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Autore: laolga    06/03/2009    10 recensioni
Ed ecco a voi un'altra ff! È una storia d'amore, un intreccio di segreti, bugie, amiche false, amori impossibili... un casino, insomma. Ma non crediate che si tratti di una storiella qualsiasi, copiata dai soliti libri -Twilight, per esempio... quanti di voi si ritrovano a leggere fic uguali a questa serie ma con nomi diversi, magari? O altri libri come Harry Potter? Quanti di voi, eh? La vecchiettina là in fondo ha alzato la mano... quindi, una persona... anche quel biondino lì... e siamo a due... poi quel tizio lì col riporto... e tre...su su non vergognatevi, alzatele manine, su!- Ehm, dicevo, non è una storiella qualsiasi, no! Perciò leggetela senza farvi pregiudizi negativi premettendo che ci ho messo il cuore, in questa ff, davvero. Vi chiedo solo di provare. Grazie.
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 2


Era questo, allora, che voleva dire essere innamorati?


Sognavo... sognavo per tutto il giorno, dormicchiando durante le lezioni, ciondolando al pomeriggio, chiusa in casa a fare niente, con musica classica a tutto volume.

Ero un'altra, che si addormentava ascoltando per la decima volta la Barcarola e Wagner, senza aver ancora incominciato i compiti per il giorno dopo.

Neppure io mi riconoscevo più, e non avevo intenzione di farlo, no, assolutamente no...

Avrei spezzato quell'incantesimo che mi faceva vivere così bene, in modo così rilassato come mai prima, che mi faceva dimenticare gli stress e gli orrori della vita comune, della scuola e della gente che mi circondava, facendomi perdere in questo mondo nuovo, pieno di particolari mai scorti, come visto da altri occhi, non miei ma assai più positivi, più vitali.

Mi sentivo un'altra, una ragazza nel fiore dell'età pronta a vivere dedicando la propria vita a tutto e per tutto, disposta a rischiare, a perdere, a vincere, a scherzare, a vivere.

Avevo finito un disco di Puccini ascoltato per tre volte di fila, a volume altissimo per coprire gli strilli e i richiami di mia madre, del telefono, di Cri, della vita normale, ed ero esausta, avendo cantato a squarciagola e ballato fino a quel momento.

Ero esausta ed immensamente felice quando sentii bussare alla porta, forse per la milionesima volta, e decisi di aprire.

Appoggiai la mano sulla maniglia fredda e spinsi verso il basso, facendo cigolare i meccanismi della serratura nella vecchia porta.

Aprii, ed apparve mia madre, rossa in viso e terribilmente infuriata.

Scrutai con preoccupazione i capelli grigi scompigliati che le conferivano un'aria temibile e le sopracciglia aggrottate che coprivano gli occhi iniettati di sangue.

Un brivido mi percorse la schiena e temetti che proprio lei, mia madre, volesse distruggere la pace che mi ero creata dopo tanto tempo.

-Vera...-disse mia madre con voce roca,-C'è una tua amichetta in sala che aspetta da mezz'ora. Vai almeno a salutarla, sei già stata troppo maleducata e sai che non tollero il fatto di avere una figlia maleducata.-.

Annuii con la testa china, quasi sorridendo: quella era una frase storica, che ripeteva praticamente in continuazione.

Sorpassai mia madre, facendo scricchiolare le travi del pavimento, e corsi in sala, sperando che non aggiungesse altro.

Pochi corridoi più in là c'era Cri, seduta sul divano che dondolava le gambe e chiacchierava con mio fratello maggiore Jonathan, il quale fingeva di ascoltarla con interesse, mentre aspettava che arrivassi io a liberarlo dalle grinfie della mia amichetta.

Faceva l'oca, ovviamente, e mio fratello odiava le oche, specialmente se erano mie amiche.

Volevo togliergli un peso, anche perchè pochi giorni dopo sarebbe partito per andare in America a studiare in un College e l'avremmo rivisto solo dopo tre mesi.

-Ciao Cri!-salutai, entrando bruscamente nella sala.

Jonathan sospirò e non aspettò un attimo per uscire da dov'ero entrata, non prima d'aver salutato l'ospite ed avermi ringraziato con un accenno di un sorriso.

Bene, ora dovevo sorbirmela tutta io.

-Ciao, Vera. Si può sapere cosa stavi combinando? Sono tre ora che aspetto!-esclamò appena il mio fratellone fu fuori.

Ridacchiai, ovviamente non le avrei mai detto la verità, mi avrebbe creduta matta.

-Non è vero, aspetti solo da una stupida mezz'oretta che avresti perso altrettanto volentieri.-dissi, sedendomi al suo fianco.

-Hai ragione, ma non farlo mai più, ok?-

Annuii.

L'avrei fatto milioni e milioni di altre volte, ovviamente.

Cri si stiracchiò sul divano e si avvicinò di qualche millimetro a me, sussurrandomi all'orecchio:-E ora dimmi cosa diavolo ti è successo ieri.-

La domanda, anzi, l'obbligo mi colse all'improvviso, facendomi arrossire tutta d'un botto.

Era un errore, un terribile, impeccabile errore.

Ora sarebbe bastato questo per far intuire almeno la metà di ciò che era accaduto alla temibile, espertissima Cri.

Ora avrebbe intuito che c'entrava un ragazzo, che centrava il mio cuore e dei sentimenti proibiti.

Tacqui.

L'orologio a dondolo segnò le quarantadue e mezzo con il suo lento dondolare snervante (sì, era scassato^^).

-Beh...-farfugliai sotto lo sguardo attento dell'amica, -Beh, ecco, io... no, niente, solo che... vedi, è così complicato, poi tu non capiresti e... lo sai come vanno a finire queste cose, no? Lo sai, sì, lo sai. E allora risparmiami il tutto... lo sai...che poi non era nulla, intendiamoci, e poi...-

Deglutii, e Cri annuì, iniziando a sorridere, divertita.

Brutto, bruttissimo segno, ahimè.

-E poi cosa?-

-Beh, e poi niente, lo sai come sono fatta, mi conosci, no? È che il bello è che non è successo niente... almeno, esteriormente, sai... ecco.-

La mia voce si affievolì tanto che dalle labbra, che pur si muovevano febbrilmente, non usciva più alcun suono udibile all'orecchio umano.

Cri ridacchiò e scosse la testa inondandomi del suo orribile profumo all'acqua di rose.

Aveva capito.

-Ih ih ih... La mia Vera è innamorata, è INNAMORAAATAAA!!!!-

Sprofondai nel divano.

Le mie orecchie erano bollenti, gli zigomi peggio, e i palmi delle mani si inumidivano di sudore, sudore freddo.

Cri notò la mia reazione, con disapprovazione.

Mi si avvicinò e passò un bracciò sulle mie spalle, nel tentativo di rassicurarmi.

-No no no, Vera, non ci siamo, non ne devi soffrire così!-, disse.

Tacqui ancora, la gola chiusa e un brivido lungo la spina dorsale.

-...Anzi, non dovresti soffrirne affatto!!!-

Sì, non dovrei soffrirne...

Che bello ora lo saprà tutta la scuola...

E io dovrei esserne contenta?!?

Scossi la testa, mordendomi un labbro.

-Fidati, Vera... se non sei felice dell'amore non potrai mai essere felice di nulla, è un dato di fatto.-

Oh, beh, allora...

E poi io ero felice!

Peccato che ora non lo sia più, grazie a lei.

Ecco, molto probabilmente non avrei più raggiunto quello stadio di allegria di poco prima!

Molto probabilmente.

La mia amichetta cominciava ad annoiarsi di tutto quel silenzio, cercando di richiamarmi all'attenzione parlandomi.

-Ehi, Cri, ci sei? A che stai pensando?- esclamò nei miei timpani.

Mi sedetti più compostamente sul divano, cercai di sorridere, e feci spallucce.

Cri mi lanciò un'occhiata di rimprovero, poi sorrise anche lei.

-Bene bene bene... sei già nella fase della testa fra le nuvole, eh?-disse, maliziosa.

Sbuffai, non c'era niente di divertente e quel suo modo furbetto di parlare mi dava sui nervi.

-Sì, ma, ti scongiuro, non dirlo a nessuno.-borbottai, cercando di non far riuscire la richiesta come una lagna.

La mia amichetta annuì dopo pochi secondi di esitazione, e poi fui costretta a raccontarle per filo e per segno cosa mi era accaduto in tram, mentre lei mi ascoltava con la bocca spalancata, forse poiché per una volta ero io a narrare e lei ad ascoltare.


Quella sera passai le mie ore immersa nello studio di strane forme di malattie del cuore, delle poesie di un certo D'Annunzio e in espressioni algebriche umanamente impossibili.

Un divertimento unico, insomma.

Poi, come se non bastasse, mia madre mi chiese di andare a fare la spesa per lei, perché era troppo impegnata nel lavoro, perché far la spesa era troppo faticoso per una donna così anziana ed impegnata, perché così avrei imparato più in fretta a prendermi cura delle faccende domestiche, eccetera eccetera...

Eran tutte balle: la verità è che non c'aveva assolutamente voglia di farla lei, ma acconsentii ugualmente, infilandomi di malavoglia il mio bel cappotto polveroso e gli stivali incrostati di un antichissimo fango.

Uscii nel traffico delle diciotto e venti di quel mercoledì sera e mi precipitai in via Padiglioni, dove un supermercato minuscolo richiamava il mio bisogno di spesa e quello di sì e no altre sei vecchiette di tutta la città.

Buttai nel carrello qualche porcheria, senza seguire la lista che mi aveva accuratamente preparato mia madre e andai alla cassa dove una signorina mingherlina tinta e abbronzata mi fece pagare tre euro più del dovuto, ma di questo me ne accorsi delle ore più tardi, in casa mia, tirando fuori dal portafoglio lo scontrino rivelatore.

Fu nel tragitto di ritorno che accadde qualcosa per la quale ora m'impegno tanto a narrarvi di quel mercoledì sera...

Mancavano solo due semafori alla mia vietta, solo due attraversate a sarei tornata china sui miei stupidi libri, ma, trascinando le borse della spesa durante la prima attraversata, andai a sbattere contro un ragazzo che andava in senso opposto al mio, mollando le borse che mi tagliavano le dita e rovesciandone il contenuto in mezzo alla strada.

Non lo riconobbi subito, intenta a raccogliere il tutto, ma quando trovai una borsa già riempita e il mio attentatore chino come me a raccogliere bevande e cibo in tutta fretta capii di chi si trattava.

Il mio cuore partì sgommando in quinta, lasciandomi senza fiato, e le mie guance iniziarono a cuocere violentemente, costringendomi a chinare il viso.

Quando ogni cosa fu rimessa nei sacchetti ci spostammo dall'altro lato della strada, sul marciapiede, col fiato corto e le borse alle mani.

Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, timida e codarda come mio solito, ma ebbi la netta sensazione che mi fissasse, o che almeno mi avesse riconosciuta.

-Ehi, tutto bene, vero?- chiese.

La sua voce era profonda, dolce, calda...

Possibile che non avessi mai sentito una voce più vellutata, pacata di questa?

Sì, molto possibile.

Annuii, sempre con il viso chino.

-Oh, bene, allora... mi dispiace tanto, davvero, non l'ho fatto apposta.-proseguì lui.

Sorrisi, sperando che non mi potesse scorgere.

-E se vuoi posso accompagnarti a casa, vedo che queste borse sono terribilmente pesanti...-

Le mie orecchie, non coperte dai capelli, mi tradirono, bruciando così, allo scoperto, come se non avessi mai detto loro che non dovevano farlo, che era tremendamente vergognoso e che mi metteva in imbarazzo.

Sentii il respiro del ragazzo frantumarsi in una risatina.

Alzai lo sguardo, sorrisi ed annuii ancora una volta.

Non l'avessi mai fatto!

Rimasi pietrificata ad osservare quel volto perfetto che già iniziavo a scordare, quel luccichio negli occhi, quel sorriso così sincero...

Per poco non svenni, e temo se ne accorse, poiché l'allegria dei suoi occhi per un attimo scomparve, cedendo il passo ad una serietà più maliziosa, consapevole, matura... diciamo che cedette il passo a qualcos'altro e bom.

Poi m'indicò la strada con il capo, incitandomi ad andare, a seguirlo.

Non mi chiesi come faceva a sapere la strada per casa mia, né come mai la strada risultò più corta del dovuto, come se avessimo preso una scorciatoia... non mi chiesi nulla e forse feci male.

Quando mi trovai di fronte il portone di casa mia mi immobilizzai, inondata da un alone di tristezza, quasi sul punto di mettermi a piangere, ma sorrisi ugualmente al ragazzo, prendendogli di mano le borse.

-Siamo arrivati...- spiegai inutilmente, come per scusarmi se gli toglievo quel terribile peso dalle mani.

Lui annuì e guardò il palazzo, con sguardo perso, pensoso.

Citofonai e il portone si aprì, essendo scattata la serratura sotto la forza del dito di mia madre che pigiava un bottone tre piani più in alto.

-Sì, questa è casa tua.-borbottò lui, risvegliato dal rumore del portone.

Aprii del tutto ed entrai, tenendo con la schiena il peso del portone.

Poi appoggiai sul pavimento le borse, ed attesi che mi parlasse, che mi dicesse una qualunque cosa.

Lui mi scrutava, sorridendo, ma senza rompere quel silenzio per me così imbarazzante, per lui così scontato.

-Ci... ci rivedremo?- chiesi con voce tremante.

La comparsa della mia voce lo sorprese, illuminando il suo volto di felicità.

-Oh, sì, certo.- rispose,-È ovvio che ci rivedremo, da qualche parte. E se non dovesse accadere per coincidenza mi presenterò qui, se ti fa piacere.-

Arrossi, annuendo debolmente.

Lui mi scrutava, divertito.

Lui... non avevo neppure idea di come si chiamasse!

-Beh, forse non te l'ho detto, ma io sono Vera Monfort... e ho... diciotto anni.- farfugliai, mentendo.

Probabilmente se ne accorse, poiché mi fissò in modo strano, come se sapesse che ne avevo solo sedici di anni, che fra un mese i diciassette sarebbero stati miei, ma che mancava ancora un bel po' prima dei diciotto.

Conseguenza ovvia: arrossii.

-Oh, fantastico.- disse, senza smettere di sorridere, -Beh, forse sarai curiosa di sapere chi sia io, no?-

Non risposi, in attesa che me lo svelasse.

-Beh, io sono Thomas... meglio Tom, per gli amici...-

Attesi il seguito, ma non parlò: tacque e ampliò il sorriso.

Ci rimasi male, speravo almeno di sapere quanti anni avesse... di che famiglia fosse... ma se non me l'aveva rivelato non era il caso di insistere, probabilmente aveva problemi in famiglia o altro che ancora no mi riguardava... non era il caso di infastidirlo.

-Bene, allora... ciao, Tom.- dissi, imbarazzata.

Thomas ridacchiò ed annuì, salutandomi con un gesto del capo.

Rimanemmo ancora qualche secondo a scrutarci, poi lui si voltò e si avviò verso mete ignote, fischiettando allegramente.

Non mi mossi per qualche minuto, poi, con aria sognante salii le scale fino al nostro appartamento, dimenticandomi dell'ascensore.

Così, l'avevo rivisto...

Così, l'avrei rivisto...

E tornavo ad essere la Vera innamorata del mattino, tornavo a sognare e a sperare immersa nella felicità.


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Beh, ditemi voi^^

però vi avviso che in mancanza di tempo non ho riletto il cap, perciò non badate a errori di battitura e simili...

per quanto riguarda i ringraziamenti...

Ommioddio: diciassette recensioni di un colpo solo!!!!!!!

Sono molto fiera e ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto e letto.

Ringrazio anche chi mi ha messo fra i preferiti, ovviamente^^.

Aggiungo, per chi non lo sapesse, che tutti sono stati ringraziati individualmente con altre recensioni, e stessa sorte toccherà a chi commenterà questa ff.

Passo e chiudo dandovi appuntamento al prossimo capitolo.


CIAUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!!^^




   
 
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