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Autore: Adeia Di Elferas    09/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~L'assedio andava avanti da giorni, ma solo raramente gli uomini dei Colonna avevano osato mostrarsi fuori dal castello di Cave e in quelle poche occasioni ogni scontro si era chiuso in breve tempo e con poche perdite.
 Le bombarde piazzate sulla strada che dava a Valmontone venivano usate con parsimonia, soprattutto per risparmiare proiettili in vista di un eventuale attacco finale e di quando in quando Virginio Orsini comandava un assalto, che terminava però come gli attacchi dei Colonna: in fretta e senza risultati.
 Caterina stava sfruttando quel periodo di fermo per fare affari a distanza con alcuni armaioli del ferrarese che, aveva sentito dire, avevano messo a punto un nuovo tipo di bombarda, più allungata e più precisa, decisamente più maneggevole e facile da ricaricare.
 Girolamo Riario, invece, passava per lo più le sue giornate attaccato alle gonne della moglie, cercando di non dare nell'occhio e defilandosi ogni volta che veniva comandata una qualsiasi azione militare.
 Era quasi passato un mese, quando Paolo Orsini decise che non era più tempo di aspettare. Temeva un eventuale rinforzo da Napoli in favore dei Colonna e le bombarde comandate da Caterina tardavano ad arrivare.
 “Propongo un attacco deciso, con le nostre forze al completo.” disse quella sera Paolo Orsini, mentre lo Stato Maggiore era riunito nel suo padiglione: “Li spaventeremo e forse penseranno che se schieriamo così tanti soldati lo facciamo perchè alle nostre spalle abbiamo altrettanti rinforzi...”
 “Piano azzardato, ma mi piace.” convenne Virginio Orsini, che era sempre pronto ad attaccare.
 Anche il comandante d'artiglieria si disse favorevole, e con lui Caterina, che propose, in occasione di un attacco decisivo, di cominciare con le bombarde prima dell'alba, per stancare anzitempo i nemici.
 L'unico dei presenti che non sembrava desideroso di esprimersi era il Conte Riario. Aveva ascoltato gli altri con uno sguardo scettico e anche ora che molti lo fissavano in attesa di un suo commento, teneva gli occhi puntati a turno su sua moglie e su Paolo Orsini.
 Dopo qualche minuto di silenzio, fu proprio Paolo Orsini a chiedere apertamente: “Conte, voi cosa ne pensate?” 'Seppur ne pensate qualcosa' avrebbe voluto aggiungere, ma la riconoscenza che portava a papa Sisto IV gli impedì di insultarne il nipote a quel modo.
 Girolamo fu costretto a prendere parola, così disse: “Se non c'è altro da fare...”
 E mentre tutti raccoglievano le sue parole come il segno del più grande disinteresse possibile, il Conte non faceva altro che pensare che una cosa del genere non sarebbe stata uno scherzo e che sua moglie non si sarebbe tirata indietro, anche se pure quel giorno, dopo aver mangiato poco e male, l'aveva vista vomitare di nascosto e tenersi il ventre con il viso contratto dal dolore.

 Le bombarde cominciarono a cantare un'ora prima dell'alba, svegliando i soldati che si erano trincerati nel castello.
 Quando gli uomini dei Colonna videro la quantità di nemici che si stava schierando a poca distanza da loro, il sole era ormai alto.
 Paolo Orsini aveva fatto pressioni affinché la Contessa e Virginio Orsini restassero inizialmente nelle retrovie. Ovviamente nessuno dei due era stato d'accordo, ma alla fine entrambi avevano dovuto cedere alla sua superiorità in grado.
 In realtà si erano suddivisi i compiti. Laddove Paolo avesse guidato la cavalleria – per respingere il sicuro contrattacco dei Colonna – Virginio sarebbe stato alla testa della fanteria, pronto con scale e altri mezzi per scalare i muri ripidi del castello. Caterina, invece, sarebbe rimasta alla guida dell'artiglieria e solo in un secondo momento si sarebbe unita all'attacco diretto, se necessario.
 “Avanti! Avanti!” stava gridando Antonello Savelli, che osservava l'avanzare degli Orsini stando nel punto più alto dell'appostamento di vedetta.
 Le porte del castello vennero aperte mentre il nemico era ancora fuori portata e furono fatti uscire i cavalieri.
 Appena furono fuori, i portoni vennero richiusi, e il rumore sordo dei battenti fece perdere subito forza alla carica. Quel gesto, deciso da Savelli ancor prima di averne coscienza, era come una condanna a morte per tutta la cavalleria. Una volta fuori, anche se fosse stata dichiarata una ritirata, nessuno avrebbe più permesso loro di tornare al sicuro...
 Paolo Orsini sogghignò, abbassò la celata e gridò: “All'attacco!” e con un gesto fluido del braccio fece segno di partire.
 Caterina osservava la scena da lontano, poco distante da Virginio Orsini, che stava schierando la truppa.
 Videro le due file impattare e la polvere sollevarsi dell'aria rovente di quel luglio infuocato. Entrambi trattennero il fiato e attesero che la nebbia di guerra si diradasse per capire quando e se entrare in azione.
 Paolo Orsini respinse uno, due, tre nemici. Poi sentì un forte colpo alla testa e venne disarcionato. Cadde di peso sulla spalla, perdendo la presa sull'elsa della spada, e nell'impattare con il suolo si sentì mancare il fiato, come se una forza invisibile gli avesse svuotato i polmoni tutti d'un colpo.
 L'elmo gli si era spostato e non vedeva più nulla. Mentre si agitava in terra per toglierselo, sentì lo zoccolo di un cavallo battere il suolo proprio accanto al suo orecchio e provò paura, la vera paura, dopo tanto tempo.
 Con un urlo si tolse finalmente l'elmo e scattò in piedi, giusto in tempo per evitare di essere travolto da un suo uomo che cadeva morto dalla sella.
 Cominciò a lottare con altri appiedati a calci e pugni, senza riuscire a farsi un'idea di come stesse andando lo scontro. Era rimasto senza elmo, senza cavallo e senza spada lunga. Non gli restava altro che prendere lo spadino che teneva di riserva appeso alla cintola...
 Mentre litigava con la fodera, che non voleva saperne di lasciare andare la lama, sentì qualcosa di freddo e mordente trafiggerlo in uno dei punti scoperti, appena sotto alla stessa spalla che aveva battuto in terra. Il dolore fu tale che, prima di rendersene conto, svenne.
 
 “Avanti! Prendiamo il castello!” ringhiò Virginio Orsini, facendo avanzare la fanteria.
 Tutti quanti lo seguirono gridando e più avanzavano, più i cavalieri che avevano terminato la loro parte, si ritiravano.
 Caterina aveva ricevuto l'ordine di coordinare l'artiglieria leggera, che avrebbe coperto la fanteria, attaccando gli assediati da lontano, spianando la strada agli assediatori.
 Mentre raggiungevano il castello, venivano piegate le scale e si approntavano gli ultimi preparativi per forzare una volta per tutte la resistenza di Cave.
 Antonello Savelli non credeva ai suoi occhi. I nemici che vedeva di fronte al suo castello erano troppi... Si era giocato la cavalleria, e ora, se non avesse in fretta dichiarato la resa, nessuno si sarebbe salvato...
 Per decidersi ad attaccare a quel modo, pens Savelli, con la mente annebbiata, gli Orsini dovevano per certo aver ricevuto dei rinforzi, altrimenti non si sarebbero azzardati a osare tanto...
 Le prime scale colpirono le pietre dei muri e Caterina diede ordine di fare un primo lancio. L'artiglieria leggera riuscì quasi a dimezzare i nemici che aspettavano sul camminamento e per un attimo la giovane si sentì euforica.
 Quasi non si accorgeva dei soldati morti che la circondavano. In quel momento vedeva solo Virginio Orsini che incitava i suoi a cominciare a salire.
 Perciò, quando con la coda dell'occhio le parve di vedere un movimento tra i corpi di uomini e cavalli in terra, quasi non vi fece caso.
 Solo mentre i suoi artiglieri ricaricavano diede un secondo sguardo e quella massa a una trentina di metri da lei le parve familiare. Approfittando della momentanea pausa, si diresse verso quella figura che si muoveva ancora e quando ne ebbe la certezza esclamò: “Aiuto!” e si fece accompagnare da due soldati presi a caso.
 Mentre qualche freccia raminga lanciata dagli assediati arrivava quasi a lambire la fila dell'artiglieria, Caterina raggiunse Paolo Orsini e si accertò delle sue condizioni. Era ferito, ma non sembrava grave. Egli stesso la rassicurò subito: “Non è nulla... Ho solo perso i sensi...”
 Caterina ordinò a uno dei soldati che la seguiva di andare a recuperare un cavallo e allertare il cerusico.
 Paolo Orsini ridacchiò, facendo una smorfia per il male alle spalla: “Non indossate l'elmo... Se vostro marito lo sapesse...! Potrebbe addirittura decidere di venire sul campo solo per sgridarvi...”
 Caterina fece un breve sorriso, trovando assurdo come quell'uomo riuscisse a far dello spirito anche in quello stato, e appena alzò gli occhi in cerca del cavallo che aveva richiesto, vide che i Colonna stavano abbassando i loro stendardi e che stavano, finalmente, dichiarando la resa.

 “Come vi avevo detto non ho nulla.” disse Paolo Orsini, soddisfatto, mentre il cerusico finiva di fasciargli la ferita.
 Caterina annuì, ma si disse comunque sollevata. Avevano lasciato a Virginio Orsini il compito di prendere ufficialmente Cave, e gli avevano lasciato anche gli onori militari.
 Caterina si era subito occupata di Paolo Orsini, limitandosi a togliersi qualche pezzo di armatura, che cominciava davvero a darle fastidio.
 Aveva assistito alla medicazione, dando qualche consiglio su come mantenere pulita la ferita e promettendo a Paolo di fargli al più presto qualche tisana che lo aiutasse a guarire meglio. Egli l'aveva ringraziata e aveva affermato che era utile conoscere qualche bravo alchimista, in tempo di guerra.
 “Vostro marito?” chiese infine Paolo Orsini, mentre si infilava una sopratunica, stando attento alle bende.
 Caterina non rispose. Non aveva ancora avuto il coraggio di andare da lui. Non era certa di come avrebbe reagito, se l'avesse trovato di nuovo rannicchiato in un angolo del padiglione a piagnucolare come un bambino particolarmente fifone.
 “Meritavate un uomo migliore.” commentò Paolo Orsini, forse intuendo i pensieri di Caterina.
 Ella lo guardò un momento, indecisa se prendere quella frase come una mancanza di rispetto o come le parole di un amico. Optò per la seconda.
 
 Sisto IV ricevette la notizia della resa di Cave mentre stava pranzando nelle sue stanze. Compiaciuto del risultato dell'assedio, chiese subito come stesse Caterina Sforza. Il messaggero lo rassicurò, dicendogli che la Contessa Riario godeva di buona salute.
 “Bene...” sussurrò il papa: “Bene...” fece un debole sorriso, poi chiese anche di Paolo e Virginio Orsini.
 “Anche loro bene, Santità. Paolo Orsini ha riportato una ferita, ma molto superficiale, Santità.” spiegò la staffetta, con un piccolo inchino.
 Sisto IV annuì e lo congedò. Il messaggero, però, non se ne andò immediatamente. Gli era parso strano che il Santo Padre non gli avesse chiesto notizie sul Conte Riario...
 Così, di sua iniziativa, la staffetta aggiunse, prima di uscire dalla stanza: “Anche vostro nipote è illeso, Santità.”
 Sisto IV fece una risatina amara e tossì, prima di esclamare: “Oh, su questo non avevo dubbio alcuno!”
 Il messaggero restò un momento interdetto, ma poi lasciò le stanze del papa con un inchino decisamente troppo profondo.
 Appena la porta fu chiusa, Sisto IV fece un cenno di impazienza in direzione del giovane che se n'era appena andato. Non sopportava più tutti quei formalismi.
 “Santità di qui, Santità di lì...” borbottò tra sé: “Inchini di qua, inchini di là...!” lasciò cadere le posate nel piatto con un gesto sdegnato. Era stanco. Non ne poteva più di quella gabbia d'oro che si era costruito da solo.
 Tossì ancora un paio di volte e poi sospirò. Suo nipote... Era pronto a giocarsi la testa che suo nipote non aveva nemmeno preso in mano una volta la spada per tutta la durata dell'assedio. Ah, perchè Dio l'aveva punito con parenti del genere?
 Si massaggiò la fronte, sbuffando. Forse avrebbe dovuto richiamare a corte Giuliano. Anche se aveva fatto molti errori – uno fra tutti, orchestrare l'assassinio di Galeazzo Maria Sforza – era comunque l'unico suo familiare su cui poteva davvero contare... Tutti gli altri non avevano capito un accidenti. Si comportavano come damerini coi guanti bianchi, quando invece le prime generazioni di una famiglia in ascesa dovevano essere pronte a sporcarsi le mani con il fango e con il sangue, quando necessario...
 E invece...
 Chiuse con forza gli occhi, colpito dal solito mal di testa che lo assillava praticamente ogni giorno ormai.
 Si sentiva svuotato, senza più energia, senza più voglia di vedere il futuro... Ma non poteva andarsene sapendo che la sua famiglia era in mano a dei buoni a nulla...
 “Dio mio – sussurrò il papa, con la voce arrochita – da molto tempo non ti parlo, ma ora ti chiedo: perchè mi punisci così?”

 

 

   
 
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