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Autore: Adeia Di Elferas    12/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Era il 12 agosto e l'aria di Roma ribolliva incandescente, un nuovo fuoco era sospinto dalle voci che si rincorrevano sempre più velocemente.
 Un coro si alzava dalla folla che cominciava a riempire le strade e quel coro ripeteva: “Morte ai Riario! Morte ai Riario!”
 Dopo nemmeno una settimana di febbre dall'origine sconosciuta, Sisto IV aveva esalato il suo ultimo respiro.
 Immediatamente la corte romana aveva fatto circolare la notizia il più possibile e ora tutti i romani sapevano quello che era successo nelle stanze dorate di Sua Santità.
 Non appena il pettegolezzo aveva raggiunto lo status di certezza assoluta, nessuno avrebbe più potuto fermare il popolo inferocito.
 Prima camminavano, poi avevano preso a correre e le grida che ripetevano 'morte ai Riario' si erano frammentate e, non essendo più sincrone, davano vita a una sorta di canone confuso e assordante.
 I romani si diressero immediatamente verso la Lungara, verso la casa dei Conti Riario, a Trastevere. Erano certi che Girolamo e Caterina fossero lì assieme ai figli, nessuno sapeva che avevano seguito gli Orsini in guerra, e, se qualcuno lo sapeva, il furore del momento glielo aveva fatto dimenticare.
 Le guardie del palazzo videro prima la polvere sollevata da centinaia e centinaia di piedi scalpitanti e solo dopo riuscirono a distinguere il profilo del volgo che ululava e si faceva strada verso la casa degli oppressori.
 Ora non si sentiva più solo gridare 'a morte i Riario', ma anche l'incitamento: “Viva i Colonna!”
 Le guardie, che avrebbero dovuto per preciso ordine difendere fino alla morte la residenza dei Conti, gettarono subito in terra le armi e, ancor prima di essere raggiunti dal popolo, scapparono il più velocemente possibile, abbandonando per sempre quel luogo.
 Così, quando i romani arrivarono alle porte del palazzo, non trovarono nessun tipo di ostacolo ed entrarono come un fiume in piena.
 Cercarono i Conti ovunque, nelle stanze, nelle cucine, perfino nelle cantine e nei sottotetti, ma trovarono solo qualche servo che non aveva fatto in tempo a fuggire.
 Acciecati com'erano dall'ira, i popolani uccisero i servi, per loro colpevoli tanto quanto i padroni, e, invece di approfittare di tutta l'opulenza di quella casa, distrussero ogni cosa, dando fuoco agli arazzi, stracciando gli abiti della Contessa, buttando dalle finestre i mobili, distruggendo a calci i giocattoli dei bambini, e sfasciando qualsiasi oggetto che si trovassero davanti.
 Ovviamente tra loro c'erano anche alcuni signori ben vestiti e mossi in minor misura dall'impeto e dalla sete di vendetta. Erano proprio questi a incitare i poveracci a distruggere e spaccare ogni cosa, mentre loro, di nascosto, raggiungevano i forzieri contenenti le vere sostanze dei Conti e li facevano portar via in fretta e furia da alcuni scagnozzi.
 Una volta che non ci fu più nulla da fare a pezzi, e dopo aver capito che i Conti non erano lì, i soliti ignoti cominciarono a far girare la voce che forse i Conti si erano rintanati a Castel Giubileo.
 In fondo non sarebbe stato strano. Se i Conti Riario erano stati informati subito della morte del papa, quale mossa più ovvia, che non trovare riparo a Castel Giubileo?
 Benché fosse ormai scesa la notte, immediatamente, veloci come erano entrati, i romani uscirono dal palazzo, correndo verso Castel Giubileo, al grido, ora di nuovo ben distinto di: “Morte ai Riario! Morte ai Riario!”
 Castel Giubileo era di fatto l'unico posto che Caterina Sforza aveva sempre visto come possibile punto di ritrovo della famiglia in caso di crisi improvvisa.
 Vi aveva ammassato provviste, molte provviste e nel tempo aveva fatto in modo che venissero allestiti allevamenti di vari animali, in modo da rendere completamente autosufficiente il luogo in cui si sarebbero rifugiati in caso di bisogno.
 Come a Trastevere, anche a Castel Giubileo le guardie si arresero senza nemmeno provare a combattere, e così il popolo poté entrare senza difficoltà.
 Unica differenza stava nella diversa irruenza dei romani. Se al primo assalto erano freschi e eccessivamente accesi, ora la lunga corsa da un lato all'altro della città e la palese assenza dei Conti anche a Castel Giubileo avevano fatto sì che l'entusiasmo si smorzasse.
 Invece di distruggere tutto, questa volta i rivoltosi decisero di fare man bassa di quello che trovarono. Rubarono tutto il cibo, fino all'ultimo granello di farina, e tutti gli animali, compresi quelli più gracili.
 Insomma, i ricchi avevano rubato l'oro e i gioielli a Trastevere, i poveri avevano rubato il cibo e gli animali a Castel Giubileo. Tutti avevano avuto quello che volevano.
 Una volta riempite borse e tasche con la refurtiva, le urla che inneggiavano alla morte dei Riario si affievolirono e in poco tempo si spensero. A sera inoltrata, dopo due giorni e quasi due notti di caos, ognuno tornò a casa a godersi il risultato delle ruberie e per quel giorno parve placarsi ogni turbolenza.
 
 “Mi raccomando!” stava dicendo Giuliano, gli occhi sgranati, una mano che teneva stretta la manica del suo messaggero di fiducia: “La Contessa Riario! Trova lei! Rivolgiti a mio cugino il Conte solo se non riesci a trovare lei!”
 Il messaggero annuì con forza e fece per allontanarsi, ma Giuliano Della Rovere ancora stringeva la stoffa del suo vestito tra le dita: “Mi raccomando!” ripeté: “Dai loro la mia lettera e assicurati che partano subito! Subito!”
 Il messaggero annuì di nuovo e stavolta il Cardinale Della Rovere lo lasciò andare e lo guardò mentre saltava in sella al suo purosangue e lo spronava con tutta la sua forza.
 Avevano sottovalutato la situazione, avevano aspettato troppo... Giuliano si batté un pugno sulla coscia: come aveva potuto essere tanto superficiale? Era arrivato troppo tardi, era troppo tardi...
 Il Sacro Collegio era stato preso in mano dagli oppositori di Sisto IV prima ancora che il corpo del papa fosse freddo e avevano subito spiccato l'ordine perentorio per Girolamo di tornare a Roma e dimettersi ufficialmente da tutte le sue cariche.
 Se l'ordine del Sacro Collegio avesse raggiunto Girolamo prima del messaggero di Giuliano, di certo quel gran codardo avrebbe chinato il capo e si sarebbe docilmente sottomesso al volere di quegli avvoltoi...
 Se solo fosse stato a Roma alla morte del papa, avrebbe potuto prendere, come suo diritto, il Sacro Collegio sulle sue spalle e non si sarebbero trovati in quelle condizioni disperate...
 Che cosa assurda! Girolamo, che era sempre appresso al gonnellone del papa, aveva deciso di andare in guerra proprio in quel frangente!
 Giuliano sperò con tutto se stesso che il suo uomo di fiducia riuscisse a raggiungere Caterina, prima di Girolamo. Lei di certo avrebbe capito quello che c'era da fare e non avrebbe avuto esitazioni. Se volevano salvare quello che aveva fatto di buono Sisto IV, dovevano essere abbastanza rapidi e sicuri nell'agire e l'unico che aveva sulla carta l'autorità per farlo era Girolamo Riario, castellano di Castel Sant'Angelo.
 Giuliano si trovò improvvisamente a pensare che un po' si pentiva di aver fatto uccidere il padre di Caterina Sforza, ma solo perchè ora quella donna era la sua unica speranza.
 
 L'uomo di fiducia di Giuliano Della Rovere raggiunse stremato il campo di Paliano.
 Il cavallo correva talmente veloce e il cavaliere era talmente stanco che quasi nessuno dei due si accorse che nel piombare all'accampamento avevano travolto un soldato di passaggio mandandolo a gambe all'aria.
 Senza esitazioni, il messaggero cavalcò fino al padiglione dello Stato Maggiore, sicuro di trovarvi la Contessa Riario. Scese da cavallo e toccò terra correndo, scostò con un gesto plateale i tendaggi che chiudevano l'ingresso e cercò la Contessa con lo sguardo, soffiando, senza fiato: “Un messaggio urgentissimo per la Contessa Riario!”
 Nella tenda, però, c'erano solo Paolo Orsini, il suo scudiero e Girolamo Riario, che stava sorseggiando del vino con aria assorta.
 Il messaggero chiese: “Non c'è la Contessa Riario?”
 Paolo Orsini rispose: “Non sappiamo dove sia al momento, se volete mando qualcuno a cercarla...” e stava già dicendo allo scudiero di andare a cercare Caterina, quando il messaggero si ricordò delle parole di Giuliano Della Rovere: non c'era tempo da perdere.
 Perciò disse: “In assenza della Contessa, sono autorizzato a dare il messaggio al Conte.” e così dicendo guardò Girolamo, che, istintivamente, si era alzato dallo sgabello.
 Il messaggero gli si avvicinò e gli porse la lettera: “Da parte del Cardinale Della Rovere.”
 Girolamo prese il messaggio e lo aprì con circospezione. Lesse le parole vergate in fretta dalla mano pesante di suo cugino e sbiancò.
 Tentennò e si sentì svenire. Paolo Orsini dovette a sua volta scattare in piedi per andare a sorreggerlo: “Che è successo?” chiese, atterrito.
 Girolamo lo guardò, senza parole, bianco come un fantasma, gli occhi aperti in un silenzioso grido d'aiuto.
 Paolo Orsini lo costrinse a rimettersi a sedere e gli strappò il foglio di mano. Lesse velocemente quello che Giuliano Della Rovere aveva scritto e subito si tuffò fuori dal padiglione, gridando: “Corro a cercare Caterina!”
 Girolamo, nel frattempo, si era preso la testa tra le mani e aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia, cominciando a dondolarsi avanti e indietro, ripetendo atono: “Moriremo tutti, moriremo tutti, moriremo tutti...”
   
 
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