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Autore: DarkSide_of_Gemini    16/12/2015    2 recensioni
Ethan Danvers era sempre stato considerato un ragazzo “strano”. Sin da bambino aveva sempre parlato di fate e folletti, e amava le storie fantastiche in cui creature leggendarie vivevano al fianco di uomini comuni. Non era la sua immaginazione da bambino a far sì che sognasse quelle creature ad occhi aperti: Ethan aveva un dono, possedeva la fede nell’immenso potere dell’immaginazione, e proprio per quello era in grado di vedere cose che sfuggivano agli altri ragazzi.
Quello che lui ha sempre considerato un privilegio, tuttavia, potrebbe trasformarsi nel peggiore degli incubi.
Dal testo: “-Oh, Ethan!- esclamava Ellen, e non riusciva a trattenere una risata –L’Uomo Nero è attirato dalla paura e dalla cattiveria dei bambini. Tu sei forse un bambino cattivo?-
Lui scuoteva la testa, e non mancava di aggiungere –Però… potrebbe sempre venire se sa che ho paura di lui-
-Proprio per questo non devi temerlo, tesoro. L’Uomo Nero si compiace del terrore degli altri. Tu devi essere più forte di lui, devi dimostrargli che la tua paura di lui può essere annullata dalla speranza e dalla bontà del tuo cuore. Fin quando avrai fiducia nel bene l’Uomo Nero non potrà mai farti del male"
Genere: Fantasy, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nightmares Are Back

10

 

-Ethan!-

La voce di Nicole si levò sopra gli schiamazzi degli studenti in corridoio. La ragazza agitava una mano per farsi notare, e nel frattempo avanzava tra la folla senza neanche il bisogno di sgomitare il più del dovuto: tutti si scostavano al suo passaggio, e sembravano sorpresi di vedere quella tipa dirigersi verso il ragazzino dai problemi comportamentali ormai noti. Di certo insieme formavano una bella squadra: Nicole la Pazza e Ethan il Sociopatico. Quella considerazione era stampata a chiare lettere sul viso della maggior parte dei presenti che seguivano Nicole con lo sguardo, sulle labbra che si arricciavano appena al suo passaggio e nelle spalle incassate dei molti che si ritraevano per fare in modo di non essere neanche sfiorati da quella tipa fin troppo stramba.

Lei sembrò non fare caso a tutto quello e giunse davanti a Ethan con quel suo strano andamento ondeggiante, quasi danzasse a ritmo di una melodia che solo lei era in grado di sentire. Gli rivolse un sorriso, e quando inclinò appena la testa da un lato una ciocca disordinata di capelli color inchiostro le scivolò sul viso.

-Ciao-

-Ciao, Nicole-

Era stata una risposta frettolosa, quasi data controvoglia. Quello non era certo nelle intenzioni di Ethan, ma quel giorno non era proprio il momento adatto per parlargli. Aveva dormito poco e male durante gli ultimi tre giorni, aspettando con asia una qualsiasi notizia da Lilian Jefferson, qualcosa che potesse far sperare in una pronto ritorno di Sam. Nessuna consolazione era arrivata in conforto a lui né ai genitori dell’amico: Samuel pareva volatilizzato, le ricerche risultavano infruttuose, e non solo quelle della polizia. I Guardiani avevano setacciato la città da cima a fondo, e non erano riusciti a trovare traccia di Sam o di Black.

Si erano riuniti una notte in camera di Ethan a studiare il da farsi, purtroppo erano davvero poche le informazioni che erano riusciti a raccogliere, e nonostante molte idee fossero state proposte alla fine, per un motivo o per un altro, ogni nuovo piano veniva scartato. Durante quell’incontro, Ethan aveva quasi sempre fissato il pavimento, o le mura della camera. Le figure davanti a lui si facevano sempre più sfocate. Sapeva che era solo questione di tempo: quanto ancora ne sarebbe passato prima che la sua abilità svanisse del tutto? E allora come avrebbe fatto ad aiutare le Leggende, o Sam? Era tutto così complicato e incerto, e quella situazione precaria lo infastidiva. Inoltre, non vedeva l’ora di poter finalmente scovare Pitch Black per dargli la lezione che meritava. Gli importava poco del fatto che avesse attaccato lui perché lo aveva giudicato il più forte del gruppo, ma non poteva certo tollerare il fatto che adesso la sua follia avesse coinvolto Samuel, e che presto si sarebbe scatenata su Octavia e Nicole, e chissà quante altre persone. Per cui, in un modo o nell’altro, dovevano trovare una soluzione per contrastarlo, e dovevano farlo in fretta.

-E’ più forte-

Il Coniglio di Pasqua faceva sfoggio di diverse bruciature. Lui c’era, quando gli Incubi avevano attaccato Sam. Aveva tentato di fermarli, e tutti i suoi sforzi erano risultati inutili. C’era stato un tempo in cui un’orda di ombre si sarebbe dissolta alla sua sola presenza; in questa partita invece era il loro gruppo ad essere in svantaggio, erano loro a rischiare di svanire senza alcuna possibilità di ritorno. Di sicuro Pitch adorava quella situazione. Quello era ciò che lui aveva sopportato per infiniti anni, secoli di indifferenza, con la sola certezza che la gente non credeva più nella sua esistenza o, se ci credeva, semplicemente scrollava le spalle. Adesso doveva essere fiero del fatto di far provare ai nemici il vuoto che era stata la sua vita fino a quel momento, in cui un solo istante di gloria era in grado di dare l’illusione di emergere da un immenso abisso di noncuranza.

Come potevano, in quelle condizione, sperare di sventare i piani dell’Uomo Nero?

Ethan non aveva saputo essere loro d’aiuto, ed aveva terminato l’incontro con il morale a terra. Non sapeva nulla di più, non aveva neanche la più minima idea di cosa stesse architettando Pitch in quel momento. Non sapeva chi avrebbe attaccato, e come. Non sapeva dove si nascondeva, e dove teneva Sam. Non sapeva nulla che potesse essere utile, e quello lo demoralizzava più di ogni altra cosa.

Non c’era da meravigliarsi, dunque, se in quei giorni il suo morale non fosse dei migliori.

Nicole si guardò intorno come alla ricerca di qualcuno –Dov’è il tuo amico carino?-

-Sam dici?-

Nonostante le preoccupazioni a Ethan scappò un sorriso: chissà cosa avrebbe detto nel sapere che Nicole lo credeva “carino”. A quello seguì un sospiro e una riflessione: in fondo, non era giusto che Nicole sapesse? Anche lei faceva parte del gruppo, e le sue parole si erano rese utili già una volta. Così le fece un cenno e si appartarono in un angolo del corridoio, dove Ethan le raccontò gli ultimi avvenimenti, i problemi che tutt’ora persistevano e le poche speranze che nutrivano le Leggende per il futuro. In un certo senso gli sembrava strano trovarsi a confidare i suoi segreti a qualcuno come Nicole. Certo, lui non era proprio tipo da pregiudizi, ma c’era qualcosa in quella ragazza che lo metteva in soggezione; forse erano tutte le storie che sentiva raccontare sul suo conto, o forse il suo sguardo vago, o ancora quel suo canticchiare seguendo il ritmo con la testa anche in quel momento, mentre lui parlava. Di certo, quella non era una ragazza come tutte le altre, e forse era proprio per quello che aveva conservato il suo Dono. Ethan le vedeva, le ragazze moderne, soffocate da chili di trucco in viso, troppo finte per risultare belle, troppo vuote di carattere o banali. Nessuna di loro, ne era sicuro, era in grado di vedere le fate, e se solo gliene avesse parlato loro gli avrebbero riso in faccia chiamandolo “bambinetto”, come se loro fossero già adulte da molto tempo. Ethan non si spiegava la fretta che avevano certi ragazzi di crescere, l’impellente bisogno di abbandonare al più presto il mondo dei giochi per poi rimpiangerlo giorno dopo giorno. Non capiva perché la fantasia non potesse convivere con la realtà, e perché i sogni e gli amici immaginari dovevano essere nascosti o aboliti una volta raggiunta una certa età. Non capiva il desiderio di scalare in tutta fretta la montagna dell’infanzia per poi decidere di lanciarsi giù dalla cima e precipitare sempre più nell’età adulta, fino a schiantarsi una volta troppo grandi o stanchi.

-E poi- concluse infine –non sappiamo dove si trova il nascondiglio di Black-

-Oh, ma io lo so dov’è-

Ethan si fece attento –Lo sai?-

Com’era possibile? Doveva averla guardata con un’aria a dir poco sconvolta, perché lei si ritrasse e si strinse nelle spalle come se volesse proteggersi da un’improvvisa minaccia.

-Perché mi guardi in quel modo? Non ti dico bugie-

-No, scusa, è solo… davvero sai dov’è?-

Quella volta lei tentennò. Faceva uno strano gioco con le dita, intrecciandole tra di loro e stendendole di nuovo, per poi ricominciare sempre più veloce. Mosse per un paio di volte il capo da destra a sinistra, guardando in alto come a cercare il modo di concentrarsi.

-Bè, credo di saperlo-

Disse infine. Dopo tanti giorni di sconforto, per Ethan quelle parole furono una nuova promessa di speranza. Si impose comunque la calma: non poteva certo esultare e saltare dalla gioia nel bel mezzo della scuola.

-Puoi dirmelo?-

-Sai cosa è successo a Travis Mitchell?-

Come risposta non era poi un granché, e per di più sembrava del tutto fuori luogo. L’entusiasmo di Ethan si freddò: sperò che l’idea di confidarsi con Nicole fosse davvero buona come aveva pensato.

-No, non lo so. Non so neanche chi sia questo Travis Mitchell, a dirla tutta-

Nicole sorrise –Si vede che non segui i pettegolezzi. Travis è un mio compagno di classe. Adesso ascolta: io credo che Pitch Black si trovi a Southampton Yard, nel vecchio cimitero di periferia-

Ethan si passò una mano tra i capelli, confuso –E questo cosa c’entra con Travis?-

-Se mi ascolti te lo spiego. È da un po’ di tempo che nel vecchio cimitero succedono cose strane. La gente dice di veder passare delle ombre, e i lampioni della via si fulminano ogni notte. Oh, no, non serve cambiarli: il giorno dopo sono di nuovo fuori uso. Così si è diffusa la voce che il cimitero sia stregato. Cosa c’è di più banale di una storia come questa? Allora è iniziata una specie di scommessa, soprattutto tra i ragazzi: si sfidano a rimanere una notte intera nel cimitero: chi resiste senza scappare è il vincitore. Bè, ancora un vincitore non c’è. Oh no, perché tutti scappano via, e dicono di avere visioni catastrofiche, immense onde e figure fatte di nebbia nera, e i loro peggiori incubi sembrano prendere vita tra le lapidi. Nessuno ce l’ha fatta fino ad ora. No, nessuno-

-Sì, ma Travis…-

-Travis è stato l’ultimo a stare nel cimitero. È andato l’altro ieri notte, i suoi amici lo hanno lasciato stravaccato su una lapide con una bottiglia di birra come compagnia. Travis è uno tosto, è uno di quelli che se si trova davanti un fantasma lo scaccia lasciandolo dissipare dal phon per capelli. Comunque sia, Travis se la rideva di brutto per questa faccenda, perché, andiamo, com’è possibile lasciarsi spaventare da alcuni mucchietti di marmo? – queste sono state le sue parole la sera in cui è entrato nel cimitero. E la mattina dopo lo hanno trovato accanto a quella lapide, ma si teneva la testa tra le mani e piangeva come un mocciosetto. Diceva coste strane a proposito di ombre striscianti, e di un uomo che lo ha tormentato fino all’alba, uno spirito nero come la notte senza luna, e crudele. Però, in effetti non ha abbandonato il cimitero, quindi adesso non sanno se ritenerlo vincitore o meno-

Di quello a Ethan importava ben poco. C’era anche da dire che Travis, sveglio per tutta la notte e con una buona dose di alcool in circolo, non era un testimone molto affidabile. Ma se quello che aveva detto era vero, allora forse la presenza misteriosa che infestava il cimitero di Southampton Yard era davvero Pitch Black. E se la presenza era davvero Pitch Black, allora lui e i Guardiani potevano ritornare in gara: avevano persino un vantaggio, loro sapevano dove infine Pitch si era insediato, ma lui non sapeva che loro lo avevano scoperto. Dunque, se trovavano il cimitero trovavano Pitch, e se trovavano Pitch probabilmente avrebbero trovato anche Sam.

-Ma è grandioso! Però bisogna esserne davvero certi. Non mi fido molto di un tipo mezzo ubriaco, per di più morto di sonno-

-Possiamo andare a parlargli. Io lo conosco-

Lui avrebbe voluto andare subito, ma non avrebbe avuto il tempo necessario a condurre un interrogatorio sufficientemente attendibile e completo. Avrebbe avuto bisogno di tempo per sbrigare alcuni preparativi.

******

Quel pomeriggio erano entrambi davanti la porta di casa Mitchell. Ethan era nervoso, non vedeva l’ora di venire a capo di quel mistero, e l’occasione di scoprire dove si trovasse Sam gli aveva messo addosso una sorta di frenesia impossibile da dissimulare. Adesso batteva nervosamente con il piede un gradino d’entrata dell’abitazione, impaziente che qualcuno venisse ad aprire in seguito alla scampanellata. Accanto a lui Nicole canticchiava una filastrocca che parlava di corvi bianchi e una città al di là del mare.

Dopo un tempo che gli parve infinito la signora Mitchell li fece accomodare dentro, dando loro il via libera per salire al piano superiore e andare a trovare il figlio. Sulla porta della camera di Travis era appeso un cartello nero sul quale era stato maldestramente dipinto un teschio, sotto il quale spiccava una scritta rosso sangue per nulla amichevole: GET OUT!

Che tipo caloroso doveva essere, venne da pensare a Ethan mentre Nicole bussava alla porta. Per metà ovattato dallo spesso strato di legno giunse una sorta di grugnito in risposta.

-Chi diamine è?-

Nicole si accostò alla porta –Sono io, Nicole. Nicole Harris, della tua classe-

-Sì, lo so chi sei-

-E allora? Fammi entrare-

Un sospiro esasperato accolse quella richiesta. Per alcuni istanti non successe nulla, poi dall’interno giunse un tramestio e poco dopo la porta si aprì. La faccia contrariata di Travis non lasciava margine di dubbio su quanto quella visita fosse poco gradita. Nicole aveva ragione: era un ragazzo alto, impostato, i capelli corti erano tagliati a spazzola e pettinati ritti sulla testa, imbevuti di gel. Dal suo aspetto si sarebbe detto che nulla avrebbe potuto anche solo turbarlo in minima parte. I suoi occhi verdi – a Ethan ricordarono molto gli occhi di Sam, e una strana fitta di nostalgia gli aveva stretto lo stomaco – si posarono poi sul ragazzino. Un sopracciglio scattò verso l’alto.

-E lui chi sarebbe?-

Aveva un piercing alla lingua, e ogni volta che parlava il metallo sbatteva sui denti tintinnando. Nicole sgusciò dentro e si trascinò Ethan dietro. La stanza del ragazzo non era certo in condizioni di accogliere ospiti: il pavimento sembrava un campo di battaglia, disseminato di vestiti appallottolati e riviste accartocciate. Il letto era per metà sfatto, segno che Travis ci stava stravaccato sopra quando erano arrivati loro. Alle pareti erano attaccati svariati poster di cantanti metal sconosciuti o ragazze mezze svestite.

-E’ un mio amico-

Fu la risposta di Nicole. Forse era stata solo una sua impressione, ma a Ethan parve di scorgere una punta di orgoglio nella voce della ragazza. Chissà, lui era forse stata la prima persona che le si era avvicinata senza l’intenzione di schernirla, senza giudicare i suoi modi di fare strampalati e senza dirle quanto le sue canzoncine fossero idiote e inquietanti. Si ritrovò a sorridere, provando un sincero moto di affetto verso quella strana ragazza.

Travis, al contrario, non parve affatto cogliere alcuna sfumatura nella voce di Nicole. Si limitava a guardarli con le braccia incrociate, in viso stampata un’espressione di noia mortale.

-Questo lo vedo. Altrimenti non te lo saresti portato dietro. Bè, che volete?-

-Credo che potresti darci delle informazioni- ribatté Nicole. A quel punto iniziava la messa in scena –lui vuole provare la sfida del cimitero-

Travis sgranò gli occhi e per la prima volta parve guardare davvero il ragazzino che aveva davanti. Subito dopo cominciò a sghignazzare –Tu? Ma fammi il piacere! Davvero pensi di poterci riuscire, nanerottolo?-

-Non mi pare ci sia una regola che impedisca ai nanerottoli di provare, sbaglio?-

La risata di scherno di Travis venne smorzata: di certo non si aspettava una risposta del genere. Il nanerottolo in fondo sapeva il fatto suo.

Nicole continuò –Ethan è coraggioso. Però tu potresti istruirlo di più su cosa c’è da aspettarsi lì dentro-

-Scordatelo- Travis si ritrasse –poco ci manca che mi arrivi la stampa in casa da un momento all’altro. Non ho nulla da dirvi-

-Andiamo, Travie. Lo sai che mi sono sempre piaciuti i racconti del mistero. Non sei stato tu a raccontarmene alcuni dei più terrificanti? Sarà come allora, solo che stavolta i fatti saranno reali-

Lui rimase a squadrare i due amici come riflettendo su quelle parole, giocherellando con il gingillo che aveva sulla lingua. Poi sospirò: in fondo il peggio era accaduto, e aveva ripetuto quella storia così tante volte che ormai una in più non gli faceva differenza.

Dapprima, raccontò, era stato tutto normale. Aveva scavalcato il vecchio cancello arrugginito e si era fatto passare la birra attraverso le sbarre. Poi si era accomodato su una tomba, dato che l’alternativa era sedersi sull’erba ghiacciata e incolta. E i suoi amici lo avevano lasciato lì. Era passato molto tempo, o forse poco, mentre il livello del liquido nella bottiglia andava diminuendo e lui se la rideva di brutto alle spalle di quei fifoni che si lasciavano suggestionare dai racconti dei vecchi sulle presenze arcane di quel luogo. Agli anziani piaceva raccontare quelle storie, lo sapeva, tramandavano le leggende che derivano dal folklore popolare dei loro paesini, e il più delle volte in quei racconti non c’era nulla di vero. Per cui, qual era il motivo per preoccuparsi?

La notte era calata in fretta, e gli unici rumori erano quelli delle automobili in lontananza, e il rado verso di un uccello notturno. Travis stava già per cantare vittoria quando le ombre iniziarono ad apparire. All’inizio aveva creduto che fosse solo un gioco di luci, quando le nuvole coprivano la luna e poi le passavano oltre. Chi era così stupido da lasciarsi spaventare da una cosa simile? Poi, fuori dai cancelli, uno dopo l’altro i lampioni del viale si spensero; la luce arancione tremolava fino ad estinguersi, facendo piombare l’intera via nell’oscurità totale, lasciando solo la fredda luce stentata della luna come unica fonte di illuminazione. Dentro il cimitero, invece, i lumini posti sotto le croci storte delle lapidi si accesero come tanti piccoli occhi del colore del fuoco. Va bene: niente più luce artificiale. E allora?

Dopo ancora le ombre della notte parvero addensarsi, congiungersi tutte in unico spiazzo e innalzarsi in una colonna dalla quale prese forma la sagoma di un uomo. Una risata macabra riempì l’aria mentre il nuovo arrivato avanzava con un sorriso verso il giovane temerario che si era addentrato nel cimitero.

-Dunque sei tu che sei venuto a giocare con me questa notte-

Travis aveva sbuffato, credendo che quello fosse in qualche modo un trucco ideato dai suoi amici per spaventarlo e fargli perdere così la scommessa; ma aveva anche avvertito un brivido che non provava più da tempo. Quel freddo che penetra nelle ossa e ti ghiaccia sul posto l’aveva quasi dimenticato. Subito dopo, i suoi incubi avevano preso vita.

Nessuno sapeva cosa avrebbe potuto spaventare Travis Mitchell, ma ognuno di noi conserva il ricordo di qualcosa che, anche a distanza di anni, è capace di farci tremare ancora nonostante lo scampato pericolo.

Nessuno l’avrebbe mai detto, ma Travis aveva paura dei cani, quelli di taglia grande, perché da bambino era stato aggredito dal pitbull dei vicini ed era stata necessaria una corsa disperata all’ospedale. Travis aveva paura delle armi e degli spari, perché a quindici anni si era ritrovato coinvolto in una rissa e qualcuno, sparando, lo aveva colpito a una spalla, alla quale ancora oggi portava la cicatrice. C’erano infinite, piccole cose all’apparenza insignificanti che potevano suscitare una reazione disperata anche nel più coraggioso degli uomini. Per tutta la notte era stato un continuo risuonare di spari nell’oscurità, e una corsa tra le cappelle diroccate e le croci spezzate per sfuggire a grandi cani neri dagli occhi d’oro che riempivano l’aria di ringhi e ululati, e non erano mai stanchi per quanto corressero veloce.

Tutto quello era sembrato dover continuare in eterno, e solo alle prime luci dell’alba tutto era scomparso e l’uomo lo aveva lasciato in pace, svanendo come un’ombra man mano che il sole avanzava il suo cammino in cielo.

Di tutto quello, Travis non avrebbe saputo dire quanto fosse vero e quanto era dovuto alla stanchezza o all’immaginazione esasperata. Ma una cosa era certa: quella notte, dopo tanti anni, aveva riscoperto cos’era la paura.

Terminato il racconto, Ethan e Nicole si guardarono. Ormai ne erano certi: non poteva trattarsi d’altro se non di Pitch Black. Un dubbio, sorto a quelle parole, aveva smosso la curiosità del ragazzino.

-Ma quindi- si rivolse a Travis –tu non credi nei fantasmi, o nelle creature fatate?-

Lui sbuffò con evidente sdegno –Hei, ma per chi mi hai preso?! Ti sembro persona che possa credere nelle creature fatate?-

Quella risposta, purtroppo, confermava il pensiero di Ethan: quello non era più un attacco rivolto solo ai ragazzi che, come loro, erano in grado di contrastare il suo potere con la forza della fede nelle favole. La guerra di Black era iniziata, e il suo obiettivo era adesso intera. Era evidente che non attaccava più la gente prescelta allo scopo di diminuire ancora il potere dei Guardiani, adesso attaccava solo per il piacere di dimostrare di essere in grado nuovamente di causare panico e dolore.

 Era tutto quello che gli serviva sapere. Quando si congedarono Travis lo guardò con una punta di incertezza.

-Quindi, vuoi ancora andare a Southampton Yard?-

Non avevano scelta. Ethan annuì con decisione, e sul viso di Travis passò per un breve istante un lampo di ammirazione.

-Ne hai di fegato, nanerottolo-

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Salve a tutti, eccomi tornata anche se con un po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia.

Però adesso almeno sappiamo dove trovare quella canaglietta sabbiosa (?) di Pitch, che ovviamente si è trovato un posticino taaanto confortevole. Non so, il cimitero mi è sembrato un luogo appropriato dove rintanarlo, sempre meglio di quella specie di tombino dove si era infilato nel film – che sembrava tanto il rifugio delle tartarughe ninja.

 

*spazio della cosa cretina*  Sapete che qualche giorno fa l’Etna ha eruttato, no? Ecco, nel balcone del mio salotto la mattina dopo c’era tanta di quella cenere nera che ho pensato che Pitch fosse passato a campeggiare fuori da casa mia, magari per punirmi di tutte le volte che gli ho detto “adorabile pallina di fuliggine”. Magari si era pure nascosto nel vaso dei gerani e io non ci ho fatto caso. Anche se credo che, se solo Pitch arrivasse a tentare di spaventarmi, lo accoglierei sprimacciandogli la faccia a ritmo di “Macchesseicariiinocarinocarinooo!” – poi bè, credo che chiederebbe la pensione, e allora avrò definitivamente liberato il mondo dall’Uomo Nero u.u oh yeah! xD

 

Ah però! Sono arrivata al capitolo 10 senza accorgermene, quanto sono attenta xD allora colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha seguito fin qui e chi si è fatto avanti man mano che la storia procedeva, sappiate che vi troverò e vi sprimaccerò *--* in particolare grazie a Enivelsa e Kamelye per aver inserito la storia tra le Seguite, e Eirinya per averla inserita tra le Seguite e Ricordate, nonché per la bella recensione :D

 

E anche per questa volta ho detto tutto, non mi resta che dileguarmi e darvi appuntamento al prossimo capitolo ;)

Kisses

Rory_Chan

 

  
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