Serie TV > Da Vinci's Demons
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Autore: _armida    06/12/2015    3 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXIII: Sodomita, parte I
Alcuni giorni dopo...


"La famiglia de Medici è sempre stata mecenate degli artisti, in particolare..."
"Non. Osate. Mai. Più. Toccarmi."
L'urlo che arrivo alle orecchie di Clarice Orsini la costrinse ad interrompere a metà la frase ed ad alzare gli occhi verso l'alto, verso la cima dell'ampia scalinata di pregiato marmo bianco di Carrara: là, sul loggiato, vi erano due figure, un uomo vestito di nero ed una giovane donna. 
Lo sguardo di Clarice, allarmato, si spostò da loro alle personalità al suo fianco, per saggiarne le espressioni. Ma, dal volto dell'algida regina di Spagna e di quel bigotto frate che la seguiva ovunque, non trasparì alcuna emozione.
Alzò nuovamente la testa, incrociando per un attimo gli occhi con quelli celesti della sua più fedele collaboratrice: Elettra sembrava veramente un cerbiatto spaventato, in quel momento, con quelle due grandi lacrime che le rigavano il delicato viso di porcellana. 
La ragazza guardò l'ampio salone che si apriva proprio sotto di lei. Come ci era finita lì? C'erano delle persone che la osservavano, con gli occhi sgranati e le facce sorprese. Rinobbe Clarice. 
Mentre si asciugava le lacrime dalle guance, vide il Conte Rario passarle accanto e scendere con grazia perfettamente studiata la scalinata. 
Il Conte Riario.
Stava cercando di evitarlo, per quello si era diretta verso quel salone, occupato da artisti intenti ad affrescarne le pareti. Lui però l'aveva raggiunta e le aveva afferrato un polso. A quel punto Elettra era scoppiata. Che stupida che era stata! Credeva di poterlo controllare. Credeva di poter controllare Girolamo Riario semplicemente intrappolandolo tra le sue cosce. Ma non era così. E lo aveva scoperto nel peggiore dei modi.  Al solo pensiero di Leonardo, chiuso in una lurida cella del Bargello per cause che nè lui nè lei potevano controllare, le lacrime erano tornate a pizzicarle nuovamente gli occhi. 
Un tocco, era bastato un semplice tocco, per farle ritornare alla mente tutto quello che era successo quella notte. E quello che ne aveva conseguito. Da quella notte non ce l'aveva più fatta a dormire nel proprio letto. A restare a casa propria, sola. Aveva paura di ritrovarsi Riario alla spalle, all'improvviso. Proprio come come quella notte, in soffitta. Di non sentirlo arrivare. Di capirlo solo dopo aver sentito il suo respiro sul proprio collo. Dormiva nella bottega di Leonardo, insieme a Nico e Zoroastro. Non stava mai sola e aveva ripreso a portare il proprio pugnale, nascosto sotto alle gonne. 
Elettra prese un profondo respiro e, cercando di darsi un po' di contegno, scese la scalinata. Il cuore batteva ancora all'impazzata ma, almeno la gola, sembrava essersi riaperta. Solo una volta arrivata in fondo, notò che di fianco a Clarice vi era un'altra donna. Aveva un volto già visto. Le si gelò il sangue nelle vene, quando collegò quel volto ad un nome. Ma i sovrani spagnoli non dovevano arrivare il giorno seguente? Eppure quella che parlava con Riario era proprio Isabella di Castiglia.
"Non dovevano arrivare domani?", chiese a bassa voce a Clarice.
"Già", rispose l'altra, acida. "Si sono presentati qui ieri sera"
"Perchè non mi avete avvisata? Sarei venuta immediatamente"
La Signora di Firenze le accarezzò una guancia con fare materno. "Hai già abbastanza problemi per la testa in questo periodo, Elettra". Avrebbe voluto aggiungere qualche altra parola di conforto ma Riario ed Isabella si avvicinarono a loro. 
"Vostra Altezza, mi piacerebbe molto presentarvi..."
"Conosco già la nipote di Gentile Becchi", la interruppe seccata la regina di Spagna. "Elettra, giusto?". La squadrò dall'alto al basso, con quell'aria perennemente stizzita stampata in faccia.
"Lieta che vi ricordiate di me, Altezza", disse lei ossequiosa, accennando un leggero inchino con il capo.
"Spero che la vostra dama di compagnia abbia un comportamento meno impertinente e più consono dell'ultima volta che l'ho vista". Era tornata a rivolgersi a Clarice.
Elettra non potè fare a meno di notare Riario portarsi una mano davanti alla bocca per nascondere una risata. Quel gesto la fece irritare ancora di più del fatto di essere appena stata scambiata per una dama di compagnia.
"Elettra non è una delle mie dame di compagnia, lei è la curatrice artistica della Repubblica", si affrettò a correggerla, Clarice. "Stavo giusto per mostrare alla regina Isabella e al suo accompagnatore alcune delle opere d'arte della nostra collezione ma visto che Elettra è qui..."
"La signorina Becchi è un'ottima guida, ve la consiglio vivamente", la interruppe Riario, guardando profondamente la diretta inderessata negli occhi, ma rivolgendosi ad Isabella. 
Elettra lo ricambiò con un'occhiata piena d'astio e poi sorrise falsamente alla regina. "Prego, signori. Da questa parte" 

Elettra condusse il piccolo gruppo in una sala contenente numerose sculture, affreschi, tele ed arazzi; sulla parete di fondo, dove fosse visibile a tutti, troneggiava la tela rappresentante l'Adorazione dei Magi, dipinta appena l'anno prima da Sandro Botticelli. Ai lati del portone d'ingresso, vi erano due statue rappresentante le dee Atena e Venere.
Riario si fermò, osservando attentamente quest'ultima statua. Sul suo viso si formò il suo solito sorriso aguzzo. "Noto una certa somiglianza", disse accarezzando lentamente il marmo levigato del braccio.
Elettra deglutì: le pareva di poter quasi sentire il tocco leggero del Conte sul prorpio braccio, come se, la statua per la quale aveva fatto da modella anni prima, fosse il suo stesso corpo.
"Lo scultore è Francesco Ferrucci", lo infrmò Clarice."Splendida statua. Non trovate anche voi, Conte?"
"Come la modella a cui si è ispirato, in fondo", rispose guardando Elettra.
Lei, dopo aver sbatutto più volte le palpebre per riprendersi, gli lanciò un occhiataccia che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito all'istante. "La famiglia de Medici è da sempre stata mecenate degli artisti, in particolare di quelli che celebrano la santa fede", disse mentre guidava il piccolo gruppo verso l'interno del salone. "Cosa che distingue nello specifico questa creazione". Si fermò ai piedi di una statua di bronzo. "David, che è stato scolpito da Donatello". Sulle sue labbra comparve un ampio sorriso mentre osservava la regina Isabella, cercando di capire cosa ne pensasse. Il suo mutismo però la preoccupava: quella statua era fra le sue preferite ma, il discorso, glielo aveva suggerito Gentile Becchi; lei non avrebbe mai detto quelle parole di sua spontanea volontà. A volte era strettamente necessario fare i lecchini: lo aveva imparato semplicemente stando accando a Riario.
"Il Signore che mi ha salvato dagli artigli del leone e dell'orsa potrà salvarmi da questo abominio", disse disgustato il frate.
Elettra rimase a bocca aperta; la sua testa, intanto, si stava affollando di possibili insulti da rivolgere a quell'ignorante. Il tutto stava a decire quale fosse più offensivo.
"Non vedete la bellezza di quest'opera, Frate Torquemada?", chiese stupita Clarice.
"L'artista è un pervertito, come altri di cui ho udito parlare in questa regione"
"Lo giudico osceno. Vi prego di coprirlo durante la nostra visita", disse la regina di Spagna, guardando in modo severo le parti basse, in bella mostra, della statua. Fece per passare avanti, ma fu bloccata da Elettra.
"Vostra Altezza, permettetemi di spiegarvi meglio. Temo che non siate riuscita a cogliere il vero significato di quest'opera"
Isabella la squadrò da capo a piedi, con un'espressione da far gelare il sangue nelle vene a chiunque. Chi era quella ragazzina impertinente per permettersi di dirle una cosa del genere? Elettra resse alla perfezione il suo sguardo: quello non era niente, rispetto a certe occhiate del Conte Riario.
"Osservate la posa", disse avvicinandosi meglio alla statua, "Osservatene le movenze, la fierezza che irradia: quest'opera rappresenta un giovane re che ha appena vinto la battaglia della vita; è la quint'essenza della vittoria. David non fu mai splendente come quel giorno e Donatello ha ripreso questo tema biblico alla perfezione, creando un perfetto connubio tra l'arte religiosa e l'esperienza dell'epoca classica. Osservatene il corpo, perfetto come quello di un dio greco o romano, perfetto come le numerose statue classiche rinvenute a Roma", guardò il Conte Riario che, pensieroso, le rispose con un cenno d'approvazione. "Qui a Firenze sta nascendo una nuova forma d'arte che raccoglie dentro di sè l'esperienza dell'età classica e la saggezza del cristianesimo. E quest'opera ne rappresenta appieno lo spirito"
Clarice, se avesse potuto, le  avrebbe battuto le mani; si limitò a guardarla con uno sguardo pieno di ammirazione. 
"Spero che non tutti i vostri collaboratori sproloquino in questo modo", disse acida la regina di Spagna.
Elettra sbuffò: doveva andarsene di lì, per evitare di insultare qualcuno e causare una guerra tra Firenze e la Spagna.
"Io trovo, invece, che il discorso della signorina Becchi sia stato molto istruttivo", ribattè pacato il Conte Riario. Provò a sorridere, in direzione di Elettra che distolse immediatamente lo sguardo.
La ragazza fece un inchino per congedarsi e si avviò a lunghi passi verso l'uscita. Non avrebbe resistito un minuto di più, là dentro.

***

'Stronza'. Era l'aggettivo più adatto che le fosse venuto in mente, per descrivere Isabella di Castiglia. Lo aveva pensato quasi dal primo istante che l'aveva vista, diversi anni prima, durante quella visita diplomatica insieme a Gentile Becchi. Le era ritornato in mente quando Giovanna, la figlia minore dei sovrani spagnoli, le aveva mostrato le cicatrici causate dagli strumenti di tortura che la madre usava per punirla. E lo aveva ripensato quel giorno. 
'Spero che non tutti i vostri collaboratori sproloquino in questo modo'. Ma come si permetteva! Aveva usato quel discorso con quasi tutte le personalità in visita a Firenze e tutti rimanevano stupiti da quelle considerazioni. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere. Sbuffò irritata: aveva già i suoi problemi per la testa, con Leonardo in prigione e quello stronzo del Conte... ecco, poteva essere una bella coppia insieme, Riario ed Isabella.
Camminava talmente spedita e con la testa bassa che non si accorse delle persone che giungevano dalla parte opposta. 
"Elettra! Eccoti qui", disse il Magnifico con un largo sorriso. 
La ragazza si accorse di lui solo dopo che lo ebbe sorpassato. Si voltò e lo salutò sforzandosi di sorridere ma, quello, non era neanche l'ombra dei suoi sorrisi abituali.
Gentile Becchi, al fianco di Lorenzo, la guardò con preoccupazione: il suo istinto gli diceva che c'era qualcos'altro, a impensierire la nipote, oltre all'arresto di Da Vinci.
"L'ultima volta che vi ho vista eravate poco più di una bambina e ora siete diventata una bellissima donna". Presa com'era dai suoi pensieri, Elettra non si era neanche accorta di una terza persona. 
"Vostra Altezza, salve". Ferdinando D'Aragona, a differenza della moglie, le era sempre stato simpatico. 
"Vostra nipote ormai è in età da marito: chissà quanti pretendenti tra cui scegliere, vero Becchi?"
Elettra, a sentir parlare di matrimonio si irrigidì di colpo, mentre suo zio annuì distratto al re. "Vostra figlia Giovanna come sta?". La ragazza voleva cambiare al più presto discorso. Durante il suo soggiorno in Spagna, aveva legato fin dal primo momento con la figlia dei sovrani spagnoli ed erano rimaste in contatto.
"Molto bene. Immagino che vi abbia informato che sono diventato nonno".
"Le mie congratulazioni, sire"
"So che siete andata a trovarla l'anno scorso, a Parigi. Me ne ha parlato nelle sue lettere. Parla sempre di voi nelle sue lettere"
Già, Giovanna era stata data in sposa al re di Francia, Filippo il Bello. E, l'estate precedente, Elettra era stata loro ospite a palazzo. Ma la corte francese l'aveva profondamente delusa: aveva bollato quel posto come 'una gabbia di matti' e, dopo appena una settimana, con la scusa di alcuni improrogabili impegni a Firenze, aveva levato le tende.
"Posso darvi un consiglio, Vostra Altezza?", chiese la ragazza.
"Certamente"
"Dovreste far fare a vostra moglie un corso accellerato sull'arte contemporanea... è un po' carente, sul quel lato"
"Non solo in quello è carente", ribattè il re divertito, facendole l'occhiolino.
Mentre discuteva del più e del meno, la ragazza si ricordò del processo a Leonardo. Guardò allarmata l'ora, scoprendo che mancavano ormai pochi minuti all'inizio dell'udienza. "Leonardo!", disse improvvisamente.
"Sarà meglio che tu vada"
Elettra annuì al Magnifico, salutò i tre uomini e si diresse di corsa verso il Palazzo di Giustizia.
 
***

Il processo doveva già essere iniziato da qualche minuto eppure, quando Elettra arrivò, affannata dalla lunga corsa che aveva dovuto fare, l'udienza non aveva ancora avuto inizio. 
"Cos'è successo?", chiese preoccupata a Vanessa, mentre si sedeva tra lei e Zoroastro.
"L'avvocato dell'accusa è in ritardo", rispose l'altra.
Elettra sospirò: le attese non facevano proprio per lei. Allungò il collo in modo da poter vedere meglio Leonardo: era seduto e sporco - e la ragazza non voleva neanche sapere di cosa - e disegnava compulsivamente su dei fogli.
"Ha un aspetto spaventoso", disse Vanessa dando voce anche ai suoi pensieri.
Piero Da Vinci, in piedi di fronte al giudice, si stava spazientendo. "Magistrato, la difesa è già pronta. I sostenitori dell'accusa ci raggiungeranno o si sono resi conto dell'erroneità delle calunnie che hanno mosso?"
Proprio in quel momento le porte dell'aula si aprirono ed una figura entrò nell'aula. Aveva la faccia da topo.
"La vostra risposta è arrivata", disse il giudice.
"Che ci fa qui Francesco Pazzi?", chiese pensieroso Zoroastro. "Non è avvocato"
"E' un bene per Leonardo?". Vanessa  non ne sapeva molto, di politica.
"I Pazzi sono i rivali dei Medici"
La ragazza aggrottò le sopracciglia. Non capiva come questo potesse centrare.
"No, non è un bene", disse Elettra. Si sarebbe aspettata di vedere anche il Conte Riario al processo ma, probabilmente, era ancora impegnato a leccare il culo alla regina di Spagna. Meglio così: meno lo vedeva e meglio stava. 
"Magistrato, posso sollevare un'obiezione sul ruolo di messer Pazzi nel processo? Non mi risulta che sia membro della corporazione dei notai", disse Piero, evidentemente seccato.
"L'ammissione di messer Pazzi alla corporazione è stata approvata in un'apposita riunione la scorsa notte. Per sollevare obiezioni era quella la sede appropriata. Vostro figlio desidera presentare una protesta formale?"
"Egli non è...". Piero strinse i denti: Leonardo era un figlio bastardo e lui non lo aveva mai tenuto in grande consideraizone; se non fosse stato che la richiesta di difenderlo in tribunale era arrivata direttamente dal Magnifico, lo avrebbe lasciato in balia del proprio destino. "No, nessuna protesta", disse andando a sedersi di fianco al figlio.
"L'accusato ha qualche richiesta d'attenunti da mettere a verbale?"
"Col permesso della corte, intendiamo contestare tutte le accuse". Era una mossa rischiosa. E Piero lo sapeva. Ma Leonardo si era impuntato, su questo.
Il giudice, a quelle parole, si alzò in piedi dalla sorpresa. "Ser Da Vinci, comprendete le possibili implicazioni derivanti dal contestare le accuse?"
Anche Leonardo si alzò, continuando a picchiettare la matita sul bancone e guardando il giudice con uno sguardo vuoto.
"Il mio cliente fa richiesta del privilegio di fare una dichiarazione d'apertura", disse Piero.
Nel'aula calò il silenzio, rotto solo dal picchiettare a tempo della matita; Leonardo se ne stava in piedi, con lo sguardo fisso su un punto non ben precisato della sala, in silenzio.
"Leonardo dì qualcosa". Elettra cominciava davvero a preoccuparsi, riguardo alla salute mentale dell'amico; senza neanche accorgersene, strinse forte la mano di Zoroastro. Talmente forte che il moro si mise a protestare; Andrea, seduto anche lui nella stessa fila, lo zittì prima che creasse troppo scompiglio nella sala.
Dopo attimi che sembravano interminabili, quel picchiettio costante terminò e Leonardo girò la testa verso il banco dell'accusa, studiando il Pazzi. 
"Ho dedicato tutta la mia vita allo studio della natura", disse, tornando a guardare il giudice. "Libero da superstizioni o distorsioni. Queste accuse, nel caso migliore, vengono da un pozzo di ignoranza, nel peggiore, c'è puzzo di macchinazione politica nel mettere in dubbio così le relazioni di qualcuno perchè io non ho nulla di cui vergognarmi, ne da cui mi devo difendere"
"E io lo attesterei, se potessi testimoniare", disse Vanessa.
"L'aver deflorato non lo aiuterebbe", ribattè Zo.
"Riceverebbe solo una multa. Non è più punito con il rogo"
Mentre Leonardo si sedeva di scatto e ricominciava a disegnare, come se avesse avuto una delle sue strampalate idee, Andrea richiamava per l'ennesima volta Zoroastro al silenzio.

Il processo andò avanti ancora per parecchio con discussioni tra gli avvocati e con il giudice, poi fu la volta dei testimoni.
Elettra sapeva che sarebbe toccato anche a lei, andare a testimoniare, ma probabilmente, sarebbe slittata al giorno successivo.
Il primo testimone fu il frate che seguiva come un'ombra la regina di Spagna e, quasi come per magia, tra la folla spuntò pure il Conte Riario.
"La vita di coloro che non sono mai nati grazie al loro vizio. I sodomiti in questa vostra città hanno le anime dei non nati sulle loro coscienze. Queste anime implorano giustizia gridando: 'Al rogo. Al rogo!' ", sproloquiava il frate.
E qui ci fu il primo sbadiglio di Zoroastro.
"Invece i vostri governanti promuovono la sodomia"
Secondo e rumoroso sbadiglio. E primo sbadiglio di Andrea che, più elegantemente, lo soffocò nel pugno, girandosi per non farsi notare.
"Combinando delle multe il luogo della pena appropriata, che deve essere il rogo"
Terzo sbadiglio. "Ha dormito con il culo scoperto", aggiunse poi.
"Perchè quando si tassa un crimine, lo si fa diventare una merce. I Medici hanno fatto la loro fortuna con questo vizo al prezzo della sempiterna vergogna di Firenze"
Quarto sbadiglio. "Un discorso peggiore di questo non puoi farlo, quindi stai tranquilla", sussurrò nell'orecchio ad Elettra, notando quanto fosse nervosa. 
"Obiezione magistrato, non comprendo perchè sia stato permesso ad un forestiero di testimoniare in questa sede"
'Santo Piero', pensò Elettra; non ne poteva più di quel frate. Anche Zoroastro sembrò riscuotersi dallo stato di catalessi in cui si trovava, come del reste fece tutta la sala.
"Ho chiamato io lo stimato frate Torquemada come voce di moralità, per rammentarci le nostre solenni responsabilità di fronte a Dio.". Nel mentre che il Pazzi parlava di cose delle quali, in realtà, non gliene poteva fregare di meno - e, tra l'altro, non era neanche bravo a fingere -, un paggio della Signoria entrò trafelato, avvicinandosi ad Andrea e sussurandogli qualcosa all'orecchio.
"Elettra, Giuliano de Medici ci cerca", le disse poi il Verrocchio.
"Non posso venire e Giuliano lo sa". Ovviamente, il giovane de Medici, si era scordato che c'era l'udienza e che lei doveva Assolutamente andarci. "Ditegli che appena c'è una pausa lo raggiungo"
Andrea le fece un cenno d'assenso con il capo ed uscì di fretta, dietro al paggio.
"Vorreste negargli questo diritto?", nel frattempo il Pazzi aveva continuato il suo sproliloquio. 
"Vorrei ricordare a questa corte che la gravità delle accuse non viene messa in dubbio, ma non si serve certo Dio, punendo le persone innocenti.  L'accusa deve essere ancora dimostrata" ribattè Piero.
"E probabilmente lo sarà, dopo una sospensione", sentenziò il giudice, congedando tutti.
 
***

Elettra andò velocemente a Palazzo della Signoria, in cerca di Giuliano ma, dopo un'ora passata a girare per i corridoi in cerca dell'amico, finalmente riuscì a sapere da Fabrizio che il giovane de Medici era andato alla bottega del Verrocchio.

"Calandrino e il Maiale, il Decamerone, l'Esistrata... cosa state complottando qui?", chiese Elettra una volta giunta alla bottega di Andrea. Li aveva sentiti discutere e nominare tutte quelle opere ed era curiosa.
"Lorenzo vuole che organizziamo uno spettacolo teatrale in onore dei sovrani spagnoli", rispose caldamente Giuliano.
La ragazza lo guardò pensierosa. "Quando?". Se era come pensava, non avrebbe voluto saperlo.
"Domani sera"
"Siamo nella merda", disse candidamente. Non sapeva se ridere o piangere.
"Metteremo in scena solo alcune scene del Decamerone", tentò di tranquillizzarla.
Elettra sospirò. "Iniziamo con la nostra solita scenetta?"
"Il Principe e la Principessa della Giovinezza non possono di certo mancare"
"Tu pensa ai testi, io invece mi occuperò della scenografia"
"Come sempre"
"Ah... e ingaggia anche Vanessa, è davvero un'ottima attrice"
Giuliano annuì soddisfatto: il morale di Elettra sembrava essersi un po' alzato, dall'ultima volta che l'aveva vista.
Mentre usciva dalla bottega, arrivarono Nico e Zoroastro, carichi di strani oggetti.
"Leonardo ha detto che deve parlarti il prima possibile", le disse Zoroastro.
"E tu come fai a saperlo?"
Con in ghigno soddisfatto, le sventolò davanti al naso un foglietto con scritte indecifrabili.
 
***
 
Quella sera...

La notte doveva essere ormai scesa, o almeno così pensava Leonardo: i pipistrelli che di giorno affollavano la sua cella erano spariti, probabilmente usciti a caccia. In quella lurida cella non c'era niente che gli permettesse di sapere con esattezza quale ora del giorno fosse.
Sentì la chiave girarsi nella toppa e, immediatamente dopo lo scatto della serratura: aprendosi, la porta produsse un cigolio sinistro.
Un'ombra scura sgusciò nella sua cella.
"Finalmente sei arrivata", disse con un largo sorriso. Cominciava a non sperarci più.
Elettra imprecò, mentre tentava di accendere la torcia che aveva in mano. Alla fine lasciò perdere, preferendo illuminare la stanza con la tenue luce del ciondolo dei Figli di Mitra. "Non è saggio farne bella mostra in pubblico", disse Leonardo osservando la terza chiave della Volta Celeste.
"Nessun pazzo verrebbe qui a curiosare". Quella cella era uno schifo e l'odore, forse, era anche peggio; nessuno sarebbe mai entrato, spontaneamente. Nessuno tranne Da Vinci.
"Potresti essere accusata di stregoneria"
"Ha parlato l'uomo chiuso in una cella di isolamento e ricoperto di merda di pipistrello con l'accusa di sodomia", ribattè lei sarcastica.
Leo le sorrise con fare fraterno. "Come stai?"
"Dovrei farti io questa domanda a te"
"Paradossalmente, nonostante il mio precario stato mentale, sono messo meglio di te"
Elettra era pallida, più pallida del solito, e il suo volto di porcellana era solcato da due profonde occhiaie viola; l'indossare abiti maschili completamente neri, poi, ne accentuava l'effetto, facendola apparire spenta, ben lontana dalla sua solita spensieratezza.
Lei sospirò. Non le andava di parlarne. E avevano poco tempo, infatti era riuscita ad introdursi al Bargello soltanto perchè la guardia di turno quella notte le doveva un favore.
"Perchè mi cercavi?"
"Lo spettacolo di domani sera a Palazzo"
"Aspetta... mi hai fatto venire qui per parlare di teatro?!", chiese alterata, alzando un po' troppo la voce.
"Abbassa la voce" le disse Leonardo.
Elettra sbuffò, esasperata. Credeva davvero di essere dovuta andare lì per qualcosa di importante.
"Ho in mente un modo per uscire di qui"
"Aspettare che tuo padre ti scagioni, vero?", chiese preoccupata; temeva che il geniale artista le avrebbe esposto da un momento all'altro una delle sue folli idee.
Come risposta, l'artista rise. "Conosci la novella di Calandrino e il maiale?"
Elettra piegò la testa di lato, cercando di capire le intenzioni di Leonardo. "Dove vuoi arrivare?"
"Calandrino aveva un suo poderetto non guari lontan da Firenze..."
"Leo la conosco", lo interruppe lei. "Memoria fotografica, ricordi?"
"Domani sera, a mezzanotte in punto, voglio che tu ne reciti le prime righe"
"Perchè?"
"Vedrai", le rispose Leonardo con un sorriso. "Devi solo fidarti di me"
 
***
Più tardi, nella bottega del Verrocchio...

Elettra arrivò alla bottega di Andrea che l'ora del coprifuoco era già passata da un pezzo; era stato un miracolo che nessuna delle Guardie della Notte l'avesse vista, mentre usciva dalla cella di Leonardo o durante il tragitto dal Bargello fino a lì.
Lo studio del Verrocchio era la bottega più in ordine di tutta Firenze eppure, quella notte, senbrava che per quella stanza fosse appena passato un uragano. O un Da Vinci in piena ispirazione per qualche nuova e folle idea.  
Vi erano strumenti sparsi per i tavoli e sul pavimento, assi di legno, viti, lenti di diverse forme e dimensioni e boccette contenenti chissà quali composti chimici.
"Cos'è successo qui?", chiese parecchio stupita.
"Puzzi di merda di pipistrello". A volte Zoroastro era di una finezza disarmante...
Istintivamente Elettra si portò il mantello vicino al naso, per controllare che Zo dicesse effettivamente la verità. Fece una smorfia e, con un gesto velocissimo, se lo tolse, buttandolo sul pavimento, stizzita. Sbuffò: era rimasta nella cella di Leonardo solo per pochi minuti e poi, aveva prestato molta attenzione a non toccare o anche solo sfiorare niente, là dentro. A quanto pare, era proprio l'aria, ad essere impregnata di guano di pipistrello. Per sicurezza si tolse anche la giacca.
Con una punta di dispiacere, Elettra notò che Andrea, Zoroastro, Nico e Vanessa avevano già assemblato tutto. "Perchè non mi avete aspetta?", chiese.
"Vai a tenere compagnia a Leonardo tu, invece di aiutarci", rispose ironico Zo.
"A proposito di Leonardo...", il suo viso parve illuminarsi, "Mi ha detto di dirti di procurarti una divisa da guardia della notte e raggiungerlo al Bargello domani sera ed aspettare il segnale"
Zoroastro la guardò a bocca aperta. Cosa aveva detto di fare Leonardo? "No, non lo farò", ribattè.
Elettra lo guardò con quell'espressione supplichevole e gli occhi da cerbiatto a cui quasi nessuno era mai riuscito a dire di no.
"E smettila di guardarmi così, non lo farò"
Espressione ancora più supplichevole.
Zo emise un lungo e rumuroso sospiro. "Mi devi una birra"
"Tutte quelle vuoi", disse Elettra saltandogli al collo.
Poi la sua attenzione fu attirata da un vecchio lenzuolo dall'aria logora, che copriva uno strano arnese appoggiato su uno dei tavoloni; alzò in parte il telo, infilandosi poi sotto fino al busto ed osservando l'oggetto con attenzione.
"Zoroastro, smettila di guardarmi il culo", disse ironicamente dopo alcuni secondi.
L'altro sbuffò, divertito. "Me lo devi", ribattè dandole un'amichevole pacca sul didietro.
"Questo periscopio fa ciò che dobrebbe fare?", chiese la ragazza mentre si rimetteva in piedi.
"Ho seguito alla lettera le indicazioni ma non ne so certo più di te", ripose Andrea.
"Cosa mi dite degli altri oggetti dell'elenco?". Elettra non aveva avuto il tempo di leggere la lista che Leonardo aveva fatto ed era curiosa di sapere.
"Questa tiene bloccata un uomo per parecchio, prima di dissolversi", disse Zo, passandole un barattolo contenente una sostanza biancastra con una consistenza simile al miele.
"Io ho provato questa su Nico. Ha perso i sensi per quindici minuti", disse Vanessa.
"Potevi dirmelo che sarebbe successo. Ho rischiato di rompermi la testa", ribattè parecchio contrariato, il diretto interessato.
"Qualcuno sa dirmi chi incolleremo a cosa e perchè?", chiese Zoroastro. Era una domanda retorica.
"E a te Leo cosa ti ha detto?", chiese la rossa ad Elettra.
"Devo leggere Calandrino e il Maiale a mezzanotte in punto, domani, durante lo spettacolo"
"Il nostro amico può aver perso il senno in progione, a volte capita", rispose Andrea. "Una pozione, un prisma, un periscopio, un maiale, una novella di Boccaccio e un vaso di mastice. Se un folle avesse ideato una caccia al tesoro sarebbe stata proprio così" 
Restarono ancora un po', a parlare del più e del meno. Poi Vanessa andò a casa e Andrea invitò caldamente Elettra, Nico e Zoroastro a ritrovare i loro letti.

Una volta uscita nel cortile della bottega del Verrocchio, Elettra fece per dirigersi verso lo studio di Leonardo. Aveva già la mano sulla maniglia, quando Zo parlò: "Dovresti andare a casa tua, dormire nel tuo letto" le guardò attentamente il viso, notando i profondi segni violacei sotto ai suoi occhi. "O provarci almeno". Il suo tono di voce non era il solito ridente e ironico: c'era preoccupazione per la salute dell'amica. Nonostante fossero giorni che si cervellasse sul perchè di quello strano comportamento, il moro non aveva ancora trovato una causa plausibile. Non era solo per Leonardo, di questo ne era certo.
Elettra scosse leggermente la testa. "Non posso", sussurrò appena. La sua voce tremava leggermente.
"Si che puoi"
Lei scosse nuovamente la testa.
Zoroastro in quei giorni stentava a riconoscere Elettra, in quella giovane donna dall'aria sciupata che non faceva altro che piangersi addosso. L'Elettra che conosceva lui a quest'ora avrebbe già scatenato l'inferno in terra per liberare Leonardo. E ora probabilmente sarebbe al Cane Abbaiante a festeggiare.
"Io e Nico abbiamo deciso che stanotte dormiremo a casa di una certa Elettra Becchi", disse Zo con quel suo solito sorriso furbetto.
"Cosa? Io non ho dec...", Nico non riuscì a finire la frase a causa di un calcio sullo stinco da parte del moro.
Elettra distese le labbra in un sorriso. Stanco, ma pur sempre un sorriso. Era incredibile quanto le persone a cui teneva si davano da fare, per farla stare meglio. 
"Bene, Zo", disse dandogli una pacca sulla spalla, mentre si dirigevano a casa sua, "Cosa vorresti bere, stasera?"


Nda
Innanzitutto volevo scusarmi per il grande ritardo con cui pubblico questo capitolo ma, tra il fatto che ho poco tempo per scrivere e il capitolo che è lungo come la fame (infatti è diviso in due parti), mi sono un po' persa via. Però so come farmi perdonare: sto lavorando ad una sorpresa che pubblicherò alla vigilia di Natale ;)
Ps. Dopo la descrizione che ho fatto  del David di Donatello sto prendendo in considerazione l'idea di mollare ingegneria e andare a fare storia dell'arte ahahahah 
   
 
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