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Autore: Soe Mame    12/12/2015    1 recensioni
Se solo non avessi seguito lui...
Se solo non mi fossi ostinata a voler oltrepassare quella porta...
Se solo fossi tornata indietro quando ne ho avuta l'occasione...
...
... nah.
Genere: Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Miku Hatsune | Coppie: Kaito/Meiko, Len/Rin
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest, Incompiuta
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

~
Sii pura, fiorisci in tutto il tuo splendore
Rossa... e bellissima
~



"Funziona davvero?"
Aggrottò la fronte, sinceramente stupito. Sistemò la stoffa davanti alla bocca, la tirò su fino a coprire anche il naso.
Era strano. Era sicurissimo che, se si fosse trasformato in una palla di stoffe con quaranta gradi all'ombra, sarebbe diventato gelatina di bruco - chissà che sapore avrebbe avuto; invece, nonostante mantello, turbante e vestiti che lasciavano libere solo le mani e la fascia degli occhi, non aveva il benché minimo caldo. Non che si stesse crogiolando nella frescura dell'aria condizionata, ma stava bene.
Forse perché non c'erano quaranta gradi all'ombra - gli era stato detto che la temperatura era solita oscillare tra i trentacinque e i trentanove, dunque non erano certo quaranta gradi -, ma faceva comunque discretamente caldo.
L'ombra c'era, invece. C'era ombra ovunque. Del resto, era notte.
- Siete proprio sicuro di voler andare? - il gentile signore del banco informazioni era parso molto, molto, molto esitante.
Quando gli aveva risposto di sì, aveva sospirato: - Sapete tutto del Paese del Rosso? -
- E' un deserto. - non c'era altro da sapere, in fondo, no? Si sarebbe preoccupato molto di più se fosse dovuto andare nel Paese dell'Indaco.
O meglio, lui nel Paese dell'Indaco ci era pure andato; quando aveva capito che, lì, si sarebbe solo annoiato, aveva optato per il Paese del Viola.
Davvero un bel posto, il Paese del Viola. Si era stupito molto che non fosse quella, la capitale - senza dubbio, il Paese del Giallo doveva essere ancora più bello e magnifico e sfolgorante e meraviglioso e-
E poi si era ritrovato al confine con il Paese del Rosso. Quindi, perché non andare nel Paese del Rosso?
- Sapete del Jabberwock? -
Kaito aveva piegato la testa, confuso: - Jabbe? -
Il gentile signore del banco informazioni aveva sospirato di nuovo: - E' una creatura che infesta il Paese del Rosso. Un mostro. - ci tenne a precisare: - Svariate persone non sono mai tornate dal Paese del Rosso. Si dice li abbia divorati il Jabberwock. -
Kaito aveva annuito: - Beh... sì, capita che le creature carnivore mangino carne. -
Gli era parso che il gentile signore avesse alzato gli occhi al cielo: - Gli unici in grado di sopravvivere nel Paese del Rosso sono quelli della tribù dei Fortepiano. - un altro sospiro: - Peccato sia difficile contattarli e che di rado escano dal Paese del Rosso. Quindi non possiamo neppure assumerli come guide... -
Forse aveva sentito il bisogno di dirlo perché più di una persona doveva avergli chiesto qualcosa del genere.
- Non pensate di essere al sicuro solo perché siete armato! -
Era indietreggiato quando il gentile signore si era alzato, la voce più alta: - La vostra spada non potrà nulla contro il Jabberwock! - l'indice sferzò l'aria: - Stia attento al Jabberwock! Le fauci che azzannano, gli artigli che intrappolano! -
Kaito aveva ringraziato e si era diretto nel Paese del Rosso.
Come sospettava, era molto sabbioso.
Estrasse la bussola dalla tasca dei pantaloni; secondo l'accurata mappa del Paese dello Specchio, si sarebbe dovuto dirigere verso nord-est. Rimise la bussola al suo posto e riprese a camminare.
La sacca pesava un po', ma non poteva lasciarsi dietro cibo e acqua. Almeno quelli avevano un senso.
Aveva taciuto al gentile signore il fatto che la spada se la portasse dietro solo perché sennò sarebbe sembrato brutto.
Anche se lui ci si era impegnato, ci aveva davvero provato ad imparare a tirare di spada - soltanto, era abile in altri campi, ecco.
Recuperò la bussola, la girò e guardò l'ora. Le undici.
Non sapeva se fossero le undici di sera o le undici del mattino, ma almeno sapeva che erano le undici. Era alquanto difficile capire quando fosse giorno e quando notte, lì, dato che era notte anche di giorno.
Tuttavia, secondo i suoi calcoli, poteva stimare di essere nel Paese del Rosso da almeno due giorni e mezzo.
Non aveva trovato nessun problema - in realtà, non aveva trovato nessuno. L'unico vero fastidio erano le tempeste di sabbia che facevano frullare l'ago della bussola, rendendogli impossibile capire quale fosse il nord-est.
Dopo un po', decise di sedersi.
Si sarebbe volentieri seduto in un'oasi, ma di oasi non ne aveva trovato neanche il miraggio, quindi tant'era. Non aveva avuto neppure miraggi, in effetti. Forse tutte le dicerie sui deserti erano solo storie inventate.
Se ne dispiacque un po'.
Lasciò cadere la sacca nella sabbia, ne estrasse una bottiglia, abbassò la stoffa davanti al viso e bevve.
Sì, in fondo, stava bene. Attraversare i deserti si stava rivelando rilassante.
Ed era stato talmente assorto nei suoi pensieri da essersi reso conto solo dopo due giorni e mezzo che tutta quella stoffa isolasse il calore.
"Dovrei fare più spesso traversate di deserti." forse un paio di volte all'anno. O una volta al mese.
Abbassò la bottiglia, chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
"Strano questo posto sia così vuoto. Si sta molto meglio che nel Paese dell'Azzurro!"
Persino il vento era piacevole. Quello che riusciva a sentire, almeno.
Riaprì gli occhi: "Beh, forse-"
Sbattè le palpebre.
Le sbattè di nuovo.
"... forse la storia dei miraggi era vera.".
Gli era stato detto che il miraggio più frequente era quello di un'oasi. C'era anche chi gli garantiva l'apparizione mistica di valanghe di denaro e di centri commerciali.
Da lì, aveva iniziato a sospettare che il miraggio fosse semplicemente l'illusione di ciò che si desidera di più al momento.
Tuttavia, lui stava benissimo. Sotto ogni aspetto. Non desiderava nulla di particolare.
Restava il fatto che lì davanti, a pochi passi, ci fosse una donna.
Che, d'accordo, fosse stata "una donna" e basta e avrebbe anche potuto pensare che fosse una viaggiatrice come lui, o gioire di aver trovato qualcuno con cui parlare; ma la donna era "una donna che sembrava uscita da un sogno" - uno di quei sogni. Le mancavano solo i capelli lunghissimi e gli occhi dal taglio sottile.
Perché i capelli erano corti, a caschetto - avrebbe detto castani, ma era difficile distinguere bene i colori, di notte -, e gli occhi erano grandi, scuri.
Per il resto, sembrava davvero uscita da uno di quei sogni: gonna con spacchi fino ai fianchi, a malapena coperti da veli, una cintura dorata, un reggiseno, una tiara, la nuca coperta da un lungo velo e naso, bocca e collo seminascosti dietro un altro velo. Avrebbe detto che fosse vestita di rosso, con veli arancioni.
Ma la cosa che più premeva era il fatto che potesse decisamente permettersi quell'abbigliamento e che, di sicuro, doveva avere stuoli e stuoli di gente adorante disposta a qualsiasi cosa pur di essere anche solo degnata di un suo sguardo.
Rimaneva solo una domanda: "... perché sto immaginando una donna del genere?".
Abbassò lo sguardo: la bottiglia. "Forse c'è qualcosa di strano qui dentro...?".
- Ti sei perso? - l'illusione si fece avanti.
Kaito la guardò meglio. Di sicuro era una quarta. Forse anche una quinta.
- Puoi parlare? - il miraggio si chinò appena verso di lui. Sì, una quinta, decisamente.
- Sì. Mi puoi rispondere? - aveva appurato che le fantasie parlassero, ma non era certo potesse instaurarci un dialogo.
L'illusione sbattè le palpebre: - Ehm... certo? -
- Oh. Non lo sapevo. - stava imparando davvero tante cose.
- ... dici cose strane. - adesso glielo dicevano pure i sogni. Non sapeva come sentirsi.
- Non sapevo che i miraggi potessero rispondere. - spiegò: - Pensavo dicessero solo cose suadenti. Che magari portano chi ascolta a qualcosa di molto brutto. -.
L'illusione sbattè di nuovo le palpebre. Poi, una mano candida salì al viso, il velo venne via. Sorrideva.
Sì, era davvero bellissima.
Dolore.
Tanto dolore.
Nei dintorni dello stomaco. Gli aveva pure mozzato il respiro.
- Non sono un miraggio. - il tono si era fatto un pochino irritato: - Ti basta, come prova? -
Kaito si affrettò ad annuire, una mano al punto colpito - o nelle vicinanze, faceva male un po' tutto.
- Seconda cosa. Smettila di guardarmi le tette. - si rialzò, armeggiò con il velo fino a legarlo dietro la testa - la nuca ora coperta da due veli.
I suoi gesti erano ipnotici. Le sue mani, le sue dita.
Quelle, soprattutto, era meglio tenerle sotto controllo.
- Mi hai fatto male... - piagnucolò, si assicurò che la bottiglia fosse sana e salva.
- Lo so. - mise le braccia conserte e non aggiunse altro.
Lui rimase in silenzio, sentiva i suoi occhi puntati contro. Era troppo preso dal massaggiarsi lo stomaco - il dolore andava attenuandosi, si concentrava in un'unica zona, probabilmente dove era stato sferrato il colpo. Dopo un tempo imprecisato, richiuse la bottiglia, la rimise nella sacca e alzò di nuovo lo sguardo.
Lei non si era mossa.
- No, non mi sono perso. - rispose, infine, il dolore che spariva del tutto: - Tu? -
- Oh. Allora direi che non sono di nessun aiuto. - riportò le braccia ai fianchi e fece dietrofront.
"..."
- Aspetta! - si alzò, fece qualche passo avanti.
Lei si fermò e si voltò. Aveva un sopracciglio inarcato.
- Tu sei- -
- Volevo aiutarti ma, se non ne hai bisogno, non vedo perché io debba rimanere. - alzò le spalle.
- No, volevo dirti che sei una gran maleducata. -
Lei serrò le labbra, gli occhi spalancati: - ... prego? -
- Prima mi prendi a pugni, poi esigi che io ti risponda ma tu non rispondi alle mie domande, e poi te ne vai pure senza salutare! - i pugni ai fianchi: - Sei tanto bella, ma sei anche tanto maleducata! -
Gli parve che le sue guance avessero cambiato colore. Che si fossero scurite.
Lei aprì la bocca. Poi la richiuse. Piano piano.
- ... sei incredibile. - un sospiro, gli occhi al cielo: - Maleducata. -
Kaito annuì. La donna scosse la testa.
- Sto aspettando. -
- Eh? - lo guardò negli occhi: - Cosa? -
- Cosa si dice quando si è in torto? -
- Ti conficco un pugno nello stomaco e ti faccio vomitare le interiora. -
- "Scusa". Si dice "scusa". - alzò un indice: "E' ovvio che la sua educazione sia stata a dir poco carente!".
La donna gonfiò le guance. Non avrebbe mai pensato di sovrapporre ad una donna bellissima l'immagine di un criceto.
La vide abbassare lo sguardo: - ... scusa. - lo rialzò, una luce strana negli occhi: - Ma non sono affatto pentita! -
- ... beh, è un inizio. - le fece patpat sulla testa. Le arrivava alle sopracciglia.
- Si può sapere cosa diamine sei? - la donna scivolò via, con una certa fretta.
- Cosa? - sbattè le palpebre: - Sono un bruco che sta attraversando il deserto. -
Quegli occhi si fecero più grandi: - Un... bruco...? -
Kaito annuì: - Tu? - alzò di nuovo l'indice: - E' buona educazione rispondere! -
La donna trasse un profondo respiro - ed era impossibile che lo sguardo non fosse attratto dal torace: - Qualcuno che raccatta poveracci dispersi nel Paese del Rosso e li porta fuori. -
- Hai anche un nome? -
Uno sguardo sospettoso. "Beh, è stata lei a venire da me. Ora voglio sapere.".
- ... Meiko. - un sussurro.
- Meiko... - gli sfuggì un sorriso: - Che bel nome! - "Suona benissimo!"
- ... ah, sì? - non sembrava granché convinta: - E il tuo? -
- Kaito! -
- Oh. - tacque.
Lui la guardò.
Lei lo guardò: - ... è carino. - aggiunse.
- Non devi dirlo, se non lo credi davvero. -
- Non ho intenzione di farlo! - la voce si era alzata.
Sentì il sorriso farsi più ampio: - Quindi davvero lo trovi carino? -
Meiko riaprì la bocca. E la richiuse. Forse, oltre che criceto, era anche un po' pesce.
- ... può darsi. - mise le braccia conserte: - D'accordo, fine dei convenevoli. Ora, se permetti... -
- Io devo andare a nord-est. - parlò prima che Meiko potesse girarsi di nuovo: - Ma, ogni tanto, la bussola impazzisce. In quei momenti, mi perdo. - recuperò la bussola, gliela mostrò: - Per caso, sei disponibile a tratti? -
Lei inarcò le sopracciglia, gli occhi a mezz'asta: - ... no. Tutto insieme o niente. -
- Oh. - rimise la bussola in tasca: - Allora potresti farmi da guida, sì! - sorrise.
- Non ti sei perso, l'hai detto tu prima. - le mani ai fianchi.
- Ma ci sono dei momenti in cui mi perdo e tu hai detto di non poter fare da guida a pezzi. Quindi, tanto vale che tu mi faccia da guida sempre! -
Meiko si riavvicinò. Alzò il mento: - Se accetti la mia guida, devi giurarmi di non guardare mai la bussola! -
Ridacchiò: - Preferisco vedere te che una freccetta. -
Il suo volto tornò a scurirsi: - Tu preferisci vedere le mie tette, non me. -
- Non è vero. Sei bella tutta. - Più scura, gli occhi spancati.
"Però..." alzò le mani e le afferrò i seni. Erano morbidi: - Sono vere! - "Di solito, quando sono così grandi, sono finte..."
La sabbia aveva un pessimo sapore.
E quel retrogusto metallico forse era sangue.
Si passò la lingua sui denti. C'erano ancora tutti.
Trattenne un sospiro di sollievo.
Ma avrebbe aspettato un po' a rialzarsi.
Mezza faccia pulsava ancora.

- A proposito... -
- Sì? - Meiko assottigliò lo sguardo, notò una mano stringersi a pugno.
Sbuffò: - Non ti tocco più, se non vuoi! -
- Ovvio che non voglio! - alzò gli occhi al cielo: - Io sarò maleducata, ma tu devi imparare a tenere le tue due manine a posto. -
- Quattordici. -
- Eh? - si fermò.
- Quattordici. - ripetè: - Ne ho quattordici, di mani. -
Quelle labbra si schiusero. Poi si richiusero: - Ah. - Meiko riprese a camminare: - Tutte e quattordici. -
- Dicevo... - riprese anche lui: - ... cosa vuoi come pagamento? -
- Lo chiedi ora? -
Kaito la raggiunse e la guardò in volto: stava ghignando.
- Non ci avevo pensato. -
- I pagamenti si chiedono prima di accettare. - Meiko si ravviò i capelli: - Mi dispiace per te. Ora sono autorizzata a chiederti qualsiasi cosa. -
- Tipo? - "Perché non me lo dice e basta?"
- Tiiiiiiiiipo... - parve pensarci: - ... una fornitura per un anno di sakè? -
- Oh. -
- Ecco. - assunse un'espressione trionfante: - Pensa, prima di dire di sì! Poi ti ritrovi nei guai, non sai come pagare, come esaudire le richieste, come- -
- Il cugino del fratello della moglie dello zio di mio padre ha un negozio di alcolici! - sorrise: - Posso farti avere tutto il sakè che vuoi! -
Meiko si fermò di nuovo: - ... cosa? - e aveva di nuovo gli occhi spalancati.
Si fermò anche lui: - Già. - "Sono tutti sempre molto ben disposti, nei miei confronti. Vendere pozioni di qualsiasi genere è davvero conveniente! Le vogliono tutti! E io non dico mai di no ad uno sconto anche del cento per cento a chi mi ha aiutato!".
- ... beh, ottimo. - si reincamminò: - E' stata una fortuna incontrare proprio te! -
- Gli altri come ti pagano? - la seguì.
- Denaro. - non disse altro.
- Ci sono negozi, qui? - si guardò intorno, come se sperasse di vederne apparire all'improvviso - tipo i famosi miraggi di centri commerciali. Ma, in tal caso, sarebbe stato piuttosto sicuro che si sarebbe trattato di un miraggio. Almeno i centri commerciali non tiravano pugni.
- Dai Fortepiano, sì. -
- Giusto... - sbattè le palpebre: - Tu sei una Fortepiano? -
- Ovviamente. - di nuovo quel sorriso di trionfo: - E conosco il Paese del Rosso come le mie tasche! -
Kaito guardò la sua gonna: - Ma tu non hai le tasche. -
- E' un modo di dire. - alzò un pugno, la voce si fece irata: - E non iniziare a guardare lì! -
"Perché si arrabbia per qualsiasi cosa?" - E allora dove devo guardarti? - "Le mani. Quelle devo tenerle sempre sott'occhio."
- In faccia. - abbassò il pugno, il tono si fece più tranquillo: - Guardami la faccia, o i capelli. Le braccia o le mani, se proprio è. Il resto puoi guardarlo di sfuggita. -
- Cattiva. -
- Cattiva? - si voltò del tutto verso di lui: - Ma si può sapere dove sei cresciuto? - più che arrabbiata, in realtà, sembrava incredula: - A te piacerebbe se qualcuno ti guardasse dove tu guardi me? Con insistenza? -
- Lo fanno. - ci ripensò. Ci ripensò bene: - ... però, sì, in effetti distolgono lo sguardo, quando me ne accorgo. -
Meiko facepalmò: - Lo facessi con cattiveria, almeno... -
- Eh? -
- Niente. - riemerse dalla mano: - Piuttosto... - la sua espressione si fece seria: - Stai andando nel Paese dell'Arancione per qualche motivo particolare? -
Kaito scosse la testa: - Sto solo viaggiando. Non ho una meta precisa. -
- Quindi non c'è nessuno che ti aspetta. -
Scosse di nuovo la testa.
- Allora direi che non c'è fretta. - si tirò indietro i capelli a lato del viso.
"A proposito di fretta..." - Ah, al confine mi avevano avvisato di una cosa. -
- Dei banditi? -
Sbattè le palpebre: - Uhm, no, in verità no. -
- Beh, il Paese del Rosso abbonda di banditi. Ora lo sai. -
- Ah. - "... avrebbero potuto dirmelo.": - No, mi hanno avvisato del Jabberwock. -
- Oh, quello. - Meiko alzò la testa, lo sguardo al cielo stellato: - Cosa ti hanno detto? -
- Che è carnivoro. E che combatterlo con una spada è inutile. -
Meiko tornò a guardarlo. Sembrava incuriosita: - Hai una spada? -
Kaito annuì e scostò il mantello, per poi indicare il fodero al suo fianco. Lei lo guardò. Sì, era decisamente incuriosita.
- Beh... sì, quella è piuttosto inutile contro il Jabberwock. - gli confermò, lo sguardo ancora al fodero: - E' troppo piccola anche per fargli da stuzzicadenti. -
- ... bene. - riabbassò il mantello. Meiko sbattè le palpebre, come se si fosse ricordata di essere lì.
Qualcosa di strano, all'altezza del petto. Non sapeva perché, ma si sentiva incuriosito dalla sua curiosità.
Lei tornò a guardarlo: - Ma non temere. E' impossibile che non ci si accorga di lui. E poi... - un sorriso un po' troppo somigliante ad un ghigno: - ... te l'ho detto, no? Il Paese del Rosso non ha segreti, per me. Se il Jabberwock dovesse avvicinarsi, lo sentirei con largo anticipo. -
La cosa lo rincuorava: - E se dovessi sentirlo? -
- Ci nasconderemmo sotto la sabbia. -
- Mi sembra un ottimo piano. - annuì.
"Certo, non ho incontrato il Jabberwock per due giorni e mezzo, è difficile lo incontri proprio ora." ci ripensò: "... dannazione.".

- Sei davvero resistente! -
- Eh? -
Meiko ridacchiò: - Di solito, a quest'ora tutti mi implorano di fermarci! -
Avrebbe voluto guardare l'ora, ma avrebbe significato tirare fuori la bussola e aveva promesso di non farlo: - Ma non è molto che camminiamo. -
- Infatti. Non ho mai capito perché tutti si lamentino dopo solo quattro ore di viaggio. - un pugno alla spalla. Leggero, non fece male; sembrava più un buffetto brutale: - E sì che si presentano tutti come grandi guerrieri e inserire titolone altisonante qui. - le labbra si curvarono in un sorriso. Era decisamente più bella, quando sorrideva e non ghignava: - Tu sei resistente. Mi piaci. -
- ... ah, sì? -
"E' così straordinario riuscire a camminare quattro ore di fila...?" non si era neppure reso conto che fossero passate quattro ore. Era sicurissimo che fosse passata una mezz'oretta scarsa.
- Già! - si stiracchiò, un braccio piegato dietro la testa: - E' davvero il mio giorno fortunato, oggi! -
Intuì sagacemente che quella fosse una lunga sequela di complimenti: "Quindi, per essere elogiati da lei, si deve essere in grado di esaudire qualsiasi sua richiesta e tenere il suo passo."
C'era qualcosa che iniziava ad incuriosirlo: - Perché hai deciso di fare da guida? -
- Uh? - Meiko abbassò le braccia, lo guardò. Ci pensò un attimo: - Beh... diciamo che mi annoiavo. - alzò le spalle: - Non ho molti talenti utili. Ho pensato a quale fosse un mio pregio e... - alzò gli occhi al cielo: - ... visto che conosco benissimo un posto dove la gente tende a perdersi, perché non fare da guida? -
- Al confine cercano dei Fortepiano per assumerli come guide ufficiali. - la informò.
Lei tornò a guardarlo, un sorriso divertito: - Oh, ma lo so benissimo! <3 - era sicuro ci fosse stato un cuore, alla fine della frase: - Così come lo sanno tutti i Fortepiano. Ma... - giunse le mani: - ... vuoi mettere con il decidere tu il pagamento, in tutta libertà, piuttosto che ricevere uno stipendio fisso e dover dipendere da qualcuno? -
"Non fa una piega." annuì: - Non ci avevo pensato. -
- Neppure quelli al confine, evidentemente. - fece schioccare la lingua: - C'è chi pensa sia una manovra del Duca del Paese del Viola. Per monopolizzare le guide nel Paese del Rosso. -
- Avrebbe un suo senso... -
- Sì, se il Paese del Rosso non confinasse anche con il Paese dell'Arancione. Anche lì sono molto interessati al monopolio delle guide. - sospirò, il tono divertito: - E invece il solo, vero ed unico monopolio delle guide ce l'abbiamo noi! <3 - un altro cuore. Ne era sicuro.
Gli sfuggì una risata: - Fate bene. E' il vostro territorio, in fondo. -
- Già, già! -
- E comunque... -
- Sì? -
- ... non credo esistano talenti inutili. -
Meiko si fermò. Lui fece altrettanto.
Aveva di nuovo gli occhi spalancati, le guance più scure: - Prego? -
- Se è un talento, non può essere inutile! - sorrise: - Qualsiasi capacità può creare qualcosa. Anche la più piccola! -
Lei sbattè le palpebre. Una volta, due volte. Poi sospirò, e la sua espressione si sciolse in una gentile: - Capisco. - riprese a camminare, lui la seguì: - Immagino tu sappia fare qualcosa, allora. -
- Faccio pozioni. -
- Oh. - non sembrava troppo impressionata: - E funzionano? -
- Nessuno è mai venuto a protestare. - ci pensò meglio: - Anzi, qualcuno sì. Le eventuali vittime di determinate pozioni. -
- ... vittime? - un sopracciglio inarcato. Ora sembrava interessata.
- Io preparo le pozioni che mi vengono richieste. - spiegò: - L'uso che vogliono farne è a discrezione del richiedente. -
- Ah... sì? - anche l'altro sopracciglio era inarcato.
- L'ho sempre messo in chiaro! - alzò un indice: - Non mi assumo nessuna responsabilità circa l'uso che viene fatto di una pozione! A meno che non si tratti di qualcosa di eccessivamente grave, allora potrei prendere provvedimenti in prima persona. - aggiunse: "Perché nessuno se ne ricorda mai?".
- Oh... - Meiko tornò a guardare davanti a sè: - ... quindi prepari... tipo... anche veleni? -
- No! - gonfiò le guance: - Io faccio pozioni, non veleni! - "Perché tutti si sbagliano?": - A meno che per "veleno" tu non intenda anche pozioni che facciano sentire male. -
- ... anche, diciamo di sì. -
- Beh, allora quelle sì! - annuì: - Anche se non me le chiedono mai. Preferiscono ricorrere direttamente ai veleni. Di solito, mi chiedono il contrario. -
- Pozioni-medicine? -
Annuì di nuovo.
- Quindi tu fai sia pozioni-che-fanno-stare-male che pozioni-che-fanno-stare-bene? -
"Perché lo dice come se fosse così strano?" - Te l'ho detto: qualsiasi cosa mi venga chiesto. Tranne cose eccessive. - chiarì: - Tipo pozioni che provocano la morte o cose del genere. O quelle impossibili, tipo una pozione per resuscitare i morti. Quella me la chiedono spesso. Anche se mi chiedono più spesso pozioni per far innamorare. -
- Fai anche pozioni del genere? - per tutto quel tempo, Meiko non aveva fatto altro che occhieggiare nella sua direzione; ora, però, si era di nuovo voltata del tutto.
- Devo migliorare. - confessò: - Per ora, le mie pozioni d'amore scatenano solo attrazione fisica. -
- ... fai afrodisiaci. -
- No. Pozioni che scatenano attrazione fisica. -
- Sì. Giusto. Pozioni. - Meiko si portò i capelli dietro un orecchio: - Allora hai preso qualche pozione per essere più resistente? -
Kaito scosse la testa: - Non ho mai provato nessuna pozione su di me. -
Lei sbattè le palpebre: - Allora come sai se funzionano? -
- Ho dei gentili volontari! - sorrise: - Chi mi fa da cavia ottiene qualcosa che desidera, qualsiasi cosa si tratti! -
- ... merito dei tuoi contatti? -
- Esattamente. - "Tranne all'inizio. All'inizio li pagavo io." si ricordò: "Chissà perché sceglievano tutti pagamenti in denaro o in natura." ma era durata poco.
L'efficacia delle sue pozioni non ci aveva messo molto a diventare famosa. Una settimana, circa.
Una risata.
Kaito trasalì: Meiko era scoppiata a ridere. E non era una risata derisoria. Era sincera.
- Cosa...? -
- Credevo... - gettò indietro la testa, a riprendere fiato: - ... credevo che fossi di quei tipi buoni buoni buoni che vivono in un altro mondo. - si raddrizzò, lo guardò negli occhi: - E invece sei... - serrò le labbra. Sorrise: - ... uno di quei tipi buoni buoni buoni che vivono in un altro mondo e non si fanno problemi a far casino in questo. -
- ... oh. - sbattè le palpebre: - ... dici? -
- Dico. - si rimise in cammino. Il sorriso era ancora lì.
La raggiunse: "Mi sembra più ben disposta...?"
Meiko era strana. Decisamente strana.

- D'accordo, direi che ora possiamo accamparci! -
Kaito annuì: - Quanto manca al confine? -
- Un po'. - la vide raggiungere una duna particolarmente grossa: - Qui sotto andrà bene. -.
I preparativi per il riposo riempirono abbondantemente sei secondi - mettere la sacca a terra e sedersi.
- Ma non hai troppo- stai bene, così? - non sapeva neppure lui se stando con quei due vestitini si potesse provare troppo caldo o troppo freddo.
- Tutto apposto. - si lasciò andare contro la duna: - Tu? Non hai caldo? -
Domanda legittima: - Credevo l'avrei avuto, e invece sto benissimo. -
- Mh. -
- Piuttosto... - ci fece caso solo in quel momento: - ... cosa hai intenzione di mangiare? -
- Oh, tranquillo! - piegò un braccio, mostrò un bicipite: - Sono forte e resistente! Posso stare senza mangiare anche per giorni, sai? -
- Si vede che sei forte e resistente! - sorrise: "Che gran bugiarda.". Di certo, un corpo del genere non si teneva su con qualche pasto ogni tanto.
Aprì la sacca, tirò fuori la sua cena: - Permettimi di offrirti qualcosa. - gliela porse.
Meiko si avvicinò, guardò meglio.
Ne prese uno dal contenitore, se lo rigirò davanti agli occhi: - Cosa sono? -
- Biscotti spolverati di zucchero a velo e ripieni di cioccolato con nocciole intere. Alcuni hanno anche il caffè o la granella di mandorle. -
- Fono motto buoni. - a giudicare da come l'aveva sbranato alla parola "biscotti", doveva avere fame. E, a giudicare da come aveva tuffato la mano nel contenitore, aveva apprezzato.
- Fei acche un coco? - mandò giù.
- Pozioni e cucina sono all'incirca lo stesso campo. - sorrise: - Però non sono troppo bravo, in cucina. E poi, la gente non si fida a mangiare quello che cucino io. - sospirò, un po' dispiaciuto al ricordo: - Non ho mai capito perché. -
- Chiffà. -.

- Prima parlavi di talenti... - esordì Meiko: - Ma non credo tu abbia il diritto di parlare di una cosa del genere a chi non ne ha molti. -
"Eh?" - Perché? -
Lei si portò le ginocchia al petto: - Tu sei pieno di talenti! Hai resistenza, sai fare le pozioni, sai cucinare, sai usare la spada- -
- Io non so usare la spada. -
Meiko sbattè le palpebre: - ... scusa? -
- Me la porto dietro solo perché mi hanno costretto. - un sorriso di scuse, quasi si sentiva in colpa per quel malinteso: - Mi hanno detto che, se viaggiassi disarmato, sarebbe come se andassi in giro con il cartello "Vi prego, attaccatemi!". -
- In effetti... -
- Però non so usarla. - mise mano sotto il mantello, estrasse la spada dal fodero. Dal sibilo che fece, doveva essere molto affilata. Tornò a guardare Meiko, deciso: - Ma mi ci sono impegnato, sai? -
- Ah, sì? - sembrava stupita.
"Non mi crede...?" rimise mano alla sacca, tirò fuori il suo quaderno degli appunti e lo aprì alle pagine giuste: - Ecco, vedi? - glielo porse.
Meiko lo prese e guardò: - ... d'accordo, almeno il disegno non rientra nei tuoi talenti. -
- Lo so. -
- Queste cose sono dita? -
- Sono modi per impugnare la spada! - spiegò: - Modi giusti e modi sbagliati! -
Gli occhi di Meiko percorrevano tutta la pagina, quella accanto, dall'alto in basso, dal basso verso l'alto.
- ... mi sembrano i metodi base per impugnare una qualsiasi cosa. - gli indicò il disegno sbarrato dell'elsa impugnata con il mignolo: - Come diamine faresti a combattere tenendo la spada solo con il mignolo? -
- Impugnare la spada non è lo stesso che impugnare un cucchiaio! - protestò: - E ti assicuro che si può girare una pozione o una minestra tenendo il cucchiaio solo con il mignolo! -
- Ti credo, ti credo. - era tornata a guardare i fogli. Girò la pagina. Evidentemente, notò gli altri appunti sulla spada - come muoverla.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, quando finalmente rialzò lo sguardo.
Sapeva solo che era strano vederla china su di un quaderno, con quell'espressione prima incuriosita, poi attenta, poi concentrata; una mano a tenere il quaderno posato sulle ginocchia, l'altra a sfogliare le stesse quattro pagine, gli occhi che scorrevano le righe, i disegni.
Non aveva idea di niente, sapeva soltanto che, in qualche modo, si sentì compiaciuto di tutta quell'attenzione che stava dando ai suoi appunti.
- Posso provare? - chiese lei.
Lui annuì e le porse la spada dalla parte dell'elsa. Almeno quello l'aveva imparato.
Meiko sorrise e la prese. Si alzò e si allontanò di qualche passo.
Puntò la spada davanti a sè, in alto, in basso.
- Pesa un pochino... -
- Già... -
La fece roteare appena, cerchi minuscoli che andavano sempre più ingrandendosi, fino a disegnare nell'aria cerchi grandi quasi quanto lei.
Poi la spada volò via e planò qualche metro più in là.
- ... -
- ... -
- ... ci riprovo. -
Meiko sembrava davvero uscita da uno di quei sogni. Anche se non gli era mai capitato di sognare bellissime fanciulle armate.
Aveva definitivamente perso il senso del tempo.
Forse era trascorsa solo un'ora, forse un'altra giornata.
Qualsiasi fosse stata la risposta, sapeva solo di non essersi stancato neppure per un istante di osservare Meiko alle prese con quella spada.
...
... anche perché a volte tendeva a precipitare nella sua direzione.

- Hai fatto dei progressi enormi! - sorrise: - Dovresti essere tu ad usarla! -
- Kaito... - la sua espressione era grave: - ... saperla tenere in mano senza farla cadere non lo considererei un progresso degno di eleggermi a portatrice della spada. -
- Sei comunque ad un livello superiore del mio! -
- Basterebbe solo non prenderla come prendi un cucchiaio. E comunque... - si indicò: - ... non avrei dove metterla. Il fodero ce l'hai tu, quindi... - gli restituì la spada.
Con un sospiro, Kaito la rimise al suo posto: - Sai... -
- Mh? -
- ... già da prima mi eri parsa molto incuriosita. Da questa, dico. - la indicò: - Ti piacciono le spade? -
Meiko distolse lo sguardo. Aveva le guance più scure: - ... le armi. Sono carine, le armi. Soprattutto quelle bianche. Soprattutto le spade. -
- Hai mai provato a prendere lezioni di scherma? -
Le guance cambiarono di nuovo colore. Divennero più chiare: - ... ecco... noi Fortepiano non abbiamo nessuno che insegni scherma. -
"Cosa?" - E come vi difendete? -
- Ci pensa il deserto a difenderci. - Meiko sospirò. Sembrava... addolorata?: - Nessuno viene a minacciarci, quindi non abbiamo mai sentito il bisogno di difenderci. I banditi non vengono a farci niente perché... beh... - accennò ad un sorriso non troppo convinto: - ... il cibo serve anche a loro. Ed è meglio averci vivi, in salute ed indipendenti piuttosto che schiavizzarci e pensare di avere qualcuno da controllare sempre e comunque. Sia da rivolte che da invasioni di altri banditi. - incrociò le braccia: - E poi c'è un altro motivo. - il sorriso si fece amaro: - ... cosa se ne farebbe una come me, di armi? -
- Una come te? - non capiva.
Lei abbassò lo sguardo ancora di più. I capelli andarono a coprirle il viso: - Mi dicono che sono bella. Che, quindi, non ho bisogno di difendermi. Io devo essere difesa. Mi hanno detto che sono come una bellissima principessa, come una dea, come una ninfa, come un sogno... -
Il cuore sussultò.
Lei si morse un labbro: - Se voglio delle armi, è un grazioso capriccio. Se voglio difendermi da sola, è un gioco. Perché sono bella, dicono. Perché il mio aspetto è gradevole alla vista. Quindi, la mia volontà non va presa sul serio. -
Qualcosa nel petto. Pesava.
Lei rialzò lo sguardo.
Pesava sempre di più.
I suoi occhi erano lucidi. Un accenno di sorriso: - So che non l'avevi detto con queste intenzioni, ma... ti prego, non dirmi più che sono bella. - vide la presa sulle braccia farsi più forte: - So che per te è un complimento. E ti ringrazio, per questo. Ma... - sospirò, il sorriso si spense: - ... odio che qualcuno mi dica che sono bella. - la voce divenne un sussurro: - ... soprattutto perché io non sono bella. -
- Posso mentirti e dirti che non lo sei, se è questo che desideri. - disse Kaito: - Oppure posso tacere e basta. -
- Tacere mi sembra un'ottima soluzione. - le sfuggì un sorriso.
Quel qualcosa troppo pesante si fece appena più leggero.
- Soltanto una cosa. -
- Cosa? - Meiko si passò una mano sugli occhi.
- ... perché non te ne sei mai andata dal Paese del Rosso? -
- Eh? -
- Puoi prendere lezioni di scherma in qualsiasi altro Paese. - spiegò: - Almeno, nel Paese dell'Azzurro è possibile. Indipendentemente dal tuo aspetto. Poi, tu guadagni facendo la guida, no? - sorrise: - Quindi, avresti anche i soldi! -
Meiko sbattè le palpebre, visibilmente confusa. Poi ridacchiò: - Oh. Ci penserò, sì. -
Lui si limitò a sorridere.
"Meiko non è maleducata. Meiko è bugiarda.".

Era tentatissimo dal guardare l'orologio.
L'aveva spinto sul fondo della sacca, bello pressato tra i contenitori di biscotti e le bottigliette, giusto per non cadere in tentazione; tuttavia, la curiosità si faceva sempre più forte.
- Sai che ore sono? - domandò, infine.
Meiko parve pensarci un secondo: - Mmmh... le sette, credo? -
- Oh. - si sentì un po' più tranquillo: "Le sette. E' già qualcosa."
- Se te lo stai chiedendo, sì. - l'altra mise le mani ai fianchi, l'espressione soddisfatta: - Sono due giorni che camminiamo! -
- Veramente non me lo stavo chiedendo. - confessò Kaito: - Ma mi fa comunque piacere saperlo. - un'altra curiosità: - A proposito, ma qui è sempre notte? -
- Nah. - Meiko alzò le spalle: - Ogni tanto fa giorno. -
Lui si limitò ad annuire: "Chissà com'è, di giorno..."
Qualcosa all'altezza del petto, a lato. Gli era sembrato che il cuore si fosse lanciato con violenza contro il torace.
Un pensiero improvviso: "Chissà com'è lei, di giorno..." la guardò. Stava sorridendo, sembrava di buon umore. La preferiva di gran lunga così, piuttosto che con l'espressione seccata e il pugno stretto, pronto a colpire.
Soprattutto il secondo.
- Non mi chiedi quanto manca per arrivare? - c'era una leggera sfumatura di curiosità, nel suo tono tranquillo.
Kaito scosse la testa: - Quando saremo arrivati, me ne accorgerò. -
Meiko ridacchiò.
Si fidava di lei. Non vedeva perché avrebbe dovuto fargli del male - e, se davvero avesse voluto, non avrebbe di certo aspettato due giorni.
L'unicissima cosa era quella vaga impressione che, a volte, stessero ripassando in un posto in cui erano già stati.
"... e poi il Paese del Rosso non è così grande.".
Era arrivato a pensare che, in fondo, Meiko desiderasse prolungare quel viaggio il più possibile. Lui non aveva fretta.
Lei si fermò.
Il sorriso era sparito dalle labbra, gli occhi si erano spalancati. Un passo indietro.
- Kaito... - un sussurro.
- Sì? - "Brutto segno."
- ... spero tu sappia correre. -
- Certo che so correre! - "Che razza di domande sono?"
- E' un ottimo momento per dimostrarlo. - si voltò e corse via.
Kaito fece lo stesso.
I loro passi affrettati sulla sabbia, i piedi che affondavano, il cuore che iniziava a rimbombare nelle orecchie.
E un suono ritmico alle loro spalle.
Si voltò, senza fermarsi.
E sentì una morsa allo stomaco.
Tante, tante, tante ombre informi, veloci, fin troppo veloci, la distanza con loro che andava accorciandosi ogni secondo di più.
La spalla pulsava.
No, non erano loro ad essere veloci. Era lui che stava rallentando.
"... ah." la sacca pesava, i piedi faticavano almeno il triplo, in mezzo alla sabbia: "... sono un disastro nella corsa, eh...?".
- AH! -
Tornò a guardare avanti, a guardare Meiko: altre ombre, a pochi metri da loro.
Il polso serrato in una morsa.
- Da questa parte! - la voce di Meiko vicina, uno strattone, e la corsa ricominciò.
Ora le ombre erano di più. E lui iniziava a sentire fitte alle gambe.
"... se avessi quattordici piedi..." lui era fatto per arrampicarsi, non per correre in mezzo al deserto. Se ne rese conto solo in quel momento.
Alla fine, il deserto aveva davvero un risvolto negativo, in mezzo a tutte quelle cose belle.
- Cosa sono? - la voce uscì in un ansimo, il cuore sussultò: "Sono così stanco...?"
- Banditi! - la voce di Meiko, invece, era agitata: - Taci e non sprecare fiato! -
"Ah, ha imparato a rispondere alle domande..." se ne compiacque. Anche se avrebbe preferito compiacersene in un momento migliore.
Tipo un momento qualsiasi.
Le gambe stavano facendo davvero malissimo.
Persino le ginocchia stavano facendo male, come se fossero andate a sbattere da qualche parte.
Ah, sì, avevano effettivamente sbattuto da qualche parte. Per terra.
- Non ti fermare! Non ti fermare! - le mani di Meiko ad un braccio, si sentì trascinare con una certa forza.
La voce che tremava. I suoi occhi grandi, sgranati, terrorizzati.
Riuscì a rimettersi in piedi.
- Sai... - sorrise, mise una mano sulla sua: - ... temo che ci abbiano raggiunti. -
- No- - poi Meiko alzò lo sguardo. E il suo volto impallidì.
Kaito guardò le ombre che li avevano inseguiti. A contarle, non erano poi così tante: solo dodici. Dodici qualcosa incappucciati, avvolti in un mantello scuro, le braccia grandi, molto più spesse del corpo affilato, una coda che sferzava la sabbia.
Li avevano circondati, a semicerchio; quando si voltò, notò, a poco più di un metro, una brusca interruzione del terreno.
"Oh. Ci hanno davvero bloccati davanti ad un precipizio...?" a giudicare da quanto bene riuscisse a vedere il piano di sotto, sarebbe stato un volo di almeno tre metri. Nella sabbia: "Forse non farebbe così male...".
- Andatevene! - la voce di Meiko lo costrinse a tornare a guardare i loro inseguitori. Nessuno di loro si mosse.
- Immagino vogliate tutto quello che abbiamo. - Kaito fece un passo avanti, si mise davanti a lei, il sorriso si fece più ampio: - Non ho troppo denaro, con me, quindi vi è capitato male. - fece cadere la sacca a terra - e la spalla provò sollievo: - Ci sono solo cibo e acqua. E un bussologio. E cianfrusaglie. -
- Cosa stai dic- -
- Prendeteveli pure, se volete. In cambio, risparmiateci. -
Sentì Meiko trattenere il respiro.
Le ombre si mossero, si scambiarono degli sguardi. Poi quella centrale alzò un braccio, il mantello scivolò e mostrò una chela grande quanto la sua testa.
- E se risparmiassimo il tuo cibo e ci prendessimo voi? -
Un gemito alle sue spalle.
Il sangue divenne gelido. Ovunque scorreva, congelava. Ogni centimetro del suo corpo si gelò.
- Siete molto scortesi. - mise mano alla spada. Qualcosa di troppo grande gli bloccava la gola, non riusciva a deglutire.
- Oh, per favore! - Meiko sbottò: - Siamo degli stecchini! Stareste molto meglio a mangiare il cibo, piuttosto che noi! -
- Voi non sembrate così carente di sostanza, signora. -
- Prego? -
- Beh, ha ragione. - Kaito si voltò appena verso di lei.
Un pugno alla schiena: - Potresti cortesemente non concordare con uno scorpione che ci vede come primo e secondo piatto? -
"Ma ha ragione!" Forse, però, non era il momento di proseguire quel discorso, quindi si limitò a sospirare.
- Possiamo rendere la cosa veloce e indolore. - il bandito fece schioccare la chela. Le tuniche degli altri vibrarono, quasi il resto del gruppo fosse pronto a saltare loro addosso.
Forse non era un'impressione.
Rabbrividì.
- Consegnatevi di vostra spontanea volontà, senza opporre resistenza. Altrimenti, saremo costretti a- -
- Ma davvero pensi che qualcuno possa gettarsi ai vostri piedi supplicandovi di ucciderlo velocemente? - Meiko si spostò al suo fianco, più indignata che spaventata: - Dovresti concedere salva la vita, nel caso di suppliche! - serrò la mano attorno al suo braccio: - Non fareste prima a chiedere al vostro cibo in che modo vuole essere servito? -
Kaito inarcò un sopracciglio: - Ora sei tu a dar loro troppa ragione. -
Occhi scuri, a mezz'asta: - Ma io sono ironica. -
- Anche se dite cose sensate, signora. - intervenne quello che doveva essere il capo: - Dunque. Come desiderate essere serviti? -
- In nessun modo. -
"Oh." e lui che già pensava di mettere bene in chiaro di non essere servito con le verdure. Ne aveva avuto abbastanza, di verdure.
Anche se avrebbe di gran lunga preferito non essere servito in quel senso.
- D'accordo. - la voce del bandito non si era incrinata neppure per un istante: - Allora dovremo catturarvi con la forza. -.
Sguainò la spada, si parò davanti a Meiko, sentì la presa sul suo braccio venire meno.
Continuava a sentirsi soffocare. Quel qualcosa alla gola non se n'era andato. Anzi.
E faceva freddo. Troppo freddo.
Talmente tanto freddo da fargli tremare le mani, e le gambe.
Serrò le dita attorno all'impugnatura.
Erano in dodici.
Dodici.
- Meiko... - un sussurro.
- Eh? -
- I banditi sarebbero capaci di lanciarsi da tre metri d'altezza sapendo di poter atterrare sulla sabbia? -
- Cosa? - una pausa confusa: - B-beh, credo di sì, se si tratta di inseguire una preda- -
- Capisco. -
Dodici.
Probabilmente, stavano solo aspettando una loro mossa.
Erano in dodici, e loro erano in due.
Erano in dodici, e correvano veloci.
Trasse un profondo respiro, un battito più violento, quasi doloroso.
Si voltò verso Meiko. Sorrise.
- Corri. -
Lei sbattè le palpebre: - Cosa? -
- E non voltarti. -
- Cosa- -
La sua espressione confusa, stupita. Spaventata.
Non emise un suono.
E scomparve oltre il bordo di quel piccolo precipizio.
Lui tornò ai banditi, puntò la spada contro di loro: - D'accordo. Eccomi. -.
Meiko conosceva bene il deserto. Con quel piccolo vantaggio, sarebbe stata in grado di scappare e di mettersi al sicuro.
"Devo riuscire a trattenerli." non aveva idea di come. Sapeva solo di doverlo fare.
Erano in dodici, e lui era da solo.
Erano in dodici, e lui quasi non sapeva neppure come impugnare una spada.
Quella cadde quasi subito, lontano.
Forse ci stavano mettendo così tanto perché aveva opposto resistenza. Quindi, sarebbe stata una cosa lenta e dolorosa.
Forse sarebbe soffocato. Non riusciva a riprendere fiato, tra un calcio nello stomaco e la frustata di una coda sul viso.
Avrebbe voluto tenere gli occhi aperti, ma non era riuscito a non chiuderli. Ci era anche finita la sabbia.
Bruciava.
Faceva male.
Male.
Male.
Male.
Sentiva ogni calcio, ogni chela, ogni coda.
Forse lo avrebbero avvelenato.
Forse un pungiglione gli si sarebbe conficcato nella pelle e sarebbe finito avvelenato per caso.
Forse le lame delle loro spade erano ricoperte di veleno.
O forse avrebbero continuato con i calci.
Non si sarebbe alzato, sarebbe rimasto nella sabbia.
Bruciava.
Faceva male.
Male.
Male.
Tutto faceva male.
Sentiva pulsare in troppi punti per poter essere solo il cuore.
Chissà che fine aveva fatto.
Chissà se, con tutti quei colpi, si fosse davvero spostato.
Forse era davvero quello ciò che sentiva in giro, che lo stava soffocando.
E sentiva ogni calcio, ogni chela, ogni coda.
Ognuno di loro.
Faceva male.
Facevano male.
Ma erano in dodici.
Tutti e dodici lì con lui.

La terra tremò.
Non ci furono altri colpi.
Quando la terra smise di tremare, tutto rimase immobile.
Kaito riaprì gli occhi.
Il cielo stellato.
E aria piacevole sul viso.
"Ah... sono ancora vivo?" intravedeva le ombre dei banditi.
Erano intorno a lui, ma non guardavano lui.
Non sapevano neppure loro cosa guardare, perché ognuno guardava in una direzione diversa.
Poi il cielo scomparve.
Un'immensa coltre nera.
I timpani facevano male.
Sgranò gli occhi.
Non era stato un terremoto.
Un ruggito talmente potente da far tremare la terra, la sabbia.
Il cielo riapparve.
La terra tremò di nuovo.
Una ventata lo fece rotolare per qualche metro, il vociare dei banditi riempì l'aria.
Riuscì a mettersi seduto, fitte agli avambracci, fitte alle spalle, fitte su tutto il busto, fitte sulle gambe, il sapore del ferro in bocca, ma riuscì a mettersi seduto.
Dovette reggersi anche con le braccia, anche se facevano male, anche se sarebbe crollato di lì a poco.
- ... Jabberwock. -
Un essere nero, forse un drago, non ne aveva idea, un essere con quattro zampe, una lunga coda, delle ali da pipistrello e un lungo, lungo, lunghissimo collo.
Un altro ruggito, un altro terremoto.
La testa scese all'altezza dei banditi, ormai in fuga.
Il Jabberwock alzò una zampa artigliata.
Cinque enormi artigli.
O forse non erano poi così enormi.
Un solo artiglio, minuscolo per il Jabberwock, era poco più grande di lui.
La zampa ricadde sopra alcune ombre, il muso schizzò in quella direzione.
"... Meiko aveva detto di nascondersi sotto la sabbia, se-" sussultò: "Meiko!" lo sguardo andò all'interruzione nel terreno.
Si trascinò fin lì, con le mani, con le ginocchia, e guardò di sotto.
Un piccolo buco nella sabbia, dove doveva essere caduta Meiko.
E delle impronte distanti, una persona che corre.
Lasciò andare una risata di sollievo, leggera: "Allora è in salv-"
Le impronte s'interrompevano.
All'improvviso, senza alcun cambio di direzione, senza nessun posto in cui nascondersi.
La risata sfumò.
Era meccanica, ogni respiro faceva male.
- Meiko... - "Non è possibile..." si voltò.
Il Jabberwock lo stava guardando.
Non c'era più alcuna traccia dei banditi.
"... è così, allora..."
Il muso ovale, enormi occhi gialli spalancati, una bocca ovale colma di denti affilati, piccola di suo, ma abbastanza grande da inghiottire una persona intera con un solo morso.
In effetti, era una testa davvero piccola, rispetto al resto del corpo.
Soprattutto rispetto a quel lungo, lungo, lunghissimo collo.
- ... - si rialzò.
S'impose di ignorare il dolore.
Avrebbe potuto lamentarsene dopo.
"Quel collo..." osò abbassare lo sguardo dal Jabberwock, cercò la spada: "... forse Meiko è ancora lì! Forse Meiko non è ancora arrivata allo stomaco!" la trovò: "Forse posso ancora tirarla fuori!" si tuffò - trattenne un gemito, gli occhi quasi lacrimarono -, la afferrò e si rimise in piedi.
Il Jabberwock continuava a fissarlo.
"Cosa aspetta...?" gli puntò contro la lama.
Sapeva cosa fare.
"... non posso abbatterlo. Non ne sarei in grado. Ma..." rabbrividì: "... se mi farò mangiare, potrò andare nel suo collo e cercare Meiko! Poi, usciremo tagliando la pelle!" sperava davvero che il Jabberwock non masticasse. Sembrava avere solo denti affilati, quindi non poteva masticare, no?
Un altro terremoto.
Un'altra ventata lo spinse a terra, rotolò per qualche metro.
Il ruggito del Jabberwock era il suono più raccapricciante che avesse mai udito. Un ruggito potente, eppure stridulo, che faceva venire la pelle d'oca, che faceva dolere i timpani.
Deglutì. Ci riuscì, finalmente. Anche se persino la gola faceva male.
Serrò i pugni, la presa sulla spada, e si rialzò.
Fece un passo avanti, la gamba gli mandò una fitta, la ignorò.
- Ehi! - urlò, fino a quasi spaccarsi la gola: - Ehi! Sono qui! Qui! - tenne bassa la spada, la presa talmente forte da far tremare la mano. Sì, era la presa troppo intensa a farlo tremare in quel modo.
Qualsiasi cosa fosse successa, non avrebbe mai dovuto lasciare la presa su quella spada.
Cadde a terra, quando il Jabberwock ruggì di nuovo. Piantò i piedi nella sabbia, riuscì a non volare via.
Si rialzò, guardò quell'essere negli occhi: - Ehi! Mi vedi? - gridò: - Sono qui! Qui! -.
"Forse... è sazio...?" trasalì: "No! Devo farmi mangiare!" strinse i denti e si gettò contro il Jabberwock.
Avrebbe reagito.
Di sicuro avrebbe reagito.
E l'avrebbe mangiato.
Sarebbe bastato anche solo che aprisse la bocca, ad un'altezza decente.
Cadde nella sabbia.
Le gambe si erano rifiutate di obbedirgli oltre.
Decine di coltelli roventi conficcati nei polpacci, nelle cosce.
Ma non importava.
Non era il momento.
Se ne sarebbe preoccupato dopo.
Fece forza sulle braccia, sentì le guance bagnate, troppo calde.
Doveva farsi mangiare dal Jabberwock.
Rialzò lo sguardo, incontrò i suoi occhi gialli.
Doveva recuperare Meiko.
Meiko era lì, a pochi metri da lui, lo sapeva benissimo.
Se lo sentiva.
Sentiva che Meiko era vicina, ed era viva.
Un ringhio.
Poi la testa del Jabberwock si sollevò, si fece lontana, lontana, sempre più lontana.
- NO! - alzò un braccio, il cuore faceva troppo male: "Se se ne va ora, allora-"
Il corpo del Jabberwock si fece più piccolo, più piccolo, sempre più piccolo.
Ma non si stava allontanando.
Era lì, davanti a lui.
E si stava rimpicciolendo.
Sempre di più, sempre di più.
Sparì il collo immenso, sparirono gli artigli, sparì la coda, sparirono le ali.
E, in una delle impronte lasciate da una zampa del Jabberwock, Meiko ricambiò il suo sguardo.

- ... - si rialzò, piano.
Il dolore era distante.
Meiko si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio. Lo sguardo scuro andò altrove: - Prosegui sempre dritto per quella direzione. - un cenno della testa: - Tra poche ore sarai nel Paese dell'Arancione. - portò le braccia dietro la schiena: - C'è un'oasi, non troppo distante. - si voltò: - Addio. -
- Aspetta! -
Il dolore era distante, come un ricordo lontano.
La raggiunse, le afferrò una spalla.
Lei trasalì, lo guardò, sconvolta, pallida: - Non ti avrei mai fatto niente, te lo giuro! - la voce soffocata: - Tu non avresti mai dovuto saperlo! Saresti dovuto arrivare nel Paese dell'Arancione senza- -
- Sei stata fantastica! - le prese le mani, il cuore enorme, senza peso: - Hai sconfitto dodici banditi tutti da sola! - gli sfuggì un sorriso: - Sei davvero fortissima! -
La bocca di Meiko era rimasta aperta nelle ultime sillabe che stava pronunciando, gli occhi completamente spalancati.
- K-Kaito... -
- Sì? -
- ... non so se hai capito, ma... - tolse le mani dalle sue, cauta: - ... quel... quel mostro, lì... - continuava ad evitare il suo sguardo: - ... era il Jabberwock. -
- Avevo intuito. - gonfiò le guance: - Non sono così stupido, sai? -
- Kaito. - stavolta, vide i suoi occhi. Lucidi: - Io sono il Jabberwock. - la vide trarre un profondo respiro: - Non sono una Fortepiano, o meglio... - si corresse: - ... passo il mio tempo dai Fortepiano, ma io non sono una Fortepiano. Io sono un mostro. Quel mostro che hai visto prima. Quello che... - la voce si spense. Abbassò lo sguardo.
- ... che divora la gente nel Paese del Rosso? -
Quegli occhi scuri, colmi d'ira: - I banditi. Coloro che non sono usciti dal Paese del Rosso sono stati vittime dei banditi! Non del Jabberwock! Io... io... - le tremavano le labbra: - Io ho fatto del male, sì. Ho fatto tanto del male. Ma non a chi mi lasciava in pace. Non a loro. Non a loro. - scosse la testa: - Non a loro. Non a loro. Anche se sono un mostro, anche se ho fatto tutto questo, io- -
- Grazie. -
- ... eh? -
Le accarezzò una guancia. Era caldissima: - Se non fosse stato per te, a quest'ora sarei morto. - ridacchiò: - Magari, a quest'ora sarei servito ad un gruppo di scorpioni in un piatto a base di verdure! -
Un singhiozzo.
La mano si inumidì.
Le asciugò la lacrima con il pollice.
- Perché non te ne sei andato? -
"Eh?" - Quando? -
- Dopo. - inspirò: - Quando cercavo di scacciarti. -
- ... quando mi ruggivi contro? - "Ah. Ecco cosa stava..."
Lei si scostò, si asciugò gli occhi con una mano: - Tu te ne saresti dovuto andare. Fine. Avresti dovuto approfittarne e scappare. Eri libero, no? - forse lo sguardo che gli rivolse voleva essere arrabbiato, ma era solo confuso, rosso di pianto: - Perché sei rimasto lì? Non era paura, lo so. Mi stavi sfidando. Perché? -
Kaito le indicò un punto preciso: - Le tue impronte, qui sotto. Spariscono di colpo. Credevo che il Jabberwock ti avesse mangiata. -
Un altro singhiozzo.
Stava stringendo i denti.
- Oh... no... - si passò una mano tra i capelli: - No... era come pensavo... avevo capito bene... -
Kaito si limitò a guardarla.
- ... stavi cercando di farti mangiare per venirmi a recuperare. -
- L'idea era quella, sì! - "E' bello che Meiko sia tanto perspicace!"
- Ringrazia... - un altro singhiozzo: - ... ringrazia di essere pieno di lividi, altrimenti un altro pestaggio non te lo risparmiava nessuno! -
- Perché? - non si sentiva offeso. Anzi.
- Perché? Perché? - un urlo, Meiko riuscì a fermare le mani a pochi centimetri dalle sue spalle. L'avrebbe spintonato con violenza: - Sono io a dover chiedere "Perché?"! Perché sei ancora qui? Perché mi stai ancora parlando? Perché non te ne sei andato? Perché... perché... - si conficcò le unghie nei palmi, ancora a mezz'aria: - Perché non mi odii? -
Kaito sbattè le palpebre: "... è davvero strana."
- Mi hai salvato. - sorrise: - Perché dovrei odiarti? E' grazie a te se sono vivo! -
- Ma io... - si puntò un indice contro: - ... sono un mostro! -
- Beh, sì, non sei molto carina. - dovette riconoscerlo: - Ma solo in quella forma! Così sei- -
- E' quella la mia vera forma! - il volto ormai completamente scuro, la voce che andava incrinandosi: - Io sono il Jabberwock! Io sono un mostro! -
- Non lo sto negando, non c'è bisogno che urli. - osservò lui: - Sei il Jabberwock e, nella tua vera forma, non hai un aspetto molto carino. -
- Tu non capisci. - Meiko scosse la testa, ansimava: - Io ho fatto del male. Io ho ucciso. -
- Non chi non ti ha infastidita. L'hai detto tu, no? - sorrise.
- Ma- -
- Tu sei un gran bugiarda, Meiko. - si avvicinò, le prese il viso tra le mani: - Stavi anche allungando il percorso, vero? -
Lei sgranò gli occhi. Poi distolse lo sguardo.
- Però... dici anche la verità. Per questo sei una gran bugiarda. Una bugia in mezzo a tante verità è più difficile da notare. Quindi, chi la dice è un bugiardo molto più bugiardo di chi dice solo bugie. -
- Eh? - lei tornò a guardarlo.
- Le cose che mi hai detto... - posò la fronte contro la sua: - ... erano quasi tutte vere. Tu vuoi andartene. Tu vuoi imparare ad usare la spada. Ma non è vero che farai qualcosa per ottenere ciò che vuoi. - la guardò: - E' perché sei il Jabberwock? -
- Un mostro. -
- L'hai deciso tu? -
- Di essere un mostro? -
- Sì. -
Meiko scosse la testa: - Ci sono nata. Quella sono io. Non è una cosa che posso sceg- -
- Non ti ho chiesto se hai deciso tu di essere il Jabberwock. - sussurrò: - Ti ho chiesto se hai deciso tu di essere un mostro. -
Quello sguardo irritato: - Il Jabberwock è- -
- Una creatura magica. Esattamente come tante altre. -
Meiko aprì la bocca. Poi la richiuse. Era tornata ad essere un pesce.
- Quindi... perché non la smetti di dare per scontato il parere altrui? -
- E' il tuo parere ad essere assurdo. - un sospiro: - Tu... sei stato pronto a ferirti pur di salvarmi. -
"... eh?" - Ovvio. -
- Non è ovv- - si bloccò. Un altro sospiro: - Sei così... così. -
- Così...? -
- Così. - Meiko si allontanò, le braccia conserte: - Comunque, le indicazioni te le ho date. Ora puoi- -
- Non siamo ancora usciti. - le ricordò: - Il patto era di guidarmi fino al Paese dell'Arancione. - sorrise: - E nulla ti vieterà di uscire dal Paese del Rosso. -
- Oh, certo. - alzò le spalle: - Finché mi presenterò così... - passò una mano sulla spalla: - ... immagino che saranno tutti buoni e gentili. -
- Meiko. -
- Mh? -
- Hai ragione. -
- Cosa? -
- Sì, certo che la gente sarà sempre carina con una donna bellissima. E guarderà con disgusto una creatura come il Jabberwock. Ma... - si riavvicinò, lei sembrava più pallida: - ... se la donna bellissima è un mostro e il Jabberwock una creatura degna di rispetto... - sorrise: - Non puoi esigere che tutto succeda subito. Non pensare che il tempo non esista. Non dare per scontati i pensieri degli altri. E non pensare che non possano cambiare mai. - scosse la testa: - Ciò che gli altri davvero penseranno di te dipenderà solo da te. Da come ti mostrerai. E non parlo del Jabberwock o di una donna bellissima. -
- Smettila di ripeterlo. - si portò una ciocca dietro l'orecchio, il volto di nuovo scuro: - Ti ho detto che mi infastidisce. -
- Ma non per i motivi che mi hai detto. - sospirò: - C'entrano, ma non erano davvero quelli. - sorrise, di nuovo: - Ti irrita che qualcuno preferisca il tuo involucro umano alla vera te. -
- Per poi gridarmi contro "Mostro!" non appena mi vedono. - anche lei sorrise, un sorriso amaro: - Già. -
"Oh. Quindi aveva già rivelato la verità a qualcuno." le prese la mano. Era calda: - Tu sei una donna bellissima. E una creatura magica dall'aspetto poco gradevole. Meiko... - le si avvicinò: - ... ha un brutto carattere ed è manesca. -
- Ringrazia di essere già ferito. -
- Oh, ma ora sto meglio! -
- Davvero? - il pugno apparve nella sua visuale.
- No. Scherzavo. - il pugno sparì, piano piano.
- ... - Meiko non si allontanò: - Kaito... - la voce esitante.
- Sì? -
- ... qual è... - serrò le labbra, un istante: - ... c'è una cosa che vuoi davvero? -
- Volare! -
- Volare...? - lo guardò negli occhi: - Beh, ci sono tanti modi per- -
- Volare, io! - sentì il sorriso farsi più ampio: - Un giorno, diventerò una farfalla. Avrò delle ali mie. E potrò volare! - alzò lo sguardo.
Il cielo stellato.
Chissà se, salendo, salendo, salendo, sarebbe stato in grado di vedere le stelle da vicino.
Solo pensarlo lo fece sentire più leggero. Ma non bastava essere più leggeri per volare. Ci aveva già provato.
- ... ma... - un sussurro: - ... le farfalle... -
- Sì? -
- ... loro vivono... -
Riabbassò lo sguardo: - Sì? -
Gli occhi erano spalancati, inquieti: - ... non vivono molto... -
- Ma possono volare! - le prese anche l'altra mano: - Hanno le ali e possono andare dove vogliono! -
- Tu... - parlava piano: - ... saresti disposto a questo, pur di poter volare? -
Annuì. Il cuore batteva forte.
Volare.
Sarebbe stato così...
Più forte.
La presa sulle mani si fece più forte. Ma non l'aveva stretta lui.
- Io... - Meiko inspirò: - ... io posso volare. Ho delle ali mie e... - inspirò di nuovo: - ... posso farti volare. - abbozzò un sorriso: - Ne ho di spazio per passeggeri, sai? -
"..."
- Ma non sarebbe la stessa cosa. - le fece notare: - Non sarebbero ali mie. -
- Dettagli. Futili dettagli. - e, finalmente, Meiko sorrise davvero: - Finché non diventerai una farfalla, sarò io a farti volare. Ti sta bene? -
"..." - Significa che dovrai venire con me. -
- Ovvio. Dici cose stupide, fai cose stupide, non sai neanche usare la spada e hai un senso di autoconservazione nullo. Se non avessi nessuno a controllarti, non vivresti abbastanza da diventare una farfalla. Quindi, sì, dovrò venire con te. - sospirò: - Uscire da qui... per farti da balia. - gli scoccò uno sguardo alquanto eloquente: - La cosa è un po' fastidiosa, sai? -
Una risata leggera. Non era riuscito a trattenerla: - ... Meiko è davvero una gran bugiarda. -.



- Ecco, possiamo fermarci qui. -
L'oasi.
Nome alternativo di una piscina con palme, evidentemente.
Aveva alquanto bisogno di una rinfrescata - ed era piuttosto sicuro che anche ferite e lividi avrebbero gradito. Non era sicuro dei lividi, ma le ferite sì.
Nondimeno, erano giorni che non usciva da quella massa di stoffe.
Un rumore.
Alzò lo sguardo.
Meiko si era gettata in acqua, era riemersa, i capelli bagnati contro la fronte, le guance.
- E' fresca! -
Come se non bastassero già i motivi che aveva, per entrare in acqua.
Meiko sembrava davvero uscita da un sogno. Sì.
E a lui ci vollero solo due minuti per liberarsi di tutta la roba che aveva - lei aveva preferito farlo soffrire rimanendo in acqua, immergendosi e commentandone la freschezza.
Poi, finalmente, le sue sofferenze finirono e ogni singolo millimetro del suo corpo ringraziò tutta quell'acqua.
Si guardò un braccio: solo lì c'erano due grossi lividi ovali circondati da tanti altri più piccoli.
Non erano neanche carini da vedere.
L'altro braccio. Sotto il polso, un livido. Neanche si era accorto l'avessero colpito lì.
Si sentì osservato.
Spostò appena la testa e incontrò lo sguardo di Meiko.
Occhi spalancati.
Un istante dopo, sentì le sue mani bagnate sul petto.
- Ehi! - protestò: - Perché io non posso toccarti ma tu- -
- Dove l'avevi messa, questa roba? - le mani salirono alle spalle, scesero lungo le braccia.
- Cosa? - "Di che sta parlando...?"
Poi, Meiko sorrise.
Il sorriso più ampio che le avesse mai visto.
- Quattordici mani, eh? -.






Note:
* "Sii pura, fiorisci in tutto il tuo splendore / Rossa... e bellissima": Guardian Blue.
* Il nome dei Fortepiano è ripreso da Piano x Forte x Scandal. *Eggià.*
* "Stia attento al Jabberwock! Le fauci che azzannano, gli artigli che intrappolano!": citazione dal poemetto originale.
[Beware the Jabberwock [...]! The jaws that bite, the claws that catch!]




Pensavo che avrei tardato di un paio di settimane - e invece ci ho messo più di un mese.
Potrei fare un lungo racconto sui vari motivi che mi hanno tenuta impegnata - potrei, ma non lo farò.
(C'entrano influenze assortite, ospiti e riprendere in mano giochi a cui non giocavo da 10+ anni.)
In ogni caso, chiedo scusa a tutti. m(_ _)m
Visto quanto successo, lo dico subito: siamo a Dicembre - e sapete tutti cosa significa -, quindi non garantisco nessuna costanza nella pubblicazione. *china testa*

La cosa che mi ha un pochino irritata è stato il fatto di essermi ammalata proprio quando ero alle ultime battute del capitolo. >___>

E riguardo il capitolo in sè...
Fu così che Kaito e Meiko s'incontrarono! *O*/
Nondimeno, sono trionfalmente riuscita a far stare tutto il flashback in un solo capitolo! *A* *Per lei è un grande traguardo.*

Confesso di aver trovato "strano" riprendere il POV di Kaito - un'altra mia fanfiction mi ha insegnato che il suo POV, a lungo andare, lascia gravi danni mentali (?). *Anche se è tra quelli che preferisce usare. (?)*
Quanto a Meiko... quanti avevano intuito la verità sul Jabberwock? *O*
(No, sul serio. *Sarà stata in grado di renderlo non troppo ovvio ma anche che non spuntasse dal nulla? Oppure era palesissimo / sembra tirato? *)
Dunque sì: la Regina è il Jabberwock.
Jabberwock che è quasi in tutto e per tutto quello delle illustrazioni originali di John Tenniel [questo], solo estremamente più grande, senza panciotto e con cinque dita per zampa.

- Eh? Il flashback si conclude qui? Dov'è MeikoRegina? -
Il flashback finisce qui, ma di certo non si conclude la conversazione su di lei e sul perché sia passata da tsundere a yandere. U.U
Ogni cosa si saprà. Prima o poi.

Vi avevo anche detto (e ridetto e ridetto e ridetto...) che, per il flashback di Kaito e Meiko, ci si sarebbe concentrati su un'altra saga - più graficamente che a livello di trama: la serie in questione è Color Chronicle! *O*/
Per chi non la conoscesse, trattasi di una minisaga di tre canzoni, prodotte da Maya e cantate da Kaito e Meiko: Guardian Blue (cantata da Kaito), Red Reflection (uno dei più bei singoli di Meiko) e Color Chronicle (cantata da entrambi), da cui il titolo (fanon) della saga. (I link portano ai sub ita)
Come spero si sarà intuito, l'abbigliamento dei due e l'ambientazione è 100% ripresa da Guardian Blue - e, sì, forse anche qualche scena. U.U
Di Red Reflection, con tanta fantasia, potrebbe avere elementi alla molto lontanissima, mentre di Color Chronicle si potrebbe intravedere qualcosa - ma direi che potrebbe vedersi di più in seguito. Forse.
E, no, Kaito non finirà sulla sedia a rotelle e Meiko non diventerà un cyborg.

Così come *ci tiene a precisarlo* nessuno dei due, all'epoca di questo flashback, era ancora innamorato dell'altro: c'era attrazione, poi divenuta interesse, poi molto interesse e così via. *Poi si dirà qualcosina a riguardo. U.U*

Questo capitolo fu uno dei primissimi che pensai - anche perché mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di anche solo vagamente ispirato a Color Chronicle; è bizzarro scrivere effettivamente qualcosa pensato molto tempo addietro. °^°
Spero sia riuscito decente. °A°

E spero che lo sia anche tutto il capitolo. oAo
Se ci sono consigli da darmi o critiche da farmi, dite pure. oAo
  
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