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Autore: Ink Voice    13/12/2015    0 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XVIII
L’ultimo giorno di tregua

Mi paralizzai fin dai primi brividi del suolo. Gold ci mise meno di me a reagire: richiamò Dragonair nella sua Poké Ball e quel gesto mi risvegliò. Lo imitai e, senza aspettare un secondo di più, corremmo verso l’uscita della stanza. Per ogni secondo che passava, il tremore aumentava. Già dopo i nostri primi passi di corsa, alcuni strilli, da parte dei ragazzi, risuonarono nell’Accademia altrimenti silenziosa.
Una voce femminile, non indifferente a quel che stava succedendo, risuonò attraverso gli altoparlanti. «Recarsi al teletrasporto più vicino! Se non si è nelle condizioni di farlo, uscire senza allontanarsi dalla struttura!»
Io e Gold iniziammo a salire le scale, sempre di corsa: era la paura a spingerci e anche il fatto di essere insieme, altrimenti ero certa che, se fossi stata da sola, il panico mi avrebbe pietrificata. Ancora non capivo cosa stesse succedendo: era possibile che ci fosse un terremoto in quella zona e che le incredibili barriere che ci proteggevano dai nemici non ci rendessero immuni anche ad un sisma? Eppure mi sembrava che i professori avessero precisato spesso quella proprietà delle difese erette attorno all’edificio.
C’era qualcosa di innaturale a muovere la terra e il mio sesto senso mi suggeriva che fosse opera dei Victory. “Proprio poco prima di essere trasferiti altrove!” pensai. “Che lo sapessero già? O è solo un caso?” Però non era decisamente il momento adatto per mettersi a fare congetture: l’unica cosa che dovevo fare era correre via.
«Gold» chiamai, voltandomi verso di lui, che era più lento. «Dove sono i teletrasporti?»
«Non nelle vicinanze» ribatté, ansimante. Perciò dovevamo uscire e trovare un modo per andarcene.
Arrivammo al pianerottolo e la situazione degenerò. Una mandria di studenti scendeva dai piani superiori e la presenza di Pokémon lasciati liberi non aiutò: dalla porta della presidenza uscirono Camilla e il Superquattro Luciano, che provarono a dare ordine di mantenere la calma e di abbandonare l’edificio in un modo decente. Non c’è bisogno di dire che nessuno li ascoltò e i ragazzi si precipitarono disordinatamente all’esterno.
Io e Gold eravamo gli unici a provenire dal piano inferiore: cercammo di unirci alla folla, ma era difficile anche solo provare ad entrare nel flusso. Ci avvicinammo quanto più possibile a Luciano e Camilla, che non demordevano dal tentativo di organizzare la fuga; era ormai palese che qualcosa di assurdo, fuori luogo, stesse accadendo. Sperai solo che stare vicina a degli Allenatori così esperti potesse salvare me e Gold, che saremmo stati gli ultimi ad uscire, se la cosa fosse andata avanti in quel modo.
L’Accademia, per fortuna, si svuotò velocemente: riuscimmo a muovere i primi passi verso l’uscita, ma neanche feci in tempo a sospirare di sollievo che una crepa nel pavimento mi tagliò la strada, squarciandolo. Balzai indietro lanciando uno strillo di paura e lo stesso fecero Gold e la dozzina di altri ragazzi che stava dalla mia stessa parte: un passo in più e mi sarei ritrovata con un piede nella fossa, nel vero senso della parola. Indietreggiammo precipitosamente lasciando l’onore di guidarci verso l’uscita a Luciano e Camilla.
Il fatto che quello fosse un attacco dei Victory lo confermò la fuoriuscita di innumerevoli Diglett e Dugtrio dalla fenditura nel pavimento. La ex Campionessa di Sinnoh schierò il suo Milotic e diede ordine al Pokémon di non risparmiarsi con i Surf; Luciano le diede manforte. La mia mano istintivamente andò alla cintura con le Poké Balls, ma un momento di esitazione mi servì per capire che era meglio che non mi mettessi in mezzo: sarei stata pure di intralcio. Ma quando mai i Victory avrebbero finito di attaccarci con i loro Pokémon? I vari Diglett e Dugtrio sembravano non finire mai, dopo di loro ne sarebbero arrivati altri.
Camilla lo capì. Ci si rivolse imperiosamente: «Spero abbiate dei Pokémon che conoscono Volo e Teletrasporto!»
Afferrai Gold per un polso mentre liberavo Aramis dalla sua Ball. Il Gallade non poteva portare più di due persone senza quasi svenire per la fatica, anche perché non usava mai Teletrasporto; ma mi parve di vedere gli altri ragazzi presenti attrezzarsi dignitosamente con Pokémon di tipo Volante e Psico, quindi ordinai al mio compagno: «Usa Teletrasporto. Portaci vicino a Giubilopoli!»
Non ero sicura che sapesse come portarci nei pressi della metropoli, ma annuì e, dopo un lungo istante di sua completa concentrazione, sentii l’aria mancarmi mentre il teletrasporto si attivava.
Un secondo dopo - ma il disagio dello spostamento rese tutto interminabile - atterrammo presso l’entrata della città nel percorso 218. Non mi aspettavo che Aramis fosse così preciso: già avevo immaginato di ritrovarmi a sguazzare in acqua - qualche metro più in là già c’era il mare, d’altronde. Feci un respiro profondo e cercai di tranquillizzarmi, anche se il fiatone di Gold, dovuto alla paura, non fu molto d’aiuto. Non c’erano ragazzi dei nostri nelle vicinanze: qualcuno era sui Pokémon che usavano Surf.
Mi parve di riconoscere Chiara sul suo Empoleon, che da poco si era evoluto. Feci per salutarla, ma pensai che non fosse il caso di trattenermi un secondo di più in quel punto così esposto. Richiamai Aramis nella Poké Ball e feci per entrare nel passaggio che portava a Giubilopoli, ma Gold mi trattenne.
«Cosa aspetti? Dobbiamo andare!» esclamai, sorpresa per il suo gesto.
«Vuoi attraversare una metropoli a piedi?» sbottò lui appena ebbe abbastanza aria nei polmoni per parlare.
Aprii bocca per ribattere ma non trovai le parole per farlo. «Allora come facciamo?»
Per tutta risposta, lui liberò Blastoise dalla sua sfera. «Ho capito che sei confusa per quello che sta succedendo, ma è ora che il tuo cervello riprenda a lavorare, Eleono’» disse, schietto e pungente come non mai.
«E dove pensi di andare, con Blastoise?!» Nel frattempo, io chiamai in mio soccorso Altair.
«Non ne ho idea, seguirò gli altri. Spero ci diano presto indicazioni.»
Mezzo minuto dopo io ero salita in groppa ad Altair e lui si era allontanato con Blastoise. Pensai velocemente ad un luogo da raggiungere in cui nascondermi ed aspettare che, attraverso il Gear o un altro degli strumenti che avevo con me, fosse annunciato un luogo di ritrovo. La mia Altaria esclamò qualcosa e si librò in volo senza che le dicessi nulla; protestai un po’, ma capii che non voleva restare ulteriormente in quel punto pericoloso.
Allora mi decisi: «Andiamo nel percorso 203.» Era dalla parte opposta a quella in cui ci trovavamo noi, ma i boschi adiacenti alla strada principale erano in parte nascosti dalle barriere. C’ero stata più d’una volta durante delle lezioni di pratica: avevamo raggiunto il percorso tramite dei passaggi sotterranei, di rado utilizzati per scopi più importanti - non c’erano basi alleate né nemiche nei dintorni di Giubilopoli che li impiegassero per qualcosa.
Perciò ci affrettammo: nel giro di un quarto d’ora, tempo che mi parve infinito, Altair attraversò Giubilopoli. Il Sole picchiava aspramente, la temperatura in una città inquinata come Giubilopoli era altissima e mi venne subito il mal di testa: fortunatamente non mi beccai un’insolazione. Volammo abbastanza in alto e riuscimmo a non incontrare ostacoli: Altair era comunque sufficientemente grande da nascondere la mia figura, perciò dal basso della città nessuno avrebbe dovuto notare niente di strano. Forse la sua sagoma era un po’ sospetta, con quelle matasse di cotone che si ritrovava al posto delle ali, ma incrociai le dita invocando in mio soccorso la dea bendata.
Il percorso 203 era molto breve e dopo pochi chilometri si arrivava nelle vicinanze di Mineropoli. Altair iniziò la discesa lentamente, consentendomi di osservare i dintorni per individuare un punto in cui atterrare. Ben presto le immagini offerte dalle barriere si fecero tremolanti, poi si dissolsero definitivamente, rivelando l’esistenza di un bosco pullulante Pokémon. Chiesi alla mia compagna di atterrare non nei sentieri della selva, ma di posarsi su un albero: la premura non era mai troppa, potevano sempre esserci Victory in giro e non volevo rivivere l’esperienza di un mese e mezzo prima. Il pensiero di essere costantemente in pericolo mi faceva rabbrividire in continuazione e il ricordo di Cyrus era ancora terribile e minaccioso. Non sapevo più dire se sarei mai stata in grado di superare il trauma del rapimento.
I pioppi del bosco erano alti e robusti: Altair mi aiutò a sedermi su un ramo piuttosto alto, a una dozzina di metri da terra. Mi appoggiai con la schiena al tronco e lei si mise davanti a me. Presi il PokéGear per controllare se avessero passato avvisi, lo stesso feci con il resto degli strumenti che avevo appresso. Per il momento non c’era nessuna novità, perciò mi toccava aspettare. Prima che mettessi in tasca il Gear, quello vibrò: era una telefonata di Chiara. Chiesi subito, parlando a bassa voce: «Ci sono novità?»
«Ciao, anche io sono felice di sapere che sei viva» ribatté prontamente lei.
«Mi sembri allegra» sbuffai. «Allora?»
«Non so dove sei, spero che non sei andata troppo lontana. Devi sbrigarti, vogliono che ci riuniamo tutti a Sabbiafine, al laboratorio di Rowan. È il posto che hanno deciso che ci ospiterà, per il momento.»
Non sapevo dire se fossi più delusa dal fatto che Chiara continuasse a non andare d’accordo con i congiuntivi o perché non avevano passato un avviso più formale. La mia amica aggiunse, però, che avevano chiesto a quanti erano riusciti a riunire di avvisare tutti i propri conoscenti del trasferimento. Ci salutammo velocemente e dissi ad Altair che era ora di riprendere il volo: sperai con tutta me stessa che Sabbiafine non fosse difficile da trovare. Non c’ero mai stata ed era la prima volta in cui un mio Pokémon mi portava in Volo. Mi mossi precariamente sul ramo ma, nonostante l’attenzione, mi parve di fare troppo rumore.
Capii da cosa derivava quello scricchiolio che non riuscivo a spiegarmi - il ramo era abbastanza robusto e io mi stavo veramente spostando con delicatezza - quando, quasi casualmente, spostai lo sguardo verso terra. Non mi ero accorta di quanto le fronde del pioppo consentissero una buona visibilità del sottobosco e dei piccoli sentieri. Me la rischiai sporgendomi leggermente, capendo che c’era qualcun altro nei dintorni, perché volevo assicurarmi che se ne andasse il prima possibile e che non fosse nessuno di pericoloso. Ero sempre più convinta di non essere sola, anche se inizialmente non individuai nessuno.
Altair mi becchettò su una spalla ma le feci segno di stare in silenzio ed aspettare. Il crepitio delle foglie che ricoprivano il sottobosco, calpestate dalla persona vagante per i sentieri, si fece man mano più intenso: il suono era molto differente dal lieve scricchiolio che il ramo che mi ospitava produceva appena mi muovevo. Se non ci fosse stato il più completo silenzio, non mi sarei mai accorta di non essere io a fare quel quasi impercettibile rumore: ma appena me ne ero resa conto, l’atmosfera si era come tesa e il silenzio attorno a quel crepitio si era fatto talmente rigido, totale, da sembrare innaturale. Mi sentii un po’ spaesata ma mi sforzai di prestare ancora attenzione.
Trattenni il fiato quando una piccola figura entrò nel mio campo visivo. La mia espressione, da preoccupata, si fece interrogativa e basita alla vista di un Victini. Spalancai gli occhi e scambiai un’occhiata con Altair: fui ancora più perplessa nel vederla tesa, visibilmente preoccupata. C’era qualcosa che non andava che io non riuscivo a capire? Certo, trovare un Pokémon Leggendario, la cui regione natale era oltreoceano, libero in un boschetto di Sinnoh, be’, non era certo un evento ordinario. Guardai con più attenzione e mi sorpresi ancora di più: ricordando le immagini di alcuni libri all’Accademia, notai che Victini era cromatico.
“Cosa sta succedendo? Che ci fa qui?” mi chiesi più volte. Mi ritrassi quando un’altra presenza si mostrò ai miei occhi, ma subito dopo mi sporsi più di prima per vedere chi altri ci fosse. Il mio stupore raggiunse livelli mai toccati prima di allora in vita mia, quando la nuova figura arrivata si rivelò essere una bambina. “Una bambina!”
Inizialmente, siccome si trovavano proprio sotto di me, non riuscii a distinguere niente della sua persona, se non i capelli di un biondo lucente, quasi dorato, acconciati in boccoli ordinati e trattenuti da un cerchietto bianco. Appena avanzò di qualche passo, identificai il resto della sua figura: non sapevo dire se fosse esile o no perché la carnagione era talmente chiara che, dall’alto, non capivo nemmeno dove iniziasse la stoffa del vestitino bianco e dove la sua pelle. L’abito le arrivava alle ginocchia. Camminava lentamente - sembrava un po’ incerta - seguendo il Victini, che trotterellava come se stesse cercando qualcosa. I capelli di lei erano sorprendentemente lunghi.
Il piccolo Leggendario si voltò verso di lei, che si fermò e gli chiese qualcosa, ma non udii nulla. Capii che qualcosa non andava quando il Pokémon alzò la testa, rivolgendola verso di me. Trasalii e cercai di nascondermi al meglio: la situazione si faceva sempre più incomprensibile e avevo la sensazione che andasse degenerando. Mi feci coraggio e cercai di protendermi in avanti, ma improvvisamente Altair mi cinse con le ali e mi tenne ferma, coprendomi pure la bocca. Il cotone e i batuffoli erano decisamente insopportabili in quella giornata estiva.
Realizzai che volevo scendere e parlare con la bambina. Ma perché sentivo quel bisogno impellente? Era così forte che cercai di liberarmi dall’abbraccio totale di Altair: lei allentò leggermente la presa, consentendomi di avere di nuovo una vista tra le fronde ma impedendomi di farmi avanti più di tanti. “Cosa vorrei dirle?” mi domandai. “Come sta, che ci fa qui, si è persa… perché ha un Victini cromatico… cosa sta succedendo?”
«Vì!»
Mi portai una mano alla bocca, soffocando un’esclamazione - o imprecazione - sorpresa e nervosa. Era stata una voce maschile a parlare: sembrava giungere da lontano. La bambina si girò, fortunatamente non verso di me - credo che altrimenti avrei emesso qualche tipo di lamento pietoso, tesa e anche impaurita com’ero. La tensione e il caldo, insieme, mi stavano giocando davvero dei brutti scherzi. L’idea di avere le allucinazioni mi sfiorò la mente, ma quando la voce risuonò di nuovo sentii che era tutto reale, tutto vero.
«Vì! Dove sei? Torna qui!»
La bambina esitò. Victini le strattonò un lembo del vestitino e lei lo prese in braccio.
Prima che si muovesse, però, la biondina alzò lo sguardo. Non riuscii a rifiutare il contatto che aveva creato, nonostante i suoi occhi grigioverdi mi avessero turbata fin dal primo momento. Erano più chiari dei miei, che tra l’altro tendevano più al grigio, e avevano uno strano aspetto: sembravano vitrei, spettrali, senz’anima. Non trovai una pupilla in mezzo all’iride spenta e l’inquietudine crebbe, ma pensai che fosse perché eravamo troppo distanti.
Dopo l’infinito secondo che passammo a guardarci, la ragazzina riprese la via del ritorno. Passò almeno un altro minuto prima che potessi fare qualsiasi cosa che non fosse respirare e battere le palpebre.
«Andiamo, Altair» mormorai con un filo di voce. «A Sabbiafine.»
Mentre eravamo in volo ebbi il tempo di ripensare a tutto quello che avevo visto - e provato. Mi sentivo strana, a disagio, e non capivo perché non mi piacesse per niente il pensiero di riferire il tutto alle Forze del Bene. In un certo senso, volevo mantenere il segreto con me stessa. Se mi chiedevo il perché, mi tornavano alla mente gli occhi grigioverdi, chiari e vitrei, della bambina: ero sicura che, se non ci fossimo scambiate quello sguardo, non avrei avuto tanta riluttanza a riferire lo strano incontro avvenuto. Pensai che quel Victini mi avesse influenzata con i suoi poteri psichici: non riuscivo a trovare un’altra spiegazione al mio comportamento.
“Dovrei raccontare tutto alle Forze del Bene. Una bambina che passeggia per un bosco insieme ad un Victini cromatico desterebbe tantissimo sospetto. Ma…” Sospirai. “Non me la sento di dirlo a nessuno. Né agli uomini delle Forze, né a Chiara o agli altri amici. Cosa mi sta succedendo?”
In compagnia di dubbi di questo tipo, la mezz’oretta che impiegammo per trovare Sabbiafine volò via. Altair dovette chiamarmi più volte per farmi distrarre dai miei pensieri: dovevo confermarle che eravamo arrivate nella giusta città. Guardai in basso - volavamo ancora molto alte per non farci vedere - e, siccome la cittadina era sul mare e l’aspetto delle case era di un centro tipicamente marittimo, le dissi: «Dovrebbe essere questa, Sabbiafine.»
Non ci ero mai stata. Il mare di Sinnoh non era molto rinomato, soprattutto in confronto alle acque di Hoenn e di Kalos - la mia regione, piuttosto, era famosa per i tre laghi e per il Monte Corona. Perciò Sabbiafine non aveva mai interessato i miei genitori al punto da sceglierla come meta per una settimana di vacanze al mare.
La spiaggia era terribilmente affollata, perciò io e Altair fummo costrette a girare in tondo, come avvoltoi, sulla città, in cerca di un posto in cui atterrare senza essere viste. Lo trovammo in una piccola area verde e, appena scesi dalla groppa cotonata e batuffolosa della Altaria, la feci rientrare nella Ball senza badare alle sue proteste. Non potevo certo tenerla fuori e rischiare di farci scoprire da qualcuno.
Chiamai Chiara sul Gear. «Ohi! Ho bisogno di indicazioni stradali.»
«Stai chiedendo alla persona sbagliata, allora» ribatté lei, che era già al laboratorio.
Mi passò un assistente del professor Rowan: gli dissi dov’ero, cercando sui cartelli i nomi delle vie, e ricevetti tutte le informazioni che mi servivano. Sabbiafine era una città piccola, perciò dopo una ventina di minuti ero già davanti al laboratorio - in più, le strade erano completamente deserte. C’era quello stesso assistente di Rowan ad aspettarmi: mi condusse in un vicoletto e mi fece entrare in una porta piuttosto piccola, persino per me, che non potevo certo vantare un’altezza dignitosa.
Mi sembrava di star andando in una cantina, invece era un accesso nascosto, secondario, per l’immenso laboratorio di Rowan. Pareva, per certi versi, la sala d’attesa di un ospedale, perché era tutto bianco e asettico; ma era troppo affollato e rumoroso per essere paragonato ad un luogo del genere.
«Tu!» mi individuò subito qualcuno, che si rivelò essere Sandra. «Vieni con me» ordinò.
La seguii, come al solito non troppo tranquilla a causa dei suoi modi bruschi. Non mi parve il caso di chiederle cosa volesse: probabilmente l’attacco all’Accademia l’aveva irritata abbastanza. «Bisogna decidere in che gruppo metterti» mi disse dopo un po’, aprendo una porta e facendomi segno di precederla. «E devi dirmi quanti anni hai e che taglia porti, numero di scarpe eccetera.»
«Eh? Perché?» feci, disorientata.
«Credi che ci siamo premurati di mettere in salvo i tuoi jeans o la camicetta che speravi di metterti il primo giorno di lezione a settembre?» replicò, un po’ stizzita un po’ ironica. «Dovete essere riforniti tutti di un cambio, quindi dimmi misure varie e quant’altro, così qualcuno può andare a spendere un patrimonio e svaligiare il primo negozio di abbigliamento che trova qui a Sabbiafine.»
Risposi alle sue prime domande e poi le chiesi, mentre continuavo a seguirla - era difficile stare al passo della sua rapida marcia - lungo un corridoio: «E poi cosa vuol dire, in che gruppo dovete mettermi?»
«Non possiamo trasferirvi in massa. Partirete un po’ alla volta» rispose lei. Aprì una porta sulla destra e chiamò con voce forte Gardenia: la giovane si voltò e ci raggiunse. Sandra le disse: «Vedi con chi metterla. Con gente della sua età, magari.»
La premura della donna fu quasi commovente. Mi spinse dentro e Gardenia mi indicò un gruppetto di cinque o sei ragazzi, tra i quali riconobbi, con sollievo, Chiara e Gold. C’erano anche i due ragazzi più grandi, Allyn e Matt, che però stavano nello stesso gruppo mio e della mia migliore amica.
Con più disapprovazione notai la chioma di Camille: considerai che era da parecchio tempo, o questa era solo una mia sensazione, che non la incrociavo. Per quel mese e mezzo di permanenza nell’Accademia, non l’avevo vista quasi per niente: ci eravamo incontrate “per bene” durante le ore dei pasti nella settimana in cui tutti erano tornati dalle proprie famiglie, e lei ovviamente non aveva avuto nessuno da cui andare. Si era spesso unita a me e Sara, ma non ci eravamo mai scambiate più dello stretto necessario delle parole: non doveva essersi fatta troppe domande sul perché io fossi all’Accademia e non a Nevepoli, ma ero certa, anche conoscendola così poco, che non gliene importasse più di tanto. Sembrava andare d’accordo, tuttavia, con l’altra ragazza, e non capivo cosa la mia amica ci trovasse in lei, che era sempre rimasta fredda e distante. Tale e quale a quattro mesi prima.
«Oh, sei salva. Ti sei fatta niente?» mi chiese Chiara.
«No, c’è qualcuno che è rimasto ferito?»
«Solo qualche graffietto» mi rispose. Fece un cenno con il capo in direzione di Camille; guardai la ragazza, interrogativa, e quella scrollò le spalle. Mi indicò il suo polpaccio e notai solo in quel momento che era fasciato dal ginocchio fino alla caviglia. Ammutolii.
«Sono stata tra gli ultimi ad uscire» disse. «Ho visto pure te e Gold correre velocissimi verso l’uscita. Mentre cercavo di andare, ho messo un piede dove non avrei dovuto e sono mezza sprofondata, rimediando un taglio non indifferente.» Invece il suo tono era perfettamente noncurante - come suo solito.
«Tu dove sei andata a nasconderti?» mi domandò Gold. «Io mi sono aggregato a quelli che facevano Surf, che erano la maggior parte degli studenti, e a tutti noi hanno detto il luogo di ritrovo e ci hanno chiesto di avvisare i nostri conoscenti. Ci siamo spostati sull’acqua e a piedi fino a Sabbiafine, ma abbiamo fatto presto.»
«Io sono andata nel percorso 203.»
Chiara e Gold spalancarono le palpebre; Camille corrugò le sopracciglia e mi chiese: «Perché così lontana?»
Scrollai le spalle. «Non sapevo dove andare a nascondermi, avevo paura che restando nella zona mi avrebbero trovata i Victory. Quindi ho volato con Altair e sono stata per un po’ nel bosco del percorso 203.»
«Credo sia meglio che non lo vengano a sapere» disse la ragazza dopo un po’. «Non è stata una mossa molto saggia, potresti passare dei guai se sapessero quanto ti sei allontanata.»
«Ho dovuto decidere in fretta» cercai di giustificarmi.
Camille aprì bocca per ribattere, ma in quel momento Gardenia chiamò tutti i gruppetti di ragazzi che ridevano e schiamazzavano nella stanza, chiedendoci di tornare in quella più grande. Chi altri poteva essere arrivato per richiamare la nostra attenzione, se non Bellocchio? Mi chiesi come fossero i suoi colleghi, gli altri uomini al vertice delle Forze del Bene: avevo sentito dire dai miei amici che lui era molto attivo nella regione di Sinnoh, perciò era come se si spartisse, con gli altri, il controllo delle Forze nelle varie regioni.
«Buongiorno a tutti» esordì. «Purtroppo le nostre previsioni sul destino dell’Accademia si sono rivelate esatte, e non siamo stati abbastanza rapidi da anticipare l’attacco del Victory Team. Comunque, non siamo stati colti alla sprovvista, e chi di competenza si trovava all’Accademia è riuscito a mettere in salvo tutti i ragazzi, tant’è che non ci sono stati morti. Anche i danni riportati dagli studenti sono lievi. L’unico problema rimasto è il lavoro che c’è da fare sulle barriere e la pulizia delle macerie.
«A parte l’attacco di Diglett e Dugtrio, non sono stati inviate tante reclute quante ce ne aspettavamo, perciò è stato semplice metterle in fuga. Che sia l’ennesima provocazione dei Victory, quella di sottovalutarci e di non impiegare ingenti risorse nelle battaglie, che quest’obbiettivo non meritasse tante attenzioni o che abbiano voluto prendersi gioco di noi… al momento, tutto questo non ha importanza. È molto più urgente spostarvi: i trasferimenti nelle basi segrete a Sinnoh e a Kanto avverranno tra stasera e domani mattina.»
Un brusio percorse la folla e sentii più volte il nome della regione di Kanto. Ci avevano inseriti casualmente in gruppi di sette o otto ragazzi e non avrebbero certo badato a non far dividere compagnie di amici. Non volevo separarmi da Daniel, Sara, Ilenia e da chi altri non era nel mio stesso gruppo: d’altronde ci sarebbero stati di sicuro Chiara e Gold… e anche Camille. Probabilmente avrebbero aggiunto un’altra persona o due per farci partire.
«Le basi disponibili per accogliere un numero così grande di ragazzi sono poche. Due a Sinnoh e una a Kanto» proseguì Bellocchio. «La metà di voi, una cinquantina di persone, sarà inviata al Monte Corona, il maggiore centro delle Forze del Bene a Sinnoh e uno dei più grandi del mondo. La gran parte dei rimanenti andrà alla base della Lega Pokémon di questa regione. Gli altri nella Grotta Celeste, vicina a Celestopoli. I primi gruppi che partiranno, questa stessa sera, saranno proprio quelli diretti a Kanto e saranno, generalmente, quelli dei ragazzi che da più tempo stavano all’Accademia.»
Bellocchio aggiunse poco altro prima di andarsene, accompagnato come al solito da un silenzio carico di tensione, rispetto e timore nei suoi confronti. Era stato lui a dar vita alle Forze del Bene, d’altronde, ed era sempre un punto di riferimento, nonostante la guerra contro i Victory andasse avanti da otto o nove anni. Perciò, anche se a volte il risentimento e la frustrazione ribollivano e il nome di Bellocchio non era tanto gradito, bastava che lui si mostrasse, quelle poche volte che lo faceva, perché ogni scintilla si estinguesse miseramente.
Era sempre mingherlino, un po’ basso, sbarbato ma pieno di capelli neri. Tendeva a vestirsi con colori scuri che contrastavano con la carnagione pallida. Non riuscii a vederlo bene quel giorno, perché era piuttosto distante, ma mi era sembrato ugualmente freddo, anche se non inespressivo, come le altre volte in cui ci eravamo incontrati.
Appena ci lasciò, andai in cerca degli altri miei amici. Trovai subito Daniel, Ilenia e Lorenzo, che erano finiti tutti nello stesso gruppo. Mi raccontarono com’era andata a loro, non erano stati né tra i primi né tra gli ultimi ad uscire, e tutti e tre si dimostrarono elettrizzati all’idea di andare in una base segreta, dove avrebbero iniziato la loro carriera come combattenti per le Forze del Bene. Daniel mi sembrava un po’ scosso: cercava di non darlo a vedere, ma era palese. Ilenia invece era piuttosto tranquilla, così come Lorenzo. Dopo di loro andai in cerca, insieme a Chiara, di Sara, Melisse e Angelica, che com’era prevedibile erano tutte nello stesso gruppo. Non trovai Cynthia né altri conoscenti, ma non era tanto importante: li avrei rivisti il giorno dopo, probabilmente.
Già, il giorno dopo. “Domani… cosa succederà da domani in poi?” mi chiesi, non senza provare molta paura. Come avevano detto Lorenzo e gli altri, nelle basi segrete avremmo cominciato a lavorare e avremmo costruito il nostro futuro, che sarebbe stato totalmente a servizio delle Forze del Bene. E io che cosa sarei stata chiamata a fare? In cosa potevo rendermi utile senza sentire tremarmi le mani per la paura di sbagliare, di essere inetta e inutile anche per le cose più semplici? La campana di vetro alla fine si era rotta, le foglie come me, come tutti noi ragazzi, erano state catturate dalla tempesta. Avevo avuto difficoltà ad adattarmi all’Accademia e al mondo dei Pokémon, ma cos’erano le settimane che avevo vissuto durante l’anno scolastico in confronto a quello che poteva aspettarmi? Le avevo definite movimentate, allora significava che stava per cominciare la bufera.
“Certo che come persona speciale faccio proprio schifo, eh?” borbottai tra me e me. “Almeno, così dice Cyrus… e anche Bellocchio. Ma se avessi come minimo qualche potere sovrannaturale, o che ne so, un carattere non così pavido e timoroso di tutto! Sarà vero che sono così speciale?”
Se lo fosse stato, la vita a fianco delle Forze del Bene sarebbe stata più dura che mai, perché ero uno dei bersagli che avevano la priorità, per i Victory. Ma non avevo niente di speciale, continuavo a dirmelo, nonostante qualcun altro affermasse il contrario… l’unica cosa che sapevo era che mi piaceva lottare insieme ai miei Pokémon. Sarebbe stato sufficiente a fare di me, per esempio, una recluta della mia organizzazione? Mi sentivo annichilire al pensiero di tirare un colpo da K.O. a un altro essere umano, a un ragazzo come me. Sarebbe stato necessario, nel domani?
Mentre ero impegnata a rimuginare sulla mia inettitudine e ad autocommiserarmi, Chiara chiacchierava senza dare tregua al povero Gold. Mi distrassi per un attimo dai miei pensieri e mi concentrai su di loro, senza ascoltare attentamente la parlantina della mia migliore amica, ma solo guardando le espessioni dei loro visi e anche dei loro corpi. Mi misi a studiare il loro modo di comportarsi, insomma, chiedendomi come si sentissero immaginando cosa stava aspettando tutti noi, giovani ancora impreparati, all’indomani. Sembravano entrambi sereni, quasi incuranti delle novità che sarebbero piovute nelle settimane a venire.
Incontrai gli occhi di ghiaccio di Camille e continuammo a guardarci per un po’, senza fissarci ma, ogni tanto, scambiandoci un’occhiata. Non era di intesa e nemmeno molto comprensiva. Ma entrambe sapevamo che presto i giorni all’Accademia non sarebbero stati altro che un ricordo lontano; forse li avremmo rimpianti ritrovandoci in un periodo grigio e difficile da affrontare, pieno di ostacoli su tutti i fronti. La guerra stava cominciando e quello era il nostro ultimo giorno relativamente al sicuro da ogni pericolo.
Ma mi sarebbero mancati davvero i giorni trascorsi all’Accademia? Chi mi assicurava che il futuro potesse anche non essere così pessimo, nonostante la guerra? Con un sorriso spontaneo che mi si aprì sul viso mi resi conto che era ancora tutto da vedere. La persona speciale che era in me ancora doveva rivelarsi, ma ciò non toglieva che io non avrei dato il massimo per mostrare che, in realtà, non c’era nessun segreto da tenermi nascosto. In attesa di scoprire quale fosse la mia identità sconosciuta, io avrei fatto di tutto per far vedere a Cyrus, Bellocchio e chi altri che Eleonora, semplice, ingenua e inesperta com’era, era importante, speciale e promettente tanto quanto la persona che aveva dentro di sé.



«Dov’eri finita, Vì, tesoro? Quella pazza di Nike stava per uccidermi per averti persa di vista.»
«Scusa, fratellone. Non lo farò più.» Il silenzio scese tra i due. La bambina era indecisa se raccontargli o meno quello che aveva fatto nel bosco.
Alla fine decise di disobbedire e mantenne il silenzio. “E poi - si giustificò - non è pronta. Non è ancora il momento.”










Angolo ottuso di un’autrice ottusa
Ciao a tutti! Ecco qua l’ultimo capitolo di questa sofferta revisione della prima parte. Sì, è stata un’impresa riscrivere questa storia, più che altro perché dopo un po’ mi sono leggermente rotta le scatole di rivedere tutto… però è stato necessario, e sono contenta di aver dato a Not the same story una prima parte che sia come minimo decente. O almeno spero
Questo periodo non è dei migliori, per me: tra impegni scolastici e non, tutti ugualmente soffocanti, poi delusioni, problemi di ogni tipo e brutte notizie in famiglia… nonostante l’aria di festa, ultimamente è tutto un po’ difficile. Perciò scusatemi se sarò breve nei ringraziamenti, quando invece servirebbe più spazio.
Spero che con questo remake meno repellente della prima versione - non ho problemi a detestare “Ntss1” ahahah - qualche nuovo lettore si sia avvicinato a questa mia trilogia, e che gli stia piacendo. Ringrazio chi ha recensito, indipendentemente da quanti commenti ha lasciato e da quanto tempo non passa; grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e/o le ricordate. Non nascondo di non essermi mai aspettata tanti numeri per questa ristesura, perciò anche con le attuali 33 recensioni, lasciate da più di una persona o due, posso dirmi soddisfatta.
Non so proprio quali aspettative avere, invece, per la terza parte, che arriverà agli inizi di gennaio. Mi auguro che sia seguita, rido
Come potete vedere, mi sono permessa di inserire, nel prologo e in quest’ultimo capitolo, due paragrafi completamente distaccati dalla narrazione in prima persona. Non so se ho fatto bene o no, sono un po’ poco convinta per quest’ultimo, ma essendo solo un paio di righe non penso darà problemi ahah. Comunque, non penso serva dirlo, il ragazzo che appare nel prologo è lo stesso “fratellone” della bambina, e cioè colui che la chiama quando è nel percorso 20qualcosa non mi ricordo mai i numeri. E niente, chi ha già letto la seconda parte sa chi è Nike e quindi chi è il damerino, e boh, anche la bambina forse (?)
Consiglio proprio a chi l’ha già letta di dare un’occhiata, nei giorni a venire, alla seconda parte di Not the same story. Anche quella la sto rivedendo: parecchi capitoli hanno avuto bisogno di una riscrittura simile a quella della prima parte, ma dopo un po’ si tratterà solo di mettere le virgolette diverse, anziché i trattini, e di aggiornare lo stile. Non penso che serva rileggersi tutti i capitoli, magari vi dirò quali sono stati ripristinati al meglio (?) e, per un “ripasso”, gli ultimi 3-4 - per riprendere in mano la situazione della storia: banalmente, come si è arrivati al Bosco Smeraldo et similia.
Grazie ancora a tutti per l’attenzione! Ink Voice tornerà più esausta che mai, vessata dal suo instancabile maso spirit, ma sempre pronta a rompere le scatole a chi è altrettanto masochista da starle appresso.
Eleonora
  
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