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Capitolo 21 -
Erano
quasi cinque minuti che Bill ed Heidi
erano davanti la porta d’ingresso di casa Listing. Nessuno
dei due aveva il
coraggio di suonare. Si guardavano a vicenda e fissavano al contempo il
campanello.
‹‹Perché
non suoni?››
Disse
poi Heidi dando una leggera gomitata a
Bill.
‹‹Perché
non bussi tu?›› controbatté Bill,
ricambiando la gomitata. Continuarono così per un altro
lungo minuto. Nessuno
dei due riusciva a trovare il coraggio di bussare. Che reazione
avrebbero avuto
vedendo Georg in quelle condizioni? Perché avrebbe dovuto
avere un aspetto
malsano, vero?
‹‹Cazzo,
Bill. Non possiamo stare tutto il
giorno qui. Suona quel cazzo di campanello. Prima entriamo e prima
andiamo via.
Non so nemmeno che reazione avrò vedendo quel pezzo di
merda. Deve ringraziare
il Signore che sta male, altrimenti l’avrei ucciso con le mie
stesse mani. Ora
suona quel dannato affare ed entriamo.››
Questa
volta Heidi parlò sul serio. Alzò
notevolmente il tono di voce e Bill non osò controbattere.
Si riempì i polmoni
d’aria e la buttò fuori tutta in una volta sola.
Socchiuse gli occhi e suonò.
Ci
vollero pochi istanti prima che la porta
venisse aperta da una figura alta, magra e piuttosto invecchiata.
Karol, la
mamma di Georg.
Nessuno
dei tre fiatò. Calò il silenzio e
l’imbarazzo. Si guardarono per pochi attimi negli occhi,
trattenendo il
respiro. Karol aspettava l’arrivo del ragazzo, ma non si
aspettava l’arrivo di
Heidi. Dopotutto, avrebbe dovuto immaginare che non si sarebbe mai e
poi mai
presentato da solo.
‹‹C-ciao,
ragazzi››
‹‹Ciao,
Karol.›› dissero all’unisono.
‹‹Entrate.
Georg scenderà a breve. È sotto la
doccia.››
Karol
fece entrare i due fratelli in casa,
chiudendo successivamente la porta alle sue spalle.
‹‹Ti
aspettavo solo. Senza offesa, Heidi.››
‹‹Non
ti preoccupare. Mi ha chiesto Bill di
accompagnarlo, ed io non ho esitato a farlo.››
disse pungente la ragazza,
guardandola dritto negli occhi. La signora non resse lo sguardo e fu
costretta
a distogliere gli occhi da quelli di Heidi.
‹‹Prego,
accomodatevi. Posso offrirvi un thè
freddo con un po’ di strudel? L’ho fatto da
poco.››
I
due ragazzi si sedettero al tavolo posto al
centro della sala da pranzo e declinarono entrambi.
‹‹Vado
ad avvisare Georg che siete arrivati.››
diede loro le spalle e si allontanò.
‹‹Ho
passato le giornate, qua dentro.›› disse
improvvisamente Bill, guardandosi intorno. Niente era cambiato. Tutto
era
esattamente come anni addietro.
‹‹Certo,
Bill. Non lasciarti infinocchiare da
ciò che possa dirti, o non farti impietosire dalla
situazione. Ricordati
dell’odio che ho nei confronti di Georg. Solo io so cosa hai
passato per colpa
sua. Okay, la morte non si augura a nessuno, ma quando mi hai detto che
stava
per morire, ho pensato: ha avuto ciò che si
merita.››
Bill
non rispose.
‹‹Smettila
di fare il mollaccione. Esci i
coglioni una buona volta, fratello mio.››
Non
fece in tempo a dir qualcosa che, dalle
scale, si intravide Karol seguita da...Georg? No. Quello non poteva
essere lui.
I
due ragazzi restarono decisamente sconvolti.
Sia Heidi che Bill avevano la bocca aperta e gli occhi sgranati. Mai e
poi mai
avrebbero immaginato una cosa del genere. La figura dietro Simone, non
era
Georg. Era uno scheletro. Sì, forse era lo scheletro di
Georg. Persino la più
leggera folata di vento avrebbe spazzato via quell’esile
figura. Il vecchio
Georg, quello palestrato, tonico, muscoloso, ormai era solo un lontano
di
ricordo. Del Georg che conosceva Bill, non era rimasto praticamente
nulla.
Il
tumore lo stava letteralmente consumando.
Forse pesava 40, massimo 45 chili. Le guance erano infossate,
così come gli
occhi. Indossava una canotta bianca che lasciava intravedere il petto;
quel
petto che, un tempo, era pieno e ben allentano, ora non era altro che
pelle ed
ossa. Si vedevano nettamente le ossa della cassa toracica. Le braccia e
le
gambe sembravano stuzzicadenti pronti a spezzarsi da un momento
all’altro. La
pelle secca, rugosa e piena di macchie scure.
‹‹Bill,
Heidi…che bello vedervi.›› la sua voce
era rauca, cupa. Tossì forte. Ormai era diventato uno sforzo
parlare. Si
avvicinò ai due ragazzi e li salutò con un
sorriso. Un sorriso ormai spento.
‹‹State
così bene. Tu Heidi sei cambiata
tantissimo…tu sei sempre uguale
invece.›› disse tristemente, guardando quel
ragazzo che, un tempo, era stato suo.
‹‹Chiederti
come stai sarebbe una presa per il
culo, vero?›› disse Bill apatico, guardando negli
occhi il ragazzo. Forse,
quegli occhi verdi, erano l’unica cosa che non aveva subito
modifiche. Erano
sempre gli stessi…un po’ più
tristi…ma sempre quelli.
‹‹Guarda,
Bill. Sono stato anche peggio. Di
solito dopo la chemio.››
‹‹Perché
mi hai fatto venire, Georg?››
Calò
nuovamente il silenzio. Karol guardò il
figlio e capì che era arrivata l’ora di lasciarli
soli.
‹‹Ragazzi,
io vado a fare un po’ di spesa.
Spero di trovarvi al mio ritorno.›› li
salutò anche lei con un sorriso
altrettanto spento. Prese le chiavi dell’auto ed
uscì di casa, consapevole che,
al suo ritorno, non li avrebbe più trovati. Forse era meglio
così.
Non
appena Karol chiuse la porta, Georg scoppiò
a piangere.
‹‹Non
voglio impietosirti, Bill, perché non è
mia intenzione farlo…››
iniziò con voce tremola e rauca. ‹‹Ma
voglio solo farti
capire quanto mi dispiaccia averti ferito.››
Bill
sospirò e la sua reazione, fu alzarsi
dalla sedia e andargli incontro. L’abbracciò
forte. Georg ricambiò l’abbraccio,
stringendolo ancora più forte e piangendo ancora di
più. Heidi restò seduta. Si
morse il labbro inferiore, cercando di trattenere anche lei le lacrime.
È vero,
l’odiava con ogni cellula presente all’interno del
suo corpo, ma vederlo
ridotto in quelle condizioni, colpì anche il suo cuore di
ghiaccio.
‹‹Mi
dispiace così tanto averti ferito, Bill.
Mi dispiace così tanto.›› continuava a
stringerlo, come se fosse ancora
possibile. Quella sicuramente sarebbe stata l’ultima volta
che avrebbe potuto
farlo.
Bill
non rispose. Lo abbracciò forte e, con un
po’ di coraggio, sussurrò quelle parole che Georg
avrebbe voluto sicuramente
sentire. Ecco perché l’aveva chiamato. Non per
vederlo un’ultima volta, non per
impietosirlo, ma per avere il suo perdono. Georg voleva morire senza
quel senso
di colpa che, probabilmente, gli stava divorando l’anima.
‹‹Io
ti perdono, Georg. Ti perdono.››
sussurrò
il ragazzo. Georg improvvisamente si staccò da
quell’abbraccio così intenso. Lo
guardò dritto negli occhi. Bill sorrise tristemente.
‹‹Ecco perché mi hai
chiamato. Volevi che ti perdonassi. Adesso l’ho fatto. Ti
perdono, Georg. Non
torturarti più. Sì, è vero, sono stato
male…avevo giurato a me stesso che non
mi sarei mai più innamorato di nessuno…ma sai
cosa ti dico? Io ti
ringrazio…perché mi hai reso più
forte, più sicuro di me stesso...l’ho
superata…è ora di metterci una pietra sopra.
Tutti sbagliamo nella vita. Errare
è umano, perdonare è divino.
Giusto?››
Non
aggiunse nient’altro. Gli occhi di Georg si
illuminarono e, questa volta, sorrise per davvero. Era felice. Rivolse
il suo
sguardo verso Heidi.
‹‹Forse
tu non mi perdonerai mai, ma voglio
dirti una cosa…ho amato tuo fratello. Lo amo
tutt’ora, e credo che lo amerò
anche nell’aldilà. Volevo solo farti sapere questo, visto che sei qui anche
tu. L’avevo
immaginato. Bill non sarebbe mai venuto da solo. Grazie per quello che
hai
fatto, Bill.›› disse rivolgendosi nuovamente
verso il biondo.
‹‹E
grazie anche a te, Heidi.››
Heidi
non rispose.
No.
Lei non l’avrebbe mai perdonato. Non poteva
farlo.
*
Quando
uscirono dall’appartamento, Bill si
sentì più sollevato, più leggero.
Forse aveva fatto bene anche lui
quell’incontro.
‹‹Sai
Heidi, mi ha fatto davvero bene
rivederlo. Mi sento più leggero anche io. Non ho
più rimpianti verso di lui.
Anche perché, grazie ad oggi, ho capito di essere davvero
innamorato di Tom.
Perdonarlo, è stata come una liberazione. Avevo quel peso
addosso che stava
impedendo di aprirmi totalmente. Io lo amo, Heidi. Amo Tom come non ho
mai
amato nessuno nella vita. Come non ho mai amato Georg. Io sono certo
che ci
rivedremo un giorno...››
Heidi
non disse nulla. Sorrise e si mise sotto
braccio al fratello, poggiando dolcemente la testa su di esso. Vedere
Bill
così, la faceva sentire serena.
Nove
mesi dopo
‘Ormai
credo di aver
perduto ogni speranza, Sarah.’ Inviato
alle 11:05
Visualizzato
alle 11:05 – Sarah sta scrivendo…
‘Chiamami.
Detesto
messaggiare.’
Visualizzato
alle 11:06
Bill
sorrise. Dopo tutti quegli anni che la
conosceva, ancora non aveva capito che Sarah odiava fare dei discorsi
serie e
lunghi per messaggi. Selezionò il suo contatto e premette il
tasto verde.
Ehi
scimmietta!
Rispose
ironicamente la ragazza.
‹‹Ehi
giraffa!››
Mi
hai rotto le palle
con questo Tom. Dimenticalo, Bill. È acqua passata. Sono
trascorsi nove mesi da
quella cazzo di crociera. Se non ti ha mai cercato, vuol dire che per
lui eri
soltanto un passatempo. Perché non te lo vuoi ficcare in
quella testaccia di
merda che hai?
‹‹Ehi
modera il linguaggio, scema.›› disse Bill
scherzando. Gli insulti erano all’ordine del giorno per loro.
Insulti
affettivi, certo. ‹‹Ho ancora il biglietto che mi
ha dato prima di lasciarmi.
Non l’ho ancora aperto. Ha detto che avrei capito io stesso
quando aprirlo. Ed
io credo sia arrivato. Lui non mi ha dimenticato, Sarah.
Perché nessuno vuole
capirlo?››
Stringeva
quel foglietto di carta come se fosse
la cosa più importante del mondo. Aveva ancora il suo
profumo. Gli vennero i
brividi. Dio quanto gli mancava.
‘Se
senti che sia
arrivato il momento giusto, non vedo il motivo per il quale tu non
debba
farlo.’
Bill
era disteso sulla panchina del parco dove,
solitamente, andava con Sarah o con sua sorella. Questa volta era da
solo. Il vento
che soffiava, era gelido. Il fumo che usciva dalla sua bocca era
così denso da
sembrare nebbia.
‹‹Io
lo amo, Sarah. Lui ama me. Che senso
avrebbe dirmelo se non lo si prova davvero. Tu non sai i momenti
magnifici che
abbiamo passato insieme, mi ha salvato la vita quando
c’è stato
quell’alluvione. Non hai idea della paura che ho
avuto…e tu sei a conoscenza
del motivo per il quale io ne abbia.››
‘Sì,
Bill. Lo so. Allora
sai cosa ti dico? Apri quel biglietto. Adesso devo andare. È
arrivato a
prendermi Kristoff. Poi voglio sapere cosa c’è
scritto. Stammi bene scimmietta.
Riguardati. Ti voglio bene.’
‹‹Te
ne voglio anche io.››
Non
appena chiuse la chiamata, ripose il
cellulare in tasca ed incrociò le braccia al petto.
Sospirò, aveva lo sguardo
perso nel cielo plumbeo. Ogni tanto scendeva qualche fiocco di neve
che,
dolcemente, si posava sul viso del ragazzo. Socchiuse gli occhi e gli
venne da
piangere.
Dove
sei, Tom?
Pensò
poi. si portò la mano destra vicino al
viso. Il pugno era serrato. L’aprì leggermente e
vide il bigliettino ripiegato
più volte su ste stesso. Il cuore gli tremava,
così come il resto del corpo.
‹‹Okay,
Bill. Apri e leggi questo fottuto
biglietto.››
Non
ci pensò a lungo; anche perché se
l’avesse
fatto, di sicuro non l’avrebbe più letto.
L’aprì subito e cominciò.
Ciao
piccolo…come
stai? Se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che non hai avuto
notizie di
me.
Ecco.
Tom lo sapeva. Lo sapeva fin dall’inizio.
Un lieve sorriso si dipinse sul volto di Bill. Era cominciato bene.
Voglio
tranquillizzarti. Non mi sono affatto dimenticato di te. Come potrei
farlo?
Sapevo che avresti colto il momento giusto per leggerlo. Quanto tempo
è passato
prima che tu lo leggessi? Due mesi? Tre?
‹‹No,
Tom…ne sono passati nove…››
disse poi
Bill. Il suo cuore si strinse.
Forse
anche qualcosa
in più. Mi auguro di non averti ferito, o peggio, non voglio
che tu abbia
pensato che mi sia dimenticato di quello che abbiamo passato insieme.
Sei
sempre nei miei pensieri, Bill. Non smetto un secondo di
pensarti…e ti penserò
sempre…anche se non avremo contatti per i prossimi mesi.
Qual
era il senso di quel biglietto, quindi?
Ti
starai chiedendo
il motivo per il quale io sia sparito, vero? Adesso te lo spiego. Devi
sapere
che, una volta sbarcato, non tornerò a casa.
Dovrò fare uno stage di un anno in
Giappone. Ti ho detto che studio informatica, vero? Bene. Per il mio
alto
rendimento, ho vinto questo corso. Anche Gustav, Andreas e Georg,
l’hanno
vinto. Sì, sicuramente starai pensando che siamo quattro
secchioni.
Il
viaggio è tutto
pagato dal College. Ovviamente non avrò né
internet, né altro. È un corso
intensivo e dovrò studiare praticamente ogni secondo quella
giornata. Quindi,
tesoro mio, non spaventarti se passerà tanto
tempo…tu sarai sempre nei miei
pensieri…e ricordati la promessa che ti ho fatto. Io non mi
rimangio la parola.
Non sarà l’oceano a separarmi da te.
Tornerò a prenderti.
…e
un’altra cosa…quando
ti ho detto ti amo, lo pensavo davvero.
Con
affetto, Tom.
Era
in lacrime. Strinse quel biglietto così
forte da farlo diventare parte di sé.
‹‹Lo
sapevo. Sapevo che non ti saresti dimenticato
di me. Mio Dio. È il giorno più bello della mia
vita.››
Si
mise seduto su quella panchina. Aveva la
schiena gelata. Lesse e rilesse quel biglietto. Era la sua risposta a
tutto.
‹‹Devo
dirlo ad Heidi.››
Si
alzò di scatto e si diresse correndo verso
casa.
*
‹‹OMIODIOCHECOSATENERA!››
urlò Heidi saltando
in braccio al fratello, riempiendolo di baci dappertutto.
‹‹CHECOSATENERA!››
urlò di nuovo. Bill scoppiò a ridere cercando di
tenere su la sorella. Gordon e
Simone, sentendo le urla, salirono su in camera della figlia.
‹‹La
volete piantare di urlare tutt’e due? Cosa
diamine vi è preso?›› dissero
entrambi, aprendo la porta di scatto. Temevano di
trovarli uno sopra l’altro che si accapigliavano per chi
dovesse usare per
primo la piastra.
‹‹NON
PUOI CAPIRE, MADRE.››
‹‹Madre?
Heidi stai bene?››
‹‹NON
POTETE CAPIRE!›› disse Bill. Mise Heidi
in terra e lesse ad alta voce il biglietto. Restarono sbalorditi anche
loro.
‹‹Aspetta…ma
Tom non è il ragazzo che hai
conosciuto in crociera? Dio Bill, sono passati nove mesi. Pensavo
l’avessi
dimenticato.››
‹‹No,
papà. Non l’ho dimenticato. Non l’ha
fatto nemmeno lui, da come puoi vedere.››
I
suoi occhi brillarono, così come il suo
sorriso. Forse non era mai stato tanto felice in vita sua.
‹‹Sono
felice per te.›› disse poi Simone,
sorridendo.
Bill
corse in contro ai genitori e li abbracciò
più forte che poteva. Anche Heidi lo fece.
‹‹Il
merito è tutto vostro e di quella
splendida crociera, se ho conosciuto una persona come
lui.››