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Autore: Arisu01    11/12/2015    0 recensioni
Jamie è una ragazzina di 13 anni,che vive felice con la sua famiglia in una tranquilla capitale del Wyoming,Cheyenne. Un giorno,però,i genitori le verranno a mancare,e come se non bastasse,l'unico amico con cui si era legata dopo la partenza del fratello in guerra e il trasferimento dallo zio,le scivolerà via dalle mani,come acqua su uno scoglio. La loro amicizia verrà messa a dura prova da un confine perfino più lungo dell'intero Universo...
Dal testo:
«E se non fosse così? E se non tornassimo mai indietro...?» chiese lei,preoccupata.
«Non torneremo indietro. È impossibile.»
Jamie rimase a guardarlo,con le lacrime agli occhi. L'unica volta che si era sentita così confusa è stato quando le avevano spiegato,per l'ennesima volta,le leggi di Keplero. Forse però,in quel momento,lo era anche di più.
«Jamie...» sussurrò lui,girandosi verso di lei. Aveva gli occhi rossi. Stava trattenendo tutto quel che avrebbe voluto lasciar andare,tutto quel che c'era da urlare.
«...mio padre...»
Genere: Drammatico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La luce del sole mi sfiora dolcemente le palpebre,facendomi svegliare. Non mi sono ancora abituata a questo. Di solito,vengo svegliata da mia madre che minaccia di buttarmi un secchio d'acqua gelata in pieno viso. Questo risveglio mattutino è troppo tranquillo. Mi alzo stancamente e vado in bagno. Non c'è bisogno che vi dica cosa ho fatto lì dentro,penso che tutti sappiate cosa si faccia in un bagno. Subito dopo,mi fiondo in cucina,e trovo mio fratello che mi aspetta,seduto intorno al tavolo. Stranamente,la colazione è già pronta ed è tutto apparecchiato. Mi siedo anch'io,alternando lo sguardo da mio fratello,a i pan cake con succo d'acero sul piatto davanti a me. Jonatan ridacchia e mi fissa,come se stesse aspettando qualcosa da me. Sospiro,prendo lentamente il primo pan cake,e lo porto alla bocca,assaggiandone un pezzetto. Non mi fido molto del cibo che prepara lui. L'ultima volta che ha preparato qualcosa,è stato al compleanno della mamma,ma ha finito per bruciare la torta e mezza cucina. Questi pan cake sembrano invitanti,apparentemente. Siccome il pezzetto che ho appena ingoiato non mi ha ancora fatto rotolare dal volta stomaco,decido di mangiarne un altro. Jonatan,ora,mi sta fissando con un sorrisetto alquanto malizioso. Cosa vuole che faccia? Che salti di gioia e che vada ad urlare a tutto il quartiere che non sono ancora morta,dopo aver mangiato qualche cosa preparata da lui? «Beh?» sbotta. «Beh cosa?» rispondo io,mangiando il secondo pan cake. «Come sono?». Ed ecco la domanda fatidica. Non voglio immaginarmi la sua faccia quando sentirà quel che sto per dirgli,sarà epico. «Commestibili,direi...» rispondo,ridendo sotto i baffi. Bomba sganciata. Guardandolo con la coda dell'occhio,noto la sua espressione confusa. Mi sta fissando male,ma così tanto che persino Fuffy,il pitbull della signora Steven,scapperebbe a zampe levate. Finalmente,quando ormai sono giunta al penultimo pan cake,Jonatan riesce a parlare: «Commestibili? Tutto qui?! Mi sono svegliato alle 5:00 del mattino per prepararli,e tu che fai?! Mi dici solo "commestibili"?! Sei proprio una» dice,a raffica,mio fratello,ma prima che potesse finire,capendo già con quale insulto stava per concludere il discorso,lo interrompo. «Jo...» sorrido io,alzandomi e portando il piatto nel lavandino. «...sono buonissimi.» finisco. La sua precedente espressione sparisce,e lascia lo spazio ad una più sorpresa. «Oh...grazie.» dice,ricambiando il mio sorriso. Ora che mi viene in mente,lui oggi doveva lavorare,come mai è ancora qui? Guardo l'orologio: sono le 8:53,dovrebbe essere a lavoro già da due orette ormai. Mio fratello,come lavoro part time,fa il meccanico. Non può avere un lavoro in piena regola perché il suo altro "lavoro",se così possiamo chiamarlo,non glielo permette. «È inutile che ti preoccupi tanto.» esclama Jonatan,notando che sto controllando l'ora. Probabilmente,ha già capito cosa mi passa per la testa. «Non mi sto preoccupando,è solo che...» mi difendo io. Perfetto,non riesco mai a tenere a freno la lingua. Certo che sono preoccupata,il capo di mio fratello,oltre ad essere un pervertito,è anche uno vero bastardo. Anche per un ritardo di due minuti,gli diminuisce la paga e lo fa lavorare un'ora in più per tutta la settimana. Per fortuna,è successo solo una volta con Jonatan,è uno che capisce in fretta. Io,invece,sono una di quelle ragazze che anche se capisce al volo,ha la tentazione di dormire anche per dieci minuti in più pur di non sentirsi uno zombie appena sveglia. Se fossi stata al posto di mio fratello,in due anni,avrei raccimolato solo venti dollari,con un capo come Sanders. «...non dovevi andare a lavoro? Perché sei ancora in pigiama?» chiedo. «Mi sono preso un giorno libero.» risponde tranquillamente lui,come fosse la cosa più normale al mondo. Cosa? Un giorno libero? Quel bastardo del suo capo non glielo avrebbe mai permesso! Cosa gli ha fatto? Lo ha incatenato ad una macchina senza freni? Lo ha minacciato di morte,o lo ha ucciso direttamente? Nah,mi sta prendendo in giro. Quando vedo che se ne va,tutto sorridente,lo seguo e gli tiro la manica. «Non ti hanno licenziato...vero?» chiedo,con lo sguardo supplichevole. Lui si gira e mi mette una mano sulla testa,arruffandomi i capelli color ambra. «No,scema.» risponde,più calmo di prima. Corrugo la fronte. «E allora...» «Non ci crederai,ma quando gli ho spiegato la situazione,si è commosso e mi ha concesso la giornata libera. A dir la verità,mi ha dato tutta la settimana,ma non so se» «Assolutamente no.» lo interrompo io. Non mi sono accorta che siamo arrivati davanti la porta del bagno,ma non importa,prima deve ascoltarmi per bene. Non pensa altro che al lavoro e al dovere,non si diverte mai come dovrebbe fare un ragazzo di 19 anni. Mi sento male io per lui,ora sono stanca. «Ti rendi conto di quel che hai davanti?!» «Sì,una porta.» scherza lui. Mi avvicino e faccio la stessa espressione che ha fatto lui per i pan cake,solo,peggiore. «Ok...continua.» «Quel cretino di Sanders finalmente si è accorto di avere un cuore e ti ha lasciato non un giorno,ma un'intera settimana libera! Tu pensi sempre al lavoro,ti sei sempre preoccupato per tutti,meno che di te stesso. Finiscila di fare l'eroe,e sii egoista,ogni tanto. Divertiti,cavolo!» concludo. Poi,mi dirigo verso la mia camera,ma una mano mi blocca il polso. «Sei proprio una stupida...». Sta ridendo...? Sta proprio ridendo,allora mi sta prendendo in giro sul serio! Ma che cavolo ha da ridere?! Sono serissima! «Preparati,oggi staremo tutto il giorno fuori.» detto questo,entra in bagno e chiude la porta. Mi ha lasciata così,senza dirmi nient'altro? E ora che faccio? Che mi metto,se non so dove dobbiamo andare? Entro,sbuffando,in camera mia e tiro fuori dall'armadio dei jeans,una maglietta a righe viola e bianche,e un giacchetto marroncino. È estate: di sera,da queste parti,non fa molto freddo. Intanto che aspetto che mio fratello esca dal bagno,guardo fuori dalla finestra. Mi affaccio sulla strada,mezza affollata,del mio quartiere. Non mi piace questo posto,non mi è mai piaciuto. C'è troppa gente. Ho sempre voluto abitare in una casa in campagna,o vicina al mare. Alla fine,però,mi ci sono abituata. Il sole splende nel cielo azzurro,nessuna nuvola lo copre. Vedo la signora Steven e il panettiere parlare. La signora Steven sembra molto eccitata per qualcosa,e riesco a sentire la parola "festa". Ora ricordo! Oggi è il 4 Luglio,come ho fatto a dimenticarmene? Stasera c'è la festa in piazza! Potrei ricordarmi del colore della maglietta della prof. Jankins,ma non ricordo occasioni come questa. Non mi capisco proprio. Sento la porta del bagno aprirsi e mi dirigo verso di essa. Sarà una giornata movimentata. Se mio fratello ha deciso di uscire,allora lo sarà sicuramente. «Jamie! Cavolo,ti sbrighi?» urla mio fratello,dal piano di sotto. In realtà,io sono già pronta da un bel pezzo,mi sto solo rilassando un pò prima di affrontare quel che Jonatan sta per mostrarmi,qualsiasi cosa sia. «Arrivo!»,prendo la mia collana regalata dalla mamma per il mio decimo compleanno,e mi dirigo verso il piano di sotto,dove mi sta aspettando mio fratello. Ha preso le chiavi della macchina,quindi deduco che non andremo in un posto qui in città,o almeno,non nel quartiere. Salgo in macchina,e mi siedo sui sedili posteriori. Lo so,potevo tranquillamente sedermi davanti,solo che mio fratello è un pò troppo iperprotettivo,soprattutto da quando mamma e papà sono morti. Entrambi stiamo cercando di non pensarci, ma direi che è impossibile,dato che ce li ritrovavamo tutti i giorni per la casa,quindi,ora,è strano averla vuota. Mamma era una casalinga,perciò non usciva molto spesso,se non per fare la spesa o andare dal sarto qui accanto. Mio padre,invece,era il contrario,proprio come mio fratello. Pensava solo al lavoro e quello che esso produceva,cioè,i soldi. Più che altro,si preoccupava troppo del nostro bene: mio,di Jonatan e della mamma. Ecco da chi ha preso mio fratello,tale padre tale figlio. Sono passati quasi due mesi da quando i nostri genitori se ne sono andati,eppure sembra che siano passati appena due giorni. Vedo spesso Jo,con gli occhi lucidi o le lacrime agli occhi,e io non sono da meno. Non piangiamo mai davanti all'altro. Lui,forse,lo fa per non farmi star più male di così; io lo faccio un pò per la stessa cosa e un pò per orgoglio,non mi piace essere compatita. Dopo qualche secondo passato in silenzio,Jonatan prende parola,e guardando dallo specchietto retrovisore,fa partire la macchina. «Potevi metterti qualcosa di più carino,sai?» ridacchia. «Beh,caro il mio fratellone,ci sono due motivi: il primo è che tu non hai minimamente menzionato il posto in cui saremmo andati,quindi mi sembra ovvio che mi sia vestita in questo modo.» inizio io,cercando di essere il più diplomatica possibile. Svoltiamo a destra,poi tiriamo dritto. Stiamo andando fuori città,evidentemente. Cos'ha in mente il mio fratellone? «Il secondo è che mi sarei comunque vestita così,non mi piacciono i vestiti troppo 'fru fru' o tipo "ciao a tutti,sono miss scollatura". Chiaro?» e la mia diplomazia iniziale è sfumata con il mio solito tono acido. Non è colpa mia,ha iniziato lui. Lo sa benissimo che non sono come tutte le altre ragazze che conosce e conosciamo. Quasi tutte si mettono in ghingheri anche solo per andare al supermercato che hanno sotto casa. Per quanto mi riguarda,io potrei andarci in vestaglia e ciabatte. Quando tiravo fuori questo discorso,papà cominciava a parlare delle ragazze "complessate",senza un briciolo di autostima o dignità femminile,e finiva il suo improvviso discorso con: «E con questo,figlia mia,spero che tu ricordi sempre che niente e nessuno può toglierti la dignità». E cosa c'entrava questo con le ragazze vanitose che vanno in giro con i tacchi così alti da far invidia ad un grattacielo? Non lo capivo quando faceva così,ma non facevo domande,perché sapevo che non mi avrebbe risposto. Dopo due ore scarse di viaggio,arriviamo davanti un grandissimo cancello in vernice nera: il cimitero. Dovevo immaginarlo,quale altro posto si trova fuori Cheyenne se non il cimitero del paese? Oltre ai vari benzinai e autogrill,il cimitero è l'unico luogo "abitato" nel raggio di chilometri. Ed ecco che mio fratello scende dalla macchina,e io lo seguo a ruota. «Se me lo avessi detto prima avrei...» sussurro,mentre abbasso la testa. Bene,il classico: chi non piange davanti al cancello di un cimitero? Tutti,ecco chi. Le persone piangono DENTRO il cimitero,almeno credo. Mi sono sempre ritenuta strana,ma nonostante questo,mio fratello mi ha sempre detto che sono la ragazza più normale al mondo. Non so se dovrei prenderlo come un complimento. Ora Jo si è accorto di me,e si sta avvicinando qui,a passo spedito. Io mi limito ad asciugare le lacrime. «Jamie,ti ho portata qui perché pensavo che ti saresti sentita meglio...» sussurra anche lui,abbassandosi per arrivare alla mia altezza. Per avere 13 anni,sono abbastanza bassa. In confronto a mio fratello,sembro sua figlia più che sua sorella. Mi mette una mano su una guancia e la accarezza dolcemente. Ha gli occhi lucidi anche lui. È successo proprio quello che non volevo che accadesse,ora il suo sorriso si è spento,e tutto per colpa mia. I miei singhiozzi aumentano e scoppio in lacrime. Mi ritrovo tra le sue braccia,mentre,anche lui, piange silenziosamente. È tutta colpa mia,è sempre colpa mia. «Mi dispiace...» dico io. Non so se abbia capito quel che ho appena detto,i singhiozzi hanno camuffato la chiarezza delle parole. Comincia ad accarezzarmi la schiena e a ripetere che non è colpa mia,che andrà tutto bene. Invece sì che è colpa mia. Se non avessi cominciato a piangere non avrei fatto commuovere anche lui,e non si sarebbe preoccupato. Se non avessi preso quel 4½ in aritmetica, mamma non sarebbe morta mentre andava dal professore a farsi spiegare la situazione,e se questo non fosse successo,anche papà,a quest'ora, starebbe a casa a dormire o a leggere un giornale. E dire che,fino a qualche mese fa,mi lamentavo anche della mia vita monotona,anche se l'accettavo di buon grado. Adesso,preferirei mille volte ripetere lo stesso giorno,purché ci siano i miei genitori. Continuo a piangere e a chiedere perdono a mio fratello,che mi sta consolando chissà da quanti minuti. Sta ancora ripetendo che andrà tutto bene,forse per convincere più lui che me. Ora che mi sono calmata,Jonatan mi dà un'ultima occhiata,pet controllare che stia bene. Io annuisco,e insieme,entriamo nel cimitero. Avrei voluto prendere dei fiori,per poggiarli sulla tomba dei nostri genitori. So quanto mamma adorasse le margherite bianche,e ne avrei portate qualcuna,giusto per riuscire a ricordare il sorriso che aveva quando gliele regalavo. Siamo arrivati davanti alle loro tombe. Ormai è scontato quel che desidero: "voglio che i miei genitori tornino,voglio che tutto questo sia solo un brutto sogno." penso. Ma,si sa,l'erba 'voglio' esiste solo nel giardino del re,e anche se fosse nel mio,nessuno può riportare in vita i defunti. Quando mio fratello se ne andrà,io cosa farò? Con chi potrò sfogarmi? Chi mi consolerà quando ne avrò bisogno? Chi mi farà ridere quando avrei solo voglia di piangere? Eppure,mio fratello c'è sempre stato per me,vicino o lontano,non ha mai fatto differenza. So che rimarrà al mio fianco,qualsiasi cosa accada. In questo momento,però,non ne sono del tutto sicura,non perché non mi fidi di lui,non mi fido di me stessa. Sono troppo debole,ora,per riuscire a sperare,per questo mi appoggio sempre a Jo,senza cercare di farglielo pesare. È ancora troppo giovane per soffrire così e per prendersi tutte queste responsabilità,per questo penso sia meglio che me ne vada per un pò. Si sono fatte già le tre del pomeriggio,e ci incamminiamo verso l'uscita. Intanto,mi guardo attorno: è un cimitero come gli altri,anche se non sono stata in altri cimiteri oltre a questo,quindi,non saprei dirlo con certezza; mi sto solo basando su quel che ho visto in tv. È un'area molto grande,ricoperta da erba verde. Sono sicura che se la si guarda dall'alto,però,si presenterebbe come una distesa grigia. Con tutte le lapidi che ci sono non credo sia molto facile scorgere da lontano i ciuffi d'erba. Al centro di esso,c'è un grande albero ricurvo e spoglio. Sarà "l'atmosfera" del posto,ma questo albero è sempre rimasto così,negli anni non è mai cambiato. Stagione dopo stagione,anche ora che siamo in estate,è sempre stato spoglio,ricurvo e cupo. Mentre fisso l'albero,un brivido mi percorre la schiena. Ma perché mi spavento così facilmente? È solo un'albero,come tutti gli altri,o quasi. Strizzo gli occhi e, subito dopo,li spalanco: una sagoma nera,appesa al ramo più robusto dell'albero,sta dondolando lentamente. Una sagoma nera,informe,senza viso...un'ombra raggelante che sembra rappresentare un uomo impiccato. Stringo la mano di Jonatan,che non sembra essersi accorto di niente. Sto cominciando a sudare freddo,il mio battito cardiaco accellera,la mano libera mi trema,il mio passo rallenta. Per quanto vorrei ditogliere lo sguardo,non ci riesco. È come se una forza più potente di me attraesse i miei occhi a puntare su quella scena inquietante che,intanto,si fa più orribile. Infatti,intorno all'albero,altre ombre nere si stanno dirigendo verso quella appesa. Stanno avanzando lentamente verso di essa e la prima ad arrivare,comincia a squoiare con la bocca,seppur non sembra avercela,quella sagoma indifesa. Proprio in quel momento,arrivano le altre sagome che seguono l'esempio della prima. Quella impiccata emette un grido acuto,disumano,che potrebbe far rabbrividire le lapidi del cimitero. Mi sorprendo del fatto che non siamo ancora arrivati all'uscita. Questa scena continua,finché non mi accorgo di un piccolo ed importante particolare: per uscire di qui dobbiamo passare accanto all'albero...
   
 
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