Nightmares Are Back
10
-Ethan!-
La voce
di Nicole si levò sopra gli schiamazzi degli studenti in corridoio. La ragazza
agitava una mano per farsi notare, e nel frattempo avanzava tra la folla senza
neanche il bisogno di sgomitare il più del dovuto: tutti si scostavano al suo
passaggio, e sembravano sorpresi di vedere quella tipa dirigersi verso il
ragazzino dai problemi comportamentali ormai noti. Di certo insieme formavano
una bella squadra: Nicole la Pazza e Ethan il Sociopatico. Quella
considerazione era stampata a chiare lettere sul viso della maggior parte dei
presenti che seguivano Nicole con lo sguardo, sulle labbra che si arricciavano
appena al suo passaggio e nelle spalle incassate dei molti che si ritraevano
per fare in modo di non essere neanche sfiorati da quella tipa fin troppo
stramba.
Lei
sembrò non fare caso a tutto quello e giunse davanti a Ethan con quel suo
strano andamento ondeggiante, quasi danzasse a ritmo di una melodia che solo
lei era in grado di sentire. Gli rivolse un sorriso, e quando inclinò appena la
testa da un lato una ciocca disordinata di capelli color inchiostro le scivolò
sul viso.
-Ciao-
-Ciao,
Nicole-
Era
stata una risposta frettolosa, quasi data controvoglia. Quello non era certo
nelle intenzioni di Ethan, ma quel giorno non era proprio il momento adatto per
parlargli. Aveva dormito poco e male durante gli ultimi tre giorni, aspettando
con asia una qualsiasi notizia da Lilian Jefferson, qualcosa che potesse far
sperare in una pronto ritorno di Sam. Nessuna consolazione era arrivata in
conforto a lui né ai genitori dell’amico: Samuel pareva volatilizzato, le
ricerche risultavano infruttuose, e non solo quelle della polizia. I Guardiani
avevano setacciato la città da cima a fondo, e non erano riusciti a trovare
traccia di Sam o di Black.
Si
erano riuniti una notte in camera di Ethan a studiare il da farsi, purtroppo
erano davvero poche le informazioni che erano riusciti a raccogliere, e
nonostante molte idee fossero state proposte alla fine, per un motivo o per un
altro, ogni nuovo piano veniva scartato. Durante quell’incontro, Ethan aveva
quasi sempre fissato il pavimento, o le mura della camera. Le figure davanti a
lui si facevano sempre più sfocate. Sapeva che era solo questione di tempo:
quanto ancora ne sarebbe passato prima che la sua abilità svanisse del tutto? E
allora come avrebbe fatto ad aiutare le Leggende, o Sam? Era tutto così complicato
e incerto, e quella situazione precaria lo infastidiva. Inoltre, non vedeva
l’ora di poter finalmente scovare Pitch Black per dargli la lezione che
meritava. Gli importava poco del fatto che avesse attaccato lui perché lo aveva
giudicato il più forte del gruppo, ma non poteva certo tollerare il fatto che
adesso la sua follia avesse coinvolto Samuel, e che presto si sarebbe scatenata
su Octavia e Nicole, e chissà quante altre persone. Per cui, in un modo o
nell’altro, dovevano trovare una soluzione per contrastarlo, e dovevano farlo
in fretta.
-E’ più
forte-
Il
Coniglio di Pasqua faceva sfoggio di diverse bruciature. Lui c’era, quando gli
Incubi avevano attaccato Sam. Aveva tentato di fermarli, e tutti i suoi sforzi
erano risultati inutili. C’era stato un tempo in cui un’orda di ombre si
sarebbe dissolta alla sua sola presenza; in questa partita invece era il loro
gruppo ad essere in svantaggio, erano loro a rischiare di svanire senza alcuna
possibilità di ritorno. Di sicuro Pitch adorava quella situazione. Quello era
ciò che lui aveva sopportato per infiniti anni, secoli di indifferenza, con la
sola certezza che la gente non credeva più nella sua esistenza o, se ci
credeva, semplicemente scrollava le spalle. Adesso doveva essere fiero del
fatto di far provare ai nemici il vuoto che era stata la sua vita fino a quel
momento, in cui un solo istante di gloria era in grado di dare l’illusione di
emergere da un immenso abisso di noncuranza.
Come
potevano, in quelle condizione, sperare di sventare i piani dell’Uomo Nero?
Ethan
non aveva saputo essere loro d’aiuto, ed aveva terminato l’incontro con il
morale a terra. Non sapeva nulla di più, non aveva neanche la più minima idea di
cosa stesse architettando Pitch in quel momento. Non sapeva chi avrebbe
attaccato, e come. Non sapeva dove si nascondeva, e dove teneva Sam. Non sapeva
nulla che potesse essere utile, e quello lo demoralizzava più di ogni altra
cosa.
Non
c’era da meravigliarsi, dunque, se in quei giorni il suo morale non fosse dei
migliori.
Nicole si
guardò intorno come alla ricerca di qualcuno –Dov’è il tuo amico carino?-
-Sam
dici?-
Nonostante
le preoccupazioni a Ethan scappò un sorriso: chissà cosa avrebbe detto nel
sapere che Nicole lo credeva “carino”. A quello seguì un sospiro e una
riflessione: in fondo, non era giusto che Nicole sapesse? Anche lei faceva
parte del gruppo, e le sue parole si erano rese utili già una volta. Così le
fece un cenno e si appartarono in un angolo del corridoio, dove Ethan le
raccontò gli ultimi avvenimenti, i problemi che tutt’ora persistevano e le
poche speranze che nutrivano le Leggende per il futuro. In un certo senso gli
sembrava strano trovarsi a confidare i suoi segreti a qualcuno come Nicole.
Certo, lui non era proprio tipo da pregiudizi, ma c’era qualcosa in quella
ragazza che lo metteva in soggezione; forse erano tutte le storie che sentiva
raccontare sul suo conto, o forse il suo sguardo vago, o ancora quel suo
canticchiare seguendo il ritmo con la testa anche in quel momento, mentre lui
parlava. Di certo, quella non era una ragazza come tutte le altre, e forse era
proprio per quello che aveva conservato il suo Dono. Ethan le vedeva, le
ragazze moderne, soffocate da chili di trucco in viso, troppo finte per
risultare belle, troppo vuote di carattere o banali. Nessuna di loro, ne era
sicuro, era in grado di vedere le fate, e se solo gliene avesse parlato loro
gli avrebbero riso in faccia chiamandolo “bambinetto”, come se loro fossero già
adulte da molto tempo. Ethan non si spiegava la fretta che avevano certi ragazzi
di crescere, l’impellente bisogno di abbandonare al più presto il mondo dei
giochi per poi rimpiangerlo giorno dopo giorno. Non capiva perché la fantasia
non potesse convivere con la realtà, e perché i sogni e gli amici immaginari
dovevano essere nascosti o aboliti una volta raggiunta una certa età. Non
capiva il desiderio di scalare in tutta fretta la montagna dell’infanzia per
poi decidere di lanciarsi giù dalla cima e precipitare sempre più nell’età
adulta, fino a schiantarsi una volta troppo grandi o stanchi.
-E poi-
concluse infine –non sappiamo dove si trova il nascondiglio di Black-
-Oh, ma
io lo so dov’è-
Ethan
si fece attento –Lo sai?-
Com’era
possibile? Doveva averla guardata con un’aria a dir poco sconvolta, perché lei
si ritrasse e si strinse nelle spalle come se volesse proteggersi da
un’improvvisa minaccia.
-Perché
mi guardi in quel modo? Non ti dico bugie-
-No,
scusa, è solo… davvero sai dov’è?-
Quella
volta lei tentennò. Faceva uno strano gioco con le dita, intrecciandole tra di
loro e stendendole di nuovo, per poi ricominciare sempre più veloce. Mosse per
un paio di volte il capo da destra a sinistra, guardando in alto come a cercare
il modo di concentrarsi.
-Bè,
credo di saperlo-
Disse
infine. Dopo tanti giorni di sconforto, per Ethan quelle parole furono una
nuova promessa di speranza. Si impose comunque la calma: non poteva certo
esultare e saltare dalla gioia nel bel mezzo della scuola.
-Puoi
dirmelo?-
-Sai
cosa è successo a Travis Mitchell?-
Come
risposta non era poi un granché, e per di più sembrava del tutto fuori luogo.
L’entusiasmo di Ethan si freddò: sperò che l’idea di confidarsi con Nicole
fosse davvero buona come aveva pensato.
-No,
non lo so. Non so neanche chi sia questo Travis Mitchell, a dirla tutta-
Nicole
sorrise –Si vede che non segui i pettegolezzi. Travis è un mio compagno di
classe. Adesso ascolta: io credo che Pitch Black si trovi a Southampton Yard,
nel vecchio cimitero di periferia-
Ethan
si passò una mano tra i capelli, confuso –E questo cosa c’entra con Travis?-
-Se mi
ascolti te lo spiego. È da un po’ di tempo che nel vecchio cimitero succedono
cose strane. La gente dice di veder passare delle ombre, e i lampioni della via
si fulminano ogni notte. Oh, no, non serve cambiarli: il giorno dopo sono di
nuovo fuori uso. Così si è diffusa la voce che il cimitero sia stregato. Cosa
c’è di più banale di una storia come questa? Allora è iniziata una specie di
scommessa, soprattutto tra i ragazzi: si sfidano a rimanere una notte intera
nel cimitero: chi resiste senza scappare è il vincitore. Bè, ancora un
vincitore non c’è. Oh no, perché tutti scappano via, e dicono di avere visioni
catastrofiche, immense onde e figure fatte di nebbia nera, e i loro peggiori
incubi sembrano prendere vita tra le lapidi. Nessuno ce l’ha fatta fino ad ora.
No, nessuno-
-Sì, ma
Travis…-
-Travis
è stato l’ultimo a stare nel cimitero. È andato l’altro ieri notte, i suoi
amici lo hanno lasciato stravaccato su una lapide con una bottiglia di birra
come compagnia. Travis è uno tosto, è uno di quelli che se si trova davanti un
fantasma lo scaccia lasciandolo dissipare dal phon per capelli. Comunque sia,
Travis se la rideva di brutto per questa faccenda, perché, andiamo, com’è
possibile lasciarsi spaventare da alcuni mucchietti di marmo? – queste sono
state le sue parole la sera in cui è entrato nel cimitero. E la mattina dopo lo
hanno trovato accanto a quella lapide, ma si teneva la testa tra le mani e
piangeva come un mocciosetto. Diceva coste strane a
proposito di ombre striscianti, e di un uomo che lo ha tormentato fino
all’alba, uno spirito nero come la notte senza luna, e crudele. Però, in
effetti non ha abbandonato il cimitero, quindi adesso non sanno se ritenerlo
vincitore o meno-
Di
quello a Ethan importava ben poco. C’era anche da dire che Travis, sveglio per
tutta la notte e con una buona dose di alcool in circolo, non era un testimone
molto affidabile. Ma se quello che aveva detto era vero, allora forse la
presenza misteriosa che infestava il cimitero di Southampton Yard era davvero
Pitch Black. E se la presenza era davvero Pitch Black, allora lui e i Guardiani
potevano ritornare in gara: avevano persino un vantaggio, loro sapevano dove
infine Pitch si era insediato, ma lui non sapeva che loro lo avevano scoperto.
Dunque, se trovavano il cimitero trovavano Pitch, e se trovavano Pitch
probabilmente avrebbero trovato anche Sam.
-Ma è
grandioso! Però bisogna esserne davvero certi. Non mi fido molto di un tipo
mezzo ubriaco, per di più morto di sonno-
-Possiamo
andare a parlargli. Io lo conosco-
Lui
avrebbe voluto andare subito, ma non avrebbe avuto il tempo necessario a
condurre un interrogatorio sufficientemente attendibile e completo. Avrebbe
avuto bisogno di tempo per sbrigare alcuni preparativi.
******
Quel
pomeriggio erano entrambi davanti la porta di casa Mitchell. Ethan era nervoso,
non vedeva l’ora di venire a capo di quel mistero, e l’occasione di scoprire
dove si trovasse Sam gli aveva messo addosso una sorta di frenesia impossibile
da dissimulare. Adesso batteva nervosamente con il piede un gradino d’entrata
dell’abitazione, impaziente che qualcuno venisse ad aprire in seguito alla
scampanellata. Accanto a lui Nicole canticchiava una filastrocca che parlava di
corvi bianchi e una città al di là del mare.
Dopo un
tempo che gli parve infinito la signora Mitchell li fece accomodare dentro,
dando loro il via libera per salire al piano superiore e andare a trovare il
figlio. Sulla porta della camera di Travis era appeso un cartello nero sul
quale era stato maldestramente dipinto un teschio, sotto il quale spiccava una
scritta rosso sangue per nulla amichevole: GET
OUT!
Che tipo
caloroso doveva essere, venne da pensare a Ethan mentre Nicole bussava alla
porta. Per metà ovattato dallo spesso strato di legno giunse una sorta di
grugnito in risposta.
-Chi
diamine è?-
Nicole
si accostò alla porta –Sono io, Nicole. Nicole Harris, della tua classe-
-Sì, lo
so chi sei-
-E
allora? Fammi entrare-
Un
sospiro esasperato accolse quella richiesta. Per alcuni istanti non successe
nulla, poi dall’interno giunse un tramestio e poco dopo la porta si aprì. La
faccia contrariata di Travis non lasciava margine di dubbio su quanto quella
visita fosse poco gradita. Nicole aveva ragione: era un ragazzo alto,
impostato, i capelli corti erano tagliati a spazzola e pettinati ritti sulla
testa, imbevuti di gel. Dal suo aspetto si sarebbe detto che nulla avrebbe
potuto anche solo turbarlo in minima parte. I suoi occhi verdi – a Ethan
ricordarono molto gli occhi di Sam, e una strana fitta di nostalgia gli aveva
stretto lo stomaco – si posarono poi sul ragazzino. Un sopracciglio scattò
verso l’alto.
-E lui
chi sarebbe?-
Aveva
un piercing alla lingua, e ogni volta che parlava il metallo sbatteva sui denti
tintinnando. Nicole sgusciò dentro e si trascinò Ethan dietro. La stanza del
ragazzo non era certo in condizioni di accogliere ospiti: il pavimento sembrava
un campo di battaglia, disseminato di vestiti appallottolati e riviste
accartocciate. Il letto era per metà sfatto, segno che Travis ci stava
stravaccato sopra quando erano arrivati loro. Alle pareti erano attaccati
svariati poster di cantanti metal sconosciuti o ragazze mezze svestite.
-E’ un
mio amico-
Fu la
risposta di Nicole. Forse era stata solo una sua impressione, ma a Ethan parve
di scorgere una punta di orgoglio nella voce della ragazza. Chissà, lui era
forse stata la prima persona che le si era avvicinata senza l’intenzione di
schernirla, senza giudicare i suoi modi di fare strampalati e senza dirle
quanto le sue canzoncine fossero idiote e inquietanti. Si ritrovò a sorridere,
provando un sincero moto di affetto verso quella strana ragazza.
Travis,
al contrario, non parve affatto cogliere alcuna sfumatura nella voce di Nicole.
Si limitava a guardarli con le braccia incrociate, in viso stampata
un’espressione di noia mortale.
-Questo
lo vedo. Altrimenti non te lo saresti portato dietro. Bè, che volete?-
-Credo
che potresti darci delle informazioni- ribatté Nicole. A quel punto iniziava la
messa in scena –lui vuole provare la sfida del cimitero-
Travis
sgranò gli occhi e per la prima volta parve guardare davvero il ragazzino che
aveva davanti. Subito dopo cominciò a sghignazzare –Tu? Ma fammi il piacere! Davvero pensi di poterci riuscire,
nanerottolo?-
-Non mi
pare ci sia una regola che impedisca ai nanerottoli di provare, sbaglio?-
La
risata di scherno di Travis venne smorzata: di certo non si aspettava una
risposta del genere. Il nanerottolo in fondo sapeva il fatto suo.
Nicole
continuò –Ethan è coraggioso. Però tu potresti istruirlo di più su cosa c’è da
aspettarsi lì dentro-
-Scordatelo-
Travis si ritrasse –poco ci manca che mi arrivi la stampa in casa da un momento
all’altro. Non ho nulla da dirvi-
-Andiamo,
Travie. Lo sai che mi sono sempre piaciuti i racconti
del mistero. Non sei stato tu a raccontarmene alcuni dei più terrificanti? Sarà
come allora, solo che stavolta i fatti saranno reali-
Lui
rimase a squadrare i due amici come riflettendo su quelle parole,
giocherellando con il gingillo che aveva sulla lingua. Poi sospirò: in fondo il
peggio era accaduto, e aveva ripetuto quella storia così tante volte che ormai
una in più non gli faceva differenza.
Dapprima,
raccontò, era stato tutto normale. Aveva scavalcato il vecchio cancello
arrugginito e si era fatto passare la birra attraverso le sbarre. Poi si era
accomodato su una tomba, dato che l’alternativa era sedersi sull’erba
ghiacciata e incolta. E i suoi amici lo avevano lasciato lì. Era passato molto
tempo, o forse poco, mentre il livello del liquido nella bottiglia andava
diminuendo e lui se la rideva di brutto alle spalle di quei fifoni che si
lasciavano suggestionare dai racconti dei vecchi sulle presenze arcane di quel
luogo. Agli anziani piaceva raccontare quelle storie, lo sapeva, tramandavano
le leggende che derivano dal folklore popolare dei loro paesini, e il più delle
volte in quei racconti non c’era nulla di vero. Per cui, qual era il motivo per
preoccuparsi?
La
notte era calata in fretta, e gli unici rumori erano quelli delle automobili in
lontananza, e il rado verso di un uccello notturno. Travis stava già per
cantare vittoria quando le ombre iniziarono ad apparire. All’inizio aveva
creduto che fosse solo un gioco di luci, quando le nuvole coprivano la luna e
poi le passavano oltre. Chi era così stupido da lasciarsi spaventare da una
cosa simile? Poi, fuori dai cancelli, uno dopo l’altro i lampioni del viale si
spensero; la luce arancione tremolava fino ad estinguersi, facendo piombare
l’intera via nell’oscurità totale, lasciando solo la fredda luce stentata della
luna come unica fonte di illuminazione. Dentro il cimitero, invece, i lumini
posti sotto le croci storte delle lapidi si accesero come tanti piccoli occhi
del colore del fuoco. Va bene: niente più luce artificiale. E allora?
Dopo
ancora le ombre della notte parvero addensarsi, congiungersi tutte in unico
spiazzo e innalzarsi in una colonna dalla quale prese forma la sagoma di un
uomo. Una risata macabra riempì l’aria mentre il nuovo arrivato avanzava con un
sorriso verso il giovane temerario che si era addentrato nel cimitero.
-Dunque
sei tu che sei venuto a giocare con me questa notte-
Travis
aveva sbuffato, credendo che quello fosse in qualche modo un trucco ideato dai
suoi amici per spaventarlo e fargli perdere così la scommessa; ma aveva anche
avvertito un brivido che non provava più da tempo. Quel freddo che penetra
nelle ossa e ti ghiaccia sul posto l’aveva quasi dimenticato. Subito dopo, i
suoi incubi avevano preso vita.
Nessuno
sapeva cosa avrebbe potuto spaventare Travis Mitchell, ma ognuno di noi
conserva il ricordo di qualcosa che, anche a distanza di anni, è capace di
farci tremare ancora nonostante lo scampato pericolo.
Nessuno
l’avrebbe mai detto, ma Travis aveva paura dei cani, quelli di taglia grande,
perché da bambino era stato aggredito dal pitbull dei vicini ed era stata
necessaria una corsa disperata all’ospedale. Travis aveva paura delle armi e
degli spari, perché a quindici anni si era ritrovato coinvolto in una rissa e
qualcuno, sparando, lo aveva colpito a una spalla, alla quale ancora oggi
portava la cicatrice. C’erano infinite, piccole cose all’apparenza
insignificanti che potevano suscitare una reazione disperata anche nel più
coraggioso degli uomini. Per tutta la notte era stato un continuo risuonare di
spari nell’oscurità, e una corsa tra le cappelle diroccate e le croci spezzate
per sfuggire a grandi cani neri dagli occhi d’oro che riempivano l’aria di
ringhi e ululati, e non erano mai stanchi per quanto corressero veloce.
Tutto
quello era sembrato dover continuare in eterno, e solo alle prime luci
dell’alba tutto era scomparso e l’uomo lo aveva lasciato in pace, svanendo come
un’ombra man mano che il sole avanzava il suo cammino in cielo.
Di
tutto quello, Travis non avrebbe saputo dire quanto fosse vero e quanto era
dovuto alla stanchezza o all’immaginazione esasperata. Ma una cosa era certa:
quella notte, dopo tanti anni, aveva riscoperto cos’era la paura.
Terminato
il racconto, Ethan e Nicole si guardarono. Ormai ne erano certi: non poteva
trattarsi d’altro se non di Pitch Black. Un dubbio, sorto a quelle parole,
aveva smosso la curiosità del ragazzino.
-Ma
quindi- si rivolse a Travis –tu non credi nei fantasmi, o nelle creature
fatate?-
Lui
sbuffò con evidente sdegno –Hei, ma per chi mi hai preso?! Ti sembro persona
che possa credere nelle creature fatate?-
Quella
risposta, purtroppo, confermava il pensiero di Ethan: quello non era più un
attacco rivolto solo ai ragazzi che, come loro, erano in grado di contrastare
il suo potere con la forza della fede nelle favole. La guerra di Black era
iniziata, e il suo obiettivo era adesso intera. Era evidente che non attaccava
più la gente prescelta allo scopo di diminuire ancora il potere dei Guardiani,
adesso attaccava solo per il piacere di dimostrare di essere in grado nuovamente
di causare panico e dolore.
Era tutto quello che gli serviva sapere.
Quando si congedarono Travis lo guardò con una punta di incertezza.
-Quindi,
vuoi ancora andare a Southampton Yard?-
Non
avevano scelta. Ethan annuì con decisione, e sul viso di Travis passò per un
breve istante un lampo di ammirazione.
-Ne hai
di fegato, nanerottolo-
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Salve a tutti, eccomi tornata anche se con un po’ di ritardo
rispetto alla tabella di marcia.
Però adesso almeno sappiamo dove trovare quella canaglietta sabbiosa (?) di Pitch, che ovviamente si è
trovato un posticino taaanto confortevole. Non so, il
cimitero mi è sembrato un luogo appropriato dove rintanarlo, sempre meglio di
quella specie di tombino dove si era infilato nel film – che sembrava tanto il
rifugio delle tartarughe ninja.
*spazio della cosa cretina* Sapete che qualche giorno
fa l’Etna ha eruttato, no? Ecco, nel balcone del mio salotto la mattina dopo
c’era tanta di quella cenere nera che ho pensato che Pitch fosse passato a
campeggiare fuori da casa mia, magari per punirmi di tutte le volte che gli ho
detto “adorabile pallina di fuliggine”. Magari si era pure nascosto nel vaso
dei gerani e io non ci ho fatto caso. Anche se credo che, se solo Pitch
arrivasse a tentare di spaventarmi, lo accoglierei sprimacciandogli la faccia a
ritmo di “Macchesseicariiinocarinocarinooo!” – poi
bè, credo che chiederebbe la pensione, e allora avrò definitivamente liberato
il mondo dall’Uomo Nero u.u oh yeah!
xD
Ah però! Sono arrivata al capitolo 10 senza accorgermene, quanto
sono attenta xD allora colgo l’occasione per
ringraziare chi mi ha seguito fin qui e chi si è fatto avanti man mano che la
storia procedeva, sappiate che vi troverò e vi sprimaccerò *--* in particolare
grazie a Enivelsa
e Kamelye per aver inserito la storia tra le Seguite, e Eirinya per averla inserita tra le Seguite
e Ricordate, nonché per la bella
recensione :D
E anche per questa volta ho detto tutto, non mi resta che
dileguarmi e darvi appuntamento al prossimo capitolo ;)
Kisses
Rory_Chan