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Autore: Anya e Dalia    31/01/2005    10 recensioni
Ogni mese...non è mai lo stesso, come ogni momento della nostra vita...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti

Salve a tutti! Le ficcy che scriveremo saranno ambientate in ogni mese dell’anno. Naturalmente sono storie nate dalla nostra fervida fantasia. Speriamo le troviate piacevoli…

Anya e Dalia (le sorelle di Never delle Royal Japan 5)

 

Gennaio

 

Ero buttato sul mio letto che guardavo il soffitto.

 

  Dovrebbe esserci stato freddo soprattutto perché era gennaio, ma chissà perché non ne avevo per nulla anzi avevo anche un po’ di caldo.

 

Sbuffando riportai il cellulare all’ orecchio.

 

  “Si scusa, Betta. Puoi ripetermi cosa hai detto? Non ho sentito.” chiesi alla ragazza dall’ altra parte dell’ apparecchio telefonico.

 

  “Ehm… si, volevo dirti che non potremo vederci per tutta la settimana perché ho un sacco di compiti e interrogazioni.” mi rispose Betta anche se sapevo già quello che mi avrebbe detto, però speravo di aver capito male.

 

  Era più di un mese che le cose andavano avanti in questo modo: lei che aveva troppo da studiare e non ci potevamo vedere mai.

 

  Le telefonate la sera non mancavano, però mi aveva stufato immaginarmela solo dalla voce che sentivo dal telefono.

 

  Buttai gli occhi al cielo, anche perché ero particolarmente nervoso quel lunedì a causa di quella maledettissima professoressa che mi aveva annunciato la mia rischiosa bocciatura.

 

Ha cominciato a deprimermi da gennaio quella disgraziata!

 

Mi ero messo di impegno per strappare a quella maledetta la media del sei!

 

  …E poi mi ero di nuovo stancato: avevo ricominciato a non stare attento in classe, picchiarmi con i miei compagni, rispondere male ai prof…

 

  Credo che tutto era dovuto al fatto che non riuscivo a vedermi con Betta: tutto per un sette al posto dei suoi soliti nove o dieci!!!

 

  Cioè, io pagherei per un sette e lei viene a farmi discorsi del tipo “Si può abbassare la mia impeccabile media scolastica!”

 

  Per carità io stimo e ammiro la mia Betta però a volte la avrei sbattuta al muro!

 

 

  Sbuffai un’ altra volta e con aria scontrosa le dissi “Però per la danza il tempo lo trovi…”.

“Cosa c’ entra la danza!?!” mi sentii rispondere al telefono.

 

  A volte mi sentivo sul serio confuso: o il cretino ero io oppure era la mia ragazza che con il troppo studio diventava sempre più scema…

 

 

  Chiusi gli occhi; la rabbia stava lentamente prendendo il sopravvento sulla ragione.

 

Decisi di lasciare perdere e la salutai con la scusa di essere stanco.

 

Buttai il cellulare da qualche parte e mi riggettai sul letto.

 

Cosa mi tratteneva dal lasciarla?

 

  Tanto se l’avessi lasciata non sarebbe cambiato nulla d’ allora: avremmo continuato a non vederci per il suo primario studio.

 

  Odiavo il suo studio, ero morbosamente invidioso di lui e del fatto che al primo posto nello vita di Betta ci fosse lui e non il sottoscritto.

 

  Odiavo quelle brevi telefonate il cui superficiale contenuto era                 l’annuncio di una settimana intera senza poterci vedere.

 

Odiavo quello scusarsi così frequente.

 

  Odiavo quel suo profumo di fiori che a causa della sua assenza svaniva sempre di più dal mio corpo e dai miei vestiti.

 

Odiavo lei e quel suo indifferente ignorarmi…

 

  Nervoso come ero e irrigidito dalla rabbia mi addormentai con questi pensieri nella testa…

 

 

 

 

  Mi svegliai la mattina dopo stanco e con delle occhiaie che, insieme a quel rivoltante pallore, avrebbero sicuramente fatto concorrenza ad un morto.

 

 

  Strano, generalmente ho un bel colorito abbronzato invece quella mattina mi si leggeva scritto in faccia che non ero riuscito a dormire un gran ché…

 

  Mi sentivo un’ enorme scritta al neon galleggiarmi sopra la testa che attirava su di me l’ attenzione di qualunque essere vivente.

 

  Perfino quel detestabile gatto che Tommy, mio fratello piccolo, un giorno trovò e portò a casa, sembrava accorgersi che la mia vita camminava storta.

 

Soprattutto quella mattina…

 

  La palla di pelo di non so quale colore strano (sicuramente non era uno solo) cominciò a strusciarsi tra le mie gambe.

 

  Appena entrai in cucina il commento di mia madre mi trafisse da capo a piedi:

 

“che cos’ hai? Non hai dormito bene stanotte?”

 

  A volte penso che i genitori, in particolare le mamme, posseggano una specie di radar che fiuta a distanza di km lo stato d’ animo dei figli.

 

E quello di mia madre, a quanto sembra, funziona a meraviglia!

 

  “No mamma, sto bene” le risposi con un tono che cercava essere convincente.

 

  Mia mamma mi lanciò una delle sue occhiate che si leggeva chiaro che diceva “lo so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi” ma lasciò perdere e la ringraziai per questo.

 

 

  Neanche a scuola andò bene e io finii dal preside per aver mollato un pugno a una mia compagna di classe.

 

Mi litigai anche col preside e vennero chiamati d’ urgenza i miei genitori.

 

Mi sospesero.

 

  In macchina mentre tornavamo a casa sembrava che si fosse spento           l’audio, nessuno parlava e questo faceva pesare ancora di più il fatto che sul serio non andava nulla per il verso giusto.

 

  Arrivati a casa mi fiondai in camera e mi buttai sul letto.

 

  Almeno quella sospensione mi portava un po’ di vacanza anche se solo per tre giorni…

 

Dopo qualche ora che ero chiuso in camera venne a bussare mia madre.

 

“che cosa c’è…” le chiesi sbuffando dal cuscino.

“C’è Betta…” mi sentii rispondere da dietro la porta.

 

  Guardai l’ orologio: erano le due passate sicuramente era uscita da scuola ed era venuta qua.

 

  Non risposi a mia madre che interpretò il mio silenzio come un assenzo e dopo poco la porta si aprì facendo entrare Betta.

 

“Ciao” mi salutò.

 

Non le risposi.

 

  Chiuse la porta alle sue spalle e si sedette sulla poltroncina davanti lo scrittoio.

 

Per un po’ non disse niente neanche lei.

 

  Stava lì, su quella poltroncina girevole un po’ a guardarsi le mani giunte poggiate sulle gambe, un po’ la mia luminosa stanza.

 

“tua madre mi ha detto che sei stato sospeso…”

“ ‘azie ma’” sbuffai nel cuscino.

“…”

“…”

 

Quel silenzio stava cominciando a infastidirmi.

 

“per quanti giorni dovrai stare a casa?”

“tre…”

“sei fortunato da un certo punto di vista.”

“ne sono contento…”

“io invece non ne posso davvero più…”

“basta parlare di scuola.”

“va bene”

 

Ero contento che almeno un po’ della solita loquacità era tornata.

 

Era bello perlare con lei sempre se evitavamo l’argomento scuola.

 

  In quel momento dovevo cercare un discorso di cui parlare, qualunque cosa…

 

  “che facciamo sabato?” le chiesi guardandola, per la prima volta quel giorno, negli occhi.

 

  Lei però contraccambiò il mio sguardo in maniera molto diversa, sembrava turbata…no! Era un po’ allibita un po’ arrabbiata.

 

“che c’è?” le domandai

“io sabato sono al matrimonio di mia sorella!”

 

Mi sedetti sul letto, di fronte a lei, turbato come la sera prima.

 

“questa la sto sapendo ora!”

“allora non mi ascolti quando parlo! È un sacco di tempo che ti ho detto questa cosa!!” stava cominciando a riscaldarsi.

 

  Se c’è una cosa che manda in bestia le ragazze è il fatto di essere ignorate o non ascoltate quando loro parlano.

 

“ma quando mai, io lo stò sentendo ora!!!”le urlai contro.

“Lo vedi, LO VEDI!?!” si mise le mani ai capelli e buttò gli occhi al cielo.

 

  “CIOÈ, MI STAI DICENDO CHE NELL’UNICO GIORNO DI QUESTA TUA STRAMALEDETTISSAIMA SETTIMANA DI STUDIO CHE POSSIAMO VEDERCI NON POSSIAMO???” sbraitai contro la ragazza.

 

“ESATTO!!!” mi urlò di rimando.

 

“BENE! ALLORA SAI CHE TI DICO? TANTO VALE CHE CI LASCIAMO TANTO NON CAMBIEREBBE NULLA DA ADESSO! CONTINUEREMO A NON VEDERCI  COME ORA!!!”

 

Lei si girò per guardarmi negli occhi e con un filo di voce mi disse:

 

“sono d’ accordo…” e detto questo uscì dalla mia camera da letto.

 

Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi. Finalmente libero!

 

Era poco più di un anno che stavo con Betta, dal gennaio precedente.

 

Molti dei miei amici, ogni volta che aprivamo l’ argomento, guardandomi mi dicevano “ che palle, cumpa’ ma perché non la molli?”

 

Per una volta mi sono sentito libero e nel giusto delle mie azioni…

In quel momento le pareti della mia camera tremarono, un vento gelido riempì la stanza e fui preso in piena faccia da una potente pallonata.

 

E proprio allora persi i sensi…

 

 

Mi ritrovai disteso sul freddo terreno di un campo di calcio.

 

  Era in corso una partita, sicuramente un’ amichevole perché nessuno aveva divise della squadra.

 

Lentamente mi alzai e mi guardai intorno.

 

Ero in un cortile pieno di ragazzi che ridevano e scherzavano tra di loro.

 

  Dapprima non ci feci caso, anche a causa di quel senso di smarrimento che mi opprimeva, ma dopo lo riconobbi: quello era il cortile della mia scuola!

 

Ma come ci ero arrivato?!?

 

Io ero sdraiato sul mio letto e mi sono ritrovato lì a scuola!

 

  Non era matematicamente possibile che in un millesimo di secondo mi fossi trovato nel lato opposto della città!

 

  Ma i miei ragionamenti furono stroncati da una seconda pallonata potentissima che non feci in tempo a schivare.

 

Mi prese in piena faccia.

 

  Stranamente non sentii né dolore né nient’ altro… anzi per la verità non sentii nemmeno il pallone sfiorarmi minimamente la faccia. Semplicemente mi passò attraverso e si schiantò contro il muro            dell’edificio scolastico.

 

Rimasi impietrito là in piedi vicino l’ area di rete.

  In quel momento sentii due ragazze ridere di gusto alle mie spalle e giustamente mi voltai pensando che ridessero per l’ espressione che avevo in volto.

 

  “ehi! vorrei vedere voi se foste prese in pieno da un pallone!!!” ma le ragazze non mi sentirono e continuarono a ridere tra loro.

 

Una di loro quasi cadde per terra dal tanto ridere invece l’altra, con le lacrime agli occhi, gridò: “Marco sei una neglia!!!” 

 

“ah, ah, ah!” risi ironicamente ma sentii qualcuno alle mie spalle fare lo stesso.

 

  Mi voltai per vedere chi aveva fatto quella risata sarcastica e lo vidi: un ragazzo che si era appena alzato da terra si stava massaggiando la schiena con un’ espressione di dolore dipinta in volto.

 

  Era abbastanza alto, con una pelle abbronzata, vestito con una maglietta bianca a maniche corte e dei pantaloncini neri.

 

  Aveva i capelli nero-pece dietro tagliati  cortissimi e davanti a caschetto che ricadevano sudati sulla fronte.

 

  Coprivano un paio di occhi verde palude e sotto di essi spiccavano delle momentanee guance rosse… causate dalle risate femminili!

 

  “non posso farci niente se e tutto bagnato per la neve di stamattina!” urlò lui di rimando contro le due ragazze che ridevano ancora.

 

Un momento io quel ragazzo… non potevo crederci: ero io!!!

 

  Mi voltai di scatto verso la ragazza che aveva urlato poco prima e la riconobbi: era Betta…

 

Come avevo fatto a non riconoscerla!

 

  Era lei, illuminata da quella risata, con quella pelle color alabastro tinta leggermente sulle gote, con quegli occhi azzurri che riflettevano il cielo e quei capelli… io li adoravo i suoi capelli:

erano lunghissimi, prima lisci e poi ondulati, biondi con qualche riflesso castano ogni tanto.

 

Era lei splendente come una stella.

 

  Se tutte le persone di questo mondo brillassero come lei allora non avremmo più bisogno del sole!    

 

  Visto che Betta continuava a ridere, quello che era me stesso le tirò un fortissima pallonata che lei riuscì a bloccare con le mani davanti la faccia.

 

  Dopo essersi ripresa qualche secondo, si alzò, ancora col pallone tra le mani.

 

  Indossava una minigonna  color panna, dei collant neri, un paio di scarpe bianche e un giubbotto bianco panna.

 

  Lasciando andare il pallone gli diede un calcio fortissimo che il ragazzo riuscì a schivare.

 

“sei un’ idiota! Ti ho detto mille volte di non tirare di punta perché ti fai male!” sbraitò quest’ ultimo contro Betta.

 

“e da quando ti preoccupi se mi faccio male o no?” chiese ridendo la ragazza.

 

Marco gettò gli occhi al cielo e si riconcentrò sulla partita.

 

Sorrisi.

 

  Ero riuscito a capire… come potevo non essermene reso conto… era lampante… a volte credo proprio di essere scemo!

 

Quel momento lo avevo già vissuto… poco più di un anno fa…

 

 

  -Come è possibile? Sempre a litigare! Non ne posso davvero più! Io non vorrei litigare! Non è quello che voglio! Ma perché non lo capisce? Dico: non è scema  e l’ intelligenza non le manca per niente! E invece no! Deve andare dietro a quello sciupa femmine di Alberto! Non mi piace proprio! Ma anche se lo volessi noi continueremmo così all’ infinito…-

 

  Mi avvicinai alla ringhiera che costeggiava il tetto del grande istituto che era la mia scuola.

 

Faceva un freddo boia.

 

  Mi strinsi nel giubbotto pesante e guardai le nuvole che mosse dal vento si muovevano sopra la mia testa.

 

Si vedevano in lontananza le montagne con le vette innevate.

 

  Quanto mi sarebbe piaciuto andarci, poter scivolare tra la neve e poterla tirare addosso agli altri.

 

Non lo facciamo da tempo, io e la mia famiglia…

 

 

Era una bella mattinata quella, il cielo era di un azzurro bellissimo.

 

  Guardai in basso: i miei compagni di scuola erano giù per la ricreazione.

 

  Io invece ero lì; su quel tetto, solitario, dopo una delle più brucianti litigate con Betta…

 

Non ricordo neanche perché avevamo litigato!

 

Non c’ era mai un motivo importante, partivamo sempre da sciocchezze!

 

 

Dopo poco la vidi: correva ridendo con la sua amica Francy.

 

  A lei non rimaneva nulla, non le importava nulla, e per quanto ne sapessi non le importava nulla di me…

 

  Chissà come sarebbe stato essere suo compagno di classe, forse avremmo potuto essere molto più vicini…

 

  Invece dovevo accontentarmi di un rapporto che includeva solo litigate e prese a parolacce!

 

  Me l’avevano presentata poco tempo prima e l’ odio che provai la prima volta che la vidi si mescolava all’amore che piano piano cresceva e si avvampava in me.

 

  Come una macchia d’ olio: prima una goccia, poi piano cresceva così tanto da prendermi tutto.

 

Ecco come potevo descrivere l’ amore e l’ odio che provavo per lei.

 

La odiavo e la amavo contemporaneamente. 

 

  Mi diedi dello stupido idiota e, suonata la campanella, me ne ritornai in classe.

 

 

“cosa?”

“non hai sentito?”

“no!”

“e invece si!”

“ma chi, Alberto Corsini della 3° A?”

“si, si proprio lui!”

“ma a chi si è dichiarato, scusa?”

“ non ricordo…una della 3°C credo…”

“non lo sai? A Elisabetta Formati…”

 

  Mi bloccai in quel corridoio con gli occhi sbarrati e improvvisamente diventato bianco come un cencio…

 

  Lentamente rivolsi lo sguardo verso quelle cinque ragazze che sparlavano tra loro.

 

Non lo avessi mai fatto!

 

  Quello, se non sbagliavo, era un fan club che avevano fondato alcune ragazze della mia scuola su di me!

 

Una di loro svenne.

 

Me la svignai a gambe levate ed entrai in classe.

 

  Mi sedetti davanti il mio banco e cominciai a ripassare gli appunti di storia.

 

  In quel momento mi si avvicinò Baza, il mio migliore amico, e sconvolto mi chiese

“che stai facendo!?!”

“studio…”

“tu stai male… è per Betta?”

“no… é per l’ interrogazione”

“ah…”

“dai non è una tragedia se studio!”

“io credo proprio di si!”

 

Lo ignorai e continuai a ripassare.

 

  Ma in quel momento Betta si era avvicinata alla nostra classe e tutti i presenti le fecero l’ applauso tranne Baza e io.

 

Non distolsi neanche lo sguardo dai miei appunti per guardarla.

 

  Baza si allontanò per parlare con un amico di un’ altra classe e io rimasi solo coi miei appunti.

 

Betta riuscì a sgomitare tra la folla soprattutto di ragazze che                       l’acclamavano e rimase fuori in corridoio con Francy.

 

Sentivo che lei mi stava guardando ma feci finta di nulla.

 

Probabilmente era scioccata anche lei del fatto che stavo studiando.

 

Si avvicinarono a lei alcune ragazze curiose che volevano saper i dettagli.

 

“niente…” la sentii rispondere “ semplicemente gli ho detto no”

 

Sgranai gli occhi.

 

“no?! ma perché?”

“sareste stati perfetti insieme!”

“lui è il ragazzo più carino di tutto l’ istituto”

 

e poi a bassa voce ne sentii una bisbigliare “ a parte Marco…”

 

  Le sentii ridere ma io feci finta di nulla: ero troppo sconvolto dalla notizia del rifiuto di Betta alla dichiarazione di quello smorfioso di Corsini.

 

Entrò la professoressa e ogni pettegolezzo fu rimandato al dopo.

 

 

Non mi sembrava vero.

 

No, non era vero.

 

Non era possibile! Betta voleva quell’ Alberto Corsini.

 

Lo sapevo per certo perché l’ avevo sentito che lo diceva alla sua amica.

 

  Quella volta  io stavo per entrare nella classe e lei era fuori nel corridoio che parlava con Francy e la sentii distintamente dire

 

“mi piace veramente un sacco ma come fa a non accorgersene!”

“e perché non glielo dici?”

“ma sei scema!?!”

 

  Quando mi avvicinai loro si zittirono ed entrai perché si era messo a squillare il mio cellulare che era nel mio zaino dentro la classe anche se non feci in tempo a prendere la chiamata.

 

Mentre giocherellavo con i pulsanti del telefono chiesi loro

 

“di chi parlavate?”

“che te ne fr…” stava per continuare ma l’ altra ragazza rispose al posto suo.

 

“di Alberto Corsini, lo conosci? E’ quello della 3°A”

“mmh si ne ho sentito parlare…”

 

  E detto questo mi allontanai componendo il numero per la telefonata che dovevo fare.

 

  Ecco perché ero sicuro al cento per cento che lei non avrebbe mai rifiutato una dichiarazione di Corsini.

 

 

Passeggiavo per il corridoio diretto alla terrazza.

 

  Tutti erano ancora giù per la ricreazione e io come sempre volevo stare solo.

 

  Arrivai in terrazza e dopo essermi sporto un poco dal parapetto per guardare giù, mi accorsi che non ero solo.

 

  Una ragazza bionda con i capelli ondulati che si muovevano ad ogni soffio del vento gelido di gennaio era anche lei affacciata un po’ più in là che guardava il cortile e il paesaggio urbano che circondava l’ istituto.

 

  Si stringeva sempre più nel suo giubotto color panna e una nuvoletta di vapore usciva leggera dalla sua bocca ogni qual volta la apriva.

 

  Il cuore cominciò a battermi così forte nel petto che avevo paura che volesse scoppiare: era Betta.

 

  Feci finta di non essermi accorto della sua presenza e tornai a guardare giù.

 

  “che ci fai qui?”sentii la sua voce dolce accanto a me ed era veramente accanto a me.

 

  Respirai profondamente l’aria e il suo profumo di fiori che invase le mie narici.

 

  Avevo paura di espirare perché l’ avrei lasciato andare via e non volevo che ciò accadesse.

 

“ciao” le risposi “ e tu invece cosa ci fai qua?”

“guardo il panorama…E’ un posto così tranquillo questo. Ci vengo spesso

qui”

“ non si direbbe che ami la tranquillità…”

“magari non sarò tranquilla io, però la tranquillità intesa come posti silenziosi e solitari”

“vuoi che me ne vada?”

“no… non mi dai fastidio”

 

 

Restammo in silenzio per un po’ anche se io volevo parlare.

 

Volevo chiederle perché aveva rifiutato Corsini… ma non potevo.

 

  Probabilmente se gliel’ avessi chiesto avrebbe capito quali erano i veri sentimenti che provavo per lei ed era l’ ultima cosa che volevo che accadesse.

 

Ma decisi di rischiare…

 

“ho sentito dire che hai rifiutato la dichiarazione di Alberto Corsini”

“mi sono sempre chiesta come fanno a circolare così velocemente le voci in un istituto scolastico…”

“è vero?”

 

Non mi rispose.

 

“allora?”

 

Silenzio.

 

“oh, ma mi ascolti!”

 

Si voltò a guardarmi.

 

“non sono affari che ti riguardano!”

 

Sembrava un po’ arrabbiata.

 

“giusto!” ripresi “tanto cosa me ne può fregare a me!”

 

Lei sembrava arrabbiata… io lo ero sul serio!

 

Mi rivolse un’ occhiata storta e alquanto irritata.

 

“ma si può sapere che cosa vuoi?”

“te l’ ho già detto: voglio sapere perché hai detto ‘no’ a Corsini!”

 

Stavamo urlando anche se eravamo a un metro di distanza l’uno dall’altra…

 

“a te non deve fregare un’ accidenti di quello che mi accade!”

“ma non sto chiedendo chissà che cosa…”

 

Mi guardò ancora con quell’ espressione arrabbiata.

 

“mi piace un’ altro, ma chi sia non ti riguarda!!!”

 

  Si voltò e fece per andarsene ma di scatto le presi con la mano destra  il polso sinistro e la girai in modo che potessi guardarla negli occhi.

 

  Con la mano libera le presi il fianco e la avvicinai a me; eravamo così vicini che mi sembrava di annegare nell’ azzurro dei suoi occhi.

Ero totalmente inebriato dal suo dolce profumo di fiori.

 

Non resistevo più.

 

Lei avrebbe potuto mallarmi quanti schiaffi voleva.

 

Ma dovevo.

 

Non potevo più resistere…

 

La baciai.

 

Prima un bacio profondo anche se dolce e somplice.

 

  Dopo aver assaggiato e assaporato il suo sapore di fragola mi staccai per riprendere fiato.

 

  Poi un’ altro più appassionato e così via non curante della campanella che suonava e della nuova ora che arrivava, continuai a baciarla e tenerla sempre stretta a me.

 

Ma lei non sembrava volersi allontanare.

 

  Smisi di baciarla e l’ abbracciai ma mi staccai quasi subito e andai ad appoggiarmi alla ringhiera del terrazzo.

 

Non potevo crederci che ci ero riuscito!

 

  L’avevo baciata e sorrisi facendomi accarezzare il viso da quel venticello prima gelido ora fresco e piacevole.

 

Lei mi si avvicinò e si appoggiò anch’ essa alla ringhiera.

 

  Quanto avevo lottato per resistere a quello che avevo appena fatto! A urlarle parolaccie al posto di ‘ti amo’… A litigare al posto che cercare di dichiararmi…

 

Mi misi a ridere sentendomi un cretino di prima categoria!

 

  Mi voltai a guardarla e mi misi a ridere ancora di più… lei assunse un’esprsessione che diceva chiaro ‘non ci sto capendo molto’.

 

Mi avvicinai a lei ancora sorridendo e le dissi

 

“lo sai perché rido?”

“no, perché?”

“perché ti amo… e sono stato per tutto questo tempo a urlarti contro frasi senza senso, a litigare con te per non fartelo capire…” riuscii a dire tra le risate.

 

Lei abbassando lo sguardo arrossì e mi chiese

 

“e tu vuoi sapere chi è il ragazzo che mi piace?”

 

Smisi di ridere perché lei sembrava seria.

 

Il colmo sarebbe stato che mi diceva ‘Alberto Corsini’ o qualcun’ altro…

 

“ sei tu” rispose.

 

Mi ritornò il sorriso.

 

La presi per i fianchi e la sollevai in aria facendola volteggiare  in alto.

 

Alto era il mio cuore tanto che volava.

 

Volavamo insieme io e lei dove solo gli innamorati possono andare, come dissero un libro e un film, un posto più alto del cielo, circa tre metri sopra di esso…

 

Io guardavo quella scena da un punto impreciso di quella terrazza.

 

Ricordandomi di  quei forti sentimenti che ho provato per Betta.

 

Ripensando a tutti quei momenti passati insieme da fidanzati…

 

  Continuai a guardare il sorriso che illuminava i volti di quei due ragazzi che eravamo io e Betta…

 

  Non aveva senso rivivere quelle scene se ormai con lei era tutto finito e non c’ era più nulla da fare.

 

Ci eravamo lasciati e non saremmo ritornati più insieme…

 

  Mentre osservavo, sapendo che non potevo essere visto, quei due che continuavano a baciarsi abbracciati stretti, mi si affuscò la vista e mi ritrovai nella classe di Betta che era deserta.

 

  Stavamo mangiando una montagna di cioccolattini da dentro una scatola a forma di cuore e avevamo riempito il banco di un sacco di cartine di cioccolattini.

 

San Valentino.

 

  Ridendo lei ne prese uno e me lo mise in bocca, ma io già ne avevo uno così mi affogai e cominciai a tossire con Betta accanto a me che rideva come una matta.

 

Quando mi ripresi un poco dai colpi di tosse la gurdai malissimo; le presi i polsi e la bloccai al muro.

 

La baciai dimenticandomi dei cioccolattini abbandonati sul banco.

 

 

 

  E ancora, mentre li guardavo si appannò la mia vista e mi ritrovai ai bordi di una piscina e in acqua c’erano solo due ragazzi che si schizzavano l’acqua a vicenda, ridendo come matti che quasi affogavano.

 

Mi guardai intorno: quella era la villa estiva di Betta.

 

  Quel giorno mi aveva invitato per tutta la giornata a passarlo con lei in quella villa stupenda che sembrava un paradiso.

 

  Sorrisi ancora guardandoli mentre cercavano di annegarsi trascinandosi sott’acqua.

 

Poi lui la tirò a se e la baciò appassionatamente.

 

 

 

  Mi si offuscò di nuvo la vista e mi ritrovai in mezzo a una piazza piena di neve.

 

Essa era deserta però per le strade circolava qualche macchina.

 

  Sulla vetrina di un grande negozio lampeggiava la scritta ‘MERRY CHRISTMAS!’

 

Era Natale.

 

Ed eccoli, sempre loro.

 

Imbacuccati con guanti, sciarpe e cappellini per il freddo.

 

  Si stavano scambiando i regali: lui uscì da un grande sacchetto un mega orsacchiottone pelouche con un fiocchettino sotto il muso tenerissimo.

 

Lei fece una faccia scioccata e strinse il mega pelouche sorridendo.

 

Poi si gettò al collo del ragazzo e cominciò a riempirgli di baci la guancia.

 

  Anche lui ricevette il suo regalo: i cd mancanti della collezione del suo gruppo preferito.

 

  Risi pensando alla mia completa collezione sistemata nello scaffale sopra la scrivania nella mia camera da letto.

 

  E ancora una volta si annebbiò la vista e mi ritrovai prima al mio e poi al suo compleanno, a ferr’agosto passato sulla spiaggia coi nostri amici a ballare e cantare attorno al falò; al suo saggio; ai risultati delle pagelline…

 

Per l’ennesima volta mi ritrovai in un posto diverso.

 

Stavolta ero in una camera da letto: la mia camera da letto.

 

“gulm!” deglutii forte.

 

Questa non me l’ aspettavo…

 

  Mi vidi baciarla dolcemente nel collo mentre lei mi abbracciava tenendo gli occhi chiusi con un’ espressione beata.

 

Sorrisi.

 

La nostra prima volta.

 

Mi vidi toglierle lentamente la maglietta e lei toglierla a me.

 

Mi vidi sfilarle la gonna e lei rimanere quasi nuda, mentre io avevo i jeans.

 

Mi vidi farla sdraiare sul mio letto e io sopra di lei.

 

  Mi emozionai anch’ io: non avrei mai potuto scordare quell’ eccitazione intensa che provai a vederla nuda stretta tra le mie braccia.

 

Lei era lì ed era stata mia.

 

Mia, solo mia e di nessun altro…

 

Ero stato un cretino a lasciarla!

 

Mi sentivo un emerito idiota.

 

Come mi è potuto passare dalla testa solo il pensiero di lasciarla?

 

Io la amavo e non potevo fare a meno di lei.

 

 

Mi ritrovai seduto sul letto della mia camera.

 

Ero tornato al presente.

 

  In quel momento sentii la porta di casa sbattere. Era lei, Betta, che era appena uscita.

 

  Corsi fuori dalla porta, superai mia madre che con espressione preoccupata mi disse

 

  “che cosa sta succedendo, Marco! Betta è appena uscita di casa piangendo!”

 

Uscii di corsa fuori di casa e la cercai con lo sguardo.

 

La vidi.

 

Camminava velocemente coprendosi dal freddo con la sciarpa.

 

Stava nevicando.

 

Le corsi dietro e quando la raggiunsi la afferrai per il polso e la voltai.

 

Le lacrime le bagnavano tutte le guancie.

 

La abbracciai forte e lei si fece abbracciare.

 

  Mi allontanai quanto bastava per guardarle quegli occhi azzurri in quel momento bagnati di lacrime.

 

  “ti amo Betta e non potrei mai lasciarti. Ho fatto una cavolata e mi dispiace. Spero che tu possa perdonarmi! Non riesco a stare senza di te…”

 

Dopo averla guardata ancora negli occhi, mi avvicinai a lei e la baciai.

 

Potevo sentire il suo buon profumo di fiori.

 

Potevo assaporare il suo sapore di fragola.

 

Potevo stringerla tra le braccia…

 

La amavo ed era la cosa più importante della mia vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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