II.
L’appartamento che avevamo affittato al mare
per due splendide soleggiate settimane di Luglio si trovava al primo piano di
un alto edificio tipico della riviera ligure. La parte anteriore dava su una di
quelle strette e maleodoranti ma tanto romantiche viuzze per le quali anche
Byron soleva passeggiare immerso nei suoi delicati pensieri di poeta. La parte
posteriore si rivolgeva verso un orto rigoglioso, il quale ci regalava
magnifiche, abbaglianti suggestioni di Eden in quella stagione tanto torrida. E
io ero immensamente grato al giardino, perché era refrigerante.
Forse avevamo davvero trovato il paradiso
terrestre e ce ne stavamo in casa a ripassare filologia germanica.
Pazzi.
Pazzi suicidi.
A questo giardino vi si poteva accedere
soltanto passando direttamente dalla casa. Era contornato da un semplice muro
di ardesia e tra una pietra e l’altra crescevano delle brutte erbacce
rinsecchite o delle pianticelle di campanule e ginestre.
Non era per niente esteso, anzi, occupava a
malapena cinque metri quadrati; eppure era rigoglioso e profumato coi suoi
cespugli di camelie e azalee, zinnie e giacinti, begonie dai più sgargianti
colori, glicini. In un angolo soleggiato si stagliava una bella agave dalle
foglie aculeate e un fico d’india, ai quali non mi avvicinavo mai. La magnolia
dal tronco esile e contorto, che avrei tanto voluto veder fiorita, si manteneva
all’ombra del grande oleandro dai fiori rosa pastello. Dicono che i suoi petali
siano tossici.
E poi, su tutta la composizione, troneggiava
il limone carico di frutti maturi.
La casa aveva una deliziosa colorazione
tipicissima di uno sgargiante rosso mattone. Io adoravo le finestre strette dal
davanzale di porfido chiaro, sulle quali la padrona gentile coltivava dei bei
gerani bianchi in rigogliose cascate.
Certo, non era nulla rispetto alla
buganvillea violetta così florida arrampicata sulla parete retrostante, o
l’edera verde le cui foglie lucide e croccanti sembravano quasi di plastica, o
il gelsomino odoroso, le piante di fichi, agrumi, i cespugli di mirto
lussureggianti.
Ma era pur sempre l’ingresso, no?
Capisco perfettamente che fosse più
spirituale il giardino, anche se devo dire che la peculiarità del carruggio,
che si trasformava in normalità nel contesto in cui era inserito -ma per me,
che sono un vichingo, rimaneva una ambientazione strana- mi affascinava con
quello charme che possiedono tutte le cose esotiche e che ogni abitante
autoctone non riesce proprio a capire del suo paese.
Tuttavia l’entrata è sempre l’entrata. Non
il retro.
Se avessi voluto immergermi in un floreale
universo alternativo mi sarei semplicemente seduto all’ombra, sotto una pianta.
Lui no.
Giulio doveva anche entrare dal retro. E non
dalla porticina sul retro, che come già detto non esisteva. Si divertiva come
un bambino incosciente ad arrampicarsi sul muretto e a scavalcarlo lasciandosi
scivolare sul praticello o su uno dei rami nodosi e robusti del limone,
appoggiando delicatamente i piedi sull’erba.
Quello era uno dei suoi tanti modi per
marcare un’ irrazionale voglia di autonomia e isolamento che certe volte lo
sospingevano fino ai limiti della alienazione totale. Mi chiedeva educatamente
di farmi da parte, lasciarlo stare.
Non lo capivo affatto. Non capivo il suo bisogno costante di estraniarsi dalla realtà ed immergersi nei suoi personalissimi silenzi introspettivi, permettendo alla mente di elaborare un flusso di pensieri incoerenti e sconnessi, spesso deleteri per il fisico.
Era una prospettiva stupida che sfuggiva
alla mia acerba comprensione.
Ad ogni modo non si era ancora completamente
dichiarato. Non è che non capissi per insensibilità. Mi mancavano un sacco di
ragguagli fondamentali per sciogliere l’intricato mistero della sua anima, e
ciò mi faceva rabbia. Avvertivo acuirsi il desiderio bruciante e spasmodico di
potermi rendere utile, di rivelarmi ai suoi occhi come una persona sensibile e
gentile, alla quale affidarsi con una fede cieca.
Potete considerarla una volontà del tutto
egoistica, forse, ma mi sentivo male ogni volta che gli ripetevo col mio
accento secco: ‘Tu hai un problema.’, e lui scrollava le spalle.
Probabilmente mi feriva il fatto che non mi
rendesse partecipe dei suoi intimi turbamenti nonostante sapessi alla
perfezione che quella era, per sperimentazione diretta, una fallimentare
autodifesa nonché il suo modo di porsi nei confronti di tutto il resto del
mondo.
Non mi andava di far banalmente parte di
“tutto il resto del mondo”, mi sembrava un’evidenza insopportabile e negavo la
realtà, che era molto più semplicemente la sua insicurezza, la sua ricerca di
un momento idoneo e perfetto, la sua volontà di avvicinarsi a me e solo a me attraverso
quella serie di attenzioni che mi riservava, cercando disperatamente di
ignorare la sua immensa paura di bruciarsi.
Ovviamente quella sera era passato per
l’orto.
Penso che se la signora che ci affittava con
dolcezza materna il piccolo appartamento l’avesse visto gli avrebbe chiesto di
smetterla, adducendo come scusa il pericolo che i rami di una delle sue
preziose piante si sarebbero potuti spezzare sotto il dolce peso di Giulio. Ma
io so che l’avrebbe fatto per puro istinto di protezione.
Le vecchiette, specialmente quelle con la
crocchia canuta che allevano trentaquattro gatti maculati, sono teneramente
protettive nei confronti dei giovani.
--- Vi avevo preannunciato che sarebbe stato
un capitolo breve ed insipido. Prendetelo come un’introduzione, un’anticamera
al resto del racconto che riprenderà a partire dal prossimo capitolo.
L’intento era
farvi una descrizione dell’ambiente, capisco che non sia così interessante… poi
ho divagato.
^ ^ sono stata ispirata dal mio tè alla
ciliegia (si chiama “ciliegi in fiore”…) ^ ^. Ho trovato un negozietto, a
Milano, che vende tè particolari e sfogliando il catalogo mi sono venute alla
mente queste ambientazioni (collegamenti strani…). Ci sono un sacco di tè
interessanti… pare che il tè sia oggetto di filosofia, in oriente. Se
Aristotele avesse parlato di tè la mia vita avrebbe preso una piega diversa.
Perché vi parlo di questo? Per occupare
spazio? Perché blatero cose insensate con costanza? Sono cautamente felice
(tradotto: prossimamente verifica di tedesco).
Dite che mi sono ripetuta troppo? Ho come
avuto questa impressione. Credo sia tutto un po’ confuso: @_____@.
Invader, rispondo qui, visto che ci sono
(risposte a singhiozzo. V___V sono una casinista). Ovviamente non potevo
permettermi di non rispondere, sarebbe stato decisamente scortese…
Sono veramente felice che TU abbia
apprezzato. Mi spiego? (leggasi: tuuuuuuuuu, con particolare accento sulla u).
Ho avuto una mezza crisi respiratoria quando ho letto entrambi i commenti. Spero
con tutto il cuore di continuare sulla stessa linea (sarebbe troppo…), ti
prego, dimmi dove sbaglio (ammesso che io sbagli. Ah-ah < -- il mio lato
mitomane).
Naturalmente è un invito riferito a tutti.
Devo solo dire che i miei gentilissimi
commentatori mi ha fatto passare la concentrazione per quella maledetta
verifica di tedesco (di per sé già praticamente inesistente). Non mi resta che
pregare. Pregate un po’ per me, per favore.
Di nuovo grazie mille, a sabato prossimo ^
^.
Love_in_idleness.