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Autore: rosamond44    06/12/2015    1 recensioni
Al confine tra la nostra dimensione e un'altra di cui gli umani ignorano l'esistenza, vi è il Mondo Astrale. Un frammento di notte che ospita in un'accademia, la cui maestosità troneggia freddamente sulle limpide acque del Mirror Lake, creature del Giorno, della Notte e del Mondo di Mezzo.
E se una ragazza, per la quale il massimo di anormalità è una pioggia improvvisa in una giornata assolata, finisse catapultata tra le mura di quest'incredibile accademia? Nicole non sa cosa e come fare per tornare a casa, ma lo vuole ed è proprio ciò, che le da la forza necessaria per resistere alle assurde situazioni che continuamente le vengono incontro. Quella che dovrebbe rivelarsi un anormale vita scolastica potrebbe diventare qualcosa di più, e i piani e progetti iniziali di Nicole potrebbero cominciare a vacillare, sconvolgendo a più non posso la sua realtà e la sua visione del mondo, che si sa, non è mai ciò che sembra.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre i vetri appannati della finestra che dava sul Mirror's Lake, piccole stelle brillavano come gemme preziose incastonate nel manto blu notte dell'oscurità, specchiandosi sulle acque calme e profonde del lago. Ammirai gli intrecci che andavano a formarsi e con l'indice tracciai linee immaginarie, unendo le stelle e formando costellazioni, mie, del tutto inventate. Sospirai triste quando i ricordi della mia casa, la mia famiglia, la mia vecchia vita cominciarono ad invadermi il pensiero e, crudelmente, con prepotenza si insinuò nel mio animo riaffiorando in me la malinconia che mi accompagnava dall'arrivo all'accademia. Cominciai a trascinarmi svogliatamente su per le scale. Ero diretta al laboratorio di Remì. Da ormai tre giorni –se così si potevano chiamare- mi torturavano con lo stesso problema: la mia appartenenza a qualche razza. Quale fosse? Sinceramente, non ero così impaziente di scoprirlo. I miei piani erano ben diversi: volevo tornare a casa, alla mia vecchia vita; concentrarmi sui miei studi e prendere le redini della mia vita nelle mie mani. Avevo ormai diciott'anni, ero ormai libera di decidere della mia vita e responsabile di ciò. Ne ero consapevole, più che consapevole, ma questo, anche se mi spaventava, non mi avrebbe certo fermato. O almeno così sarebbe stato se non fossi finita qui. In un'altra dimensione. Assurdo.

Arrivai presto davanti alla porta e non tardai ad afferrare la maniglia ed aprire la porta. Varcai la soglia del laboratorio come un'automa, con lo sguardo vuoto, fisso nel nulla, immersa nei miei pensieri che allo stesso tempo non sentivo più miei, anzi che non sentivo più. Pensavo, ma non sapevo a cosa.

Vagai con lo sguardo in cerca di Remì in tutta la disastrosa e piccola stanza. Un flebile raggio di luna andava a posarsi sulle montagne di libri, illuminando la polvere alzatasi nell'aria. Lo guardai con aria assorta, trovando affascinante il modo in cui le piccole particelle di polvere libravano nell'aria, illuminatosi sospese tra luce ed oscurità. Chissà com'era poter volare? Sentii dei rumori. Qualcosa di pesante cadde sul pavimento, rialzando la polvere posatasi a terra, che prontamente mi invase le narici facendomi starnutire.

«Vivi in salute! È così che dicono gli umani?».

Remì fece capolino da dietro alle scartoffie malamente gettate sul pavimento.

«Più o meno», risposi avvicinandomi alla sua bassa figura seduta sul pavimento.

«Oddio, sei caduto?», gli chiesi aiutandolo ad alzarsi.

«No, tranquilla», il suo tono era vivace, non sembrava essersi fatto male « stavo solo cercando questo libro», mi porse senza esitazione un volume pesante e dalla coperta terra di Sienna.

La fodera in pelle del libro nuova, ben conservata custodiva e celava il contenuto, non presentando alcuna iscrizione. Lo aprii e l'odore di passato si insinuò nei miei polmoni costringendomi a schiudere le labbra in cerca di più ossigeno. Le pagine ingiallite tradivano l'aspetto di intoccabile che mostrava all'inizio, facendomi comprendere il valore di un tale libro. Era antico e sicuramente prezioso. Sfiorai la pagina ruvida con i polpastrelli, timorosa che si potesse disintegrare sotto il mio tocco. Carezzai gli esemplari di foglie secche; ciuffi d'erba; radici e petali di fiore gustandone la ruvidità causata dal tempo e il profumo fresco ed innaturale che sembrò avessero conservato. Poi i miei occhi si posarono sulle scritte: eleganti, ben marcati ed inclinati. I caratteri che mi parvero essere cirillici –per me incomprensibili- si fondevano con qualche carattere latino, che spiccavano qua e là. Diedi un'occhiata a qualche parola e, stranamente, riuscii a distinguere alcune parole: Ingredienti,radice ,pianta, bollire, mezzanotte, trasforma, sangue, capelli, occhio...

«...pozione», sussurrai con il cuore che galoppava in gola, per chissà quale ragione.

Immagini di volti demoniaci e riti proibiti presero vita nella mia mente, invadendola con prepotenza e rendendomi difficile riuscire a scacciarli. Tremante strinsi più forte il libro tra le mani, per paura che lo lasciassi cadere. Era strano, forse immaturo, ma il semplice leggere tali parole creava in me una strana sensazioni di inquietudine. Concentrai di nuovo tutta la mia attenzione sulle parole in alto della pagina che spiccavano per i caratteri più grandi. Pozione...aguzzai la vista cercando di leggere la parola seguente, ma mi fu molto difficile, non c'era alcuna lettera che avessi trovato nella precedente perché mi aiuti, così dovetti abbandonarla, per ora. ...trasforma... mezzanotte. A occhio e croce sarebbe dovuto essere pozione che trasforma, quel mezzanotte probabilmente indicava il tempo limite, ma non ne ero poi così sicura. Troppo fiabesco. Ma trasforma in cosa? Questo ero terribilmente curiosa ed allo stesso tempo restia di scoprire. Chiusi il libro con un tonfo restituendolo a Remì senza nemmeno guardarlo, ancora sconvolta.

«Hai letto quello che c'era scritto nel libro?», la voce di Remì era terribilmente tranquilla, pacata, senza alcuna nota di preoccupazione per -sicuramente- la mia espressione da cadavere. Che si aspettasse una mia reazione del genere?

«Io...», boccheggiai mettendomi una mano tra i capelli e indietreggiando di un passo.

«Sono serio Nicole», e lo era davvero, lo capii quando alzai il viso e lo guardai.

«Non conosco l'alfabeto nel quale sono scritte quelle parole», ammisi «sembra vagamente cirillico, ma c'è pure qualche lettera dalla grafia latina, ma sono veramente poche... non capisco, come ho fatto a leggere alcune parole, quando io...».

«Aspetta!», mi interruppe «hai letto solo qualche parola?», chiese pensieroso. Annuii.

«Che cosa vuol dire? Non sono analfabeta, ma sono abbastanza sana di mente per riconoscere le parole della mia lingua o quelle che studio».

«Che cosa vuol dire?», ripeté Remì sottovoce, ancora assorto dai suoi pensieri.

Strinse il volume al petto con fare protettivo e mi guardò negli occhi, esaminandomi. Allungò all'improvviso una mano verso i miei capelli e ne afferrò una ciocca. La strinse delicatamente tra le dita e la tirò, senza farmi male, davanti ai nostri occhi.

«Hai sempre avuto i capelli rossi?», chiese continuando a fissarli.

Aggrottai le sopracciglia. Sperai vivamente che non fosse un'altro che pensasse li avessi tinti.

«Da quando ne ho memoria», risposi.

Lui sorrise melancolico e lasciò andare i miei capelli.

«Quanti ricordi!», chinò il capo guardando il libro stretto tra le sue braccia.

Lo guardai ancora più confusa di prima. Che stava farneticando?

«Allora Remì», tornai al discorso di prima «in che lingua è stato scritto quel libro?».

Lui alzò il viso e mi guardò comprensivo. «Nella nostra».

***

L'androne che ci accolse era riccamente decorato. Le pareti dorate e raffiguranti scene di creature, che fino ad una settimana fa avrei considerato mitologiche, ci accolsero solari e ricche di tempo trascorso. Bellissime sirene nuotavano nelle acque salmastre coperte solo di pelle e squame, i lunghi capelli che le sfioravano addirittura le pinne erano decorati con conchiglie e stelle marine, intrecciati con alghe. Piccole e giocose fate bagnate di polline e rugiada danzavano tra i fiori, volando allegre e spensierate come bambine, ma burlone all'inaspettato. Un grande e luminoso arcobaleno composto di tessere di vetro colorato lasciava filtrare la luce lunare, creando un mosaico di luce e fili di colori sospesi nell'aria. Le colonne corinzio sostenevano il peso di tale sfarzo, andandosi ad allineare e delineando il nostro passaggio, tenendoci a debita distanza dalle mura ricche di storia. Procedemmo silenziosamente verso un grande portone. Remì camminava a passi leggeri tenendo stretto tra le braccia il suo volume di pozioni. Io lo seguivo in silenzio, senza spiccicare parola, troppo intenta ad ammirare i volti delle fanciulle di bellezza botticelliana; i paesaggi così realistici e le scene così magiche ma così reali.

Arrivammo in breve dinanzi alla porta e Remì non tardò ad aprirla. Una stanza grande, grandissima ci accolse tra le sue braccia colme di cultura. Non avevo mai visto una biblioteca simile, così grande, così ordinata, così accogliente. La stanza era sommersa nell'oscurità, illuminandosi però subito non appena feci un passo in avanti. Le candele erano poste ad ogni angolo: sui tavoli, vicino ad ogni ripiano degli scaffali, sulle scale che portavano ai piani superiori. Arazzi rossi e finemente decorati in fili dorati ornavano le mura spoglie, spettatrici dei giochi di ombre createsi al nostro passaggio. L'avrei definita un'atmosfera quasi romantica, peccato che non avevo nessuno con cui condividerla. Inspirai a pieni polmoni l'odore delle avventure fantastiche racchiuse tra le pagine di tutti quei libri, e mi liberai un po' dai pensieri pessimisti che gravavano come macigni sulla mia povera pace interiore. Senza ulteriore indugio Remì si avvicinò ad uno de scaffali e prese un volume piuttosto corposo.

«Siediti, per favore», mi disse sfogliandolo velocemente.

Mi sedetti senza proferire parola e lo fissai in silenzio in attesa che si muovesse lui. Ma non ci riuscii per molto, la mia curiosità era insaziabile.

«A cosa ti riferivi prima, quando hai affermato quanti ricordi?».

«A cosa mi riferivo?», domandò confuso alzando la testa sforzandosi a ricordare.

Tuttavia mi sentii offesa, stava insultando la mia intelligenza. Faceva il finto tonto ne ero sicura, più che sicura.

«Ti riferivi forse ai miei capelli?».

«Abbi per favore pazienza, ti spiegherò presto tutto», disse supplichevole sedendosi al mio fianco.

Voltava pagina dopo pagina in una ricerca rapida e attenta. Poneva l'indice sulle fitte righe del testo, percorrendolo con occhi esperti di chi ne conosceva bene il contenuto. Guardai la sua espressione corrucciata, cercando di non pensare alle parole che mi avrebbe detto di lì a poco. Poggiai il gomito sul tavolo e svogliatamente reggei il capo sul palmo continuando a fissarlo. Chissà a quale razza apparteneva? Il villaggio dal quale proveniva era piccolo e –anche se sembrava un po' primitivo- sembrava accogliente e la popolazione era allegra e spensierata.

«Ecco», borbottò porgendomi il libro «leggi qui», mi indicò dove «a voce alta per favore».

Presi il libro e mi schiarii la voce.

 

«Un giorno Diana disse a sua figlia Arcadia:

È vero che tu sei uno spirito,

Ma sei nata per essere ancora mortale,

E tu devi andare

Sulla Terra a fare da maestra

A donne e uomini che avranno

Volontà d'imparare la tua scuola

Che sarà fatta di stregoneria.

Non devi essere come figlia di Caino

E della razza di quelli che son divenuti

Scellerati e infami a causa dei maltratamenti

Come Giudei e Zingari

Tutti ladri e briganti,

Tu non diventerai...

Tu sarai (sempre) la prima strega». (1)

Lessi il fragmento che Remì mi aveva mostrato con un'iniziale indifferenza, ma man mano che procedevo con la lettura verso dopo verso, non potei fare a meno di riempirmi la testa di quesiti. Il cipiglio sul mio volto fece sicuramente trasparire il mio stato confuso. I versi racchiudevano un significato ben chiaro e comprensibile, eppure io cercai di scacciarlo, non volevo che fosse vero. Il viaggio nel ricordo di Remì, il riferimento che fece ai miei capelli rossi, la scritta pozione, strega, il libro di pozioni e il continuo sperimentare di Remì nel suo laboratorio per ancora –a me- sconosciuti motivi, mi fecero balenare in mente un'idea assurda. Strega. Remì non pensava mica che io fossi... una strega, vero?

Alzai il mio sguardo interrogativo, confuso e in cerca di –da troppo tempo attese- spiegazioni e aspettai che chiarisse, ma evidentemente pur essendo una creatura sovrannaturale, non leggeva nel pensiero.

«Cosa significa questo?», gli chiesi freddamente poggiando il libro sul tavolo e chiudendolo.

Fu allora che notai, sulla coperta del libro era scritto a caratteri cubitali: Storia delle Streghe, Stregoni e Stregoneria. Guardai Remì ancora più esigente di chiarimenti.

«Cosa non capisci?», chiese lui con altrettanto atteggiamento.

Liberai una breve e leggera risatina isterica.

«Non penserai davvero che io sia una strega?».

«Sarò sincero, non ne sono del tutto sicuro», confessò «dopotutto, non sono ancora riuscito a leggere la tua anima».

La sua affermazione mi ricordò l'accaduto meglio e un leggero senso di colpa riaffiorò in me, sopratutto per le parole di Luke. Sicuramente mi aveva rinfrescato la memoria intenzionalmente, ma era più che lecito che gli rivolgessi le mie più sentite scuse.

«Scusa», sussurrai sinceramente mortificata «per colpa mia quella volta hai rischiato grosso».

Lui rizzò a sedere guardandomi confuso. Inarcai un sopracciglio non comprendendo la sua reazione.

«Ma cosa ti ha fatto pensare che fosse così grave?», chiese lui sbigottito. «Sono semplicemente svenuto per lo sforzo. Ero molto stanco e come se non bastasse la tua aura è impenetrabile», disse massaggiandosi il mento pensieroso.

«Perché?», gli domandai appuntandomi di mandare al diavolo Luke, mi aveva fatto prendere un accidenti con le sue parole.

«Non so spiegartelo», confessò guardandomi serio in volto «ma sospetto che i tuoi poteri siano bloccati».

«Che intendi?».

«Hai già diciotto anni, vero?».

«Certo», risposi capendoci sempre meno di dove volesse andare a parare «ma questo che importanza ha?».

«Se fossi una strega, a questo punto saresti in grado di controllare i tuoi poteri, almeno in parte».

«Allora non lo sono».

«Non ci metterei la mano sul fuoco, ho appena detto che potrebbero essere stati bloccati».

«E come sarebbe possibile?», sgranai gli occhi.

«Con un sigillo», rispose come se fosse assolutamente scontato che io lo sapessi.

«È assurdo! Chi vorrebbe mai bloccare i poteri di qualcuno che nemmeno li ha?», chiesi con un sorriso isterico sulle labbra.

«Qualcuno che non voleva che tu li sviluppassi».

Sbuffai appoggiandomi allo schienale della sedia. Quel discorso mi sfiniva.

«Cosa ti fa pensare che io sia una strega?», ritornai all'attacco.

«Il colore dei tuoi capelli...», cominciò a dire, ma io lo interruppi.

«Questo non è un po' troppo... medievale», chiesi cercando di ironizzare.

Ma non funzionò a smaltire la tensione e mi ritrovai a ridere da sola come una stupida. Che figuraccia.

«Sarà, ma sappi che le streghe, essendo mortali, sono sempre vissute sulla Terra, l'hai letto pure nel breve testo di prima. Tra l'altro questo è tratto da un libro sulle streghe realmente esistito nel mondo degli umani, scritto da un uomo».

«E i capelli rossi?».

«Streghe e stregoni hanno una trasformazione visibile anche fisicamente, chiamiamola pure una specie di... pubertà. Ogni strega ha un suo potere personale di grandissima forza che coltiva e fortifica sin da piccolo, le alte arti si apprendono. Con l'acquisire dell'esperienza diveniamo un tutt'uno con la nostra stessa forza, che dobbiamo controllare e usare nel bene e contrastare il male. Non bisogna assolutamente deviare il corso del bene in favore della forza oscura. Colui che pratica la magia nera è destinato a divenirne succube, schiavo di se stesso, della sua stessa sete implacabile di male e di potere, che alla fin fine gli si ritorcerà contro. Ma finché non si diventa Sciamani, le ordinarie streghe e stregoni dimostrano di essere allievi della vita coi loro capelli. Rossi, come il sangue di drago che scorre nelle nostre vene».

Trattenni il fiato nell'ascoltare le sue parole, infuocate di ammirazione per il proprio essere e colme di orgoglio. Ne rimasi incantata, le parole di Remì avevano fluito solenni dalle sue labbra, mentre con la mano sul cuore aveva lasciato che tutto il suo orgoglio per le proprie capacità, la soddisfazione di sé stesso trasparisse appieno e lui poteva, ne aveva motivo. Infatti aveva folti capelli che gli coprivano il capo, grande motivo di vanto, dopotutto i capelli cambiavano colore quando streghe e stregoni dimostravano di essere all'altezza di controllare i loro poteri e loro stessi. Però, perché Remì si ostinava a credere che io fossi come lui? Il colore dei capelli non era certo una prova sufficiente affinché decretasse tale verdetto.

«Perché sei così sicuro che io sia una strega?».

«Non lo sono infatti, dobbiamo ancora dimostrarlo», rispose lui tranquillo.

«E come?», sbuffai «Spero vivamente tu non abbia intenzione di gettarmi in un lago con un macigno legato alla caviglia», ironizzai.

Lui rise. «Questa è stata una delle mosse più stupide degli umani. In realtà loro uccidevano i loro simili, mai una vera strega è stata catturata da loro, o se fosse successo, abilmente sarebbe scappata», si rattristò «come potevano fare cose del genere? Mai vedrai da noi commettersi simili atrocità, i propri fratelli e sorelle sono intoccabili».

«Chi è Arcadia?», gli chiesi dopo un attimo di silenzio.

«È stata la prima strega ad andare sulla Terra e anche la prima a nascere».

«Ho capito», risposi esausta guardandomi intorno, non mi interessava sapere altro su questa donna. «Sei molto informato sulla storia del tuo popolo».

«Certo!», esclamò con enfasi gonfiando il petto orgoglioso «sono molto fiero di quello che sono e di quello che il mio popolo rappresenta, penso sia più che naturale che io conosca al meglio la nostra storia, per te non è forse così».

«Non esattamente», alzai una spalla «l'uomo ha commesso atti atroci di cui non credo si possa andre fieri», gli dissi per evitare di confessare che era una noia studiare tutta quella storia di cui non ero molto interessato. La biologia aveva più attrattiva.

Sospirai e mi alzai in piedi. Avevo un assoluto bisogno di sprofondare tra le fresche e profumate coperte della coperta del mio letto, l'unico posto dove mi sentivo meglio in quest'accademia.

«Dove stai andando?», chiese Remì seguendo con lo sguardo ogni mio movimento.

«Ho bisogno di una boccata d'aria fresca», gli dissi «e di riflettere su questa storia».

«Capisco».

«'Notte Remì», lo salutai incamminandomi verso l'uscita.

«Nicole!», richiamò la mia attenzione facendomi voltare in sua direzione. «Mi credi?».

Sorrisi ricordando di aver già posto questa domanda a qualcuno, e gli risposi: «Ho altra scelta?».

 

(1) tratto da Arcadia, or the Gospel of the Witches- Charles Godfrey Leland

 

 

 

 

   
 
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