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Autore: Cicciolgeiri    04/03/2009    2 recensioni
"Guardo mio...figlio, la sua forza, la sua bontà, la luce che irradia ovunque. E ciò non fa che rafforzare, più di ogni altra cosa, la speranza, la fede. Come è possibile che non esista qualcosa di più, per uno come Edward?"
E se quello che hai sempre sperato, un'altra possibilità, esistesse davvero? Fic ambientata dopo Breakin Down, senza alcuno scopo di lucro. Recensite in tanti.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Da quanto ero lì immobile ad osservare mia figlia? Ormai la mia percezione del tempo era diversa, mi sembrava fosse passato un attimo e invece l’alba di un nuovo giorno, un altro insieme a lei nella mia nuova condizione, mi stava salutando. Non mi stancavo di guardarla dormire serena, sentirla respirare piano, sentire il battito del suo piccolo cuore, sentire il suo profumo, chissà se somigliava al mio, a quello che aveva sentito Edward. Tutto questo, ero sicura, doveva mancargli di me, ma poteva ritrovarmi ancora nel calore dell’abbraccio di nostra figlia. La guardai di nuovo: stava sorridendo tenendo una manina paffuta alzata, sognava e comunicava con quel suo modo particolare e parlava nel sonno proprio come facevo io, come mi raccontava sempre Edward. Capii che sognava me perché disse piano “mamma”. Istintivamente mi avvicinai per sistemarle le coperte, fu allora che avvertii dietro di me la presenza di Edward. “Sapevo di trovarti qui” disse avvicinandosi, mi poggiò le mani sulle spalle e mi baciò i capelli, “buon giorno” sussurrò , “solo lei può tenerti così a lungo lontana da me”.
Improvvisamente mi ricordai del mio appuntamento della notte precedente: avevamo deciso di andare a caccia insieme. Mi voltai per guardarlo negli occhi, erano scuri. Non era andato. Se fossi stata ancora umana sarei arrossita, ma mi sembrò di averlo fatto comunque, perché mi sentii avvampare per l’imbarazzo, o perlomeno, in quel momento desiderai poterlo fare, perché capisse immediatamente quanto ero mortificata. Mi abbracciò facendomi voltare, mi guardò e sfoderò il sorriso sghembo che sapeva. “Non sono offeso, non preoccuparti: so cosa provi.” Chinai il viso, ancora imbarazzata:
“Adoro guardarla dormire” dissi piano.
“Lo so è affascinante” rispose accarezzandomi e scansando una ciocca di capelli, “è bella proprio come te ed è nostra. Alle volte non riesco a credere che mi sia stato concesso questo privilegio: è come avere avuto una seconda possibilità , una risposta alle mie domande, come se non fosse tutto perduto”. Fece una pausa e sapevo a cosa stava pensando.
“Edward…”dissi piano.
“Sì?” mi rispose guardandomi con tenerezza infinita e gratitudine. Alzai lo sguardo: sapevo che non poteva intuire a cosa stessi pensando. Avevo quella domanda che mi ronzava in mente da un po’, ma non riuscivo a farla: non volevo rattristarlo, sapevo che non era stato facile per lui, che tra i due mali aveva scelto quello minore. Da come parlava sembrava contento, sembrava avesse smesso di sentirsi in colpa per me, ma alle volte invidiavo il dono che aveva di leggere i pensieri altrui.
Lo fissai: mi stava guardando, aspettando che facessi la domanda inclinò la testa di lato.
“Dimmi” mi ripeté in un sussurro, “cosa c’è Bella ? A cosa stai pensando?”. Continuava a sorridere. Sapevo che stava aspettando che dicessi qualcosa, ma non insistette nel chiedere cosa mi stesse passando per la mente. “Bella, sai che non è prudente che tu rimanga troppo a lungo senza nutrirti, il tuo auto controllo è eccezionale, ma sei ancora giovane ed instabile. Potrebbe intervenire qualsiasi cosa ad alterare questo tuo nuovo equilibrio: sarebbe quindi meglio andare comunque, chiederemo a Rose di badare a Renesmee.”
Lo guardai e rimasi senza parole: ai miei occhi continuava ad essere bellissimo. Anche se ormai eravamo alla pari, stranamente, quella sensazione di inferiorità ancora faceva parte del mio essere; la intuivo come un ricordo, ma era lì ancora dentro di me. Il suo odore, quello invece, lo ricordavo perfettamente e, confesso, ne sentivo la mancanza. Mi alzai sulle punte dei piedi per avvicinare il mio viso al suo e lo baciai sulle labbra morbide e calde. Rispose immediatamente con trasporto e tenerezza, come solo lui sapeva fare. Con delicatezza mi staccai da lui e sentii il suo abbraccio farsi più deciso. Spostai le mie mani dalla sua nuca e le posai sul suo viso. Lo guardai negli occhi. “Perdonami” gli sussurrai, “hai ragione come sempre, sono pronta in un attimo.”
Riluttante si staccò da me e lo vidi avvicinarsi alla culla di Renesmee: con la punta delle dita le sfiorò i capelli e lei rispose al suo tocco sospirando e voltandosi di lato.
Lo lasciai lì a contemplare sua figlia e mi diressi verso la nostra camera da letto, dove mi sarei cambiata per la caccia. Volevo qualcosa di pratico: non avevo ancora perfezionato la mia tecnica e non volevo correre il rischio di rovinare un altro degli abiti con cui Alice aveva rifornito il mio guardaroba, anche se non rispecchiavano né il mio nuovo stile, né quello vecchio. Non volevo offenderla, anzi: sarei dovuta andare a fare spese, ma uscire e incontrare persone mi metteva un po’ a disagio. Mi guardavano in un modo… Forse come diceva Edward, in qualche maniera, loro intuivano la differenza, il pericolo. Ero bellissima adesso, ma non mi guardavano solo per quello, ne ero sicura. Comunque non ero più uscita da sola dall’ultima volta che avevamo avuto la visita dei Volturi. Edward diceva che non era prudente, anche se Jasper era ormai sicuro che non possedevo più nessuno dei tratti caratteristici dei neonati. Emmett mi prendeva in giro chiamandomi “sorvegliata speciale”, perché costretto a seguirmi per evitare problemi. Avrei preferito fosse Edward a ricoprire questo ruolo, ma da un po’ lui e Carlisle passavano molto tempo insieme.
Tirai fuori dall’armadio un paio di jeans, non mi sembravano nuovi, li osservai meglio: erano anzi, alquanto rovinati. Chissà di chi erano e come erano finiti lì? C’era anche una camicetta blu, decisi di indossare quelle cose: erano abbastanza pratiche. Legai i capelli a coda di cavallo e raggiunsi Edward nel soggiorno, dove si era spostato. Era seduto sulla poltrona e teneva tra le mani qualcosa che a prima vista mi sembrò un libro, ma poi capii essere l’album del mio diciottesimo compleanno o credevo fosse lui. I ricordi del mio passato non erano sempre nitidi, però di tutto ciò che aveva a che fare con i miei genitori tendevo ad avere ricordi più stabili e chiari e quello lo ricordavo: era un loro regalo, ma cosa stava guardando Edward? Mi avvicinai e da sopra le sue spalle vidi che osservava una fotografia: era sicuramente lui insieme ad una piccola ragazza insignificante e goffa che, stranamente, somigliava in qualcosa a nostra figlia. Come un’intuizione ricordai me stessa. Che strano: non riuscivo quasi più a ritrovarmi in quei mie nuovi tratti e più passavano i giorni e le settimane e più quella Bella, quella insignificante ragazza umana, svaniva dalla mia mente. Dai miei ricordi, quando riemergeva qualcosa dei miei primi giorni con Edward, mi vedevo accanto a lui con il mio nuovo aspetto, invece lui aveva bisogno di vedermi ancora come allora e la domanda che qualche ora prima non ero riuscita a pronunciare tornò a fior di labbra:
“Amavi di più lei” l’avevo appena sussurrata, quasi pensata, ma fu sufficiente perché lui la udisse ugualmente. Il gesto che fece di chiudere immediatamente l’album e riporlo sullo scaffale in maniera fulminea servì a confermare il mio timore: gli mancava. In qualche modo non mi sentiva più, non ero più io per lui e del resto cominciavo a non esserlo nemmeno per me stessa. Adesso capivo a cosa si riferiva quando diceva che sarebbe stato diverso, quando cercava di smontare la mia determinazione a voler diventare come lui, perché tanto non sarebbe cambiato niente, che sarei sempre stata io. Ricordavo la sua voce lontana che mi ripeteva:
“Non sai di cosa stai parlando, Bella. Tu non lo sai”.
Fece finta di non avermi sentito, ma sapevo che era impossibile: il nostro udito era eccezionale, i nostri sensi lo erano tutti, ma per qualche motivo non voleva affrontare l’argomento, conoscendolo per non ferirmi o rattristarmi. Sapevo che mi proteggeva sempre da tutto anche adesso e continuava a proteggermi ancora da sé stesso.
“Che velocità signora Cullen” disse voltandosi verso di me con il suo sorriso luminoso e lo sguardo più innamorato che aveva, non voleva ferirmi, rendermi insicura, ma qualcosa lo bloccò come se avesse visto ad un tratto un fantasma. Con gli occhi pieni di stupore, la bocca semi aperta, il respiro spezzato rimase immobile. “Bella !” bisbigliò, poi scosse la testa e sbatté le palpebre come a scuotersi da un sogno ad occhi aperti, si passò una mano tra i capelli sempre spettinati e cercò di ricomporsi.
“Che succede Edward stai bene?” rimasi stupita da quella reazione. Si avvicinò lentamente, mi prese una mano che tenevo abbandonata lungo il fianco e, sollevandola, mi invitò a girare su me stessa, facendomi fare una piroetta come un passo di danza. Non capivo cosa volesse fare, sembrava mi stesse ammirando compiaciuto, mentre con una mano accese lo stereo. La musica che ne scaturì la riconobbi subito: la sua preferita, Debussy. L’ascoltava sempre, in maniera quasi ossessiva mi sembrava, anche perché era fornitissimo di cd, ma quella canzone lo rapiva ogni volta completamente.
Si avvicinò e mi guardò con uno sguardo che aveva del minaccioso.
Istintivamente mi sentii sfidata e gli risposi:
“Tanto non mi fai paura!”
Sfoderò il suo sorriso sghembo e mi rispose sospirando:
“Mhhh… Questo non avresti dovuto dirlo” mi afferrò per un braccio e con un movimento veloce quanto inaspettato mi mise sulla sua schiena e volammo letteralmente fuori dalla finestra. Ci ritrovammo nella foresta. “Stai comoda scimmietta?” mi disse, “E’ meglio che tu ti regga forte!”
Mi colse di sorpresa e quando lo notò il suo entusiasmo svanì di colpo e sembrò quasi come se si fosse accorto di aver fatto una gaffe. “Scusami” disse imbarazzato.
“Di cosa?” risposi curiosa. Non riuscivo a capire perché si sentisse così in difficoltà, come se lo avessi sorpreso a rubare la marmellata.
“Pensavo che li avessi messi per ricordare quel giorno” rispose, tenendo gli occhi bassi e infilando le mani nelle tasche.
“Quale giorno? Avessi messo cosa? Edward che ti prende?” risposi stupita.
“Niente amore, sono il solito sciocco. Hai ragione: come puoi ricordare? Tu ora sei diversa, i tuoi ricordi di prima, voglio dire” era impacciato lo vedevo e glielo sentivo nella voce.
Un’altra conferma nel giro di pochissimo tempo e aveva ragione ad essere amareggiato, ad avere rimpianti, perché non era più come prima: per me, a parte lui, tutto ciò che avevamo avuto insieme andava scomparendo. “Cosa ho fatto?” chiesi con un rammarico mal celato nella voce.
Mi prese tra le braccia e mi guardò con i suoi occhi scuri e profondi.
“ Tu niente piccola, colpa mia: sono uno sciocco” mi mise un dito sotto il mento e mi sollevò il viso. Tenevo gli occhi bassi e se avessi potuto avrei pianto. Scommetto lo sapeva, perché mi baciò con passione e trasporto. Mi staccai da lui:
“Mi vuoi dire cosa è successo, allora, Edward ?” dissi irritata. “Ma niente, è solo che hai indossato gli stessi vestiti della prima volta che ti ho portato a conoscere la mia famiglia, Bella e ho voluto rivivere quel momento con te, pensando stupidamente che tu lo ricordassi, ma sono stato indelicato e ti ho offeso” sospirò.
“Non mi hai offesa è solo che sono rimasta sorpresa, perché io non lo ricordo e mi dispiace, perché di ciò che ho con te ed ho avuto con te non vorrei perdere nulla, ma quello che ero va scomparendo dalla mia mente e anche i nostri ricordi di prima insieme sono sempre meno.”
Fece una smorfia di rammarico, mentre si stringeva nelle spalle. "Lo so Bella: conosco la sensazione di vuoto che si prova, ma non ci ho fatto caso, mi sono lasciato prendere la mano. Ti chiedo ancora scusa: non volevo rattristarti in nessun modo, credimi. Costruiremo dei nuovi ricordi da condividere, tranquilla te lo prometto e saranno molto più belli di quelli di prima” si avvicinò e mi prese le mani tra le sue, ma sapeva di aver innescato la mia ansia e le mie insicurezze.
La domanda risuonò nella mia testa, prepotente e questa volta la pronunciai decisa, quasi seccata:
“ Edward “ dissi perentoria, “ lei ti manca, vero?”
La sua espressione prima sbalordita poi divertita mi irritò ulteriormente. “Smettila!” dissi e un ringhio sordo si levò dal mio petto. Rimasi stupita quanto lui e lo vidi irrigidirsi: avevo assunto una posa strana, innaturale, tesa in avanti pronta a scattare ed era insolito, perché sembrava che il mio corpo agisse per conto suo, separato dalla mia volontà.
Osservavo Edward: lo vedevo fermo, rigidamente immobile. “Calma Bella” mi diceva piano, come un mantra mi ripeteva: “Respira Bella, respira”.
Seguii il suo consiglio e la tensione sembrò abbandonare il mio corpo. Lui se ne accorse e fece un passo avanti. “Tutto bene piccola? Mi posso avvicinare?”
Feci cenno di sì e mi coprii il viso con le mani, voltandomi per dargli le spalle. Cominciavo ad odiare il fatto di non poter più piangere. “Non stare li impalato” urlai, “abbracciami!”
In un attimo mi fu accanto e mi cinse la vita, il viso affondato nei miei capelli. “Tutto bene, Bella, non essere triste: inconvenienti del mestiere di vampiro!” disse sarcastico per sdrammatizzare, ma non apprezzai granché.
“Non prendermi in giro Edward, non è divertente!”
Mi stringeva. “Non volevo farlo amore” non riusciva a trattenersi dal ridere.
“Insomma, smettila!” dissi piagnucolando e voltandomi per guardarlo. Incredibile: rideva! E faceva fatica a trattenersi. Non so se lo avevo mai visto ridere così, non lo ricordavo, ma istintivamente lo colpii ad un braccio.
“Ahi!” disse, ma ormai non si tratteneva più “Scusami, davvero, scusa Bella, perdonami!”
Restai a guardarlo, aspettando che si ricomponesse. Lo vidi fare un respiro profondo e tornare in sé piano piano.
“Bene” mormorai, “ti sei divertito a sufficienza per oggi? Possiamo cominciare la caccia? Avrei una certa urgenza di tornare da nostra figlia!”
Si posò una mano sul mento e mi guardò. “Sai, Bella avevo sentito di scenate di gelosia. Te ne ho anche visto fare, una volta, ma credimi se ti dico che in nessun libro o film in tutti gli anni che ho vissuto, ho mai sentito di nessuno che abbia fatto una scenata contro sé stessa come hai fatto tu adesso. Ti amo, tesoro: sei unica!”
Era incredibile: ero furiosa. “Quella non sono più io, e sì, credo che ti manchi e che tu la rimpianga, anche se ti sembra sciocco e irrazionale. Sono gelosa è vero, perché so che non sarò più per te quello che era lei.”
“E’ vero” disse, “ma ora sei ciò che volevi e poi posso abbracciarti senza avere il timore di farti male e ti desidero come una donna e non come una succulenta pietanza”. Aveva capito: era impareggiabile. Era riuscito a fugare ogni timore e sospetto, e sfoderò il suo sguardo ammaliante di quando voleva ottenere qualcosa. Aveva raggiunto il suo scopo: rimpiangere quella parte di me senza farmi stare male per questo.
Mi prese per mano e mi guardò negli occhi:
“Pronta a cacciare, Bella? Sbrighiamoci, ho sentito Renesmee reclamarti con Rosalie e poi Alice è impaziente di farti vedere i nuovi acquisiti che ha fatto per te!”
Gli strinsi la mano e lo seguì, perché una cosa ero sicura che non fosse cambiata e non sarebbe cambiata mai: non riuscivo a rimanere arrabbiata con lui, se mi guardava e mi parlava in quel certo modo che solo lui sapeva.
Corremmo fianco a fianco per un po’, poi sentimmo due scie e ci dividemmo per seguire due branchi diversi. Cercai di sfruttare le mie capacità con gli esemplari più giovani, inesperti e più facili. Quando capii che poteva essere sufficiente tornai verso Edward. Mi aspettava appoggiato ad un albero, immobile sotto un raggio di sole. Mi sentì arrivare e aprì gli occhi.
“Cosa stavi mormorando?” domandai curiosa. Mi guardava e con una mano si ravviò i capelli che il vento stava scompigliando. “Renesmee sta dando segni di impazienza: ha scoperto che facendo i capricci zia Rose diventa come creta nelle sue mani”.
Lo guardai e sorrisi. “Sai cosa mi piacerebbe adesso?” dissi, guardando la sua espressione curiosa “Che tu mi baciassi per non dimenticare come era.”
Con il suo sguardo oro liquido fece di sì, mi prese tra le braccia e cominciò a baciarmi con passione e trasporto e il suo contatto aveva su di me l’effetto di prima, ne ero più che sicura.
Ricambiai quel bacio e cercai di allentare lo scudo nella mia testa per fargli sapere cosa provavo. Con gli occhi ancora chiusi staccò appena le labbra dalle mie e mi sussurrò piano e con tutta la dolcezza e la profondità della sua voce di velluto:
“Tranquilla amore, ti amo e ti amerò, sei e sarai per sempre e comunque la mia Bella. Lo eri prima, lo sei adesso e lo sarai per l’eternità.”
“Grazie” bisbigliai.
“Quando vuoi” mi rispose e ci avviammo di corsa verso casa.
  
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