Salve
a tutti! Le ficcy che scriveremo saranno ambientate in ogni mese dell’anno.
Naturalmente sono storie nate dalla nostra fervida fantasia. Speriamo le
troviate piacevoli…
Anya e Dalia
(le sorelle di Never delle Royal Japan 5)
Gennaio
Ero
buttato sul mio letto che guardavo il soffitto.
Dovrebbe esserci stato freddo soprattutto
perché era gennaio, ma chissà perché non ne avevo per nulla anzi avevo anche un
po’ di caldo.
Sbuffando
riportai il cellulare all’ orecchio.
“Si scusa, Betta. Puoi ripetermi cosa hai
detto? Non ho sentito.” chiesi alla ragazza dall’ altra parte dell’ apparecchio
telefonico.
“Ehm… si, volevo dirti che non potremo
vederci per tutta la settimana perché ho un sacco di compiti e interrogazioni.”
mi rispose Betta anche se sapevo già quello che mi avrebbe detto, però speravo
di aver capito male.
Era più di un mese che le cose andavano
avanti in questo modo: lei che aveva troppo da studiare e non ci potevamo
vedere mai.
Le telefonate la sera non mancavano, però mi
aveva stufato immaginarmela solo dalla voce che sentivo dal telefono.
Buttai gli occhi al cielo, anche perché ero
particolarmente nervoso quel lunedì a causa di quella maledettissima
professoressa che mi aveva annunciato la mia rischiosa bocciatura.
Ha
cominciato a deprimermi da gennaio quella disgraziata!
Mi
ero messo di impegno per strappare a quella maledetta la media del sei!
…E poi mi ero di nuovo stancato: avevo
ricominciato a non stare attento in classe, picchiarmi con i miei compagni,
rispondere male ai prof…
Credo che tutto era dovuto al fatto che non
riuscivo a vedermi con Betta: tutto per un sette al posto dei suoi soliti nove
o dieci!!!
Cioè, io pagherei per un sette e lei viene a
farmi discorsi del tipo “Si può abbassare la mia impeccabile media scolastica!”
Per carità io stimo e ammiro la mia Betta
però a volte la avrei sbattuta al muro!
Sbuffai un’ altra volta e con aria scontrosa
le dissi “Però per la danza il tempo lo trovi…”.
“Cosa
c’ entra la danza!?!” mi sentii rispondere al telefono.
A volte mi sentivo sul serio confuso: o il
cretino ero io oppure era la mia ragazza che con il troppo studio diventava
sempre più scema…
Chiusi gli occhi; la rabbia stava lentamente
prendendo il sopravvento sulla ragione.
Decisi
di lasciare perdere e la salutai con la scusa di essere stanco.
Buttai
il cellulare da qualche parte e mi riggettai sul letto.
Cosa
mi tratteneva dal lasciarla?
Tanto se l’avessi lasciata non sarebbe
cambiato nulla d’ allora: avremmo continuato a non vederci per il suo primario
studio.
Odiavo il suo studio, ero morbosamente
invidioso di lui e del fatto che al primo posto nello vita di Betta ci fosse
lui e non il sottoscritto.
Odiavo quelle brevi telefonate il cui
superficiale contenuto era l’annuncio di una settimana intera
senza poterci vedere.
Odiavo
quello scusarsi così frequente.
Odiavo quel suo profumo di fiori che a causa
della sua assenza svaniva sempre di più dal mio corpo e dai miei vestiti.
Odiavo
lei e quel suo indifferente ignorarmi…
Nervoso come ero e irrigidito dalla rabbia
mi addormentai con questi pensieri nella testa…
אּ
Mi svegliai la mattina dopo stanco e con
delle occhiaie che, insieme a quel rivoltante pallore, avrebbero sicuramente
fatto concorrenza ad un morto.
Strano, generalmente ho un bel colorito
abbronzato invece quella mattina mi si leggeva scritto in faccia che non ero
riuscito a dormire un gran ché…
Mi sentivo un’ enorme scritta al neon
galleggiarmi sopra la testa che attirava su di me l’ attenzione di qualunque
essere vivente.
Perfino quel detestabile gatto che Tommy,
mio fratello piccolo, un giorno trovò e portò a casa, sembrava accorgersi che
la mia vita camminava storta.
Soprattutto
quella mattina…
La palla di pelo di non so quale colore
strano (sicuramente non era uno solo) cominciò a strusciarsi tra le mie gambe.
Appena entrai in cucina il commento di mia
madre mi trafisse da capo a piedi:
“che
cos’ hai? Non hai dormito bene stanotte?”
A volte penso che i genitori, in particolare
le mamme, posseggano una specie di radar che fiuta a distanza di km lo stato d’
animo dei figli.
E
quello di mia madre, a quanto sembra, funziona a meraviglia!
“No mamma, sto bene” le risposi con un tono
che cercava essere convincente.
Mia mamma mi lanciò una delle sue occhiate
che si leggeva chiaro che diceva “lo so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi” ma
lasciò perdere e la ringraziai per questo.
Neanche a scuola andò bene e io finii dal
preside per aver mollato un pugno a una mia compagna di classe.
Mi
litigai anche col preside e vennero chiamati d’ urgenza i miei genitori.
Mi
sospesero.
In macchina mentre tornavamo a casa sembrava
che si fosse spento l’audio,
nessuno parlava e questo faceva pesare ancora di più il fatto che sul serio non
andava nulla per il verso giusto.
Arrivati a casa mi fiondai in camera e mi
buttai sul letto.
Almeno quella sospensione mi portava un po’
di vacanza anche se solo per tre giorni…
Dopo
qualche ora che ero chiuso in camera venne a bussare mia madre.
“che
cosa c’è…” le chiesi sbuffando dal cuscino.
“C’è
Betta…” mi sentii rispondere da dietro la porta.
Guardai l’ orologio: erano le due passate
sicuramente era uscita da scuola ed era venuta qua.
Non risposi a mia madre che interpretò il
mio silenzio come un assenzo e dopo poco la porta si aprì facendo entrare
Betta.
“Ciao”
mi salutò.
Non
le risposi.
Chiuse la porta alle sue spalle e si sedette
sulla poltroncina davanti lo scrittoio.
Per
un po’ non disse niente neanche lei.
Stava lì, su quella poltroncina girevole un
po’ a guardarsi le mani giunte poggiate sulle gambe, un po’ la mia luminosa
stanza.
“tua
madre mi ha detto che sei stato sospeso…”
“
‘azie ma’” sbuffai nel cuscino.
“…”
“…”
Quel
silenzio stava cominciando a infastidirmi.
“per
quanti giorni dovrai stare a casa?”
“tre…”
“sei
fortunato da un certo punto di vista.”
“ne
sono contento…”
“io
invece non ne posso davvero più…”
“basta
parlare di scuola.”
“va
bene”
Ero
contento che almeno un po’ della solita loquacità era tornata.
Era
bello perlare con lei sempre se evitavamo l’argomento scuola.
In quel momento dovevo cercare un discorso
di cui parlare, qualunque cosa…
“che facciamo sabato?” le chiesi
guardandola, per la prima volta quel giorno, negli occhi.
Lei però contraccambiò il mio sguardo in
maniera molto diversa, sembrava turbata…no! Era un po’ allibita un po’
arrabbiata.
“che
c’è?” le domandai
“io
sabato sono al matrimonio di mia sorella!”
Mi
sedetti sul letto, di fronte a lei, turbato come la sera prima.
“questa
la sto sapendo ora!”
“allora
non mi ascolti quando parlo! È un sacco di tempo che ti ho detto questa cosa!!”
stava cominciando a riscaldarsi.
Se c’è una cosa che manda in bestia le
ragazze è il fatto di essere ignorate o non ascoltate quando loro parlano.
“ma
quando mai, io lo stò sentendo ora!!!”le urlai contro.
“Lo
vedi, LO VEDI!?!” si mise le mani ai capelli e buttò gli occhi al cielo.
“CIOÈ, MI STAI DICENDO CHE NELL’UNICO GIORNO
DI QUESTA TUA STRAMALEDETTISSAIMA SETTIMANA DI STUDIO CHE POSSIAMO VEDERCI NON
POSSIAMO???” sbraitai contro la ragazza.
“ESATTO!!!”
mi urlò di rimando.
“BENE!
ALLORA SAI CHE TI DICO? TANTO VALE CHE CI LASCIAMO TANTO NON CAMBIEREBBE NULLA
DA ADESSO! CONTINUEREMO A NON VEDERCI
COME ORA!!!”
Lei
si girò per guardarmi negli occhi e con un filo di voce mi disse:
“sono
d’ accordo…” e detto questo uscì dalla mia camera da letto.
Mi
buttai sul letto e chiusi gli occhi. Finalmente libero!
Era
poco più di un anno che stavo con Betta, dal gennaio precedente.
Molti
dei miei amici, ogni volta che aprivamo l’ argomento, guardandomi mi dicevano “
che palle, cumpa’ ma perché non la molli?”
Per
una volta mi sono sentito libero e nel giusto delle mie azioni…
In
quel momento le pareti della mia camera tremarono, un vento gelido riempì la
stanza e fui preso in piena faccia da una potente pallonata.
E
proprio allora persi i sensi…
אּ
Mi
ritrovai disteso sul freddo terreno di un campo di calcio.
Era in corso una partita, sicuramente un’
amichevole perché nessuno aveva divise della squadra.
Lentamente
mi alzai e mi guardai intorno.
Ero
in un cortile pieno di ragazzi che ridevano e scherzavano tra di loro.
Dapprima non ci feci caso, anche a causa di
quel senso di smarrimento che mi opprimeva, ma dopo lo riconobbi: quello era il
cortile della mia scuola!
Ma
come ci ero arrivato?!?
Io
ero sdraiato sul mio letto e mi sono ritrovato lì a scuola!
Non era matematicamente possibile che in un
millesimo di secondo mi fossi trovato nel lato opposto della città!
Ma i miei ragionamenti furono stroncati da
una seconda pallonata potentissima che non feci in tempo a schivare.
Mi
prese in piena faccia.
Stranamente non sentii né dolore né nient’
altro… anzi per la verità non sentii nemmeno il pallone sfiorarmi minimamente
la faccia. Semplicemente mi passò attraverso e si schiantò contro il muro dell’edificio scolastico.
Rimasi
impietrito là in piedi vicino l’ area di rete.
In quel momento sentii due ragazze ridere di
gusto alle mie spalle e giustamente mi voltai pensando che ridessero per l’
espressione che avevo in volto.
“ehi! vorrei vedere voi se foste prese in
pieno da un pallone!!!” ma le ragazze non mi sentirono e continuarono a ridere
tra loro.
Una
di loro quasi cadde per terra dal tanto ridere invece l’altra, con le lacrime
agli occhi, gridò: “Marco sei una neglia!!!”
“ah,
ah, ah!” risi ironicamente ma sentii qualcuno alle mie spalle fare lo stesso.
Mi voltai per vedere chi aveva fatto quella
risata sarcastica e lo vidi: un ragazzo che si era appena alzato da terra si
stava massaggiando la schiena con un’ espressione di dolore dipinta in volto.
Era abbastanza alto, con una pelle
abbronzata, vestito con una maglietta bianca a maniche corte e dei pantaloncini
neri.
Aveva i capelli nero-pece dietro
tagliati cortissimi e davanti a
caschetto che ricadevano sudati sulla fronte.
Coprivano un paio di occhi verde palude e
sotto di essi spiccavano delle momentanee guance rosse… causate dalle risate
femminili!
“non posso farci niente se e tutto bagnato
per la neve di stamattina!” urlò lui di rimando contro le due ragazze che
ridevano ancora.
Un
momento io quel ragazzo… non potevo crederci: ero io!!!
Mi voltai di scatto verso la ragazza che
aveva urlato poco prima e la riconobbi: era Betta…
Come
avevo fatto a non riconoscerla!
Era lei, illuminata da quella risata, con
quella pelle color alabastro tinta leggermente sulle gote, con quegli occhi
azzurri che riflettevano il cielo e quei capelli… io li adoravo i suoi capelli:
erano
lunghissimi, prima lisci e poi ondulati, biondi con qualche riflesso castano
ogni tanto.
Era
lei splendente come una stella.
Se tutte le persone di questo mondo
brillassero come lei allora non avremmo più bisogno del sole!
Visto che Betta continuava a ridere, quello
che era me stesso le tirò un fortissima pallonata che lei riuscì a bloccare con
le mani davanti la faccia.
Dopo essersi ripresa qualche secondo, si
alzò, ancora col pallone tra le mani.
Indossava una minigonna color panna, dei collant neri, un paio di
scarpe bianche e un giubbotto bianco panna.
Lasciando andare il pallone gli diede un
calcio fortissimo che il ragazzo riuscì a schivare.
“sei
un’ idiota! Ti ho detto mille volte di non tirare di punta perché ti fai male!”
sbraitò quest’ ultimo contro Betta.
“e
da quando ti preoccupi se mi faccio male o no?” chiese ridendo la ragazza.
Marco
gettò gli occhi al cielo e si riconcentrò sulla partita.
Sorrisi.
Ero riuscito a capire… come potevo non
essermene reso conto… era lampante… a volte credo proprio di essere scemo!
Quel
momento lo avevo già vissuto… poco più di un anno fa…
-Come è possibile? Sempre a litigare! Non ne
posso davvero più! Io non vorrei litigare! Non è quello che voglio! Ma perché
non lo capisce? Dico: non è scema e l’
intelligenza non le manca per niente! E invece no! Deve andare dietro a quello
sciupa femmine di Alberto! Non mi piace proprio! Ma anche se lo volessi noi
continueremmo così all’ infinito…-
Mi avvicinai alla ringhiera che costeggiava
il tetto del grande istituto che era la mia scuola.
Faceva
un freddo boia.
Mi strinsi nel giubbotto pesante e guardai
le nuvole che mosse dal vento si muovevano sopra la mia testa.
Si
vedevano in lontananza le montagne con le vette innevate.
Quanto mi sarebbe piaciuto andarci, poter
scivolare tra la neve e poterla tirare addosso agli altri.
Non
lo facciamo da tempo, io e la mia famiglia…
Era
una bella mattinata quella, il cielo era di un azzurro bellissimo.
Guardai in basso: i miei compagni di scuola
erano giù per la ricreazione.
Io invece ero lì; su quel tetto, solitario,
dopo una delle più brucianti litigate con Betta…
Non
ricordo neanche perché avevamo litigato!
Non
c’ era mai un motivo importante, partivamo sempre da sciocchezze!
Dopo
poco la vidi: correva ridendo con la sua amica Francy.
A lei non rimaneva nulla, non le importava
nulla, e per quanto ne sapessi non le importava nulla di me…
Chissà come sarebbe stato essere suo
compagno di classe, forse avremmo potuto essere molto più vicini…
Invece dovevo accontentarmi di un rapporto
che includeva solo litigate e prese a parolacce!
Me l’avevano presentata poco tempo prima e
l’ odio che provai la prima volta che la vidi si mescolava all’amore che piano
piano cresceva e si avvampava in me.
Come una macchia d’ olio: prima una goccia,
poi piano cresceva così tanto da prendermi tutto.
Ecco
come potevo descrivere l’ amore e l’ odio che provavo per lei.
La
odiavo e la amavo contemporaneamente.
Mi diedi dello stupido idiota e, suonata la
campanella, me ne ritornai in classe.
אּ
“cosa?”
“non
hai sentito?”
“no!”
“e
invece si!”
“ma
chi, Alberto Corsini della 3° A?”
“si,
si proprio lui!”
“ma
a chi si è dichiarato, scusa?”
“
non ricordo…una della 3°C credo…”
“non
lo sai? A Elisabetta Formati…”
Mi bloccai in quel corridoio con gli occhi
sbarrati e improvvisamente diventato bianco come un cencio…
Lentamente rivolsi lo sguardo verso quelle
cinque ragazze che sparlavano tra loro.
Non
lo avessi mai fatto!
Quello, se non sbagliavo, era un fan club
che avevano fondato alcune ragazze della mia scuola su di me!
Una
di loro svenne.
Me
la svignai a gambe levate ed entrai in classe.
Mi sedetti davanti il mio banco e cominciai
a ripassare gli appunti di storia.
In quel momento mi si avvicinò Baza, il mio
migliore amico, e sconvolto mi chiese
“che
stai facendo!?!”
“studio…”
“tu
stai male… è per Betta?”
“no…
é per l’ interrogazione”
“ah…”
“dai
non è una tragedia se studio!”
“io
credo proprio di si!”
Lo
ignorai e continuai a ripassare.
Ma in quel momento Betta si era avvicinata
alla nostra classe e tutti i presenti le fecero l’ applauso tranne Baza e io.
Non
distolsi neanche lo sguardo dai miei appunti per guardarla.
Baza si allontanò per parlare con un amico
di un’ altra classe e io rimasi solo coi miei appunti.
Betta
riuscì a sgomitare tra la folla soprattutto di ragazze che l’acclamavano e rimase
fuori in corridoio con Francy.
Sentivo
che lei mi stava guardando ma feci finta di nulla.
Probabilmente
era scioccata anche lei del fatto che stavo studiando.
Si
avvicinarono a lei alcune ragazze curiose che volevano saper i dettagli.
“niente…”
la sentii rispondere “ semplicemente gli ho detto no”
Sgranai
gli occhi.
“no?!
ma perché?”
“sareste
stati perfetti insieme!”
“lui
è il ragazzo più carino di tutto l’ istituto”
e
poi a bassa voce ne sentii una bisbigliare “ a parte Marco…”
Le sentii ridere ma io feci finta di nulla:
ero troppo sconvolto dalla notizia del rifiuto di Betta alla dichiarazione di
quello smorfioso di Corsini.
Entrò
la professoressa e ogni pettegolezzo fu rimandato al dopo.
Non
mi sembrava vero.
No,
non era vero.
Non
era possibile! Betta voleva quell’ Alberto Corsini.
Lo
sapevo per certo perché l’ avevo sentito che lo diceva alla sua amica.
Quella volta io stavo per entrare nella classe e lei era fuori nel corridoio
che parlava con Francy e la sentii distintamente dire
“mi piace veramente un sacco
ma come fa a non accorgersene!”
“e perché non glielo dici?”
“ma sei scema!?!”
Quando mi avvicinai loro si zittirono ed
entrai perché si era messo a squillare il mio cellulare che era nel mio zaino
dentro la classe anche se non feci in tempo a prendere la chiamata.
Mentre
giocherellavo con i pulsanti del telefono chiesi loro
“di
chi parlavate?”
“che
te ne fr…” stava per continuare ma l’ altra ragazza rispose al posto suo.
“di
Alberto Corsini, lo conosci? E’ quello della 3°A”
“mmh
si ne ho sentito parlare…”
E detto questo mi allontanai componendo il
numero per la telefonata che dovevo fare.
Ecco perché ero sicuro al cento per cento
che lei non avrebbe mai rifiutato una dichiarazione di Corsini.
אּ
Passeggiavo
per il corridoio diretto alla terrazza.
Tutti erano ancora giù per la ricreazione e
io come sempre volevo stare solo.
Arrivai in terrazza e dopo essermi sporto un
poco dal parapetto per guardare giù, mi accorsi che non ero solo.
Una ragazza bionda con i capelli ondulati
che si muovevano ad ogni soffio del vento gelido di gennaio era anche lei
affacciata un po’ più in là che guardava il cortile e il paesaggio urbano che
circondava l’ istituto.
Si stringeva sempre più nel suo giubotto
color panna e una nuvoletta di vapore usciva leggera dalla sua bocca ogni qual
volta la apriva.
Il cuore cominciò a battermi così forte nel
petto che avevo paura che volesse scoppiare: era Betta.
Feci finta di non essermi accorto della sua
presenza e tornai a guardare giù.
“che ci fai qui?”sentii la sua voce dolce
accanto a me ed era veramente accanto a me.
Respirai profondamente l’aria e il suo
profumo di fiori che invase le mie narici.
Avevo paura di espirare perché l’ avrei
lasciato andare via e non volevo che ciò accadesse.
“ciao”
le risposi “ e tu invece cosa ci fai qua?”
“guardo
il panorama…E’ un posto così tranquillo questo. Ci vengo spesso
qui”
“
non si direbbe che ami la tranquillità…”
“magari
non sarò tranquilla io, però la tranquillità intesa come posti silenziosi e
solitari”
“vuoi
che me ne vada?”
“no…
non mi dai fastidio”
Restammo
in silenzio per un po’ anche se io volevo parlare.
Volevo
chiederle perché aveva rifiutato Corsini… ma non potevo.
Probabilmente se gliel’ avessi chiesto
avrebbe capito quali erano i veri sentimenti che provavo per lei ed era l’
ultima cosa che volevo che accadesse.
Ma
decisi di rischiare…
“ho
sentito dire che hai rifiutato la dichiarazione di Alberto Corsini”
“mi
sono sempre chiesta come fanno a circolare così velocemente le voci in un
istituto scolastico…”
“è
vero?”
Non
mi rispose.
“allora?”
Silenzio.
“oh,
ma mi ascolti!”
Si
voltò a guardarmi.
“non
sono affari che ti riguardano!”
Sembrava
un po’ arrabbiata.
“giusto!”
ripresi “tanto cosa me ne può fregare a me!”
Lei
sembrava arrabbiata… io lo ero sul serio!
Mi
rivolse un’ occhiata storta e alquanto irritata.
“ma
si può sapere che cosa vuoi?”
“te
l’ ho già detto: voglio sapere perché hai detto ‘no’ a Corsini!”
Stavamo
urlando anche se eravamo a un metro di distanza l’uno dall’altra…
“a
te non deve fregare un’ accidenti di quello che mi accade!”
“ma
non sto chiedendo chissà che cosa…”
Mi
guardò ancora con quell’ espressione arrabbiata.
“mi
piace un’ altro, ma chi sia non ti riguarda!!!”
Si voltò e fece per andarsene ma di scatto
le presi con la mano destra il polso
sinistro e la girai in modo che potessi guardarla negli occhi.
Con la mano libera le presi il fianco e la
avvicinai a me; eravamo così vicini che mi sembrava di annegare nell’ azzurro
dei suoi occhi.
Ero
totalmente inebriato dal suo dolce profumo di fiori.
Non
resistevo più.
Lei
avrebbe potuto mallarmi quanti schiaffi voleva.
Ma
dovevo.
Non
potevo più resistere…
La
baciai.
Prima
un bacio profondo anche se dolce e somplice.
Dopo aver assaggiato e assaporato il suo
sapore di fragola mi staccai per riprendere fiato.
Poi un’ altro più appassionato e così via
non curante della campanella che suonava e della nuova ora che arrivava,
continuai a baciarla e tenerla sempre stretta a me.
Ma
lei non sembrava volersi allontanare.
Smisi di baciarla e l’ abbracciai ma mi
staccai quasi subito e andai ad appoggiarmi alla ringhiera del terrazzo.
Non
potevo crederci che ci ero riuscito!
L’avevo baciata e sorrisi facendomi
accarezzare il viso da quel venticello prima gelido ora fresco e piacevole.
Lei
mi si avvicinò e si appoggiò anch’ essa alla ringhiera.
Quanto avevo lottato per resistere a quello
che avevo appena fatto! A urlarle parolaccie al posto di ‘ti amo’… A litigare
al posto che cercare di dichiararmi…
Mi
misi a ridere sentendomi un cretino di prima categoria!
Mi voltai a guardarla e mi misi a ridere
ancora di più… lei assunse un’esprsessione che diceva chiaro ‘non ci sto capendo
molto’.
Mi
avvicinai a lei ancora sorridendo e le dissi
“lo
sai perché rido?”
“no,
perché?”
“perché
ti amo… e sono stato per tutto questo tempo a urlarti contro frasi senza senso,
a litigare con te per non fartelo capire…” riuscii a dire tra le risate.
Lei
abbassando lo sguardo arrossì e mi chiese
“e
tu vuoi sapere chi è il ragazzo che mi piace?”
Smisi
di ridere perché lei sembrava seria.
Il
colmo sarebbe stato che mi diceva ‘Alberto Corsini’ o qualcun’ altro…
“
sei tu” rispose.
Mi
ritornò il sorriso.
La
presi per i fianchi e la sollevai in aria facendola volteggiare in alto.
Alto
era il mio cuore tanto che volava.
Volavamo
insieme io e lei dove solo gli innamorati possono andare, come dissero un libro
e un film, un posto più alto del cielo, circa tre metri sopra di esso…
Io
guardavo quella scena da un punto impreciso di quella terrazza.
Ricordandomi
di quei forti sentimenti che ho provato
per Betta.
Ripensando
a tutti quei momenti passati insieme da fidanzati…
Continuai a guardare il sorriso che
illuminava i volti di quei due ragazzi che eravamo io e Betta…
Non aveva senso rivivere quelle scene se
ormai con lei era tutto finito e non c’ era più nulla da fare.
Ci
eravamo lasciati e non saremmo ritornati più insieme…
Mentre osservavo, sapendo che non potevo
essere visto, quei due che continuavano a baciarsi abbracciati stretti, mi si
affuscò la vista e mi ritrovai nella classe di Betta che era deserta.
Stavamo mangiando una montagna di
cioccolattini da dentro una scatola a forma di cuore e avevamo riempito il
banco di un sacco di cartine di cioccolattini.
San
Valentino.
Ridendo lei ne prese uno e me lo mise in
bocca, ma io già ne avevo uno così mi affogai e cominciai a tossire con Betta
accanto a me che rideva come una matta.
Quando
mi ripresi un poco dai colpi di tosse la gurdai malissimo; le presi i polsi e
la bloccai al muro.
La
baciai dimenticandomi dei cioccolattini abbandonati sul banco.
E ancora, mentre li guardavo si appannò la
mia vista e mi ritrovai ai bordi di una piscina e in acqua c’erano solo due
ragazzi che si schizzavano l’acqua a vicenda, ridendo come matti che quasi
affogavano.
Mi
guardai intorno: quella era la villa estiva di Betta.
Quel giorno mi aveva invitato per tutta la
giornata a passarlo con lei in quella villa stupenda che sembrava un paradiso.
Sorrisi ancora guardandoli mentre cercavano
di annegarsi trascinandosi sott’acqua.
Poi
lui la tirò a se e la baciò appassionatamente.
Mi si offuscò di nuvo la vista e mi ritrovai
in mezzo a una piazza piena di neve.
Essa
era deserta però per le strade circolava qualche macchina.
Sulla vetrina di un grande negozio
lampeggiava la scritta ‘MERRY CHRISTMAS!’
Era
Natale.
Ed
eccoli, sempre loro.
Imbacuccati
con guanti, sciarpe e cappellini per il freddo.
Si stavano scambiando i regali: lui uscì da
un grande sacchetto un mega orsacchiottone pelouche con un fiocchettino sotto
il muso tenerissimo.
Lei
fece una faccia scioccata e strinse il mega pelouche sorridendo.
Poi
si gettò al collo del ragazzo e cominciò a riempirgli di baci la guancia.
Anche lui ricevette il suo regalo: i cd
mancanti della collezione del suo gruppo preferito.
Risi pensando alla mia completa collezione
sistemata nello scaffale sopra la scrivania nella mia camera da letto.
E ancora una volta si annebbiò la vista e mi
ritrovai prima al mio e poi al suo compleanno, a ferr’agosto passato sulla
spiaggia coi nostri amici a ballare e cantare attorno al falò; al suo saggio;
ai risultati delle pagelline…
Per
l’ennesima volta mi ritrovai in un posto diverso.
Stavolta
ero in una camera da letto: la mia camera da letto.
“gulm!”
deglutii forte.
Questa
non me l’ aspettavo…
Mi vidi baciarla dolcemente nel collo mentre
lei mi abbracciava tenendo gli occhi chiusi con un’ espressione beata.
Sorrisi.
La
nostra prima volta.
Mi
vidi toglierle lentamente la maglietta e lei toglierla a me.
Mi
vidi sfilarle la gonna e lei rimanere quasi nuda, mentre io avevo i jeans.
Mi
vidi farla sdraiare sul mio letto e io sopra di lei.
Mi emozionai anch’ io: non avrei mai potuto
scordare quell’ eccitazione intensa che provai a vederla nuda stretta tra le
mie braccia.
Lei
era lì ed era stata mia.
Mia,
solo mia e di nessun altro…
Ero
stato un cretino a lasciarla!
Mi
sentivo un emerito idiota.
Come
mi è potuto passare dalla testa solo il pensiero di lasciarla?
Io
la amavo e non potevo fare a meno di lei.
Mi
ritrovai seduto sul letto della mia camera.
Ero
tornato al presente.
In quel momento sentii la porta di casa
sbattere. Era lei, Betta, che era appena uscita.
Corsi fuori dalla porta, superai mia madre
che con espressione preoccupata mi disse
“che cosa sta succedendo, Marco! Betta è
appena uscita di casa piangendo!”
Uscii
di corsa fuori di casa e la cercai con lo sguardo.
La
vidi.
Camminava
velocemente coprendosi dal freddo con la sciarpa.
Stava
nevicando.
Le
corsi dietro e quando la raggiunsi la afferrai per il polso e la voltai.
Le
lacrime le bagnavano tutte le guancie.
La
abbracciai forte e lei si fece abbracciare.
Mi allontanai quanto bastava per guardarle
quegli occhi azzurri in quel momento bagnati di lacrime.
“ti amo Betta e non potrei mai lasciarti. Ho
fatto una cavolata e mi dispiace. Spero che tu possa perdonarmi! Non riesco a
stare senza di te…”
Dopo
averla guardata ancora negli occhi, mi avvicinai a lei e la baciai.
Potevo
sentire il suo buon profumo di fiori.
Potevo
assaporare il suo sapore di fragola.
Potevo
stringerla tra le braccia…
La
amavo ed era la cosa più importante della mia vita.