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Autore: Anya e Dalia    12/03/2005    3 recensioni
Ogni mese...non è mai lo stesso, come ogni momento della nostra vita...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scusate il ritardo ma per scrivere questa storia ci ho messo di più di un mese e quindi non ho avuto abbastanza tempo per finirla e metterla entro il ventotto febbraio

Scusate il ritardo ma per scrivere questa storia ci ho messo di più di un mese e quindi non ho avuto abbastanza tempo per finirla e metterla entro il ventotto febbraio. Tenete conto che non stò prendendo a modello il mese di febbraio di quest’anno perché nel mese scorso, carnevale è stato molto prima di san valentino. Cosa che invece qui è totalmente diversa! Come noterete in questa, nella scorsa e nelle altre dei prossimi mesi, le storie sono tutte ambientate nella stessa scuola: l’istituto liceale Arborea che è frutto della nostra fantasia come tutti i personaggi. Capiterà che in un mese spunti un personaggio dei mesi passati. E non c’è niente di cui stranizzarsi ve lo assicuro. Spero che Febbraio vi piaccia perché ci ho lasciato tutto il mio sudore e la mia salute. Lo giuro: è stata un’impresa! Buona lettura e vogliamo tanti ma tanti commenti!! Bye Bye! Anya e Dalia

Febbraio

“E quindi Colombo nel 1492 scoprì un nuovo continente. Vediamo se qualcuno sa dirmi quale?” chiese quel ratto della prof Barretti.

I ragazzi si scambiarono risolini mentre la professoressa speranzosa si aggirava tra i banchi in cerca di un intellettuale capace di sapere quale continente aveva scoperto mister Piccione.

“l’Italia!” rispose ridendo un compagno.

“l’Italia non è un continente, sciocchino!” lo riprese la professoressa dandogli una boffa sul cozzo.

“ahi!”

“Nessuno?” chiese ancora la prof

“l’America?” rispose un ragazzo in fondo alla classe.

“Bravo Batti! Stai migliorando! Anche nel compito l’ ho notato: hai preso insufficienza” disse sorridendo la vecchia professoressa.

“E meno male che sto migliorando!” sentenziò il poveretto dell’ ultimo banco.

“Perché di solito quanto prendi?” gli chiese una ragazza del secondo banco.

“Meglio che non te lo dico…” le rispose lui.

“Bene. Ora lasciamo i compiti” sorrise ancora la prof.

In niente la classe si svuotò e rimase solo la prof che, senza essersene accorta, dettava i compiti per casa a un pubblico di banchi e sedie.

Ned raggiunse il suo armadietto e lo aprì.

Caddero a terra una montagna di cosine colorate.

Alzò gli occhi al cielo e chino il capo per osservare quelli che si rivelarono essere cioccolatini!

“oh no…” sbuffò e si chinò a raccoglierli e metterli dentro un sacchetto.

Era un bel ragazzo con i capelli castano rossastro e gli occhi verde smeraldo. Non era tanto scuro di carnagione, era alto, snello, media sei a scuola e amante del calcio (trovatemene uno che non lo sia…-.- nd Dalia).

Non aveva una ragazza e non gliene piaceva nessuna in particolare , ma la verità è che lui era uno di quelli che era d’ accordo col “meglio soli che male accompagnati!”

Passò in quel momento un gruppo di ragazze che alla vista della direttrice si abbassarono in fretta le gonne della divisa accuratamente arrotolate in modo tale da essere una buona decina di centimetri più corte.

Come prevedibile dopo che la direttrice ebbe girato l’ angolo se le riarrotolarono alla vita.

Appunto! Meglio soli…

Scotendo il capo prese il sacchetto pieno di cioccolatini. Però era strano: cioccolatini ne riceveva ogni giorno ma mai così tanti.

Che stava succedendo?

Superò una coppia che si scambiava dei baci appassionati… Ehi! Ma quello è Seb! Che ci faceva con Anna della 4° H?!?

Ned si guardò perplesso in giro: mai la scuola sembrava così cosparsa di miele e mai nella sua vita vide cuoricini svolazzare in giro insieme a fiorellini e farfalle…

Oddio no!!! San Valentino!!! Ma chi ci pensava che era già il 14!?!

Ecco spiegata la montagna di cioccolatini!

Ritornò a guardare la nuova coppia formata dal suo migliore amico e la ragazza dai capelli biondi e lunghi fin sotto le spalle.

Scoop dell’ anno: il mondo è crollato!

Tornando verso la classe buttò il sacco in un contenitore della spazzatura.

Il corridoio era deserto perché erano tutti a ricreazione.

Camminò con le mani in tasca guardando il pavimento di marmo su cui si rifletteva la sua immagine.

Generalmente adorava stare con i suoi amici giù in cortile a scherzare o giocare a calcio.

Ma quello non era per niente il giorno giusto!

Se no, altro che montagnetta di cioccolatini! Sommerso è dire poco…

A volte non fa male il silenzio del corridoio.

Silenzio?

Ehi, c’ era una ragazza che urlava!

“Lasciami maledetto cretino! Lasciami!” sbraitava.

“No, perché? tanto non c’è nessuno!” si sentì una voce maschile risponderle.

“No! Lasciami!!” continuò a urlare la ragazza.

Era l’ unico che poteva aiutarla perché i prof erano giù in cortile come ogni ricreazione e i bidelli in quel momento erano ai piani inferiori a fare le pulizie.

Poi la vide correre verso di lui.

Evidentemente era riuscita a liberarsi dalla presa di quel ragazzo e correva verso le scale per scendere.

Fu questione di un attimo.

I loro sguardi si incontrarono mentre lei lo superava.

Stupenda.

Non poteva trovare nessun altro aggettivo.

Con quei capelli bruno scuro come gli occhi. La pelle chiarissima senza neanche un’ imperfezione. I capelli lunghi scombinati dalla corsa le sfioravano il viso.

Ned rimase impietrito da quella visione angelica.

E così rimase per un bel po’ finché, non ripresosi, si rincamminò verso la sua classe.

Nel frattempo la ragazza aprì di scatto la porta dell’ infermeria e se la richiuse alle spalle.

“Elena! Che ci fai qui?” le chiese Rosie, l’ infermiera.

“Oh, Rosie! Un cretino mi ha abbordato di brutto, per fortuna sono riuscita a scappare, chissà cosa mi avrebbe fatto!”le rispose Elena.

Si sedette su una sedia vicino al lettino. Rosie stava riordinando delle carte.

“Perché non hai gli occhiali?” le domandò l’ infermiera.

“Mi si sono rotti poco prima che quel tizio ci provasse con me! Li avevo in mano ma mi sono caduti.” Sospirò la ragazza.

“Come fanno a essersi rotti degli occhiali finti?” rise guardando la ragazza che si dondolava sulla sedia girevole.

“Non è che sono finti. Non sono graduati.”disse Elena.

“E comunque è perché non voglio farmi vedere senza gli occhiali dai miei compagni!” continuò.

“Per quanto continuerai con questa -doppia identità-?” sbuffò Rosie mettendo delle carte in un cassetto.

“Per la vita!” sentenziò Elena.

Rosie sorrise.

“Mentre venivo… per la verità correvo, comunque, ho visto un ragazzo”

“Oh! Finalmente Miss Ghiaccio si è addolcita…” rise l’ infermiera.

“Ma dai!”le rise dietro Elena. “Comunque era sul serio bello! Caspita se non lo era! Complimenti alla madre!”

“Prova a festeggiare con lui S. Valentino” disse Rosie.

“Io festeggio domani!”le rispose Elena.

“La festa dei single?”

“Già, il 15!”

Suonò la campanella.

“Rosie, posso rimanere qua fino alla fine delle lezioni?”chiese Elena.

“Hai compiti o interrogazioni?” domandò Rosie.

“No, ma anche se ne avessi… la mia media non subirebbe una grinza!” rispose Elena.

“Fa’ un po’ come vuoi”

“Grazie Rosie, sei un’ amica!” sorrise all’ infermiera che ricambiò con un occhiolino.

“Ragazzi avete un’ ora di buco” disse il bidello ai ragazzi della 4°E.

Urla generali.

I ragazzi corsero in cortile: chi a giocare a calcio, chi a pallavolo, chi a parlare dell’ultimo pettegolezzo, dell’ ultima coppia formata…

Un gruppo formato solo da quattro ragazzi stava seduto sui gradini della facciata.

“Però! Anna non è male, bravo Seb!” si complimentò Pie.

“Grazie. A me piaceva già da un po’ però non mi aspettavo che venisse lei da me” rispose Seb.

“Miiiii! Anch’ io voglio qualcuno che si dichiari a me…” si lamentò Stefano.

“E tu Ned? Nessuna dichiarazione?” chiese Seb.

“No!”

Silenzio di tomba.

“Perché me ne sono stato sopra in corridoio! Ho passato lì la ricreazione”

“Aaaahaa…” risposero in coro i ragazzi.

“E che hai fatto sopra?” chiese Pie.

Ned lasciò che il suo sguardo si perse nel vuoto. Vide un’altra volta quell’angelo sorpassarlo correndo. Quell’ immagine si era marchiata a fuoco nella sua mente e lui non voleva che se ne andasse.

Rise fra sé e sé.

Poi guardò uno per uno i suoi amici che gli si leggeva negli occhi erano curiosissimi di sapere che cosa avesse mai fatto da solo nel corridoio deserto della scuola.

“Ho visto una ragazza. Non riesco neanche a descrivervela. È semplicemente bellissima, da togliere il fiato… Era rincorsa da un tizio che la voleva abbordare e l’ho vista correre verso le scale che portavano giù… E sono rimasto impalato là come un cretino a fissare il punto dove l’ avevo vista scomparire…”

Dopo un’ attimo di silenzio Seb sentenziò.

“Bertha”

“Non ci credo, Ned l’hai vista sul serio?” chiese tutto d’un fiato Stefano.

“Bertha?” domandò perplesso Ned ai suoi compagni.

Fu Pie a rispondere.

“E’ una specie di leggenda. E’ una ragazza della scuola, la più bella di

tutte, neanche Ester della 5° F è lontanamente paragonabile a lei. Si nasconde tra la folla, non si fa vedere. È come un fantasma. Pochissimi l’hanno vista”

“Si possono contare sulle dita di una mano, quanto sono pochi” continuò Stefano.

“Bertha non è il suo nome. Da quando si è sparsa la voce di questa ragazza di cui non si conosceva neanche il nome, tutti l’ hanno cercata invano. Da allora per parlare di lei si parla di Bertha” Concluse Seb.

“Ma ci sarà qualcuno che la conosce. Non so, i suoi compagni?” chiese Ned.

I ragazzi scossero il capo.

“Chi di voi l’ ha mai vista?” continuò

Seb alzò la mano.

“E’ stato quando avevo urlato contro la direttrice e per non farmi prendere mi ero nascosto nel tetto. Ti ricordi? E’ stato al primo anno.

Ci vollero ore per trovarmi. Ecco quella volta io la vidi. Era appoggiata alla ringhiera del parapetto. Il vento le scombinava tutti i capelli. Poi si accorse di me e scappò via. A quanto ho capito mentre scendeva ha incrociato un ragazzo di quarta di quei tempi. Infatti è stato lui a spargere la voce riguardo lei”

“Quindi se quando noi eravamo al primo anno lei c’era, allora sarà o nostra coetanea o più grande” pensò Ned ad alta voce.

“Lascia stare Ned. Nessuno l’ha mai trovata e non sarai certo tu a farlo. Non è che ce l’ho con te, ma se si nasconde vuol dire che non vuole farsi vedere. Lasciamola in pace, è la cosa migliore”

E detto questo non si parlò più della leggenda di Bertha.

All’uscita della scuola Ned salutò l’amico che avrebbe fatto la strada con Anna.

Non era proprio una bella cosa avere il migliore amico fidanzato: per esempio la strada per tornare a casa te la fai solo!

Ned passò come ogni giorno dal retro della scuola. Si fece una bella passegiata tra i campi di calcio deserti e il giardino leggermente toccato dal freddo di febbraio.

Si sedette su una panchina infreddolita del giardino al bordo del viale che portava al secondo cancello dell’ area della sua scuola, “l’Istituto Liceale Arborea”.

In quel momento la vide.

Stava camminando con lo zaino sulle spalle e cercava di coprirsi di più dal freddo.

Elena camminava più velocemente che poteva perché doveva arrivare presto a casa e non voleva farsi vedere di nuovo senza gli occhiali.

Le era impossibile correre, sarebbe stato un suicidio visto che il terreno del viale era umido.

Doveva avere nevicato o grandinato recentemente.

Alzò lo sguardo per guardare il cielo: sarebbe piovuto da lì a poco e lei avrebbe dovuto accelerare il ritmo di marcia per arrivare in orario a casa.

Neanche il tempo di avere quei pensieri intesta che beccò in pieno qualcosa di scivoloso e stava per toccare terra quando si sentì prendere al volo da dietro.

Dopo essersi rimessa in piedi si voltò a guardare chi l’ aveva salvata.

Era lui… il ragazzo di quella mattina…

Sgranò gli occhi.

Non sapeva cosa fare: avrebbe dovuto ringraziarlo perché le aveva risparmiato una bella batosta, ma le si era attaccata la lingua al palato e non riusciva a emettere alcun minimo suono.

Evidentemente nessuno dei due riusciva a spiccicare parola perché per un buon minuto nessuno parlò.

“Grazie” riuscì a dire Elena dopo vari sforzi.

“Di nulla, figurati” le rispose Ned.

“Beh, io vado” disse la ragazza facendo per andarsene verso il cancello semi chiuso.

“Anch’ io dovrei andare da quella parte, non è una scusa lo giuro!”

“Va bene…”

Camminarono in silenzio fino a metà del viale.

“Mi chiamo Ned. Per la verità il mio nome è Edoardo ma è un nome che odio quindi per tutti sono Ned” continuò il ragazzo.

I suoi capelli folti e lunghi fino a metà delle orecchie, si scompigliavano a ogni soffio di vento.

Wow…” pensò Elena.

Non era la prima volta che vedeva un bel ragazzo ma mai era stata così tanto senza occhiali con un ragazzo che non fossero suo fratello e i suoi cugini.

Non era mai riuscita a capire come facessero le persone a non accorgersi che la famosa Bertha di cui tanto parlavano era lei.

Quegli occhiali la cambiavano nettamente in particolare se aggiungeva una coda nei capelli.

“Tu come ti chiami?” si sentì chiedere la ragazza.

Non ricevette risposta.

“Sei la famosa Bertha di cui molti parlano?” continuò Ned.

“Si, c’è chi mi chiama così…”rispose evitando di dichiarare apertamente il suo nome.

Ned sospirò guardando il cielo nuvoloso. “E scommetto che non vuoi dirmi qual’ è il tuo vero nome…”

Chi tace acconsente.

“Ok… E’ meglio se ti sbrighi a tornare a casa perché potrebbe anche piovere di brutto” continuò il ragazzo.“Ti saluto, io vado di qua”

E si incamminò per un’ altra strada.

Passarono i giorni.

Neanche una settimana e Bertha non fu vista da nessuno. Come sempre…

Era stato un fatto eclatante quello che in un arco di tempo di una giornata era stata vista ben tre volte. Ma la notizia, come si era sparsa, si era dileguata.

In tutte le scuole c’è una leggenda.

È la regola numero uno di un’istituto scolastico quella di avere uno strano mistero.

Alcune parlano di professori che posseggono una doppia faccia, che magari sono anche capaci di ucciderti alle spalle; altre raccontano di passaggi segreti che portano a strani posti sotterranei; altre ancora di fantasmi di alunni morti e cose varie…

Probabilmente molte di queste leggende sono solo voci o pettegolezzi; alcune possono anche avere un fondo di verità. Ma nessuno mai scoprirà la verità di queste leggende perché a tutti piace raccontare le leggende sulla propria scuola e dire tenebrosamente “Nessuno lo ha mai saputo”

Quella dell’ “Istituto Liceale Arborea” era proprio quella di Bertha, radicata nella scuola profondamente tanto quanto le sue stesse fondamenta, i suoi stessi pilastri portanti.

Ma cosa sarebbe successo quando Bertha avrebbe finito il 5° anno e sarebbe andata all’ università? Quale leggenda avrebbe sostituito quella di Bertha? Oppure sarebbe rimasta la stessa e magari gli studenti più grandi l’ avrebbero raccontata a quelli più piccoli e così via, come in tutte le scuole si sarebbe tramandata da alunno ad alunno finchè le leggende di una scuola non le sappiano tutti per sempre.

Malgrado le varie dicerie la vita degli studenti continuava ad andare avanti, con i compiti e le interrogazioni.

Ned ed Elena non si incontrarono per giorni e giorni.

Elena trovò un paio di occhiali di riserva e così tornò ad essere quella di sempre.

Per lei era vantaggio su vantaggio quello di non essere riconosciuta: per esempio poteva tranquillamente osservare da lontano quello che facevano gli altri.

Incominciò a osservare Ned senza correre il rischio di essere inquadrata come per esempio succedeva quando usciva al naturale.

Ned stava sempre con Sebastiano Benni e con i suoi amici Filippo Valenti e Stefano Lettore.

Era uno che amava la compagnia e l’ amcizia ed Elena lo notava ogni giorno di più.

Lo osservava da lontano e incominciò a imparare le sue abitudini.

Odiava le persone ipocrite e le ragazze facili. Stava alla larga da chi amava stare al centro dell’ attenzione.

Ormai Elena sapeva quasi tutto di lui anche se non poteva dire di conoscerlo.

Era un tipo interessante che non seguiva la massa.

Ma come Elena lo osservava da lontano senza farsi vedere, Ned aveva cominciato la sua ricerca.

Cercava Bertha in ogni ragazza che frequentava la sua scuola.

Più la cercava più non la trovava.

Passava interi pomeriggi a casa a riflettere, cercando di trovare che cosa la rendesse così invisibile agli occhi di tutti.

Poteva essere che passava la ricreazione e le ore di buco nei posti dove nessuno la poteva trovare.

Ma l’idea venne scartata perché altrimenti i suoi compagni di classe avrebbero comunque saputo chi era.

Disegnò su un foglio di carta uno schizzo della ragazza.

Quando ebbe finito ammirò la sua operara: era venuta praticamente identica all’originale.

Così ne fece più copie e su queste disegnava tutti i tipi di mascheramento che Bertha poteva usare per non farsi riconoscere dagli altri.

Mentre lui impiegava il suo tempo e le sue energie a disegnare tutte le possibili versioni della ragazza, la copia originale lo guardava appoggiata alla scrivania del ragazzo troppo impegnato a trovare quella ragazza che piano piano si radicava in lui come le radici di una possente quercia si spandono in profondità nella terra.

Tanto lui quanto lei. Un tutt’uno quasi indispensabile in quel momento della loro vita.

Successe che un giorno Ned decise di passare la ricreazione sopra in terrazza.

Non sapeva neanche perché. Così… sentiva i piedi che camminavano senza che lui li guidasse. Possono mai un paio di piedi passeggiare soli senza che il cervello gli dica dove andare? Bah…

Si trovò davanti al distributore di merendine e trovò per terra un euro…

“Cavolo!” Si disse.

Optò per una merendina al cioccolato, una di quelle piene di grassi mescolate a troppi carboidrati, una di quelle che ti fanno ingrassare come un tacchino e ti riempiono di puntine ma che sono così buone che tu non puoi fare a meno di mangiare.

Chissà qual è quell’ingrediente speciale che ti fa ritrovare sempre davanti a uno di questi maledetti distributori di merendine pronto a comprarne un’ altra? Che sia droga?!?

Mentre gustava quella buonissima bomba calorica prese a salire le scale che portavano nel tetto.

Elena era appoggiata alla ringhiera che circondava la grandissima terrazza.

Dopo quasi quattro anni che frequentava quella scuola ormai aveva imparato a trascorrere le ricreazioni da sola soprattutto quando Rosie non c’era.

Guardò gli occhiali che teneva in mano.

Sentiva il fresco venticello di metà mattina che le accarezzava dolcemente il viso, le scompigliava scherzosamente i capelli.

Poi sentì lo scatto della porta di ferro che si apriva sulla terrazza.

Si mise subito gli occhiali per non farsi riconoscere e si concentrò sul panorama.

La persona che era venuta nella terrazza si fermò poco più in là del parapetto.

Elena si voltò un poco per vedere chi era e quasi non cadde giù quando vide che era lui, Ned.

Cominciò a batterle forte il cuore nel petto e le si tinsero di rosso leggero le guancie.

Doveva scappare ma non voleva…

Quando finalmente si decise a entrare, una goccia la prese in piana fronte.

Guardò in alto e una seconda goccia la prese dritto sul naso. Aveva cominciato a piovere.

Si diresse velocemente verso la porta che portava all’ interno dell’istituto e lo stesso fece Ned.

Si trovarono entrambi davanti la porta ed Elena provò ad aprirla. Provò una seconda volta, senza risultato.

“Aspetta, provo io” si offrì Ned.

Neanche lui riuscì ad aprire.

“Siamo bloccati!” esclamò il ragazzo scotendo forte la maniglia della possente porta.

Elena sbuffò e si appoggio al muro. Fortunatamente c’ era una piccola tettoietta che permise loro di ripararsi.

Cominciò a piovere forte e il vento si portava via tutte quelle ondate di pioggia.

Come può il tempo cambiare così da un momento all’ altro? Non che prima fosse ciel sereno ma sicuramente non c’era quella bufera infernale.

La ragazza fu percossa da brividi di freddo gelido. Tremava come una foglia.

Ned si tolse la sua giacca della divisa e gliela porse.

“Tieni…”

“No… e tu?” domandò lei.

“Io sto benissimo, avanti mettitela” e glela pose sulle spalle.

“Grazie…” disse stringendosi nella giacca.

Il tempo peggiorò di molto.

I due stettero a guardare silenziosi la fitta discesa in picchiata di grandine che riempì in niente l’ intera terrazza.

Passò una buona decina di minuti e la grandine smise di cadere sostituita dalla pioggia.

“Come ti chiami?” chiese Ned alla ragazza.

In fondo non c’ era niente di male, perché lui non sapeva che in realtà lei fosse Bertha.

“Elena, Elena Giannetti”

“Edoardo Petrani. Sono della 4°E, e tu?”

“Ned amore mio, tu vuoi sapere troppo!”pensò la ragazza.

“Ehm… sono nella 4°B” rispose Elena.

“Cretinaidiotadeficienteimprudenteingenua!!!” maledì se stessa per quello che aveva appena detto comunque ringraziò il cielo che Ned non avesse capito chi era e sperò che ciò non accadesse.

Come prima il silenzio calò su di loro anche se nessuno dei due voleva stare zitto.

Avete presente quando avete la grandissima voglia di parlare, di dialogare ma non sapete proprio cosa dire, come comportarvi eccetera eccetera?

Ecco. Quei due non riuscivano a spiccicare parola eppure non avevano nessuna intenzione a guardare in silenzio la pioggia che cadeva fitta.

Da una parte Ned, con la sua indole fin troppo socievole (a parte con un certo tipo di ragazze), cercava anche di trovare in quella ragazza accanto a lui quell’angelo che lo aveva lasciato senza fiato qualche tempo prima. Ma più la guardava con la coda dell’occhio più la cosa gli sembrava impossibile. La ragazza che aveva vicino gli sembrava così asciutta e vuota e soprattutto esteriormente, non assomigliava ma neanche lontanamente a Bertha. Per carità, non che lui fosse solito criticare l’aspetto fisico di tutti gli esseri femminili che incontrava ma come tutti i ragazzi guardava e teneva a mente.

D’altra parte, Elena, ignara dei pensieri del ragazzo di cui pian piano si stava innamorando sempre di più, cercava di trovare un argomento di cui parlare con lui.

Totalmente al contrario di lui, lei aveva sempre cercato di fuggire dai ragazzi e non si era mai trovata nella situazione di voler parlare con uno di loro. Quindi si trovava particolarmente a disagio e per di più con la lingua incollata al palato.

Le succedeva spesso in quel periodo.

La pioggia finì e un po’ di nuvole si dissolsero così da lasciare alcuni spiragli di luce passare e invadere l’aria.

Era tornato il sereno dopo la tempesta..

“Almeno questo tempo è finito” affermò Ned.

“Già…”

“Ora non ci resta che aspettare qualcuno che apra la porta”

Aspettare.

Che brutta questa parola. È così lungo il tempo ed è così eternamente pesante…

Bene, ora è difficile spiegare quello che accadde in quella terrazza nell’arco di pochi secondi…

Una folata di vento scompigliò i capelli di Elena e le fece cadere gli occhiali.

Contemporaneamente Rosie, l’infermiera, che aveva passato tutto il tempo a cercare la ragazza, aveva aperto la porta del terrazzo e guardava stralunata lo sguardo preoccupato di Elena e quello sconvolto di Ned.

Appena la porta si aprì la ragazza corse verso la rampa di scale e scese.

Rosie lanciò uno sguardo al ragazzo ancora imbambolato e gli disse

“Ancora qua sei? Forza, vai in classe”

E detto questo lasciò che lui rientrasse e richiuse la porta.

Accompagnò il ragazzo nella sua classe e si diresse verso l’infermeria, pronta ad accogliere una disperata Elena.

Aprì la porta della infermeria e si guardò attorno.

Strano che ancora non era corsa verso di lei…

Sentì un singhiozzo provenire dalla stanza accanto.

Ecco appunto…

Si diresse verso la stanza accanto e si inginocchiò per terra davanti quella figura seduta che cingeva con le braccia le gambe.

“Che è successo?”

“… quello era Ned…”

“Ah, però!”

“… e mi ha vista senza occhiali! Rosie, che devo fare! E in più, cretina io, gli ho detto chi sono!!!”

“Cosa!?! E come mai?”

“Cosa ne sapevo io che mi avrebbe vista senza occhiali!CHE IDIOTA!!!”

Ci fu un attimo di silenzio in cui si sentivano solo i singhiozzi della ragazza.

“Bhè era ora! Devi capire, piccola mia che continuare a scappare non ti gioverà a niente. Ne a te ne a lui. Prova a crescere un po’, Elena. Lo sai quante persone ti stanno cercando in questo momento? A tutti quelli che ti hanno vista una volta sei rimasta impressa come fuoco nella loro mente. Io penso che sia ora di smettere di scappare, perché comunque vada non ti puoi nascondere fingendo di essere quello che non sei. Quante persone vorrebbero avere questa grande bellezza che hai. È un dono immenso e tu al posto di sfoggiarlo come un diamante preziosissimo lo nascondi come se fosse una delle cose più brutte che esistano per te… avere paura di quello che gli altri possano fare o dire è una delle cose peggiori che potresti mai… oh insomma Elena! Sono quelle bionde ad essere quelle timide! Pezzo di bruna che non sei altro e piangi pure se uno ti ha visto senza occhiali! Insomma, Edoardo ti piace anche, quindi non fare la bambina e cammina a testa alta!”

Alzò leggermente il mento della ragazza e le sorrise.

“Vai… sfoggia a tutti questo bel diamante che Dio ti ha donato. È così che lo vuoi ringraziare?”

Detto questo si alzò e tornò nell’altra stanza al suo lavoro di infermiera.

“E cosa dovrei fare?” La ragazza si asciugò le lacrime e raggiunse Rosie nella stanza accanto.

“Prima di tutto correre in classe. Con questo fatto che perdi gli occhiali molto spesso, stai perdendo un sacco di lezioni!”

La ragazza guardò il freddo pavimento di marmo. Doveva andare in classe senza gli occhiali?!?

Però le sarebbe piaciuto per una volta vedere la reazione dei suoi compagni alla sua vista. Cosa avrebbero detto?

Uscì lentamente dall’ infermeria e mentre saliva le scale e percorreva il corridoio che l’avrebbe condotta alla sua classe, sentiva che i suoi nervi si stavano attorcigliando come serpi tra di loro. Ma perché lo stava facendo?

Continuò a camminare per il corridoio. La sua era l’ultima classe in fondo.

Era un bell’istituto: i corridoi erano ampi, luminosi e puliti. Saliti dalle scale interne si arrivava in un ampio pianerottolo e all’opposto delle scale vi era un lunghissima parete dove non vi era un centimetro senza una finestra.

Entrando nell’ingresso del piano dopo le scale si poteva andare o nel corridoio a destra o nel corridoio a sinistra. In entrambi i casi si seguiva un corridoio di classi anche se al primo piano vi è anche la direzione, al secondo la segreteria, al terzo l’infermeria e al quarto la lavanderia.

Poi vi era il piano terra, dove c’erano palestra, piscina, sala armadietti (a sinistra dell’ingresso principale) e la aula magna, dove si tenevano conferenze, spettacoli eccetera.

Infine c’era un piano sotterraneo che comprendeva tutte le aule di lingue, di informatica, di scienze e all’esterno i campi di calcio, pallavolo, tennis, basket…

E i giardini che in quel momento erano pieni zeppi di grandine.

Tolse lo sguardo dalle finestre e si riconcentrò sulla sua classe che era poco più avanti di dove si trovava lei.

Inspirò profondamente e si riincamminò.

Arrivata davanti la porta deglutì forte e dopo aver chiuso gli occhi un momento abbasso la maniglia ed entrò.

Si trovò sotto lo sguardo di tutto i suoi compagni che bisbigliavano animatamente alla vista della compagna.

Il professore seduto alla cattedra si voltò a guardarla. Era il professore di greco, un bell’uomo dai folti capelli bruni; c’è chi si chiede come mai non sia ancora sposato a trent’anni…

Il profesor Rivani guardò la ragazza con un’espressione alquanto perplessa.

“Scusi se sono stata assente…” si scusò in fretta Elena.

“Ehm, si… tu sei?” chiese dubbioso il professore.

La ragazza sgranò gli occhi

“Sono…Elena Giannetti, professore…”rispose la ragazza.

Rivani sembrò più perplesso di prima.“…Bene, Giannetti. Vai a sederti al tuo posto”

Elena obbedì e percorse la fila di banchi e sedie per raggiungere il suo posto al penultimo banco nella fila centrale. Mentre passava tra i compagni si sentiva osservata dall’intera classe compreso il professore.

Li sentiva mormorare, parlare tra di loro… Era ovvio che nessuno di loro l’aveva mai vista come era veramente.

“Ma chi ci avrebbe creduto che era così bella!”

“Ma perché si metteva quegli occhiali da topo!!”

“Oh Ragazzi, io ci provo!”

“E brava Giannetti!”

E infine…

“Quella è senza dubbio Bertha!”

La ragazza chiuse gli occhi. Non avrebbe dovuto togliersi gli occhiali! Si malediva per tutto quello che era successo, perché Ned l’aveva scoperta, perché ora tutti sapevano chi era in realtà…

“ORA BASTA!”

Era stato il professore a urlare.

“Non vedete che la vostra compagna è a disagio? Soprattutto ora che è venuta in classe senza i suoi occhiali… sono d’accordo con voi sul fatto che è veramente una bella ragazza ma ciò non toglie che ognuno deve lasciarla in pace!”

Il silenzio calò sulla classe.

Dopo lunghi minuti di silenzio si alzò un compagno della seconda fila accanto le finestre.

“Professore posso fare una domanda a Elena?”

Il professore non gli diede risposta e lui lo intese come un sì.

Si voltò verso la ragazza che era oppressa da un pesante silenzio drammatico.

Poi la domanda: “Sei tu Bertha?”

Tutti si voltarono verso di lei e la guardavano aspettando una sua risposta.

Lei si guardò le mani che tenevano la penna nera che aveva preso per prendere appunti.

Vedeva le sue compagne bisbigliare curiosissime e pazientemente in attesa.

Vedeva il compagno che le aveva chiesto se era veramente Bertha guardarla fremente per la risposta.

Vedeva gli occhi di tutti puntati su di lei.

Non ne potè più corse fuori dalla classe seguita dal professore che a metà corridoio la raggiunse prendendola per mano.

Lei piangeva e singhiozzava forte

“Perché? Non volevo che mi riconoscessero! Sono stata per anni nascosta dietro gli occhiali e invece tutto in un giorno…”

Il professore la strinse a sé e cercò di tranquillizzarla.

Dopo molto ci riuscì.

Due piani più in basso nella classe 4° E Ned era entrato ed era stato accolto da Seb che gli annunciava l’interrogazione di Francese.

“Bene…” fu la risposta sarcastica di Ned.

Entrato quel vecchio professor Zindeli con un sorriso quanto una casa pronto all’imminente strage.

Per fortuna Ned non fu interogato.

Comunque passò tutte e due le ore dell’ interrogazione a pensare a lei.

Come era possibile che in tutto quel tempo che erano stati in terrazza non si era accorto che era lei… gli sembrava impossibile eppure era così.

Tutto in un attimo l’aveva abbagliato con la sua luce splendente… Elena, che aveva conosciuto quel giorno stesso con gli occhiali, era in realtà la ragazza che disperatamente cercava…

L’aveva avuta vicina per poco più di un’ora senza sapere in realtà che era lei, Bertha, la leggenda di cui aveva bisogno… la ragazza di cui si stava innamorando…

O forse già lo era…

Da quel fatidico momento in cui l’aveva vista per la prima volta… da quell’istante in cui incontrò il suo sguardo, i suoi profondissimi occhi…

“Lascia stare Ned. Nessuno l’ ha mai trovata e non sarai certo tu a farlo. Non è che ce l’ ho con te, ma se si nasconde vuol dire che non vuole farsi vedere. Lasciamola in pace, è la cosa migliore”

Rise fra sé e sé… Seb aveva detto che non l’avrebbe trovata… e invece c’era riuscito.

Sospirò profondamente chiudendo gli occhi e cercando di ricordare ogni minimo dettaglio di Elena…

Elena Giannetti… finalmente sapeva come si chiamava… che classe frequentava.

L’aveva trovata…

L’aveva privata della sua maschera e per questo in quel momento si sentì il ragazzo più felice della terra…

…finchè il professore non gli diede un fortissimo colpo di registro in testa. Allora Ned tornò alla realtà…

Tornato a casa il ragazzo si diresse subito in camera sua. Doveva aspettare che fosse pronto da mangiare.

Si buttò sul letto ancora una volta a pensare a Elena…

Quanto era bella…

Spalancò di scatto gli occhi e si mise subito a sedere sul bordo del letto.

Si alzò e si mise a cercare sopra lo scrittoio, nel cassetto, sulla sedia. Vide pure se erano finiti soto il letto.

Doveva trovarli.

Infine alzando lo sguardo verso il mobiletto dove metteva i libri, là proprio in cima che sovrastava tutto, c’era il ritratto della ragazza.

Sorrise guardando la sua opera.

Ancora non poteva credere che gli era venuto così bene, in fondo lui non era un granchè in artistica…

Cercò ancora sopra quel mobiletto e trovò un bolcco di fogli… le varie copie di Elena.

Si sedette sul letto sfogliandole tutte e all’ ultima si fermò. Eccola. Elena Giannetti, nascosta dietro uno spesso paio di occhiali, sorrideva felice raffigurata in quel giallino foglio di carta…

“Tu come ti vesti?”

“Ma quando è la festa?”

“E’ il ventotto!”

“Oddio sono indecisa!”

“Tu con chi ci vai?”

“Ma è domani il ventotto!!!”

Ormai non si parlava d’altro che della festa del martedì grasso.

È strano che dei ragazzi di liceo si ostinino a mascherarsi per carnevale, ma come è ovvio e giusto che sia, bisogna risvegliare ogni tanto il bambino nascosto dentro di noi…

È inutile nasconderlo e negarlo. A tutti piacerebbe almeno per l’ultima volta vestirsi da carnevale.

Ned, Seb, Stefano e Pie erano seduti sui gradini di fronte al campo di calcio.

Chiacchieravano animatamente sull’imminente festa.

Seb si vergognava a morte a travestirsi. Invece Stefano e Pie non vedevano l’ora di presentarsi mascherati da qualche strano personaggio.

“Tu come ti vesti, Ned?”

“Boh…” fu la sua risposta.

“Dai! Non fare il morto come questo qua!” Stefano scosse forte Seb e cominciò a imitare la sua faccia da funerale.

Ned e Pie ridevano di gusto invece Seb non era affatto divertito.

“Avanti Seb! È carnevale!”

“Ci vado vestito da me stesso…”

“Non è che cambierebbe molto, sai?” disse Pie.

“Spiritoso…”

Comunque Ned sapeva che alla fine, convinto da loro o da Anna, Seb non sarebbe venuto vestito normalmente alla festa.

Ma la domanda più importante in quel momento era… COME SI DOVEVA VESTIRE?!?

Niente! Fino alla sera stessa della festa quella domanda martellava nella confusa testa del ragazzo.

Stava lì, davanti quell’armadio con un disperato bisogno di aiuto.

Si voltò verso Seb che era seduto sul letto concentrato su una macchia di inchiostro sul comodino.

“Cosa ne dici di aiutarmi?”

“Devi decidere tu non posso certo pensarci io al tuo posto!”

“Già, ma almeno mi dai una mano…”

Lui aveva deciso di vestirsi normalmente eccetto una maglietta nera con disegnato il busto di uno scheletro.

“Posso sapere da cosa ti sei vestito?”

La risposta non si fece attendere.

“Da una radiografia…”

Pensò che Seb fosse malato.

“Wow… emozionante…”

“Senti vedi di sbrigarti perché Anna mi aspetta alle otto e mezza là davanti!”

“Si va bene, ho capito!”

Si riconcentrò su quello che doveva scegliere.

Alla fine rimediò un travestimento che sapeva molto di punk. Gli era sempre piaciuta l’idea di vestirsi sempre tutto di nero con catene, borchie, piercing e robe varie ma se sua madre l’avesse visto conciato in quel modo, come minimo, l’avrebbe buttato fuori di casa.

Scesero in cucina dove c’era Diandra, la sorellina di sei anni di Ned. La somiglianza tra i due era impressionante, tutti e due avevano lo stesso colore dei capelli castano rossastro e degli occhi verde smeraldo che neanche a cercarli in ogni persona vivente si possono trovare.

“Ciao Birba!” Ned salutò la sorellina abbracciandola da dietro e dandole un bacio sulla guancia sinistra.

La bambina si voltò a guardarlo.

“Sei mio fratello?” Chiese dolcemente sorridendo.

“Probabilmente…” Fu la risposta di Ned.

“Quale principessa porterai al castello stasera?”

“Nessuna principessa, piccola mia. Ma riporterò un’angelo nel suo bel Paradiso…”

“Vorrei essere al posto di quell’angelo…”

“Ma tu sei la mia principessa!”

La bambina rise.

“Sei troppo bello…” Disse al fratello.

“Grazie Dia!” le diede un altro bacio e lei tornò alla sua tazza di cioccolata e al suo cartone preferito alla TV.

I ragazzi uscirono.

“Vorrei anche io un fratello o una sorella da coccolare così. E invece sono un figlio unico praticamente abbandonato dai miei genitori…” si lamentò Seb.

“Perché non gielo chiedi?”

“Cosa?”

“Un fratellino”

“Faccio prima a farmelo io…” poi dopo essere stato un attimo in silenzio disse. “Lo devo chiedere ed Anna!”

I ragazzi risero di gusto.

“Non credo che Anna possa essere tanto d’accordo!” Disse Ned ancora ridendo.

“Appena la vedo glielo chiedo!”

Ned pensò che ad Anna avrebbero dovuto fare, prima o poi, una statua d’oro a combattere contro il carattere del suo migliore amico.

Arrivarono davanti la grande palestra addobbata con coccarde e nastri colorati.

Praticamente tutti erano travestiti da streghe, cavalieri, Frankestein, scienziati pazzi e vari altri travestimenti.

C’era una strega, fuori dalla porta di ingresso, che guardava storto un’altra strega con la sua stessa gonna strappata qua e là.

Seb la raggiunse e le diede un bacio sulla bocca.

Poi le disse qualcosa all’orecchio.

La ragazza svenne.

Dopo qualche schiaffettino però si riprese e Seb si scusò dicendo che stava scherzando.

Ned lasciò perdere e cominciò a scendere i quindici gradini all’ingresso dell’enorme palestra.

C’erano già un paio di cantinaia di ragazzi e ragazze che ballavano.

Si intrufolò nella folla di ballerini e rischiò molte volte di essere investito da chi ballava troppo vivacemente.

Raggiunse il banco bibite e si prese un succo di frutta sfumato di vodka. Da lì poteva vedere tutta la sala perchà era un po’ più rialzato rispetto alla pista da ballo.

Su una grossa pedana c’era uno scienziato pazzo che giocava con i piatti e faceva ballare tutte le persone in sala.

Guardò la folla. Nessuna traccia di lei.

Era impossibile che sarebbe venuta. Non lei. Non Elena. Non Bertha.

Non sarebbe venuta alla festa anche se doveva ammettere che non gli sarebbe dispiaciuto vederla. Magari poteva veramente portarla in un castello… o nel suo bel Paradiso…

Lo raggiunsero Seb ed Anna (questa ancora un po’ sotto shock).

“Volete qualcosa?”

Anna scosse la testa e guardò la massa colorata di persone che si scatenavano.

“Io un po’ di birra!” disse Seb

“Tutto analcolico, mi spiace!” Rispose Ned

“Che palle! Boh, dammi un po’ di questa…” e si scolò il succo che Ned non aveva ancora finito.

“Buona, grazie”

“Prego, non c’è di che…” rispose sarcastico il ragazzo.

“Dai andiamo a ballare!” Anna si trascinò Seb verso la pista e cominciarono a ballare poco più in là.

Ned guardò il bicchiere vuoto che l’amico gli aveva lasciato. Ne prese un altro poco e poi raggiunse Stefano e Pie che ballavano proprio davanti la postazione del dj.

“Dov’è Seb?” Gli chiese Pie appena lo vide.

“Con Anna” gli rispose.

Il ragazzo annuì e continuò a ballare.

La festa continuò per ore e si fecero le undici passate.

Ormai Ned aveva totalmente perso la speranza di vedere la ragazza alla festa.

Il dj vedendo che erano tutti stanchi volle dare un po’ di tregua mettendo solo lenti. Infatti in pista c’erano solamente coppiette. I ballerini di prima erano tutti sul banco bibite.

Ned era con le braccia incrociate e le spalle appoggiate ad uno dei tavoli che tenevano gli strumenti del dj, dal lato opposto dell’ingresso della palestra.

A un certo punto tutti guardarono verso l’ingresso. Tutti bisbigliavano e parlavano sconvolti tra di loro all’orecchio. Il dj per capire meglio abbassò di pochissimo il volume della musica.

Ned si voltò verso Seb che era vicino le scale e lui ricambiava lo sguardo totalmente sconvolto.

Che stava succedendo?

E di colpo tutti stettero in silenzio, zittitti dalla bellezza di una figura tutta vestita di bianco.

Ned alzò gli occhi verso quella figura e la vide.

Vestita da angelo con delle ali dietro la schiena e il vestitino sopra scollato e la gonna arrivava a metà coscia.

Gli caddero le braccia.

La ragazza lo vide dalla cima delle scale e lentamente cominciò a scendere i gradini.

Mentre lo raggiungeva si apriva un varco davanti a lei che non si fermava e continuava ad andare avanti verso quel ragazzo che nervoso come era aveva trovato il coraggio di sorridere.

Si trovarono l’uno davanti all’altro.

Ned non se lo sarebbe mai aspettato.

Lentamente si avvicinò a lei.

Come era bella… Non poteva credere che quell’angelo fosse lì davanti a lui e non nel suo giusto posto in Paradiso.

Le prese i fianchi e la avvicinò a sé. Lei gli mise le braccia sulle spalle.

Si guardavano negli occhi. Si erano totalmente scordati di essere nel bel mezzo di una palestra affollata.

Ma a loro non importava.

Ormai erano abbracciati stretti e vicinissimi.

Chiusero gli occhi e si scambiarono un dolcissimo bacio appassionato. Così lungo e bello che avrebbero voluto non finisse mai…

Qualche mese dopo… (maggio)

Ned e Seb sono sotto il porticato della scuola. Il caldo è asfissiante e stare a maniche corte non basta.

“Allora Seb cos’è che mi dovevi dire?”

Seb era bianco come un cencio.

“…C-come va con Elena?” disse di getto.

“Bene, grazie… mi speghi che hai, stai male?”

Seb deglutì forte.

“Devo dirti una cosa…”

“L’ho capito questo. Dimmi, avanti”

Seb deglutì un’altra volta.

“Ned… Mia madre e Anna aspettano tutte e due un bambino…”

FINE!


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