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Autore: Love_in_idleness    12/03/2005    4 recensioni
Henka non aveva idea che quei lunghi discorsi avrebbero potuto dilatare una sola notte di riflessione in un'eternità destinata a svoltare verso direzioni del tutto impreviste. Altrimenti vi si sarebbe applicato molto prima. FI-NI-TA (Non vedevo l'ora di scriverlo)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Love – in – idleness

II.

L’appartamento che avevamo affittato al mare per due splendide soleggiate settimane di Luglio si trovava al primo piano di un alto edificio tipico della riviera ligure. La parte anteriore dava su una di quelle strette e maleodoranti ma tanto romantiche viuzze per le quali anche Byron soleva passeggiare immerso nei suoi delicati pensieri di poeta. La parte posteriore si rivolgeva verso un orto rigoglioso, il quale ci regalava magnifiche, abbaglianti suggestioni di Eden in quella stagione tanto torrida. E io ero immensamente grato al giardino, perché era refrigerante.

Forse avevamo davvero trovato il paradiso terrestre e ce ne stavamo in casa a ripassare filologia germanica.

Pazzi.

Pazzi suicidi.

A questo giardino vi si poteva accedere soltanto passando direttamente dalla casa. Era contornato da un semplice muro di ardesia e tra una pietra e l’altra crescevano delle brutte erbacce rinsecchite o delle pianticelle di campanule e ginestre.

Non era per niente esteso, anzi, occupava a malapena cinque metri quadrati; eppure era rigoglioso e profumato coi suoi cespugli di camelie e azalee, zinnie e giacinti, begonie dai più sgargianti colori, glicini. In un angolo soleggiato si stagliava una bella agave dalle foglie aculeate e un fico d’india, ai quali non mi avvicinavo mai. La magnolia dal tronco esile e contorto, che avrei tanto voluto veder fiorita, si manteneva all’ombra del grande oleandro dai fiori rosa pastello. Dicono che i suoi petali siano tossici.

E poi, su tutta la composizione, troneggiava il limone carico di frutti maturi.

La casa aveva una deliziosa colorazione tipicissima di uno sgargiante rosso mattone. Io adoravo le finestre strette dal davanzale di porfido chiaro, sulle quali la padrona gentile coltivava dei bei gerani bianchi in rigogliose cascate.

Certo, non era nulla rispetto alla buganvillea violetta così florida arrampicata sulla parete retrostante, o l’edera verde le cui foglie lucide e croccanti sembravano quasi di plastica, o il gelsomino odoroso, le piante di fichi, agrumi, i cespugli di mirto lussureggianti.

Ma era pur sempre l’ingresso, no?

Capisco perfettamente che fosse più spirituale il giardino, anche se devo dire che la peculiarità del carruggio, che si trasformava in normalità nel contesto in cui era inserito -ma per me, che sono un vichingo, rimaneva una ambientazione strana- mi affascinava con quello charme che possiedono tutte le cose esotiche e che ogni abitante autoctone non riesce proprio a capire del suo paese.

Tuttavia l’entrata è sempre l’entrata. Non il retro.

Se avessi voluto immergermi in un floreale universo alternativo mi sarei semplicemente seduto all’ombra, sotto una pianta. Lui no.

Giulio doveva anche entrare dal retro. E non dalla porticina sul retro, che come già detto non esisteva. Si divertiva come un bambino incosciente ad arrampicarsi sul muretto e a scavalcarlo lasciandosi scivolare sul praticello o su uno dei rami nodosi e robusti del limone, appoggiando delicatamente i piedi sull’erba.

Quello era uno dei suoi tanti modi per marcare un’ irrazionale voglia di autonomia e isolamento che certe volte lo sospingevano fino ai limiti della alienazione totale. Mi chiedeva educatamente di farmi da parte, lasciarlo stare.

Non lo capivo affatto. Non capivo il suo bisogno costante di estraniarsi dalla realtà ed immergersi nei suoi personalissimi silenzi introspettivi, permettendo alla mente di elaborare un flusso di pensieri incoerenti e sconnessi, spesso deleteri per il fisico.

Era una prospettiva stupida che sfuggiva alla mia acerba comprensione.

Ad ogni modo non si era ancora completamente dichiarato. Non è che non capissi per insensibilità. Mi mancavano un sacco di ragguagli fondamentali per sciogliere l’intricato mistero della sua anima, e ciò mi faceva rabbia. Avvertivo acuirsi il desiderio bruciante e spasmodico di potermi rendere utile, di rivelarmi ai suoi occhi come una persona sensibile e gentile, alla quale affidarsi con una fede cieca.

Potete considerarla una volontà del tutto egoistica, forse, ma mi sentivo male ogni volta che gli ripetevo col mio accento secco: ‘Tu hai un problema.’, e lui scrollava le spalle.

Probabilmente mi feriva il fatto che non mi rendesse partecipe dei suoi intimi turbamenti nonostante sapessi alla perfezione che quella era, per sperimentazione diretta, una fallimentare autodifesa nonché il suo modo di porsi nei confronti di tutto il resto del mondo.

Non mi andava di far banalmente parte di “tutto il resto del mondo”, mi sembrava un’evidenza insopportabile e negavo la realtà, che era molto più semplicemente la sua insicurezza, la sua ricerca di un momento idoneo e perfetto, la sua volontà di avvicinarsi a me e solo a me attraverso quella serie di attenzioni che mi riservava, cercando disperatamente di ignorare la sua immensa paura di bruciarsi.

Ovviamente quella sera era passato per l’orto.

Penso che se la signora che ci affittava con dolcezza materna il piccolo appartamento l’avesse visto gli avrebbe chiesto di smetterla, adducendo come scusa il pericolo che i rami di una delle sue preziose piante si sarebbero potuti spezzare sotto il dolce peso di Giulio. Ma io so che l’avrebbe fatto per puro istinto di protezione.

Le vecchiette, specialmente quelle con la crocchia canuta che allevano trentaquattro gatti maculati, sono teneramente protettive nei confronti dei giovani.

 

 

--- Vi avevo preannunciato che sarebbe stato un capitolo breve ed insipido. Prendetelo come un’introduzione, un’anticamera al resto del racconto che riprenderà a partire dal prossimo capitolo.

L’intento era farvi una descrizione dell’ambiente, capisco che non sia così interessante… poi ho divagato.

^ ^ sono stata ispirata dal mio tè alla ciliegia (si chiama “ciliegi in fiore”…) ^ ^. Ho trovato un negozietto, a Milano, che vende tè particolari e sfogliando il catalogo mi sono venute alla mente queste ambientazioni (collegamenti strani…). Ci sono un sacco di tè interessanti… pare che il tè sia oggetto di filosofia, in oriente. Se Aristotele avesse parlato di tè la mia vita avrebbe preso una piega diversa.

Perché vi parlo di questo? Per occupare spazio? Perché blatero cose insensate con costanza? Sono cautamente felice (tradotto: prossimamente verifica di tedesco).

Dite che mi sono ripetuta troppo? Ho come avuto questa impressione. Credo sia tutto un po’ confuso: @_____@.

 

Invader, rispondo qui, visto che ci sono (risposte a singhiozzo. V___V sono una casinista). Ovviamente non potevo permettermi di non rispondere, sarebbe stato decisamente scortese… 

Sono veramente felice che TU abbia apprezzato. Mi spiego? (leggasi: tuuuuuuuuu, con particolare accento sulla u). Ho avuto una mezza crisi respiratoria quando ho letto entrambi i commenti. Spero con tutto il cuore di continuare sulla stessa linea (sarebbe troppo…), ti prego, dimmi dove sbaglio (ammesso che io sbagli. Ah-ah < -- il mio lato mitomane).

Naturalmente è un invito riferito a tutti.

Devo solo dire che i miei gentilissimi commentatori mi ha fatto passare la concentrazione per quella maledetta verifica di tedesco (di per sé già praticamente inesistente). Non mi resta che pregare. Pregate un po’ per me, per favore.

Di nuovo grazie mille, a sabato prossimo ^ ^.

 

Love_in_idleness.

   
 
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