Fanfic su artisti musicali > Take That
Segui la storia  |       
Autore: AlyTT    13/12/2015    1 recensioni
Alessandra una giovane ragazza italiana, dopo il diploma di maturità decide di trasferirsi a Londra per lavoro, e lì incontrerà dapprima Robbie Williams e successivamente i Take That. Non sarà per niente facile per lei imparare a convivere con uno di loro, e soprattutto ci saranno mille difficoltà da affrontare.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gary Barlow, Howard Donald, Jason Orange, Mark Owen, Robbie Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti, ci tengo a precisare che ogni riferimento ai personaggi è puramente causale e frutto della mia fantasia. Inoltre vorrei scusarmi per eventuali errori, ma è trascorso davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. 
Vi auguro una buona lettura :) 

 
 
CAPITOLO DUE: No Regrets

Io e Robbie continuammo a vederci ogni qualvolta ne avevamo la possibilità, soprattutto quando il mio ed il suo lavoro lo permettevano. Ad ogni modo trascorrevamo molto tempo insieme. Mi portò persino Stok-on-Trent ed io in tutta risposta, lo portai fino a Oulx, un piccolo paesino in Piemonte a circa settanta chilometri da Torino, dove abitava la mia famiglia. La visita di Robbie però non piacque per niente al mio fidanzato di allora, che si convinse di una possibile relazione tra me ed il cantante. Vi lascio solo immaginare quello che successe.. Volarono parolacce e per poco non arrivarono alle mani. Per fortuna arrivò il tempo di partire nuovamente, anche se ogni volta tornavo a casa era difficile ripartire e non sapere quando avrei rivisto parenti ed amici.

Per tutto il viaggio di ritorno io e Robbie cercammo di non pensare a quello che era successo. Volevo metterci una pietra sopra, perché non era così che volevo ricordare la mia casa, la mia vita prima di Londra. Era già difficile stare lontani, figurarsi essersi lasciati così male, ma ero troppo arrabbiata e delusa dal comportamento del mio ragazzo, Simone, per chiamarlo e chiarire. Avrei lasciato che il tempo facesse la sua parte.. Ma non sempre il tempo riesce a sistemare, questo è un dato di fatto.

Comunque liti a parte l’amicizia tra me e Robbie continuò a solidificarsi, tant’è che avevamo persino deciso di trascorrere le feste di Natale insieme, poiché entrambi eravamo a Londra da soli, lontani dalla famiglia, a causa dei soliti impegni lavorativi. 
E poi quello era il mio secondo Natale a Londra. Era già trascorso un anno da quando io e l’idolo delle teenager c’eravamo incontrati per la prima volta..
Era quasi tutto pronto, regali compresi ed a Natale mancava davvero poco, ma quel maledetto 13 dicembre credo avesse segnato per sempre la mia vita. Arcistufa del mio ragazzo decisi di mollarlo. Basta, non ne potevo più di lui e delle sue continue ramanzine. Aveva ragione Rob quando mi diceva ‘’No regrets’’. Nessuno doveva averne; ognuno di noi doveva essere libero di fare ciò che riteneva più consono, ma questo non toglieva il rispetto, perché io ne avevo molto per Simone o non sarei stata la sua fidanzata negli ultimi cinque anni. Era stata una storia bellissima, ma nell’ultimo anno mi stava facendo sentire una persona diversa. Era come se non fossimo più quelli di prima. Eravamo cresciuti, avevamo intrapreso strade diverse ma questo non significava niente per me, perché se c’è l’amore c’è tutto, ma evidentemente non è così. Comunque presi il telefono e dissi al mio ragazzo tutto ciò che mi ero tenuta dentro fino a quel momento, e quella fu l’ultima telefonata, almeno fino a quando entrambi non capimmo che quella era stata la decisione più giusta. In quella telefonata gli dissi tutto quello che probabilmente non pensavo nemmeno, ma ero arrivata al limite. Ma con il tempo, con il senno di poi, capii che era stata la scelta migliore da prendere. 
Dopo quella telefonata, che nonostante tutto, mi aveva distrutto corsi da Robbie, ma quando arrivai a casa sua trovai qualcosa che non mi piacque per niente. Robbie era disteso per terra, fatto di chissà che cosa. 
Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto ed ero spaventata da morire.

« Robbie, Robbie.. che diavolo hai combinato? Robbie, ti prego rispondimi.. Che cosa hai fatto?»

Robbie mi aveva raccontato della sua dipendenza ed avevo sperato non ricadesse più in quel limbo, ma era evidente che non era stato così. Posai le dita sul suo polso per assicurarmi che fosse ancora vivo e per fortuna lo era. Non mi restava che chiamare il pronto intervento, ma così avrei rovinato per sempre la sua vita.. ma me ne infischiai di paparazzi e tutto il resto. Io dovevo pensare al mio amico prima di tutto.
Mi ero inginocchiata al suo fianco, mentre cercavo di dargli da bere qualcosa, per farlo riprendere. Non avevo mai visto una persona rivolta in quello stato, e speravo non accadesse mai più, specialmente se si trattava di una persona a cui volevo bene. I soccorsi arrivarono una decina di minuti dopo, e Rob non si era ripreso del tutto. Il momento prima era lucido, quello successivo no. 

Robbie era un uomo, mentre io solo una ragazzina di vent’anni, ma in quel momento mi ero sentita anche troppo grande. Salii in ambulanza e rimasi in silenzio per tutto il tempo, perché troppo sconvolta e delusa dal mio amico che mi aveva promesso di esserne uscito. I medici mi chiesero di attendere nella sala di aspetto, e così feci, ma l’attesa mi avrebbe ucciso. Nel frattempo, come se tutto questo non fosse complicato ci si mise pure la radio. Presero a trasmettere una canzone di Robbie, Eternity, e quella canzone mi aveva sempre fatto uno strano effetto, anche perché sapevo come lui fosse finito per scrivere e cantare quelle parole.. Parole malinconiche e piene di dolore. Aveva scritto quella canzone qualche anno prima, durante un altro dei suoi periodi bui.

Ero seduta con le braccia conserte ed appoggiate sulle ginocchia, mentre mi tenevo la testa e cercavo di soffocare i singhiozzi; e poi improvvisamente una mano si appoggiò sulla mia spalla. Sollevai un poco la testa e notai un uomo vicino a me. Non lo avevo mai visto prima d’ora, ma quel sorriso seppure forzato dalla situazione mi illuminò. Doveva essere il padre di Robbie. Poco più in là una donna, che riconobbi come la madre. Io e lei c’eravamo incontrai qualche mese prima, quando Robbie mi aveva portato a Stoke. Era strano vedere quei due insieme, anche perché ero a conoscenza del loro divorzio e di quello che Bob stava ancora sopportando, ma per l’amore di un figlio le persone erano disposte a fare qualsiasi cosa, anche riappacificarsi.

« Sei Alessandra vero? Robbie parla sempre di te.. anche se ti chiama sempre con un nome diverso.. »

« Si sono io! E Robbie mi chiama sempre Aly, perché la prima volta che ci siamo incontrati non è riuscito a pronunciare il mio nome, così per evitare altre brutte figure ha deciso che chiamarmi con l’altro nome che è decisamente più semplice da pronunciare, comunque Aly va benissimo. 
Non so da quanto tempo Bob è la dentro.. Non è uscito nessuno. »

Avevo davvero paura, ma non volevo trasmetterla anche ai suoi famigliari, così cercai per quanto possibile di mostrarmi loro tranquilla e senza pensieri, ma era impossibile non notare quanto fossi in realtà agitata e nervosa. Socchiusi appena gli occhi e poi sospirai e pregai perché quella situazione migliorasse quanto prima. L’attesa ci stava uccidendo. Poco dopo anche la madre venne a sedersi al mio fianco; prese la mia mano e la strinse forte nella sua. Riuscì solo a dire una cosa, che però sperai le facesse piacere, anzi non solo a lei, ma anche al suo ex marito che nel frattempo aveva preso a camminare avanti ed indietro in quel lungo corridoio, che ci divideva da Robbie.

« Robbie è forte. Se la caverà.. 
Mi ha raccontato di quella volta, quando da piccolo era salito in cima ad un albero e poi mentre si comportava come al suo solito da pagliaccio è caduto violentemente per terra, rompendosi in braccio, ma questo non lo ha fermato. Il giorno dopo era salito di nuovo su quell’albero. »

« Si, questo è il mio Robbie. Il Robbie che non ha mai avuto regole o limiti, ma questo lo ha portato a questo punto.. Quando ci ha presentate ho pensato che tu potessi essere la sua boccata d’aria fresca, ma lui ha un brutto caratteraccio e si porta da sempre dietro le sue cattive abitudini, ma tu puoi fare la differenza. Non lo abbandonare, lui ha bisogno di te, nonostante l’età che vi divide. »

« Non lo farò. Mi prenderò cura di Robbie, anche se dovrebbe essere il contrario, già! Per me suo figlio è davvero importante.. Sa, qualche giorno fa, si era ripromesso di imparare persino l’italiano.. »

«.. Così forse quella testa di asino di mio figlio, riuscirà finalmente a pronunciare correttamente il tuo nome. »

Concluse il padre.
Sorrisi ai signori Williams, per poi notare il medico venire nella nostra direzione. Io e la mamma di Robbie balzammo in piedi come due molle, mentre il suo papà che era in piedi e leggermente più avanti di noi, raggiunse il medico, così che avessimo quanto prima la bella notizia, infatti Bob si era svegliato. Era ancora sotto farmaci, ma era cosciente e rispondeva bene ai vari esami a cui era stato sottoposto. Doveva solo mettere da parte l’orgoglio e ricominciare pulito. Niente di più. Non sarebbe stato facile, ma Robbie aveva la stoffa per fare un passo avanti. Il dottore aggiunse inoltre, prima di tornare al suo lavoro che se fossimo entrati uno alla volta, avremmo potuto stare un po’ con lui.
Tornai così a sedermi; volevo che fossero i suoi genitori a vederlo per primi, ma loro insistettero perché fossi io a farlo per prima, dopotutto ero rimasta fin troppo a lungo ad aspettarlo. Li ringraziai e senza farmelo ripetere due volte, volai nel vero senso della parola, fino alla stanza di Robbie. Lui era intento a leggere qualcosa sul suo cellulare, ma quando mi vide posò il cellulare ed allargò le braccia, perché potessi raggiungerlo e farmi abbracciare.

« Robert Peter Maximilian Williams sei davvero uno stupido, lasciatelo dire. E non venirmi a dire lo stress per il tour perché potrei farti perdere di nuovo i sensi. »

Questa volta però mi rivolsi a lui in italiano, tanto ero certa che avrebbe compreso più o meno il senso del discorso, e vedendolo ridere immaginai che lo avesse compreso almeno in parte. Lui in tutta risposta, prese il cellulare e dopo essere andato sul traduttore, lasciò che lui parlasse al suo posto. In poche parole mi disse – anche se ci voleva un interprete, per quell’italiano poco corretto –, che ero una donna tosta e che mai e poi mai avrebbe più osato contraddirmi. 

« Bobby Solo, io vado. Ci vediamo più tardi, così potrai vedere anche i tuoi genitori. Il dottore ha detto che possiamo entrare uno alla volta non di più. »

Lo stuzzicavo sempre con quel nomignolo, visto che lui me ne aveva dati altrettanti per farmi indispettire ed arrabbiare, ma quel soprannome non lo fece ridere come le altre volte. Lo sguardo di Robbie si era spento di nuovo. Probabilmente era solo stanco o dispiaciuto per tutto il casino, così gli sorrisi e mi strinsi ancora di più a lui, in quell’abbraccio che negli ultimi giorni mi era mancato davvero tanto.

« Più tardi non ci potremmo vedere Straniera, ho preso la mia decisione. Me ne andrò per un po’ da Londra. Torno a Stoke. »

In quell’istante mi crollò l’intero mondo addosso. E quindi lui se ne andava? Come avrei potuto fare senza di lui? Stavo pensando da vera egoista, ma praticamente da quando ero arrivata a Londra lui era stato al mio fianco e non riuscivo ad immaginarmi senza il mio migliore amico. Non ci riuscivo e non volevo nemmeno immaginarmi senza di lui. Rimasi comunque in silenzio. Inerme, davanti alla sua espressione triste. Sentivo gli occhi inumidirsi e le lacrime voler scendere repentine, e lottai fino all’ultimo perché non scendessero ma fu impossibile.

« E quindi, mi molli così? Dopotutto quello che ho fatto per te Robbie. Ti sono stata accanto nell’ultimo anno; ho cercato di darti il coraggio che ti mancava; sono stata al tuo fianco in uno dei periodi più bui della tua vita e tu mi ringrazi così? Sai questa non è amicizia. E qui non c’entra la differenza di età, c’entri tu, che sei un vero stronzo! Ma se è questo che vuoi, ti lascerò andare. Ti auguro il meglio. »

« Brava, mi hai tolto le parole di bocca. Non siamo mai stati amici e mai lo saremo. Ti ho usata solo perché mi sentivo solo. Io non ho bisogno di nessuno, ne tanto meno di una stupida ragazzina che mi faccia da balia. Altrettanto! »

Le lacrime rigarono copiose il mio volto, e Robbie non rimase indifferente, tanto che quelle stesse lacrime iniziarono ad imbrattare anche il suo viso, rimasto impassibile fino a quel momento. E così la nostra amicizia era giunta al termine, ma cosa dovevo aspettarmi? Lui era un uomo di successo; successo che aveva ottenuto con alti e bassi, mentre io non ero nessuno, se non una semplice cameriera arrivata da un paesino sperduto del Piemonte. 
Mi sbattei la porta alle spalle ed uscii di corsa dalla stanza e nel farlo, mi imbattei nella sorella di Robbie che era tornata dal suo viaggio di lavoro per vedere come stesse suo fratello. Mi chiese cosa avessi, ma non osai dire niente. Non volevo far preoccupare anche lei, ma lei che conosceva il fratello meglio di me e non ci mise molto a capire.

« Ti ha detto che molla Londra per tornare a Stoke vero? Ma presumo non ti abbia detto il resto; A Stoke c’è la più grande comunità per tossicodipendenti. Robbie ha bisogno di aiuto. Qualunque cosa ti abbia detto, lo ha fatto solo per tenerti lontana da questo mondo.. Lui ti vuole bene e se ti ha allontanata, credimi, è solo per non farti vedere tutto questo. »

« Credo di essere abbastanza grande per decidere da sola cosa voler vedere e cosa no. Ti ringrazio per avermelo detto, ma adesso è meglio che vada. Vorrei restare da sola.. »

« Non voltare le spalle a Robbie promettimelo. Qualunque cosa ti abbia detto non la pensava. »

Annuii alla sorella di Robbie accennando un lieve sorriso sulle labbra, per poi andarmene. Samantha era sempre stata carina con me dal primo momento che c’eravamo incontrate. Robbie diceva che solitamente non era così con le ragazze che portava a casa, ma io a differenza delle sue vecchie conquiste non lo ero. Ero.. si, era proprio la parola giusta, “ero” stata la migliore amica, niente di più e forse neppure quello. Mi aveva usata. Quelle parole continuavano a rimbalzare nella mia mente.

Fuori faceva molto freddo, ma era come se ciò che era successo in ospedale mi avesse impedito di rendermene conto. O che fossero quaranta gradi sotto il sole cuocente o sotto zero, come lo era appunto, io non me sarei accorta di tutto questo. Continuai a camminare a lungo, fino a ritrovarmi davanti al Big Ben, dove la grande e famosa torre dell’orologio scandiva le ore con il suo rintocco assordante. Mi strinsi nel cappotto e continuai a camminare ammirando – seppure non guardando attentamente –, ciò che Londra mi offriva.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Take That / Vai alla pagina dell'autore: AlyTT