convivo con Yukio.»
“Convivo” ha un peso del tutto
diverso dal “condivido l’appartamento con”,
perché sottintende una relazione fin troppo facile da afferrare. Shintarou in
un primo momento non è sicuro di volersi accertare di aver compreso bene, ma si
ritrova a portare con discrezione lo sguardo su Ryouta: al suo fianco, Kise ha
gli occhi puntati davanti a sé e l’espressione placida. Se proprio, sembra più
rilassato nel modo in cui lascia le spalle libere, meno rigide. Midorima non sa
cosa l’altro si aspetta, se abbia messo in conto una risposta di qualche tipo o
il totale silenzio, l’accettazione o una reazione brusca. Forse anche per
questo prende tempo portando una mano a sistemare gli occhiali, un gesto così
tipico della sua persona che sente uno sbuffo divertito al proprio fianco.
«Midorimacchi, sei davvero uno tutto d’un pezzo, tu.» osserva divertito, ma ne
sembra anche sollevato. Shintarou non crede di aver mai imparato a comprendere
appieno Kise – né di averci provato davvero, in effetti – e quindi tanto
adesso, quanto in passato, non ha mai saputo distinguere un sorriso
completamente sincero da uno di circostanza. Ryouta è bravo a nascondere quel
che non vuole mostrare, dopotutto. D’altra parte non è difficile capire cosa
l’altro gli stia davvero dicendo, ed è inaspettato, perché Midorima non avrebbe
mai immaginato sarebbe arrivato il giorno in cui Kise gli avrebbe confidato una
cosa così importante, un cambiamento tanto significativo nella sua vita: si
conoscono da cinque anni e, se avesse dovuto scommettere, Shintarou avrebbe
azzardato a nominare Kuroko, Momoi. Aomine, forse. Ma non avrebbe mai pensato
che Kise gli avrebbe detto di aver fatto il grande passo andando a convivere
con il proprio compagno.
«Provo pena per Kasamatsu-san.» pronuncia infine,
qualcosa che porta Kise a esprimersi in un verso lamentoso che in qualche modo
sa di normalità, di abitudine, non di un’improbabile confessione da adulti;
aiuta Shintarou ad affrontare la cosa con una calma non disinteressata, ma pur
sempre calma. Non dura molto, purtroppo, ma quello non dipende da Kise: si
fermano al semaforo rosso per i pedoni e Midorima lascia vagare lo sguardo, le
parole di Ryouta su quanto lui sia ingiusto che suonano come un rumore di
sottofondo – tutto sommato piacevole, sebbene se ne guardi dal dirglielo –
quando i suoi occhi inquadrano una figura conosciuta. È troppo tardi quando, a
semaforo verde scattato, si rende conto che sarebbe preferibile cambiare
direzione trascinando Kise con sé; quando il pensiero si forma nella sua testa,
gli occhi chiari di Takao Kazunari lo hanno già notato e la sua espressione non
lascia dubbi sulle sue intenzioni, specialmente quando un sorriso leggero si
forma sulle sue labbra.
Contrariamente a quanto si aspetta, Takao gli rivolge un cenno con la mano
molto discreto, tanto che l’uomo che lo accompagna non lo nota e non si volta
in direzione di Shintarou; lui di contro rimane lì, fermo sul marciapiede, e ci
vogliono il richiamo di Kise e una pacca leggera sulla spalla per farlo uscire
da quel vago stato di trance cosicché
riprenda ad avanzare.
Si accorge di non aver badato a buona parte di quanto Ryouta ha detto per
riempire il silenzio nel tragitto fatto insieme quando, in stazione, si
salutano per accedere a due binari diversi e si sente quasi in colpa quando il
congedo dell’altro è un sorriso caldo – a dispetto del freddo che gli sta
mangiando anche le ossa – e un: «Grazie. È bello averlo detto a qualcuno.» e
Shintarou non ha davvero bisogno di chiedere a cosa si riferisca, perché per
quanto possa essersi distratto non è uno sciocco e lo immagina senza
difficoltà.
Quando Ryouta sparisce oltre le scale che lo portano al sottopassaggio tramite
cui arriverà al proprio binario, Midorima si concede di puntare lo sguardo su
una porzione imprecisata delle rotaie vuote, in attesa di un treno che arriverà
a minuti e con il pensiero a un saluto fugace.
Si rende conto che la sensazione indefinibile che prova all’altezza dello
stomaco è la presa di coscienza che non si sia trattato di uno sciocco scherzo
da parte di Hayama: Takao Kazunari si finge il fidanzato di chiunque richieda i
suoi servizi pagando.
Non ha idea del perché, nonostante tutto, suoni così irreale.
Midorima
non si aspetta di vedere di nuovo Takao varcare la soglia del laboratorio, ma è
ciò che succede. È passato quasi un mese dall’incontro casuale per strada,
settimane in cui lo ha intravisto a mensa o di sfuggita per i corridoi,
occasioni in cui non lo ha mai fermato – perché avrebbe dovuto? – e
all’improvviso l’altro è di nuovo lì. Shintarou non sa come dovrebbe sentirsi
in merito. Non sa se considerarsi protagonista di una serie di sfortunati
eventi, o oggetto di derisione del conduttore dell’Oha-Asa che quella mattina ha
esclamato pieno di entusiasmo come il segno di Midorima fosse al secondo posto
e che gli incontri avrebbero portato pepe alla sua vita. Non è nemmeno sicuro
di aver processato completamente il fatto che Takao in un certo qual modo si
svenda, sebbene non abbia idea di cosa faccia di preciso, se con tutti i suoi
clienti si limiti a una cena, due chiacchiere e un passeggiata o— non gli
interessa nemmeno saperlo, in verità, se lo ripete ogni volta che si riscopre a
pensarci. Forse, si è detto, è perché non ha mai pensato che qualcuno potesse
fingersi il fidanzato di qualcun altro per soldi. O magari è perché, a vederlo,
Takao non sembrerebbe tipo da farlo.
In fondo, ha decretato alla fine contro un insoddisfatto se stesso, non lo
riguarda.
Per questo quando Takao gli si rivolge con un sorriso, porgendogli la mano e
pronunciando un: «Mi affido a te, senpai!» che sembra divertirlo moltissimo,
Midorima alza lo sguardo sul suo viso e con ogni probabilità non ha nemmeno
un’aria troppo intelligente quando lo fa. Gli stringe la mano riluttante, e lo
fa per il tempo appena necessario a non risultare scortese; apprende solo in un
secondo momento, dal dottorando che lavora in laboratorio con lui, che sia
Takao sia un altro ragazzo verranno a turno a dargli una mano per il progetto
di cui si sono appena fatti carico, che è toccato a loro dal momento che sono
tra i più bravi del proprio corso di informatica e non hanno la tesi a
incombere su di loro come invece fa su Shintarou. Vorrebbe concentrarsi su un
qualche senso di sollievo all’idea di non doversi occupare più da solo di
cartelle su cartelle di dati, invece si ritrova come prima considerazione di
aver avuto per una sera un fidanzato in affitto e persino più giovane.
Si sente in fondo alla catena alimentare metaforica della società.
Porta una mano al volto per massaggiarsi le tempie e alla fine decide di
togliersi direttamente gli occhiali e dare tregua tanto alla sua vista quanto
al principio di emicrania che sente in agguato. Si prende qualche momento per
sé, per quanto dubiti che qualche secondo risolverà
il suo stato da uomo stressato nemmeno avesse il doppio dell’età effettiva che
ha, ma vuole credere che la graduatoria dell’Oha-asa valga qualcosa.
Quando apre di nuovo gli occhi, cercando la forma sfocata dei propri occhiali
poggiati sul tavolo poco prima, non li trova; poiché la sua vista non è ancora
calata così tanto da renderlo del tutto cieco, registra che qualcosa non va
proprio mentre la voce di Takao esclama un sorpreso: «Wow, sono belli forti,
eh?»
Shintarou non fa in tempo a intimargli di restituirli che le stecche si stanno
posando sulle sue orecchie e lui torna a vedere il mondo – che, ironicamente,
per qualche istante è nient’altro che il volto di Takao che gli sorride
divertito. Non sa bene come approcciarlo, in verità; non sa nemmeno se vuole farlo, e dunque tace in un
primo momento. Non fosse che è impensabile lavorare insieme e pensare di non
scambiarsi nemmeno due parole...
«Hai mai raccolto dati per un progetto di medicina?» rompe il ghiaccio così,
anche se parlare di lavoro forse non è proprio il modo migliore. Almeno non lo
sta ignorando. L’altro si è seduto alla postazione accanto alla sua e pigia il
tasto di accensione del computer, tornando poi a voltarsi con il busto verso di
lui, il sorriso furbo a incurvargli le labbra: «Di medicina no, ma sono bravo a
raccogliere i dati, non c’è davvero niente di cui preoccuparsi.» assicura, ma
Midorima non vede in base a cosa dovrebbe credergli «Sarà meglio. Non rimarrò
ore in più se sbagli a fare dei calcoli.» commenta, poco simpatico in effetti –
e poco sincero, perché non lascerebbe mai l’addetto al laboratorio nei guai né
un lavoro a metà – ma è fiducioso che la cosa renda l’idea di quanto poco
apprezzi i perditempo. Takao fischia, come quando si ammira qualcosa (o
qualcuno) per la strada e si sente il bisogno di commentare in un modo che
Shintarou ha sempre trovato molto poco elegante se rivolto a una persona;
l’altro ridacchia e lui un po’ lo odia, quasi quanto maledice il proprio
cervello per ricordargli di come stesse ridendo anche quando lo ha incrociato
per strada andando verso la stazione con Kise.
Ne sta facendo una questione nazionale, quando davvero non ha tempo nemmeno per
un pranzo decente, figurarsi per distrarsi con gli affari degli altri.
«Severo, eh? Scommetto che sei il tipo di persona noiosissima che non ha
nemmeno un nomignolo amichevole.» dice l’altro, e Midorima per un attimo è sul
punto di fargli presente come suo malgrado di nomignoli ne abbia anche troppi
nella sua vita, ma poi ricorda che non c’è nulla di dignitoso in “Midorin”, “Mido-chin”
e soprattutto “Midorimacchi”. E
niente di cui vantarsi.
«Perderesti una cospicua somma di denaro, invece.» si limita a commentare,
perché in fondo Takao non gli ha chiesto di quali
nomignoli si trattass—
«Davvero?! E quali—»
«No.» tronca la domanda sul nascere, puntando gli occhi verdi su di lui mentre
il medio della mano destra tira su gli occhiali e li sistema sul naso: «Non ho
intenzione di dirteli.» decreta, ed è tutto ciò che dice al di fuori di un
“quello va in questa cartella” o “salva e inoltralo all’indirizzo sul post-it”
per le due ore successive.
Deve
dare atto a Takao di essere davvero bravo in quello che fa come aveva
sostenuto, e molto meno fastidioso di quanto avesse immaginato, se esclude il
fatto che grazie a lui ora può annoverare anche “Shin-chan” tra le cose di cui
avrebbe fatto volentieri a meno nella vita. Per sua disgrazia anche i colleghi
universitari che li hanno incrociati nei corridoi si sono abituati a sentirlo
chiamare così dall’altro – questo perché Takao ha insistito fin dal primo
giorno per mangiare insieme a pranzo, senza saltarlo nemmeno una volta a
dispetto della mole di lavoro. In laboratorio i suoi turni sono nei giorni
dispari, anche se qualche volta passa comunque anche in quelli pari a portare il
caffè a chi si trova tra fogli e fogli di dati. Non si trattiene mai troppo a
lungo però, Midorima immagina che sia per impegni di lavoro, gli stessi che lo
costringono ad andarsene tassativamente alle sei del pomeriggio anche nei
giorni in cui è di turno.
Benché all’inizio non ne fosse molto entusiasta, Shintarou ammette almeno con
se stesso che alla sua salute giovano i pranzi regolari in mensa piuttosto che i
pochi e saltuari con bentou
precotti o un panino. Mangiare in compagnia non è nemmeno così male, per quanto
Takao sia – ma non si aspettava nulla di diverso, in realtà – una persona del
tutto opposta a lui; a volte capita che sia Kazunari ad andare a prendere da
bere per entrambi al distributore automatico che sta nell’atrio
dell’università, e Midorima lo anticipa dal momento che mangiano sempre nello
stesso posto e preferibilmente allo stesso tavolo della mensa, in fondo alla
sala e appena sulla sinistra rispetto a quelli centrali. Da lì Midorima riesce
a vedere bene la porta d’ingresso, quindi non è difficile notare Takao quando
questi fa il suo ingresso ed è in quel momento che nota come l’altro sia sempre
circondato da altre persone: a volte forse sono compagni di corso, altre alcune
ragazze e Shintarou non ha idea se la facoltà di Informatica sia poi molto
frequentata dal genere femminile ma cerca di limitare le sue osservazioni al
fatto che Kazunari sia ciò che lui definisce un animale sociale, un po’ come lo
è sempre stato Kise ai tempi del liceo. Midorima non è bravo con i tipi così:
preferisce quelli più discreti, controllati – non è un caso se ai tempi la
persona con cui ha più legato è stata Akashi, dopotutto – perché li gestisce
meglio, perché è meno incapace di comprenderli e adattarsi a loro, perché non
si deve aspettare sorprese. Deve riconoscere a Takao di essere meno peggio di
quanto credesse, però: in due settimane di conteggi in laboratorio ha
dimostrato di essere serio nel lavoro che svolge, poco incline agli errori o
alle distrazioni. Ha notato che si prefigge un obiettivo entro un orario
stabilito per concedersi una pausa e non sfora mai; non sa se si tratti di un
modo per motivarsi così da distribuire meglio i propri compiti durante la
giornata o meno, ma Midorima si è ritrovato ad adattarsi al suo ritmo prima di
rendersene conto, così che spesso vanno in pausa insieme e si prendono cinque
minuti per chiacchiere di poco conto. Beh, quantomeno Takao chiacchiera, lui di
solito ascolta, ma la cosa non sembra pesare a nessuno dei due perciò Shintarou
non si sforza di parlare chissà quanto se non ha cose interessanti da dire. Una
cosa che lo disturba, invece, gli è stata fatta notare dall’addetto al
laboratorio e non importa che lui continui a negarla, perché sa di negare
l’evidenza in fondo – si è accorto di come a volte lui e Takao si muovano in
maniera quasi complementare, come se non avessero fatto altro che lavorare
fianco a fianco per anni, quando invece sono solo una manciata di giorni.
Shintarou non è “abituato ad abituarsi”, a rendere accessibile il proprio
spazio vitale così in fretta, a muoversi come se la presenza di un’altra
persona fosse naturale lì accanto a lui.
Questa cosa lo disturba così tanto, che—
«Shin-chan!» è la voce di Takao a scuoterlo dal
torpore in cui è scivolato, complice il riscaldamento nella mensa che fa
dimenticare come fuori il freddo penetri nelle ossa anche con addosso un
cappotto pesante. Alza lo sguardo su di lui, mascherando la perplessità, perché
intuisce dal tono usato dall’altro che non è la prima volta che lo chiama e
forse gli ha anche detto qualcosa che Shintarou non ha per niente colto. Lo
osserva fare uno sbuffo leggero e poi aprirsi in un sorriso, l’espressione che
sembra quasi dire “oh beh, c’è poco da fare” mentre posa il vassoio con il
proprio pranzo sul tavolo e si siede di fronte a lui.
«Sei impegnato stasera, Shin-chan?» domanda e per un
fugace istante Midorima quasi teme che l’altro gli proponga di affittarlo di
nuovo come fidanzato – poi rinsavisce, perché non avrebbe molto senso.
«No.» azzarda, il cucchiaio che va a prendere una prima, generosa porzione di
curry.
Non lo porta alle labbra, il movimento della sua mano si ferma prima quando
Takao esclama allegro che «Beh ora sì, siamo stati invitati.»
«Invitati dove.»
«A un goukon!»
Come prima cosa dovrebbe esprimersi in un lapidario rifiuto senza alcuna
possibilità di appello. Purtroppo sceglie la via sbagliata.
«E il lavoro?»
«Giorno libero. Daaaai, Shin-chan
un po’ di vita! E poi non puoi lasciarmi andare da solo.» lo dice come se fosse
ovvio, come se loro fossero una di quelle coppie di amici che vanno ovunque
sempre insieme e se Shintarou ha poche certezze nella sua vita, una di queste è
che non sia il loro caso.
«Certo che posso.» commenta prendendo finalmente il primo boccone.
Nelle ultime due settimane, ossia da quando Takao è in laboratorio a lavorare
con lui, c’è una cosa che Shintarou ha iniziato a odiare con tutto il cuore
senza sapere come fare per tornare a com’era prima: l’ascendente di Takao sulla
sua persona che gli rende impossibile negargli qualcosa per più di due ore di
fila.
Maledizione.
Shintarou non reagisce bene a inviti di persone sconosciute per serate con
altri sconosciuti, soprattutto se questo implica stare seduto a un tavolo pieno
di chiacchiere con il savoir faire di
Takao, un suo compagno di corso che sembra più incline a conversare con il
tavolo che non con la ragazza seduta di fronte a lui e con uno che invece è
così fuori luogo che a Midorima riporta alla mente l’immagine fin troppo vivida
e plausibile di un Aomine che si infila un dito nel naso con fare irrispettoso
– il fatto che ci sia del cibo fumante davanti a loro non la rende proprio la
cosa migliore da figurare in quel momento, ma succede. Non lo aiuta nemmeno il
fatto che una delle ragazze presenti al goukon abbia una voce particolarmente acuta difficile definire
piacevole all’ascolto, e non ultimo Midorima viene da una settimana
ininterrotta di lavoro in laboratorio perché sono vicini alla fine e ha voluto
provare ad accelerare i tempi. Perciò no, non gli interessa se quella è
l’occasione perfetta per il “curriculum della vita”, come lo definisce Hayama:
vorrebbe essere ovunque tranne che lì, costretto a un educato contegno solo
perché non è il tipo da alzarsi e lasciare persone che lo hanno invitato e alle
quali ha più o meno detto di sì.
Questo è ciò che pensa almeno finché non viene proposto a gran voce il karaoke:
una cena è vivibile, domande un po’ troppo personali con l’intento di
conoscersi meglio – dove “meglio” suona un po’ troppo come “abbastanza da
proseguire la serata o avere altri appuntamenti da soli dopo questo” – è
sopportabile e in qualche modo gestibile; chiudersi in una saletta per
ascoltare gente che a malapena conosce cantare prima e urlare poi quando
avranno bevuto qualcosa di troppo è un no categorico.
Non si aspetta che Takao lo anticipi nel rifiutare.
«A dire il vero, domani mi aspetta un’alzataccia.» ammette con un sorriso
accennato e il fare dispiaciuto «Quindi il karaoke è un po’…» lascia cadere la
frase, e Midorima capisce o meglio si
accorge che non c’è niente di casuale in quel modo di fare. Non sono i modi
studiati di chi mente, ma più di chi è abituato a compiacere a parole e nel
modo di porsi prima ancora che in altri modi su cui preferisce non soffermarsi
e che non ha ancora capito se sono compresi o meno nel lavoro dell’altro. La
ragazza con un interesse nemmeno troppo velato per Takao gli sembra
dispiaciuta, e razionalmente Shintarou suppone di non poterla biasimare: il suo
kohai agli occhi degli altri deve sembrare un tipo gradito alla popolazione
femminile. Midorima gli riconosce di essere gentile (quando è sopportabile) e
con un buon senso dell’umorismo (quando non è molesto); non si può negare che
sia di bell’aspetto— insomma, non sta a lui giudicare ma può capire.
«Possiamo andare al karaoke più tardi» è la proposta di uno dei due ragazzi
rimanenti «e andare a bere qualcosa insieme, ora. Siamo tutti maggiorenni,
giusto?» butta lì.
Per una manciata di secondi Midorima si sente come quando, ai tempi del liceo,
faceva una mossa che gli dava la sensazione potesse finalmente vincere una
partita a shogi
contro Akashi; qualche momento dopo, tuttavia, si ritrova combattuto nella
reazione da mostrare: se la sorpresa nell’apprendere che due delle ragazze
presenti non lo sono – ma si dicono ugualmente d’accordo, purché si vada dove è
possibile ordinare qualcosa di analcolico – o l’incredulità nello scoprire che
Takao invece lo è.
La seconda vince su tutti i fronti.
«…Sei maggiorenne.» lo dice come se non ci credesse e
si sentisse quasi offeso all’idea che Takao cerchi di fregarlo su una cosa
simile, ma l’espressione che l’altro gli rivolge gli fa capire che era sicuro
Midorima lo avesse già capito. E come avrebbe potuto, si dice Shintarou, quando
tutto gli ha suggerito che così non fosse, compreso lo stesso Takao che finché
non ha trovato quello sciocco nomignolo lo ha chiamato “senpai”?
«Certo che sono maggiorenne, Shin-chan. Abbiamo la
stessa età.» gli fa presente ridacchiando; Midorima si dice che sì, magari il
suo lavoro lo avrebbe dovuto suggerire, ma considerando quanto lui trovi strano
avere come impiego fingersi il fidanzato della gente ammette che potrebbe aver
pensato non fosse proprio tutto in regola. Forse gli si legge in faccia come
sia intenzionato a fargli presente che ogni cosa detta in ambito universitario
gli ha impedito di farsi un’idea precisa, perché Takao lo anticipa: «Ho solo
iniziato l’università un anno dopo rispetto a chi si è diplomato insieme a me.»
e ci aggiunge un occhiolino complice.
«Beh, allora siete dei nostri?» li incalza il ragazzo che ha avanzato la
proposta e Takao per un attimo cerca il suo sguardo, come a chiedere conferma;
è quello il momento in cui Shintarou prende coscienza del fatto che
probabilmente l’altro non ha nulla da fare ma debba aver supposto – non a torto
– che invece a lui toccherà svegliarsi presto il giorno dopo, e abbia sviato
l’opzione karaoke per quello. Sospira appena, rassegnato e annuendo, muovendosi
per seguire chi decide di fare strada. Sente una stretta leggera allo stomaco
ma la ignora volutamente.
«Non preoccuparti, Shin-chan,» Takao richiama la sua
attenzione, accostandosi in modo da potergli parlare con discrezione «non ti
farò fare nottata in un karaoke, o domani nemmeno il mio caffè del dopo pranzo
ti salverà.» confabula divertito, per poi rispondere a una delle ragazze che
gli chiede se non abbia evitato il karaoke perché stonato. Mentre Takao tesse
le proprie lodi canore, Shintarou borbotta qualcosa sull’inutilità di prendere
certe iniziative per proprio conto e dargli aiuto non richiesto – ma nonostante
quello gli è grato, e sente una punta di imbarazzo che lo fa sentire accaldato.
È un calore piacevole però, sicuramente più di quello che sente addosso due ore
dopo mentre supporta Takao: glielo hanno affidato perché entrambi dovevano
andare via prima, così come le due ragazze che hanno bevuto analcolici, con la
differenza che loro erano molto più vicine a casa di quanto lo fossero tanto
Takao quanto Shintarou. Ha scoperto per caso che prendono lo stesso treno, pur
scendendo a due fermate diverse, ed è felice che almeno quello ci fosse ancora
perché non avrebbe retto un intero tragitto a piedi, senza contare che non
avrebbe avuto la minima idea di come tornare a casa propria.
Fortunatamente non è così tardi, mentre sale le scale del condominio dove vive
Takao, un suo braccio attorno alle proprie spalle e gli occhi incollati sui gradini
per essere sicuro che stia mettendo i piedi bene uno davanti all’altro. Kazunari
sta raccontando qualcosa di cui Shintarou ha perso il filo quasi subito, troppo
occupato a fare attenzione per entrambi, e una volta che sono davanti alla
porta che Takao gli indica, Midorima deve concentrare tutta la propria
attenzione nel recupero delle chiavi nella tracolla altrui e tira un sospiro di
sollievo solo quando riesce ad aprire e a varcare la soglia.
L’appartamento di Takao è piccolo, un monolocale, il classico alloggio di un
universitario. Perciò all’altro non ci vuole granché per arrivare all’unica
stanza su cui dà il brevissimo corridoio che collega l’esterno al resto;
Midorima lo vede poggiarsi alla parete e scivolare lungo di essa fino a sedersi
a terra e sospira, liberandosi delle scarpe e richiudendo la porta alle proprie
spalle prima di voltandosi e inquadrare senza difficoltà l’armadio dentro il
quale deve trovarsi il futon. Lascia
scorrere l’anta, lo tira fuori e poi la richiude un po’ alla cieca, poggiando
il materasso a terra.
«Shin-chan» lo chiama Takao, il tono divertito «aiutami
ad alzarmi.» pronuncia, allungando entrambe le mani verso di lui. Midorima
potrebbe iniziare una ramanzina che durerebbe da lì all’eternità ma suppone
sarebbe inutile, rivolta a una persona ubriaca, per cui si limita a coprire la
distanza tra loro in pochi passi e a prendere l’altro per i polsi, facendo
forza e tirandolo su. Takao non si abbandona a peso morto, anzi collabora
riuscendo a mettersi in piedi, ma ridacchia mentre le sue mani si tengono agli
avambracci di Shintarou, cercando di stare in equilibrio.
«Le persone che non reggono gli alcolici non dovrebbero ubriacarsi.» lo
ammonisce, ma c’è più rassegnazione che rimprovero nella sua voce. Takao riesce
a tenersi con una mano sola in modo da portare l’altra a picchiettare contro la
fronte altrui, stupendo Midorima: «Andiamo, Shin-chan»
lo blandisce «non sono ubriaco.»
«Lo dicono tutte le persone preda di una sbornia.»
«Ehi» lo rimprovera divertito, tornando a tenersi con tutte e due le mani «sono
solo brillo.» lo corregge con un sorriso furbo. Shintarou sospira – davvero,
non sente affatto di essere suo coetaneo in questo momento.
«E non è la stessa cosa?»
«Assolutamente no. Altrimenti mi avresti portato in spalla— quando sono ubriaco
non riesco a stare sveglio.» rivela «Ma a volte fingo di essere brillo, come
ora.» confessa. Midorima si chiede in quante occasioni l’altro abbia potuto
provare che da ubriaco tende a crollare addormentato, ma poi scaccia quel
pensiero dalla mente perché riesce ad accostarlo solo a un ambito lavorativo, e
la cosa lo irrita, non sa perché. Il che lo innervosisce ancora di più. Lo
guida perché possa sedersi di nuovo dandogli il tempo di stendere il futon e poi lo aiuterebbe di nuovo, se
Takao non si spostasse per conto suo gattonando ed esibendosi in un
orgogliosissimo «Oh!» quando ci si siede sopra.
«Shin-chan?»
«Mh?»
«Aiutami.» pronuncia allungando le braccia verso di lui; in un primo momento
Midorima non capisce – dovrebbe alzarlo di nuovo in piedi? Deve andare in
bagno? – ma Takao rende il tutto più chiaro con un «Tira le maniche, Shin-chan.»
Midorima sospira. Lui voleva fare il medico, non la bambinaia.
«Perché dovresti fingere?» domanda, mentre lo aiuta a sfilare le maniche del
giacchetto, la sciarpa messa alla meno peggio intorno al collo prima di
guidarlo fuori dal locale in cui erano, e iniziando a guidare i suoi movimenti
per liberarsi anche della felpa. Abbandona l’idea delle maniche visto che Takao
è poco collaborativo, e scende con le mani all’altezza della sua vita con
l’intento di sfilare insieme felpa e maglietta che si trova sotto.
«Cosa?»
«Di essere brillo. Perché fingi?»
«A volte i clienti non mi piacciono.» ammette, e Shintarou non sa se abbia
calcolato il tempo in cui sfilandogli gli abiti avrebbero interrotto il
contatto visivo, ma in ogni caso il risultato è proprio quello; una sensazione
spiacevole gli si annida nello stomaco. Non ci ha mai pensato prima, ma forse
Takao lo fa contro la sua volontà? Non lo sa, ma deve avere un’espressione
strana o buffa visto il verso divertito che sfugge fra le labbra dell’altro. Lo
vede rabbrividire e questo lo porta a voltarsi per cercare dove possa tenere il
pigiama o qualcosa di pulito. Takao lo intuisce in qualche modo, e glielo
indica – Shintarou è felice di potergli dare le spalle.
«Non è che facciano nulla di male. È nel mio contratto, non possono, però a
volte sono persone noiose. O per nulla simpatiche. All’inizio lo sembravi anche
tu.» ammette e ride quando Midorima gli lancia una maglietta pulita che ha
recuperato: «Ma tu eri solo teso e infastidito. A volte sono più… scocciati? O proprio degli stronzi. Ogni tanto capita.»
ammette e Shintarou sente il suo sguardo sulla propria nuca; guadagna qualche
altro istante cercando per lui dei pantaloni e poi richiude l’anta una seconda
volta e si gira. Takao lo sta guardando, ancora senza maglietta, le braccia di
nuovo stese in avanti.
Rilassa le spalle, arrendendosi e inginocchiandosi davanti a lui per poterlo
aiutare a indossarla, solo che Takao si muove ancora più in avanti e le braccia
cingono le spalle di Midorima; c’è una sorpresa palese e genuina sul suo volto,
gli occhi verdi appena più sgranati e le labbra schiuse in procinto di chiedere
qualcosa.
«Io non vado a letto con i clienti.» pronuncia Takao, vicino ma ancora non così
tanto da farlo sentire a disagio. Semmai il vero problema è la capriola che ha
fatto il suo stomaco e il calore che avverte di botto all’altezza del collo e
in rapida risalita verso il resto del viso. Midorima tiene al suo spazio
vitale, eppure è come se il suo cervello non recepisse ancora quella scarsa distanza
come pericolosa o fastidiosa.
Takao gli sorride, gli occhi grigi puntati nei suoi: «Non è il mio lavoro. Non
lo farei, un lavoro così. E non mi interessava del goukon, stasera, ma se ti avessi
chiesto di uscire lo avresti fatto? Beh, in effetti dovevo anche un favore a
uno dei ragazzi che era lì— Shin-chan, ti ho mai
detto che quando sono brillo chiacchiero davvero un sacco?» dice divertito, e
Midorima vorrebbe dirgli che straparla sempre (rispetto a lui) e che comunque è
piuttosto palese visto che lo sta
facendo proprio adesso, ma si ritrova concentrato sul dettaglio del tutto
inutile delle sue mani che sudano e indugiano senza sapere cosa fare. Nello
stesso momento avverte le dita di Takao sfiorargli la base del collo e risalire
piano fino a solleticargli l’attaccatura dei capelli.
«Ci parlo. Ci vado a cena. Li accompagno a fare shopping, oppure al cinema, o
al parco— non li bacio, Shin-chan. Mai.»
Quell’ultima parola è un mormorio che si perde sulla sua bocca, quella di Takao
premuta contro la propria. Le sue labbra sono morbide, nonostante senta anche
che sono leggermente screpolate. Il bacio che gli sta dando non ha la foga di
quando si è incoscienti e schiavi degli alcolici, o mossi dalla troppa
eccitazione. È calmo, come se non facessero altro, come se tra loro l’intimità
fosse tale che quello diventa un gesto per mostrarsi solo quanto tengono l’uno
all’altro, e non per accendere il desiderio. C’è un lasso di tempo breve e
lungo al tempo stesso, in cui Midorima si sente rigido, immobile, incapace di
pensare e vittima di troppi istinti che cozzano l’uno contro l’altro
annullandosi a vicenda: il più forte gli grida dietro di allontanarlo e senza
nemmeno troppi riguardi, ma poi c’è una vocina flebile impegnata a sussurrargli
che non è così male, non è un peccato mortale lasciarsi andare, magari Takao è
solo— magari domani—
Non lo sa cosa succederà domani, ma riesce finalmente
a chiudere gli occhi e a rilassarsi appena; d’istinto schiude le labbra per
lasciar andare un sospiro e l’agitazione con esso, ma quello comporta sentire
la punta della lingua di Takao disegnare le sue labbra quasi fosse un gioco e
un modo divertente di prenderlo in giro senza dove parlare. Midorima mugugna
qualcosa che potrebbe diventare una lamentela o un rimprovero se le dita di
Takao non si insinuassero fra i suoi capelli e la lingua non si intrufolasse
nella sua bocca, sfiorando la sua con intenzioni precise.
Shintarou ha già baciato, in quel modo, o forse dovrebbe dire che è stato baciato ma la sensazione in
questo caso è del tutto diversa mentre le proprie mani si posano incerte sui
fianchi di Takao e poi lo stringono appena, senza sapere se voglia davvero
premere il suo corpo contro il proprio o no.
Teme quello che sta succedendo, ma è piacevole e la bocca di Takao è calda e il
mugolio che gli sente riversare nel bacio è— perché Takao lo sta baciando?
Non lo sa, perché dopo un tempo che sembra essersi dilatato all’infinito pur
senza essere durato più di un minuto lui è fuori dall’appartamento dell’altro e
cammina a passo spedito, incurante del cappotto aperto che rimpiangerà
quando si sentirà congelare.
Al momento però pensa solo che vorrebbe urlare al proprio corpo di smettere di
bruciare, di fare come se lo avesse strappato alla propria metà.
Maledizione.
Nella maggior parte delle cose che fa, Shintarou è perfettamente in grado di
capire se siano sensate o meno, se porteranno qualcosa di buono in futuro o no;
non lo considera tanto un essere calcolatore nei confronti delle cose o delle
persone, quanto più una capacità di analisi che gli ha (quasi) sempre impedito
di fare sciocchezze che avessero conseguenze catastrofiche. Ora come ora, gli
occhi verdi fermi sulla figura di fronte a sé e soprattutto sull’espressione a
dir poco allucinata che ha gli suggeriscono quanto, forse, la sua decisione di
chiedere a un esperto in materia – dove per “esperto” lui intendeva più che
altro qualcuno con un’esperienza simile – non sia stata delle più brillanti di
questi mesi. A sua discolpa, suggerisce una fastidiosa voce nella sua testa,
nell’ultimo periodo non fa niente di molto intelligente, a quanto pare.
Kise lo sta guardando come se lo vedesse per la prima volta, e non si tratta
del posare gli occhi su una figura sconosciuta che abbaglia chi osserva, quanto
più alla faccia che Kise ha fatto una volta al liceo quando gli hanno messo di
fronte dei vermi; forse è solo meno schifata, ma ogni cellula del suo corpo
sembra urlare che non crede a quel che ha appena sentito. Shintarou ne è
abbastanza irritato, a dire la verità, forse perché si aspettava un po’ più di… beh, qualcosa.
«Fammi capire, Midorimacchi,» tenta di dare un ordine a quanto gli è stato
appena riferito, e l’incredulità gliela si legge negli occhi «tu hai conosciuto
questo…»
«Takao.»
«Takao-kun, sì, perché Hayama-san—»
«Sì, vai oltre.»
«E lui è alla tua università, avete lavorato insieme e poi è successo che a
questo goukon
ti ha—»
«Devi proprio riassumermi tutta la storia?» taglia corto Midorima, fissandolo
seccato. È già tutto molto imbarazzante senza bisogno di sentire cose che sa
già perché le ha vissute. Kise sembra
indeciso tra l’imbronciarsi per essere stato interrotto di nuovo o il sorridere
per qualcosa che di certo sta travisando per colpa di quella vena un po’ shoujo manga che probabilmente deve alle sue
due sorelle – pessime influenze, non c’è dubbio. Alla fine l’altro sospira e
scuote appena la testa, per poi studiarlo qualche istante con gli occhi castani
senza quasi battere ciglio. Infine decide di occupare il silenzio prima
prendendo la bustina di zucchero e vuotandola nella propria tazza di caffè, poi
aggiungendo un poco di latte dal piccolo bricco messo a disposizione dal bar in
cui sono e infine iniziando a girare il tutto con il cucchiaino; questo
tintinna contro il bordo della tazzina e Ryouta alza lo sguardo su di lui,
quando decide di parlare: «È tutto ok?» chiede, e Midorima comprende alla
perfezione quali altre domande si nascondano dietro le poche parole pronunciate
dall’altro. Si tratta di una sequenza fatta di “sei turbato dall’essere stato baciato da un ragazzo?”, “Sei confuso perché non stai soltanto
rinnegando l’accaduto?”, “Ti senti a
disagio perché ne stai parlando con me?” a cui Kise non dà voce per una
sorta di personale delicatezza.
Shintarou vorrebbe dirgli che sì, è turbato per il bacio ma non per la persona,
che è confuso perché lui e le relazioni interpersonali non implicano mai un
tale grado di intimità e che sì, è molto a disagio perché per tre anni di liceo
Kise non è mai stato l’amico con cui confidarsi e non avrebbe mai voluto
iniziare ora; perché è troppo riservato, Shintarou, abituato al fare dei propri
segreti e delle proprie vicissitudini qualcosa su cui nessuno può o riesce a
posare lo sguardo, a mettere bocca. Dare quell’opportunità di sua sponte lo
destabilizza e al tempo stesso sa che non potrebbe essere nessun altro oltre
Kise: se con Ryouta deve solo spiegare di essere meno stitico dal punto di
vista sentimentale di quanto chiunque lo conosca possa pensare, avere un altro
al suo posto significherebbe dare spiegazioni sull’aspetto omosessuale della
sua vita e no, Shintarou quello non ha intenzione di farlo né ora né mai.
Alla fine non gli dice niente di ciò che gli passa per la testa, ma qualcosa
che può riassumere tutto; non si preoccupa di quanto somigli allo sganciare una
bomba senza preavviso: «Non è stata la prima volta.»
Kise ferma la mano con cui sta girando il cucchiaino e alza lo sguardo con una
lentezza quasi studiata, ma che in realtà è più tipica di chi fa fatica a
collegare quello che ha appena sentito a un concetto più preciso nella propria
testa, un po’ come quando non si è fluenti in una lingua e si afferrano solo
pezzi del discorso che si cerca di far combaciare alla meno peggio.
«Ti aveva già baciato?» tenta, il tono incerto.
«Non lui.»
«Ah—oh.»
Già. Oh. Vorrebbe scappare come ha fatto dall’appartamento di Takao, ma per sua
sfortuna Kise sarebbe capace di seguirlo o di tartassarlo di e-mail fino a
prenderlo per esasperazione. Inutile fare la fatica di correre.
«E com’è andata?»
Midorima ricambia il suo sguardo, quasi sembra che cerchi di indovinare quali
pensieri si agitino nella mente altrui, mentre passa in rassegna almeno dieci
modi diversi di rispondere a quella domanda. Il punto è che non sente nemmeno
sia giusto farlo, parlare di quelli che sono a conti fatti affari privati anche
di un’altra persona e non solo i suoi. Cerca di scegliere il modo migliore per
parlare di come al liceo siano successe molte più cose di quanto il loro gruppo
abbia mai saputo, di quante ne siano state mostrate in superficie, lasciate
alla portata di chiunque. Si chiede che espressione farebbe Kise se gli
rivelasse di aver sempre saputo di lui e della sua cotta per Kasamatsu prima
che l’altro facesse coming out, di come avesse notato gli sguardi,
di come si fosse chiesto come sarebbe andata a finire e in cuor suo – una
piccola, piccola parte di lui – avesse sperato per Ryouta, forse perché non gli
riusciva di sperare per se stesso.
«Era diverso da te e Kasamatsu.» dice infine, più sulla difensiva di quanto
fosse nelle sue intenzioni, ma Kise abbozza un sorriso «Questo mi pare abbastanza
ovvio, Midorimacchi. Altrimenti non saresti single, suppongo.»
«Eravamo dei ragazzini.» giustifica Shintarou, portando lo sguardo sul caffè
che ha ordinato per sé e che con ogni probabilità ormai è tiepido. Ne sorseggia
un poco, e per diverso tempo c’è solo il silenzio tra loro, due sconosciuti
seduti per caso allo stesso tavolo. È Ryouta a rompere quella fase di stallo, e
lo fa parlando con voce morbida, come potrebbe fare con un bambino; peccato che
abbiano entrambi ventun’anni ormai.
«Quindi… era Akashicchi?»
lo domanda a bruciapelo e Midorima si sente gelare sul posto; non riesce a
nascondere la propria reazione, a impedirsi di alzare lo sguardo repentinamente
sul giovane di fronte a lui e a sgranare gli occhi, incredulo. Kise alza
entrambe le mani in segno di resa, forse per bilanciare il panico palese
nell’espressione di Shintarou: «Non credo lo abbia notato nessun’altro,» lo
rassicura «ma ero davvero ipersensibile alle persone che avevo intorno, in quel
periodo. Continuavo a cercare qualcosa che mi suggerisse quanto fosse facile
capire cosa piacesse o chi piacesse
agli altri, per avere un’idea di cosa gli altri percepissero guardando me.»
Midorima tace, assimila quanto gli viene detto e anche se di cose nella sua
testa ce ne sono a bizzeffe non dà voce nemmeno a una di esse. Così venti
minuti dopo lui e Kise si trovano fuori dalla porta, il conto diviso a metà, pronti
ad andare ognuno per la propria strada e Ryouta porta entrambe le mani in
tasca, guardandolo come se fossero tornati a essere due ragazzini: «Midorimacchi,
andrà bene in qualche modo.» assicura neanche fosse l’unica verità al mondo;
Shintarou si chiede quante volte Kise se lo sia ripetuto da solo, in passato,
prima di avere Kasamatsu al suo fianco «Comunque il mio numero lo hai.»
aggiunge, rinunciando al calore della tasca dei propri pantaloni per dargli una
pacca amichevole sulla spalla e rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
Midorima annuisce appena, un cenno rigido, prima di iniziare a muoversi.
«Ah, Midorimacchi.» lo richiama l’altro, facendolo voltare in sua direzione: «Non
sono la stessa persona. Quindi non è detto che debba finire nello stesso modo,
comunque sia andata prima.»
Shintarou rimane a osservarlo mentre si allontana, le parole che gli rimbombano
nella testa anche quando Kise sparisce oltre un passaggio pedonale e non è più
in vista. Akashi e Takao non sono la stessa persona: suona come un consiglio
talmente stupido – visto che è evidente
come siano due individui distinti – che Midorima vorrebbe maledire Kise o
mandargli un’e-mail come è successo una volta al liceo, scrivendogli “muori”. Ma non lo fa, perché nella
banalità delle parole altrui c’è un fondo di verità di cui solo Shintarou può
essere davvero cosciente.
Se lo ricorda, il periodo del liceo: non fatica a riportare alla mente la prima
volta che Akashi lo ha baciato, per esempio, entrambi rimasti indietro per
occuparsi di compilare il registro di classe alla fine delle lezioni. Era una
delle tante volte in cui era capitato di trattenersi per una partita a shogi
approfittando dell’aula vuota grazie alle attività del club che occupavano i
loro compagni, o perché di turno sulla compilazione del registro, e Akashi
aveva preso posto al banco dietro quello dove sedeva lui. Così Shintarou si era
voltato e lo aveva aiutato, chinandosi appena in avanti; Akashi era la persona
con cui riusciva ad andare più d’accordo, quella con cui aveva più cose in
comune o forse era solo un’indole discreta ad avvicinarli. Non aveva mai
pensato a lui in un modo particolare, eppure Seijuurou doveva aver colto
qualcosa o notato il modo in cui a volte finivano con il guardarsi senza quasi accorgersene,
ma gli aveva rivolto parole che Shintarou non ricordava e pronunciate con il
tono divertito di chi è pienamente cosciente di ciò che dice e vede, e poi si
era chinato a sua volta. Midorima aveva sentito le labbra di Akashi –
leggermente secche, ma morbide – sulle proprie e una sua mano scivolare dietro
la sua nuca, le dita insinuarsi tra i capelli sottili; nei gesti di Akashi
c’era stata una naturalezza quasi spaventosa, e dopo quel bacio ce ne erano
stati altri, c’erano state persino uscite, tempo passato insieme. Shintarou non
ha mai saputo cosa fossero, nessuno di loro due lo ha mai definito e dopo il
liceo era sembrato normale allontanarsi, seguire strade diverse; vedersi poco e
nulla a causa della distanza aveva aiutato, eppure Midorima non aveva potuto
fare a meno di chiedersi se non avesse sbagliato, se non sarebbe stato meglio
parlare apertamente con Akashi e recuperare tutte quelle cose che non avevano
mai chiarito in quasi tre anni.
Come tutto ciò che non si ha il coraggio di affrontare nel momento in cui
accade, Midorima era rimasto senza risposte e forse aveva inconsapevolmente
deciso che fosse più semplice evitare un’implicazione con un’altra persona
piuttosto che instaurare un rapporto e poi dividersi senza nemmeno sapere mai
che nome avesse quella relazione.
Scappare appariva sempre come la cosa più facile. Ritrovare la strada per
tornare sui propri passi sembrava impossibile.
Midorima sa che non c’è nulla di cui vantarsi nel comportamento assunto nei
confronti di Takao nell’ultima settimana e nonostante le parole di Ryouta
tornino a farsi sentire quando meno se le aspetta, queste non bastano a
convincerlo né di stare facendo la cosa giusta, né di star compiendo un errore
grossolano. Così lascia che ogni giorno si susseguano le stesse attività, come
prima del periodo in cui l’altro è arrivato a dare una mano in laboratorio. Sa
che ci sono giorni in cui è passato, e non è stato voluto il non farsi trovare
– non sempre, almeno – ma non può fare a meno di credere che forse sia meglio
così; gli riesce difficile solo quando pensa all’ultimo incontro con gli amici
del liceo, alle rimpatriate in cui rivede anche Akashi quando quest’ultimo
riesce a unirsi a loro nonostante la lontananza.
Sono così diversi, e forse è per quello che rifugge Kazunari: con Akashi era
stato più facile. Forse con lui si aspettava già di non poter andare avanti,
troppo oltre.
Magari dovrebbe solo smettere di pensare.
«Shin-chan.»
Non è un tono divertito quello che lo chiama, né c’è una sfumatura quasi
cantilenata come nei giorni in cui hanno passato la maggior parte del tempo
insieme. Il nome con cui Takao gli si rivolge probabilmente è un estremo
tentativo di non darsi l’aria di qualcuno in vena di litigi e discussioni, per
quanto il suo cipiglio severo e le sopracciglia aggrottate in un’espressione sconosciuta
al suo viso lascerebbero presagire come quello stesso nomignolo non sia nemmeno
la rassicurazione che va tutto bene, se Shintarou le vedesse. Vorrebbe
ignorarlo, Midorima, perché lo sente nella voce altrui: voltarsi e dargli modo
di spiegarsi porterebbe quasi di sicuro a un confronto che non vuole avere, di
cui nessuno dei due ha bisogno – almeno dal suo punto di vista, che è conscio
essere alimentato dal solo egoismo e dal tentativo di non lasciar avvicinare
nulla che mini alla propria stabilità. Midorima vorrebbe fingere di non averlo
sentito, ma al tempo stesso capisce quasi subito che è impossibile.
D’altra parte, la mano di Takao che si posa sulla sua spalla lascia poco spazio
al fraintendimento.
«Potresti smettere di evitarmi?» lo incalza, a bruciapelo. Shintarou si era
aspettato qualcosa sulla falsa riga di “dobbiamo parlare”, molto più simile a
un film da quattro soldi che alla realtà forse, ma più in linea con l’idea
generale che ha su come vadano queste cose. Invece si ritrova gli occhi di
Takao puntati nei propri senza alcuna esitazione e questo lo ferma sul posto,
lo rende incapace per qualche attimo di reagire con tempestività; quella
piccola incertezza gli costa più di quanto si renda conto all’inizio.
Kazunari lancia un’occhiata al corridoio, soppesando la presenza di altri
studenti nello stesso: l’orario non concede loro molta compagnia, visto che in
pochi si trattengono tanto quanto Shintarou – forse solo i laureandi in fase di
preparazione della tesi – ma Takao opta comunque per lo spostarsi da lì,
attento e discreto come Shintarou non lo avrebbe mai pensato. Potrebbe
allontanare la mano che scende ad afferrare il suo polso per guidarlo fuori
dall’edificio e, al tempo stesso, assicurarsi che lui non scappi. Potrebbe ma
non lo fa, e vorrebbe avere modo di interrogarsi sul perché, ma ci vuole poco
perché si trovino fuori dal cancello dell’università, per strada, e poi per vie
che Midorima non riconosce del tutto e infine in una di quelle secondarie dove
è certo di non essere entrato mai. Si ritrova ad abbassare lo sguardo quando si
accorge di essere circondato da love
hotel e un principio di panico lo colpisce così forte che sente quasi la
nausea annidarsi da qualche parte nel suo stomaco. Con suo sollievo, la soglia
che varcano non è quella di uno degli edifici tutti simili e fin troppo
appariscenti, ma quella di uno che somiglia a un bar; Midorima non fa in tempo
a leggerne l’insegna, in compenso sente lo scampanellio quando la porta viene
aperta senza troppi complimenti da Takao. La prima cosa che i suoi occhi
registrano è la presenza di qualcuno a una sorta di reception sulla sinistra, e
subito dopo una serie di voci che si susseguono in saluti più o meno simili
rivolti al giovane che lo trascina senza spiegazioni da quasi venti minuti – “Kacchan”, “Kazu-kun”, “Takao-senpai”
sono solo alcuni dei modi in cui gli si rivolgono ragazzi loro coetanei o anche
più giovani, qualcuno più grande almeno all’apparenza.
Takao sciorina qualcosa all’indirizzo dell’uomo che si occupa dell’accoglienza,
parole che Midorima non riesce ad afferrare nella loro totalità: un saluto, un «posso
usare lo spogliatoio?» e lui non ha nemmeno il tempo di capire cosa gli venga
risposto, perché stanno già voltando un angolo, immettendosi in un corridoio
per fermarsi poco prima di una porta. Succede perché Shintarou punta i piedi,
una cosa che avrebbe dovuto fare appena usciti dal cancello della facoltà, in
effetti: il fiato un po’ corto, visto che Takao ha camminato velocemente
neanche avesse un inseguitore alle spalle, e lo guarda seccato, confuso,
irritato persino.
Apre bocca per dirgli di smetterla di trascinarlo qua e là come se fosse un
ragazzino, ma Takao spinge la porta verso l’interno del famigerato spogliatoio
e si fa di lato rivolgendogli un chiaro invito a entrare per primo; Shintarou
richiude la bocca, stringendo appena la mano sulla tracolla che ha continuato a
sbatacchiargli lungo il fianco per tutto il tragitto.
«Trascinarmi era necessario?» fa presente, il tono che non maschera affatto
quanto poco abbia gradito – e quanto poco apprezzi la porta che si richiude
dopo il loro ingresso, nemmeno lo avessero appena chiuso in trappola. Per
quanto è quella la sensazione: non può scappare come ha fatto da quando è
successo quel che è successo.
«Dimmelo tu. Sono giorni che cerco di parlare con te senza doverti trascinare
da nessuna parte, ma continui a scappare come se dovessi estorcerti del denaro.»
ribatte Takao, le braccia incrociate al petto e lo sguardo che lo studia.
Midorima non può dire di non meritarsi quella che somiglia a una ramanzina e al
tempo stesso a uno sfogo personale; glielo deve, si dice. Può rimanere ad
ascoltare, chiarire lo stretto indispensabile.
«Potresti non utilizzare la tecnica del silenzio con me, Shin-chan?
Non ti ho portato qui per parlare da solo.»
«Cosa vuoi che ti dica?» sa di non avere il diritto di sentirsi offeso, ma
l’orgoglio parla prima di lui, parla per
lui e non importa quanto si morda la lingua l’istante dopo aver pronunciato
quella domanda, Takao sta già avanzando, sta già invadendo il suo spazio
vitale; le sue mani sono le sue spalle, il peso in avanti, il viso vicino e gli
occhi lo giudicano e lo pregano, e Shintarou non è sicuro che ci siano davvero
entrambe le cose lì a farlo sentire una persona orrenda. Scrive “muori” per e-mail a Kise, e poi mandare
al diavolo Takao di persona sembra la cosa più difficile del mondo. Ha lasciato
scivolare via un rapporto di quasi tre anni come se non fosse niente di che,
una semplice dimenticanza di cui ci si ricorda troppo tardi, e poi il pensiero
di dire a Takao che non vuole vederlo né sentirlo mai più sembra assurdo
abbastanza da non avere forma precisa neanche nella sua testa, figurarsi se è
esprimibile a parole.
«Voglio tu mi dica perché non merito nemmeno un “no”.» ribatte, senza curarsi
cosa distragga tanto l’altro, come se non lo vedesse – eppure Shintarou è certo
Takao se ne sia accorto eccome: «Perché ti ho baciato, e ho chiarito da subito
che non era perché avevo bevuto così tanto da non sapere chi avessi davanti o
perché lo consideravo un lavoro. E tu hai risposto al bacio, e non lo so se di
solito baci le persone come capita—»
«Perché non mi conosci.»
«Perché non me lo hai permesso!» sovrasta la sua frase, alzando il tono della
voce «Non parli di te e non so quale sia il tuo problema, ma vorrei che me lo facessi capire, anziché continuare a
scappare. Cos’hai, dodici anni?!»
Si guardano e Midorima sa di non potergli dare torto, in fondo, come sa che non
avrebbe mai voluto parlare di quanto accaduto tra loro con Kise, se il prezzo
da pagare è sentire la sua ammonizione nella testa ogni volta che parla di
Takao o pensa a quello che è successo, o ce l’ha di fronte come ora. Kazunari è
visibilmente frustrato, il sorriso che Shintarou pensava non sparisse mai dalle
labbra dell’altro è una linea ferma e dritta. Non sa perché la cosa lo colpisca
tanto, perché il suo primo pensiero sia che non è quella l’espressione giusta
per lui.
«Mi hai incontrato solo perché Hayama-senpai non è in
grado di farsi gli affari propri.» mormora, incerto su come gestire la
situazione. È chiaro che non sia un modo per sottolineare un’occasione per
conoscersi giusta o sbagliata, neanche avesse un ideale da rispettare per poter
prendere in considerazione l’idea di frequentare qualcuno; non avrebbe meno
remore se anziché presentarsi come fidanzato in affitto Takao gli avesse detto
di essere il cugino di Hayama. Il punto è che incontrandosi in università
sarebbe stato più naturale, più casuale – Midorima non sa se il problema sia
davvero pensare alla possibilità che il loro rapporto non sia nato che per
costrizione a condividere gli spazi, come quello che ha già avuto e mal
gestito. Non è più in grado di scindere una scusa da una verità.
Takao si gonfia, ma non nel modo in cui lo si fa per orgoglio, più come se
fosse pieno di parole e queste si calpestassero l’un l’altra per poter uscire
per prime; poi si affloscia, all’improvviso, e quando torna dritto e con il
petto in fuori la sua espressione è nuova, caparbia: «Ho iniziato l’università
più tardi perché non sapevo cosa volevo fare, non sentivo di eccellere in
granché, solo di essere abbastanza bravo in un sacco di cose.» inizia, e
Midorima sbatte le palpebre un paio di volte, perché cogliere il nesso è
pressoché impossibile «Lavoro qui da un anno, ma ho anche un secondo lavoro che
mi occupa con dei turni infernali e ho faticato a incastrarli, ma volevo
assolutamente mantenermi da solo, così in qualche modo ci sono riuscito.»
continua, e a Shintarou ricorda una scena di qualche drama
in tv visto di sfuggita dove uno dei protagonisti elenca tutto ciò che ha fatto
per l’altra o viceversa, in una sorta di dichiarazione originale che dovrebbe
prendere il cuore degli ascoltatori come se loro stessi fossero oggetto di un
tale amore. Takao sembra più alla disperata ricerca della cosa giusta da dire,
pronunciandole tutte nel dubbio di non azzeccare la frase vincente.
«Ho chiesto a Miyaji-senpai di farmi partecipare all’iniziativa per il
laboratorio e mi è costato non solo pagargli il pranzo, ma anche lasciare che
mi chiamasse come preferiva e da quel giorno gli unici momenti in cui non mi dà
del gay è quando siamo lì a lavorare— e sì, va bene, il fatto che mi piaccia un
ragazzo mi rende effettivamente un po’ gay ma Miyaji-senpai è un… insomma, è
Miyaji-senpai, dovresti avere pena per me Shin-chan,
non iniziare a evitarmi. Che ci posso fare se ti ho conosciuto quando Hayama-san mi ha contattato? Non è colpa mia. Anche io
avrei preferito non dirti come prima cosa “ciao, sono il tuo finto fidanzato
per una sera”! E quando finalmente riesco a dirtifgh—»
Midorima non è sicuro di essere stato delicato nel posargli una mano sulla
bocca per zittirlo con urgenza, ma ammette di non sentirsi una così brutta persona
al pensiero di avergli dato un colpo un pochino più forte del dovuto contro il
naso o qualcosa del genere. Quella di Takao è una dichiarazione così infantile,
pessima e contraria a qualsiasi guida romantica – se esistono, e non si
stupirebbe se così fosse – da risultare imbarazzante oltre ogni limite
consentito; e la cosa peggiore di cui Shintarou si rende conto mentre l’altro
bofonchia muovendo appena le labbra contro il suo palmo è che nonostante sia
pessimo, quell’ammasso di parole lo colpisce.
Sarebbe bello se lo lasciasse impassibile, sarebbe quasi preferibile poter dire
che lo disgusta, ma lo sguardo di Takao gli lascia presagire che il proprio
viso lasci vedere ben altro.
A malapena si rende conto delle mani di Takao che guidano la sua lontana dalla
propria bocca e dal sorriso quasi imbarazzato che gli incurva le labbra: «Shin-chan,» lo chiama a voce bassa, un accenno di risata
così lieve che Midorima non è sicuro ci sia davvero «la…
la punta delle tue orecchie.» pronuncia e stavolta lo sbuffo divertito c’è davvero; l’attimo dopo Kazunari sta
ridendo ma non è solo per la presa in giro ai suoi danni, lo intuisce da come
sente l’altro tremare leggermente senza lasciar andare la sua mano, e anzi
stringendola un poco di più.
«Smettila di ridere.»
«Shin-chan, ti ho messo in imbarazzo?»
«Ti chiudo nell’armadietto.»
«Awww, Shin-chan vuoi fare
le cosacce?»
«Tu—!»
Takao ride, e lo fa tirandolo appena verso di sé, finché i loro nasi non si
sfiorano; tuttavia non azzera del tutto la distanza fra loro, non gli impedisce
di scegliere come è stato nel suo appartamento: si ferma, lo guarda, incurva le
labbra in un sorriso dall’inclinazione furba. Mormora qualcosa a proposito
della possibilità che ha Shintarou di scostarsi nella prossima manciata di
secondi.
Midorima non ricambia il suo sguardo – la sua scusa sarà che, con gli occhiali,
gli risulta fastidioso – e nella sua mente non c’è Akashi, ma c’è ancora
l’incertezza. Non sa cos’ha, con Takao, forse nulla a parte qualche scambio,
forse un rapporto più ambiguo di quanto entrambi vorrebbero, o magari è al
possibile inizio di qualcosa che un po’ rifiuta e un po’ vorrebbe ma che è
piuttosto impedito nell’accettare, coltivare, tenere al sicuro. Una mano di
Kazunari scende lungo il suo polso finché le dita non si intrecciano a quelle
di Shintarou e lui sa che se c’è una cosa di cui non può assolutamente fidarsi
è quella morsa allo stomaco che lo prende in quel momento, che lo ha fatto
quasi sussultare quando Takao lo ha baciato la prima volta; è puro istinto, e
Midorima non si è mai fidato di una
cosa tanto irrazionale.
Ma potrebbe andare, suppone. Visto che neanche pensare fino all’analisi del
dettaglio più piccolo ha mai dato grandi risultati, potrebbe cambiare
approccio.
Ci pensa seriamente, mentre stringe incerto la mano di Takao e posa le labbra
sulle sue.